TRASFORMAZIONI DELLA LEGISLAZIONE URBANISTICA

Estratto da “Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali”

Assessorato allo Sviluppo del territorio, Comune di Milano

Ricostruire la Grande Milano

Sommario

Il capitolo richiama molto brevemente le trasformazioni della legislazione urbanistica italiana per sottolineare come i provvedimenti più recenti abbiano segnato un significativo mutamento rivolto a facilitare i processi di variante del piano regolatore generale, ad introdurre un ruolo cooperativo degli altri attori con l’amministrazione comunale, nonché a sviluppare forme consensuali di decisione. Le stesse tendenze sono rintracciabili nella legislazione regionale in particolare nell’ultima legge 9/99 sulla ‘Disciplina dei Programmi Integrati di Intervento, che introduce un cambiamento notevole nelle procedure amministrative dell’urbanistica e costituisce un riferimento di rilievo per le nuove procedure descritte in questo Documento.

Il piano regolatore nella legislazione unitaria

La legislazione urbanistica vigente si è formata attraverso una serie di fasi, talvolta radicalmente differenziate e comunque influenzate dai mutamenti sociali ed economici che hanno caratterizzato il nostro paese dalla formazione dello Stato unitario ad oggi. La prima normativa, che almeno in parte è possibile definire urbanistica è rappresentata, com’è noto, dalla legge 25 giugno 1865, n. 2859, la prima ad introdurre l’istituto dei piani urbanistici, piani regolatori e piani di ampliamento, finalizzati i primi alla disciplina della riorganizzazione dell’abitato, i secondi a regolare l’espansione del centro abitato. La prima disciplina generale ed organica è rappresentata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. La legge ha introdotto gli strumenti urbanistici che hanno permesso lo sviluppo dell’urbanistica italiana e ancora permettono il funzionamento del sistema di pianificazione territoriale. In particolare, la legge ha assegnato al piano regolatore generale il ruolo fondamentale di guida dello sviluppo del territorio ponendo decisamente sotto il controllo pubblico l’espansione dell’attività edilizia. Il legislatore decise di potenziare l’intervento pubblico nello sviluppo dell’attività edilizia, centralizzando fortemente il controllo degli usi del suolo in un paese che attraversava una situazione di grave crisi, dal momento che la guerra aveva e avrebbe ulteriormente determinato distruzioni di infrastrutture indispensabili per la vita civile.

Tre fasi importanti. Prima fase: dalla ricostruzione alla legge 167

Nella lunga vicenda dell’urbanistica italiana, che si è svolta dal dopoguerra ad oggi, si possono individuare tre fasi particolarmente importanti. Nella prima fase — dal dopoguerra al 1962 — è il processo della ricostruzione a caratterizzare lo sviluppo della normativa urbanistica. Con i ‘piani di ricostruzione’ vengono approvate una serie di norme che riguardano l’edilizia e precisamente la ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra. La prima fase della produzione legislativa in campo urbanistico si chiude nel 1962 con la legge n. 167, poi modificata dalla legge 21 luglio 1965, n. 904, che ha regolato con la redazione di piani speciali, i piani di zona, l’acquisizione delle aree destinate all’edilizia economica e popolare. Con la legge 167 si chiude il primo significativo sviluppo legislativo ed il concetto di politica urbanistica è esteso anche al settore dell’edilizia economica e popolare.

Seconda fase: dalla legge ponte alla 865

La seconda fase ha inizio con l’approvazione della legge 6 agosto 1967 n. 765, la ‘legge ponte’, che estende il controllo urbanistico all’intero territorio comunale. Nel contempo la legge ponte ed il successivo decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, introducono l’obbligo di provvedere standard minimi di aree per servizi pubblici per le varie zone del territorio e l’obbligo di contribuzione, attraverso cessioni di aree o contribuzione in denaro, per i piani di lottizzazione. Le vicende che sono seguite riguardano aspetti particolari, anche se di rilevante importanza, della disciplina urbanistica. La legge 19 novembre 1968, n. 1187, introduce l’obbligo delle misure di salvaguardia per i piani particolareggiati, colmando il vuoto legislativo venutosi a creare in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 55, del 9 maggio 1968. La legge 22 ottobre 1971, n. 865, introduce l’indennizzo commisurato al valore agricolo del terreno nella espropriazione dei suoli di ogni genere, tentando in questo modo di contribuire alla soluzione del problema della casa e di agevolare la realizzazione delle opere pubbliche necessarie alla collettività. In ogni caso e trascurando altri interventi normativi parziali della legislazione urbanistica degli anni ‘60 e ‘70, ciò che rileva è l’incapacità dimostrata dal legislatore di attuare in quegli anni una riforma generale e la decisione di attuare riforme di settore o limitate a singole parti della legislazione urbanistica.

Terza fase: dalla legge 10 ai provvedimenti degli anni ‘80

 Verso la fine degli anni ‘70 si giunge alla terza fase con l’emanazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che introduce il principio generale dell’onerosità dell’atto autorizzativo e tenta inoltre, senza peraltro riuscirvi, di risolvere il problema dell’indennizzabilità dei vincoli di piano regolatore e di trasferire al potere pubblico il diritto di edificare. Successivamente, la legge 5 agosto 1978, n. 457, definisce le politiche di recupero o risanamento del patrimonio edilizio esistente introducendo oltre all’istituto dei piani di recupero anche le definizioni dei tipi di intervento su tale patrimonio e l’istituto dell’autorizzazione tacita. Gli ulteriori interventi che si sono susseguiti alla fine degli anni ‘80 si sono limitati ad incidere parzialmente sul sistema legislativo vigente agevolando in alcuni settori l’attività edilizia — ad esempio il decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, noto come Decreto Nicolazzi, e la legge 24 marzo 1989, n. 122, la cosiddetta legge Tognoli, in materia di parcheggi.

Un nuovo rapporto tra pubblico e privato

Gli anni ’80 si concludono senza che il legislatore nazionale sia riuscito a promulgare un sistema legislativo unitario che garantisca lo sviluppo del territorio nel modo più coerente possibile alle nuove esigenze sociali ed economiche che iniziano a sorgere nel nostro paese negli anni ‘90. In questi anni inizia ad affermarsi in particolare l’esigenza di instaurare un nuovo rapporto tra pubblico e privato nell’ambito degli strumenti di pianificazione del territorio, rapporto che superi le rigidità tipiche degli strumenti di pianificazione tradizionali allargando nel contempo gli spazi di intervento del privato in alcuni procedimenti finalizzati alla realizzazione di importanti interventi edilizi. Il legislatore nazionale negli anni ‘90 ha recepito con alcuni interventi normativi di settore le numerose sollecitazioni provenienti dalla dottrina in ordine ai limiti della pianificazione tradizionale, limiti che in questi anni emergono in modo significativo.

L’Accordo di Programma

Per queste ragioni, dopo che la legislazione precedente aveva introdotto strumenti che portavano a compimento il disegno del sistema di pianificazione, il legislatore ‘inventa’ altri strumenti che permettano non di dare attuazione alla pianificazione stessa, ma di discostarsene ‘in variante’ rispetto alle previsioni di piano. Il tutto avviene con il concorso di operatori pubblici e privati per i quali è stato previsto un obbligo di collaborazione per rispondere alle necessità di sviluppo delle città che la rigidità dei piani urbanistici tradizionali non poteva né prevedere, né tanto meno soddisfare. La legge 8 giugno 1990, n. 142, introduce all’articolo 27 l’istituto dell’Accordo di Programma il quale, com’è noto, può anche determinare la variante dello strumento urbanistico vigente. E pur essendo, secondo la legge 142, le sole parti pubbliche competenti a promuovere l’accordo di programma, nulla impedisce che — secondo l’orientamento della nota sentenza del Consiglio di Stato n. 182, del 7 febbraio 1996 — sia un soggetto privato interessato a presentare istanza per l’approvazione di un programma.

Il Programma Integrato di Intervento

 Ancora più innovativa è la legge 17 febbraio 1992, n. 179, che regola i Programmi Integrati di Intervento, proponibili da soggetti pubblici o privati relativamente a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana ed ambientale. Si tratta di uno strumento plurifunzionale caratterizzato dalla integrazione di diverse tipologie di opere (ivi comprese le opere di urbanizzazione) e dal possibile concorso di operatori pubblici e privati. Si trattava e si tratta di un programma estremamente ambizioso solo in parte mortificato dall’intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 393 del 19 ottobre 1992, ha eliminato la possibilità di determinare la modificazione di precedenti previsioni urbanistiche per invasione da parte dello Stato delle sfere di competenza riservate alle Regioni. La disciplina puntuale degli istituti richiamati spetta dunque ora alle Regioni. Più avanti si vedrà a tale proposito l’intervento recente della Regione Lombardia. Interessante per il momento è segnalare la definizione che di tali strumenti ha dato la legge regionale n. 18/96 della Regione Piemonte che, pur riconoscendo allo strumento la natura di piano attuativo, ne ha evidenziato «la natura complessa che assume in sé, integrando finalità e contenuti degli altri strumenti urbanistici esecutivi, dei piani urbanistici relativi ad aree per insediamenti produttivi, terziari, agricoli e di tutela ambientale, naturalistica e paesistica».

Il Programma di Recupero Urbano

Nel 1993 è stato approvato il decreto legge n. 398, convertito con modificazioni nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, che ha introdotto nel nostro ordinamento il Programma di Recupero Urbano. «I programmi di recupero urbano sono costituiti da un insieme sistematico di opere finalizzate alla realizzazione, alla manutenzione e all’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie, con particolare attenzione ai problemi di accessibilità degli impianti e dei servizi a rete, e delle urbanizzazioni secondarie, alla edificazione di completamento e di integrazione dei complessi urbanistici esistenti di arredo urbano, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, al restauro e al risanamento conservativo e alla ristrutturazione edilizia degli edifici… I programmi di recupero urbano da realizzare, sulla base di una proposta unitaria, con il concorso di risorse pubbliche e private, sono proposti al comune da soggetti pubblici e privati, anche associati tra di loro. Il Comune definisce la priorità di detti programmi sulla base di criteri oggettivi per l’individuazione degli interventi. … Ai fini dell’approvazione dei programmi di recupero, può essere promossa la conclusione di un accordo di programma ai sensi dell’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142».

I provvedimenti più recenti

Il decreto ministeriale 21 dicembre 1994 regola i Programmi di Riqualificazione Urbana, PRU. In questa sede interessa particolarmente rilevare che l’articolo 2 del decreto ministeriale indica tra i contenuti delle proposte unitarie di interventi «interventi di edilizia non residenziale che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita nell’ambito considerato»; l’articolo 5 prevede tra le tipologie di interventi attuativi dei PRU anche la «acquisizione di immobili da destinare ad urbanizzazioni primarie e secondarie o edilizia residenziale pubblica mediante cessione gratuita, cessione volontaria, espropriazione, permuta, ecc.»; l’articolo 6, comma 5, stabilisce che il comune promuove e valuta le proposte di soggetti interessati all’esecuzione del programma «con procedure autonomamente determinate (accordi diretti, invito pubblico, confronto concorrenziale, ecc)». Successivamente l’articolo 17 comma 59 della legge n. 127 del 15 maggio 1997 ha introdotto l’istituto dei cosiddetti Interventi di Trasformazione Urbana che devono essere effettuati su aree individuate da una apposita deliberazione del consiglio comunale e possono essere progettati e realizzati anche da SpA di scopo, costituite dalle città metropolitane o dai comuni con la possibile partecipazione della provincia e della regione territorialmente interessate. All’elenco si devono da ultimo aggiungere i Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio, PRUSST, istituiti dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 8 ottobre 1998.

Due caratteristiche comuni

Tutti i provvedimenti normativi riportati — con la sola eccezione degli Interventi di Trasformazione Urbana — sono caratterizzati dalla possibilità loro concessa di costituire variante al piano regolatore generale e di ammettere l’intervento anche propositivo del privato nella realizzazione di interventi riguardanti non solo le tradizionali opere pubbliche ma anche opere di interesse pubblico. In altre parole, i nuovi strumenti urbanistici rinnovano la tradizionale impostazione legislativa prevedendo una interessante integrazione tra funzioni pubbliche e private per la tutela e lo sviluppo dei reciproci interessi, non più considerati come tra loro confliggenti, e riducono la forza cogente del piano regolatore generale.

L’introduzione di modelli consensuali

Non a caso questi nuovi strumenti urbanistici, per la presenza di fasi di proposta, di accordo o di intesa tra amministrazioni pubbliche e privati, costituiscono veri e propri modelli consensuali di amministrazione e gestione del territorio. Il superamento degli strumenti di pianificazione urbanistica tradizionale, che i nuovi strumenti spesso comportano, non rappresenta il frutto di uno scontro tra opposti interessi, ma il comune riconoscimento della loro inadeguatezza ammessa anche dalle stesse amministrazioni locali che li avevano adottati. Le amministrazioni predispongono i nuovi strumenti di intervento, con la collaborazione, non solo finanziaria, dei soggetti privati per risolvere problemi che la pianificazione tradizionale non riesce affrontare. La portata innovativa dei nuovi istituti è già stata riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa. La sentenza n. 22, del 14 gennaio 1999, del TAR Emilia Romagna-Bologna, Sezione I, sottolinea, in particolare, ma non esclusivamente, l’aspetto della ‘integrazione funzionale’ tra le destinazioni urbanistiche sul territorio comunale proprio dei nuovi strumenti di programmazione. Il TAR si riferisce al Programma Integrato di Intervento di cui all’articolo 16 della legge 179/92 in materia di edilizia residenziale pubblica; al Programma di Riqualificazione Urbana di cui all’articolo 2 della stessa legge e al decreto ministeriale 21 dicembre 1994; al Programma di Recupero Urbano di cui alla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e al decreto ministeriale 1 dicembre 1994. «Invero — afferma il Collegio — questa nuova forma di programmi fa del concetto di integrazione tra diverse opere (residenziali e non residenziali) e tra diverse forme di finanziamento (pubblico e privato) il proprio fulcro metodologico e funzionale. Sotto questo profilo, essi costituiscono anche un primo tentativo di ricomposizione — mediante moduli consensuali — della tradizionale dicotomia ‘autorità-libertà’, che si manifesta nell’attività di governo del territorio posta in essere dalla Pubblica Amministrazione».

L’indebolimento del piano regolatore generale

La trasformazione normativa introdotta negli ultimi anni comporta da parte di ogni ente competente il riconoscimento che l’esercizio del potere di pianificazione del territorio non esclude, anzi implica il coinvolgimento diretto dei soggetti privati nella fase progettuale delle scelte di pianificazione, e non limita l’accordo con gli stessi alla sola fase esecutiva o attuativa. Negli ultimi anni sono state anche le profonde trasformazioni dell’economia a indurre e sviluppare dei modelli di pianificazione ‘contrattata’ che ha assunto forme e contenuti diversi, definiti dai diversi istituti previsti dall’articolo 2 della legge 662/96 (programmazione negoziata, intesa istituzionale, accordo di programma quadro, patto territoriale, contratto di programma e contratto di area). Si tratta di istituti di prevalente contenuto economico a cui però non è possibile negare una valenza urbanistica, in quanto anche in questo caso si giunge ad attribuire all’accordo valore di variante del piano regolatore generale. Tutti gli strumenti di pianificazione sin qui citati contribuiscono a modificare la zonizzazione del piano regolatore generale. La zonizzazione viene meno dato che la localizzazione dei provvedimenti di programmazione integrata non incontra alcuna limitazione, né è soggetta ad alcuna preventiva perimetrazione — vedi, ad esempio, a proposito di perimetrazione la distinzione tra Piano di Recupero e Piano Integrato di Intervento nella sentenza del TAR del Lazio, Sezione I, n. 1000, 11 marzo 1998. Al di là delle affermazioni contenute nei singoli provvedimenti, i nuovi istituti introdotti dal legislatore negli anni ‘90 costituiscono veri e propri strumenti di pianificazione finalizzati ad agevolare la trasformazione e la riconversione di ampie zone del territorio prescindendo dalle regole stabilite per tali zone dal piano regolatore generale. E questo nuovo assetto urbanistico non scaturisce da un atto autoritativo, ma da un accordo con i privati che confluisce nell’accordo di programma e costituisce lo strumento fondamentale per la realizzazione dell’intervento di trasformazione urbana.

La legislazione regionale lombarda

L’articolo 117 della Costituzione assegna alle regioni la competenza legislativa in materia urbanistica, di viabilità, di polizia locale urbana e rurale. Il decreto delegato 15 gennaio 1972, n. 8, ha deferito alle regioni tutti i poteri dell’amministrazione dello Stato dando così effettiva attuazione al decentramento regionale. Successivamente alla nascita delle regioni sono stati numerosi i contrasti tra Stato e regioni in ordine ai limiti dei rispettivi poteri in materia urbanistica. Ancora numerosi sono stati i problemi sorti dalla coesistenza di leggi statali con leggi regionali e dalla emanazione da parte dello Stato di leggi che, pur definite come ‘leggi-quadro’, hanno regolato in modo così dettagliato aspetti normativi da rendere superfluo l’intervento delle regioni. Inevitabili e di rilevante importanza sono stati dunque gli interventi della Corte Costituzionale tra cui quello con il quale è stata dichiarata l’incostituzionalità di gran parte dell’articolo 16 della legge 179/92. E’ sufficiente, in questa sede, ricordare che la regione Lombardia a metà degli anni ‘70 aveva già individuato con la legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, i livelli di pianificazione del territorio e delineato la sua politica generale di pianificazione territoriale. Sono seguite, negli anni successivi, una serie di leggi regionali che hanno attuato alcune fondamentali leggi nazionali. La legge regionale 5 dicembre 1977 n. 60 ha dato attuazione sul territorio regionale alla legge 10/77. La legge regionale 12 settembre 1983, n. 70, ha regolato la realizzazione delle opere pubbliche di interesse regionale. Le leggi regionali 12 marzo 1984, n. 14 e 15, hanno regolato, rispettivamente, l’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi e l’attuazione della normativa nazionale in ordine all’approvazione dei Programmi Pluriennali di Attuazione. Negli anni ‘80 in analogia con quanto accaduto a livello nazionale sono state approvate numerose leggi per regolare alcuni settori specifici dello sviluppo del territorio, ad esempio la legge regionale 20 febbraio 1989 sull’eliminazione delle barriere architettoniche; la legge regionale 9 maggio 1992, n. 19, riguardante le disposizioni di attuazione degli articoli 7, 8, e 25 della legge 47/85. Gli anni ‘80 in Lombardia sono stati inoltre caratterizzati dall’emanazione della legge 22/86 e dalla legge 23/90, relativa ai Programmi Integrati di Recupero, che anticipava, a livello locale, i temi della legislazione nazionale sviluppati negli anni ‘90 con l’approvazione delle citate leggi 179/92 e 493/93. In particolare, venivano affrontati con questa legge, pur con inevitabili limiti, i temi del recupero delle zone degradate attraverso interventi integrati e coordinati che potevano costituire variante al piano regolatore generale senza seguire le procedure ordinarie. Temi che, come si è detto, sono diventati poi caratteristici della legislazione speciale nazionale degli anni ‘90.

Verso la semplificazione delle procedure

La prima parte di quegli stessi anni è stata caratterizzata in Lombardia dall’approvazione della legge regionale 15 maggio 1993, n. 14, che disciplina sul territorio regionale la procedura degli accordi di programma. Più di recente la regione Lombardia ha promulgato una serie di leggi finalizzate ad introdurre nel sistema normativo regionale alcune semplificazioni rivolte ad accelerare, per quanto possibile, specifiche procedure urbanistiche. Ci si riferisce, in primo luogo, alla legge 9 giugno 1997, n. 18, che, oltre a dare un nuovo ordine alle competenze in materia ambientale, semplifica le procedure per il rilascio delle autorizzazioni paesistiche conferendo, tra l’altro, agli enti locali ampie competenze in materia ambientale. Una considerazione particolare merita la legge 23 giugno 1997, n. 23, riguardante l’accelerazione dei procedimenti di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e la disciplina del regolamento edilizio. La novità introdotta dalla legge riguarda una serie di casi in cui la variante al piano regolatore generale può avvenire con una procedura semplificata il cui iter si svolge esclusivamente nell’ambito comunale senza alcuna ulteriore fase di approvazione da parte della regione. Con questa normativa la regione ha tentato di affrontare uno dei noti problemi della pianificazione del territorio: la lentezza del procedimento è tale da impedire un efficace rapporto con le dinamiche territoriali, e le varianti degli strumenti di pianificazione richiedono tempi così lunghi da penalizzare le proposte di trasformazione meritevoli di attuazione.

La legge regionale della Lombardia 9/99

E’ comunque evidente che la legge regionale 23/97, pur contribuendo in modo significativo ad una semplificazione delle procedure, non ha risolto il problema della natura attuale dei piani regolatori che definiscono in modo specifico ogni uso del suolo, e pertanto impediscono di tener conto delle nuove esigenze che possono emergere nel tempo. Solo la completa attuazione dell’articolo 16 della legge 179/92 poteva introdurre dei nuovi strumenti in grado di superare, pur nei limiti del concetto di riqualificazione urbanistica, la tradizionale rigidità del piano regolatore generale, prevedendone anche l’attuazione in variante attraverso forme di ‘contrattazione partecipata’. Ciò è avvenuto con la recente approvazione della legge 12 aprile 1999, n. 9, che disciplina i nuovi strumenti di programmazione territoriale — come li ha definiti la sentenza della Corte Costituzionale 393/92 — che sono i Programmi Integrati di Intervento. Sin da una prima lettura ciò che caratterizza la legge 9/99 sono i criteri di estrema flessibilità introdotti dal legislatore per la proposizione di un Programma Integrato di Intervento. L’articolo 3 stabilisce infatti che il Programma può essere attuato su aree anche non contigue fra loro, in tutto o in parte edificate o da destinare a nuova edificazione, ivi comprese quelle intercluse o interessate da vincoli espropriativi decaduti. Le proposte di programmazione integrata, articolo 7, possono essere presentate da soggetti pubblici o privati singolarmente o riuniti in consorzio o associati tra loro. Il Programma può comportare anche variante al piano regolatore generale, in tal caso il sindaco potrà promuovere per la sua approvazione la procedura di Accordo di Programma ai sensi dell’articolo 27 della legge 142/90. I privati, in luogo della cessione di aree, possono impegnarsi a realizzare direttamente «infrastrutture o servizi di interesse generale anche a gestione convenzionata il cui valore accertato con specifico computo metrico estimativo sia almeno pari a quello delle aree che avrebbero dovuto essere cedute» (articolo 6, comma 5). Si tratta di principi innovativi che introducono nell’ordinamento regionale lombardo, seppure limitatamente alle procedure di programmazione integrata, valori di flessibilità e compartecipazione di particolare interesse.

Flessibilità e interesse generale

Il ruolo propositivo assegnato al privato, la duttilità di funzioni ammesse e la possibilità di utilizzare risorse private per interventi di interesse pubblico consentiranno alle amministrazioni comunali di indirizzare alcune scelte strategiche di sviluppo territoriale prescindendo dalle prescrizioni di piano regolatore che in alcuni casi si sono rivelate inidonee a recepire le istanze di cambiamento e di sviluppo urbanistico provenienti dalla società. Gli elementi innovativi e di flessibilità introdotti dalla legge regionale 9/99 non possono peraltro comportare l’obbligo del comune di accogliere qualsiasi proposta di trasformazione, pubblica o privata. Se così fosse verrebbe a mancare il necessario controllo delle trasformazioni territoriali da parte dell’amministrazione, e con esso il suo ruolo di garante dell’interesse generale e della imparzialità delle scelte che deve comunque essere salvaguardato e, per quanto possibile, sviluppato.

Documento di Inquadramento

 A tal fine la legge regionale 9/99 ha introdotto all’articolo 5 l’istituto del Documento di Inquadramento, stabilendo al primo comma che «il consiglio comunale delibera, anche contestualmente all’adozione ai sensi della presente legge del primo programma integrato di intervento, un Documento di Inquadramento, allo scopo di definire gli obiettivi generali e gli indirizzi della propria azione amministrativa nell’ambito della programmazione integrata di intervento sull’intero territorio comunale». Alla luce di tale previsione resta salvo quindi, anche nell’ambito della pianificazione integrata, il potere/dovere del comune di non accedere a qualsiasi richiesta di trasformazione salvaguardando, nel contempo, il principio di imparzialità e certezza dei diritti che deve guidare l’attività della pubblica amministrazione. Il Documento di Inquadramento, nel delineare gli obbiettivi ed indirizzi del comune deve rendere esplicite le scelte strategiche fondamentali del governo locale che in quanto tali non saranno negoziabili. Il valore della certezza dell’imparzialità dell’azione amministrativa viene quindi garantito da un documento di carattere strategico che chiarirà i criteri e le scelte di sviluppo territoriale decise dal consiglio comunale. Anche con riferimento al Documento di Inquadramento, il legislatore regionale ha introdotto degli ulteriori criteri di flessibilità; infatti, il comma 3 dell’articolo 5 impone all’amministrazione l’obbligo di verifica e di eventuali integrazioni del documento «contestualmente all’approvazione dei successivi programmi di intervento da parte del consiglio comunale». E ancora il comma 2 del medesimo articolo chiarisce espressamente che «il Documento di Inquadramento non è comunque vincolante ai fini dell’approvazione dei singoli programmi di intervento». Il che comporta la possibilità che l’amministrazione comunale prenda in considerazione e eventualmente approvi con una motivazione particolarmente approfondita proposte di programmazione integrata che modificano gli obiettivi strategici di sviluppo del territorio e/o i modi per perseguirli, a suo tempo stabiliti dal consiglio comunale. L’articolo 8, comma 6, della legge 9/99 stabilisce, infatti, che «Qualora il programma integrato di intervento concerna iniziative non conformi ai criteri ed indirizzi contenuti nel Documento di Inquadramento di cui all’articolo 5, la delibera di approvazione deve espressamente motivarne le ragioni». Ci troviamo di fronte ad uno schema normativo e procedimentale che garantisce all’amministrazione il potere di guidare, mediante l’indicazione di obbiettivi certi, le trasformazioni più rilevanti del proprio territorio, concedendo nel contempo alla stessa amministrazione margini di ampia flessibilità per poter sempre valutare le proposte di trasformazione del territorio presentate da un soggetto privato o pubblico, valutandone comunque l’utilità e la convenienza per lo sviluppo nella prospettiva dell’interesse generale. Viene così definitivamente riconosciuto nell’ambito di un’attività di programmazione del territorio, che indubbiamente presenta connotati di interesse pubblico, il valore della cooperazione tra pubblico e privato, e viene consentito il superamento della tradizionale rigidità delle previsioni urbanistiche e del ruolo di soggetti formalmente passivi assegnato agli operatori dalle procedure tradizionali. Il principio irrinunciabile della certezza degli obbiettivi strategici dell’amministrazione dovrà essere garantito da un corretto utilizzo dell’istituto del Documento di Inquadramento che, senza riproporre gli schemi tradizionali della pianificazione urbanistica, dovrà dare la possibilità a tutti i cittadini di comprendere gli indirizzi e gli obbiettivi che le proposte di intervento presentate dai soggetti, pubblici e privati, dovranno perseguire.