Appunti del corso di
ECONOMIA URBANA E
TERRITORIALE

PRINCIPIO DI AGGLOMERAZIONE[1]

Andrea Rossi
Pierattilio Tronconi

Storicamente si constata che gli uomini hanno trovato più vantaggioso ed efficiente gestire i propri rapporti personali, sociali, economici e di potere, in modo spazialmente concentrato.

In uno spazio concentrato si determinano infatti economie di scala che consentono di sviluppare vantaggi di varia natura e di realizzare processi produttivi più efficienti che si aggregano attorno a poli di agglomerazione.

Il processo cumulativo trova comunque dei limiti

a – nei costi di trasporto, che aumentano con l’aumentare della distanza tra luogo della produzione e luogo della commercializzazione;

b – nella formazione di diseconomie legate ai prezzi dei “fattori” meno mobili che entrano nella produzione ed alla rendita.

I costi di trasporto incidono nella determinazione di quegli elementi che rendono più appetibile una localizzazione concentrata rispetto ad una diffusa.

La rendita è connessa alla dinamica delle preferenze localizzative delle imprese e delle famiglie.

Si definiscono “economie di agglomerazione” tutti i vantaggi che si possono ricavare da una “struttura spaziale concentrata”; si tratta di:

·        economie interne alle imprese;

·        economie esterne alle imprese ma interne alle stesse industrie o settore produttivo;

·        economie esterne alle imprese ed all’industria, connesse all’urbanizzazione.

ECONOMIE DI SCALA
L’area di mercato dell’impresa

La realtà mostra che la produzione è sensibile sia ai costi di trasporto delle merci che ai costi dei fattori produttivi i quali risultano a loro volta sensibili alle economie di scala.

Costo del trasporto ed economie di scala intervengono nel determinare un modello di localizzazione delle attività produttive che viene denominato di “diffusione concentrata” in cui sono presenti agglomerazioni di dimensione più o meno grandi poste ad una certa distanza l’una dall’altra.

Supponendo un mercato lineare, il grafico seguente illustra gli “spazi di mercato” che diverse imprese (A, B, C, D,) che si trovano distanziate tra loro e che producono con le stesse funzioni di produzione dei beni allo stesso prezzo (p1), si troverebbero a disporre in conseguenza dei costi di trasporto (fig 1).

La somma del prezzo di produzione (p1) e di quello del trasporto (τ.δ), proporzionale alla distanza (δ), rappresenta il prezzo al consumatore.

p = p1 + (τ.δ)

Fig. 1 – aree di un mercato lineare in cui le imprese producono tutte con lo stesso prezzo, in funzione della distanza.

L’impresa A si troverebbe a poter occupare lo spazio compreso tra O e a1

L’impresa B, lo spazio tra a1 e b1

L’impresa C, lo spazio tra b1 e c1, e così via

Se una delle imprese, ad esempio la C, produce a costi minori delle altre (p2), rimanendo costanti i costi di trasporto (τ.δ), le aree di mercato si modificherebbero come rappresentato nel grafico seguente (Fig 1a). L’impresa C allargherebbe il proprio spazio di mercato da (b1 – c1 di fig.1) a a2 - c2, estromettendo così  le imprese B e D ed erodendo spazi anche alle imprese A e E.

Fig. 1a - Aree di mercato in un mercato lineare in cui una impresa produce a prezzi inferiori rispetto alle altre, in funzione della distanza.

In un mercato che viene dominato da una impresa ne derivano:

a – permanenza dei vantaggi per i consumatori più vicini (minori costi di trasporto),

b – barriere spaziali alla concorrenza,

c – possibilità di imporre prezzi di monopolio.

LA CURVA DI DOMANDA SPAZIALE

La domanda spaziale indica la quantità  di beni (Xi) che un individuo è disposto ad acquistare dall’impresa “ i ” in funzione della sua distanza (δ) dall’impresa stessa e del prezzo complessivo (P).

Supponendo per semplicità un mercato lineare avente come centro A (fig.2) , il prezzo complessivo di un prodotto (P) è dato da:

P = Pf + Pt

in cui

Pf = prezzo franco fabbrica di un lotto x1

Pt = prezzo del trasporto che è funzione della distanza dal luogo di produzione

Una volta noto l’andamento del prezzo del bene P in funzione della quantità prodotta (Xi):

P = Pmax – (b) . (Xi)

in cui

Pmax = prezzo massimo alla distanza zero dalla produzione ed a produzione minima

b = coefficiente di elasticità del prezzo al variare delle quantità prodotte

è possibile determinare la “domanda spaziale individuale” (fig. 2)

Essendo P = Pf + Pt (fig. 2a) ovvero P = Pmax – b . (Xi) (fig. 2b)

si può scrivere

Pf + Pt = Pmax – b . (Xi)

da cui si ricava (fig. 2c) (b) . (Xi) = Pmax - PfPt

Xi =

Xi

 
Fig. 2 – Costruzione della curva di domanda spaziale individuale

Se si suppone una densità uniforme uguale a (d) consumatori per ogni unità di distanza, la domanda complessiva risulta data da:

a – caso del mercato lineare, dall’area sottostante la curva di domanda spaziale individuale (area ABO della fig.3a), moltiplicata la densità (d)

Fig.3a - Costruzione della domanda di mercato spaziale – Mercato lineare

b – caso di mercato circolare, dal volume del cono ottenuto facendo idealmente ruotare di 360° il triangolo formato dalla curva di domanda individuale AOB (fig.2a) attorno all’asse verticale (fig.3b), anch’esso moltiplicato per la densità (d)

Fig. 3b - Costruzione della domanda di mercato spaziale – Mercato circolare

La fig. 2b rappresenta anche il cono di domanda di Lösch la cui forma e dimensione dipendono, data la struttura della domanda dei consumatori, dal costo di trasporto e dal prezzo franco fabbrica del prodotto.

L’EQUILIBRIO DI MERCATO E LA LOCALIZZAZIONE DELL’IMPRESA

La fig. 4a rappresenta la curva di offerta, ossia l’andamento del costo medio (c) che una impresa incontra per realizzare una determinata merce, in funzione delle quantità prodotte (X)

Fig. 4a

Si nota dalla figura che l’impresa, al di sotto di una dimensione minima di scala (Xo) non ha più alcuna convenienza a produrre poichè i costi diverrebbero proibitivi.

La fig. 4b rappresenta invece la curva di domanda complessiva, ovvero l’andamento dei prezzi al variare della quantità.

Fig. 4b

Sovrapponendo le due curve e ricavando da esse le curve dell’offerta marginale e della domanda marginale, l’impresa, al fine di massimizzazione il profitto, definisce la quantità ottimale da produrre ed il relativo prezzo (Fig.4c)

Fig.4c

Sotto l’aspetto spaziale, il prezzo del prodotto così definito determina un’area di mercato dell’impresa ed una sua localizzazione tale da non sovrapporsi, nel breve periodo,  a quella di altre imprese (fig. 5a).

Fig. 5 - Equilibrio economico spaziale dell’impresa nel breve periodo

In questa situazione, di non equilibrio, l’esistenza di aree di domanda non servita e di margini di sovraprofitto attirerà nuove imprese del settore. Si determinerà così una sovrapposizione delle rispettive aree di mercato e, di conseguenza, una diminuzione della domanda di queste ultime ed un aumento dei loro costi.

Il margine di extra profitto precedente si ridurrà a zero e le aree di mercato tenderanno ad avvicinarsi alla forma di esagoni regolari (fig.5b). Si ricorda che l’esagono regolare è il poligono a maggior numero di lati fra quelli che esauriscono la superficie del territorio e pertanto rappresenta il più efficiente modo di ripartizione della superficie stessa del territorio.

Questa situazione rappresenta una condizione di equilibrio di lungo periodo.

Fig. 5b - Equilibrio economico spaziale dell’impresa nel lungo periodo

LE ECONOMIE DI LOCALIZZAZIONE E DI URBANIZZAZIONE

Le imprese

Mentre nelle imprese le economie interne di scala favoriscono la crescita dimensionale dei volumi prodotti nello stesso luogo, quelle esterne favoriscono invece la concentrazione nello stesso territorio di imprese e attività diverse.

Per economie di localizzazione si intendono quelle economie connesse alla agglomerazione di attività simili che sono esterne alle singole imprese ma interne al settore industriale o all’industria.

Queste economie riguardano:

a – la possibilità del costituirsi di processi di specializzazione fra imprese all’interno del ciclo produttivo settoriale complessivo,

b – la riduzione dei costi di transazione all’interno dell’area e fra le diverse unità produttive,

c – la formazione di un bacino di manodopera specializzata,

d – la formazione di una serie di servizi,

e – la creazione di una cultura industriale diffusa.

Il modello elaborato da A. Weber prevede il formarsi di una localizzazione agglomerata delle unità produttive ogni volta che i vantaggi da essa derivanti ed i risparmi sul costo del lavoro, dovuti alla maggiore professionalità dei lavoratori o alla maggiore disponibilità di mano d’opera, superino i maggiori costi di trasporto connessi alla localizzazione effettiva rispetto ad una astratta localizzazione basata sulla minimizzazione dei costi di trasporto.

Questo modello non è esente da forti critiche connesse al fatto che:

·        esso è un modello statico, che ignora le dinamiche connesse ai processi evolutivi;

·        risponde ad un approccio di equilibrio parziale, in cui non esiste interazione nei comportamenti d’impresa;

·        rispecchia le caratteristiche essenziali di processi di industrializzazione e urbanizzazione del secolo scorso.

Per economie di urbanizzazione si intendono quelle economie connesse alla presenza nell’ambiente urbano di tutte le attività economiche e non solo di singoli settori produttivi.

Queste economie nascono a seguito:

·        della concentrazione nella città dell’intervento pubblico sia sul versante dei consumi che degli investimenti connessi alla infrastrutturazione del territorio (sistemi di trasporto per merci e persone, sistemi di comunicazione e informazione , ecc.);

·        della natura di vasto mercato della città;

·        dal fatto che la città è incubatrice di fattori produttivi e di mercato degli input di produzione (lavoro altamente qualificato e ampio, offerta di capacità direttive e manageriale, servizi alle imprese, servizi commerciali e finanziari, ecc. ).

Le famiglie

Relativamente alle famiglie, i fattori che spingono all’agglomerazione sono:

·        i vantaggi connessi alla presenza di servizi pubblici ( ospedali, scuole, biblioteche, sistemi di trasporto, infrastrutture per il tempo libero, ecc.);

·        i vantaggi derivanti dalla presenza di servizi privati alla persona, di organizzazioni culturali, ecc.

·        i vantaggi connessi alla varietà di opzioni possibili per quanto riguarda il lavoro, la residenza, la gestione del tempo libero, gli acquisti, ecc.

ESISTE UNA DIMENSIONE OTTIMA DI CITTA’ ?

Tra gli studiosi esiste un generale consenso attorno al fatto che tutti i fattori finora citati smettono di operare quando si superi una certa dimensione urbana.

Le economie si trasformano infatti nel loro contrario, ossia in diseconomie.

Ad esempio superata una certa soglia di utilizzo delle infrastrutture, il traffico urbano porta alla congestione o ad una crescita dell’inquinamento.

I tentativi di individuare tramite curve rappresentanti i costi ed i benefici, le dimensioni critiche della città, si sono rivelati inapplicabili e rappresentano per lo più delle formalizzazioni concettuali.

Oggi si propende, più che sull’individuazione di una dimensione ottimale di città, sull’individuazione di un intervallo di dimensioni efficienti.

Oltre alle analisi di equilibrio parziale che prendono in considerazione i costi e benefici della dimensione urbana, esistono anche altri approcci che si fondano su modelli di dominazione e di rapporti monopolistici.

NOTE



[1] Roberto Camagni, Principi di economia urbana e territoriale, Carocci editore.