PIANO REGOLATORE E PIANI DI STRUTTURA
DUE MODELLI A CONFRONTO

Estratto da  Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali

Assessorato allo Sviluppo del territorio, Comune di Milano

Ricostruire la Grande Milano

Sommario

La coppia certezza/flessibilità assume caratteri molto diversi nelle due tradizioni urbanistiche europee, quella continentale e quella britannica. Il confronto tra piano regolatore e piano di struttura permette di capire come il prezzo della flessibilità sia la discrezionalità amministrativa, e come la flessibilità incida sul rapporto tra piano e progetti. Nel rapporto tra piano e progetti al controllo di conformità tipico del modello continentale si sostituisce il controllo di prestazione tipico del modello britannico, dove le norme sono, almeno in parte, il frutto di un rapporto negoziale tra l’amministrazione e l’investitore. Malgrado la profonda diversità dei due modelli — dovuta soprattutto al fatto che nella tradizione britannica i diritti di trasformazione urbana sono dello Stato — si manifesta sempre più una loro convergenza, ed è a questa convergenza che fanno riferimento le procedure descritte nel capitolo.

Due tradizioni urbanistiche

Nei paesi dell’Unione Europea si sono confrontate negli ultimi quarant’anni due tradizioni urbanistiche principali, quella britannica e quella continentale. La tradizione britannica è caratterizzata da una particolare flessibilità del sistema di pianificazione e da una debole certezza dei diritti, la tradizione continentale dalla certezza dei diritti e dalla rigidità di sistema. Nei sistemi rigidi la certezza dei diritti è affidata alle norme urbanistiche che tanta parte hanno nella tradizione continentale del piano, mentre la flessibilità britannica è il frutto della discrezionalità, caratteristica di quella tradizione amministrativa, e nello specifico dell’urbanistica fondata sul fatto che i diritti d’uso del suolo sono di proprietà dello stato. L’esperienza delle due tradizioni mostra come sia impossibile separare flessibilità e discrezionalità, certezza e norme, e come sia impossibile perseguire contemporaneamente una forte flessibilità di sistema e una forte certezza dei diritti. La tradizione che si è sviluppata in Italia a procedere dalla legge urbanistica del 1942 appartiene a pieno titolo alla tradizione continentale. Rispetto ad altri paesi europei la rigidità del sistema italiano si è accentuata nel tempo grazie ad una legislazione nazionale e regionale che ha precisato con molto dettaglio alcune politiche urbanistiche — densità, standard urbanistici, zone per l’edilizia economica e popolare, ecc. — e ha moltiplicato gli strumenti di pianificazione producendo un progressivo intreccio di provvedimenti normativi che non ha facilitato l’amministrazione dell’urbanistica, perché ha aumentato la rigidità anche a scapito della certezza.

Piano e progetti

Nel modello storico continentale e britannico la relazione tra piano urbanistico e progetti urbani ed edilizi prevede che i progetti debbano essere conformi al piano: debbano, in altre parole, rispettare e sviluppare le norme di insieme che il piano ha fissato, e debbano tradurre le certezze ipotetiche in realtà, in modo da confermare le certezze dei diritti che il piano ha definito. Le carte e le norme di attuazione del piano indicano quali usi sono legittimi nell’area oggetto di progettazione e in quali tipi di edifici devono essere ospitati; quale deve essere la loro conformazione volumetrica, quali i rapporti tra spazi aperti e coperti, pubblici e privati, e così via. Le norme possono essere norme generali che il progetto deve interpretare e sviluppare o norme dettagliate che danno ai progettisti indicazioni molto vincolanti. In generale le norme definiscono soprattutto le caratteristiche quantitative del progetto, ma in alcuni casi le norme del piano possono riguardare anche aspetti qualitativi e imporre delle soluzioni progettuali che sono ritenute più adatte di altre agli interessi dell’amministrazione pubblica, o a quel sito specifico, o più rispondenti alle preferenze sociologiche ed estetiche di chi ha redatto il piano. In breve, nel contesto della relazione tradizionale tra piano e progetti, i progetti sono considerati degli strumenti di attuazione del piano e, in quanto tali, devono essere conformi al piano, cioè devono applicarne le norme. Un buon progetto costituisce sempre una verifica ed un approfondimento delle norme del piano. In molti casi la verifica è positiva, e l’approfondimento costituisce un’articolazione e un affinamento delle norme urbanistiche; in questi casi il progetto può essere approvato senza complicazioni. La relazione tra piano e progetto si complica quando il progetto si trova in conflitto parziale o totale con le norme del piano. Il conflitto può essere determinato da mutamenti che hanno modificato la situazione progettuale dopo l’approvazione delle norme — il piano può non aver previsto i mutamenti perché non aveva sviluppato analisi abbastanza dettagliate che solo un progetto sviluppa, o semplicemente perché era difficile prevederli — oppure da intenzioni di investimento diverse da quelle consentite dalle certezze ipotetiche. In ogni caso nella relazione tradizionale l’approvazione di un progetto è condizionata all’azione di controllo, svolta dalla pubblica amministrazione, che verifica la conformità del progetto alle norme del piano.

Il modello del piano di struttura progetti e norme

Verso la fine degli anni sessanta, per motivi che sarebbe lungo richiamare, il modello storico di piano urbanistico subisce in Inghilterra una radicale mutazione[1]: viene introdotta una distinzione tra piani strutturali o strategici e piani operativi o tattici. I piani strategici vengono definiti come degli schemi diagrammatici che indicano le linee di principali di trasformazione e, in quanto tali, non hanno uno specifico carattere prescrittivo, non sono leggi e non costituiscono delle norme rigide, ma delle direttive, anche se sono soggetti all’approvazione formale dei governi locali e del governo centrale. Le indicazioni programmatiche e le linee guida prodotte dai nuovi piani strategici vengono tradotte in piani operativi, action plans[2], solo quando sono disponibili le risorse politiche e finanziarie per passare all’azione. In questo modo le norme che governano i progetti vengono approvate insieme ai progetti stessi e non sono più anticipate dal piano, e si evita la produzione di una progettazione anticipata rispetto alle intenzioni di investimento. Uno degli obiettivi del piano di struttura è proprio quello di liberare l’azione pubblica e privata dal peso delle certezze ipotetiche prodotte dal modello storico di piano. La riforma non cancella programmi e disegni del futuro, ma li priva del valore di legge e, pertanto, della capacità di imporre giuridicamente specifiche scelte urbanistiche. Il risultato della riforma è stata la graduale trasformazione di tutti i tipi di piano, quale che fosse il loro nome e la loro funzione[3], in piani indicativi. Proprio perché ‘indicativi’, per essere tradotti in scelte operative questi piani richiedono un’interpretazione che è svolta discrezionalmente dai funzionari e dai rappresentanti eletti dell’amministrazione pubblica. La capacità discrezionale dell’amministrazione introduce a sua volta la possibilità di negoziare le scelte di pianificazione, ovvero di contrattare l’attuazione del piano configurando delle norme ispirate dal piano ma definite in funzione degli obiettivi specifici perseguiti dall’azione pubblica nell’ambito del negoziato. Lo sviluppo del nuovo stile di pianificazione britannico è stato giuridicamente possibile in quanto sin dal 1947 l’assegnazione dei diritti d’uso dei suoli è un diritto dello Stato e non un diritto connaturato con la proprietà del suolo[4]. Pertanto lo Stato — e con esso i governi locali — non hanno alcuna necessità di garantire con norme specifiche l’uso futuro dei suoli, ma possono deciderne gli usi discrezionalmente, quando e come lo ritengono opportuno, con riferimento alle linee guida predisposte dai piani di struttura (o piani strategici) e in attuazione dei programmi politici delle amministrazioni interessate. Il modello britannico della pianificazione di struttura definisce una nuova forma di controllo e di relazione tra piano e progetti che corrispondono anche ad uno stile di governo e di azione amministrativa in cui prevale un carattere negoziale assente o solo parzialmente presente nei paesi dell’Europa continentale.

Controllo di conformità

Secondo il modello tipico dell’Europa continentale, la pianificazione e il controllo degli usi del suolo sono governati da una razionalità giuridico tecnica che si applica alla sostanza e alla lettera delle norme: il progetto di trasformazione urbana deve rispettare entrambe in quanto sono esse che definiscono e garantiscono i diritti di ciascuno. Il controllo dei progetti è sviluppato come controllo di conformità formale, prima e più che di conformità sostanziale. La conformità formale del progetto alla norma è più importante della prestazione sostanziale che il progetto promette. Il rilievo assunto dal tema della certezza dei diritti e il conseguente peso del controllo di conformità formale, fanno sì che nel modello storico del piano le valenze strategiche, anche se presenti, finiscano con l’avere al momento delle scelte minor rilievo dei diritti individuali riconosciuti e prospettati, o in certi casi finiscano con l’essere del tutto trascurate[5]. In linea di principio, anche per il piano di struttura britannico i progetti di intervento devono essere coerenti con le indicazioni di piano, ma la coerenza è valutata più in termini di prestazione sostanziale che di conformità formale. Il controllo è governato da una razionalità negoziale che interpreta le indicazioni del piano e definisce la sua applicazione nell’interesse di entrambi i contraenti, l’amministrazione che controlla e l’investitore che presenta il progetto. La conformità del progetto al piano è definita in modo flessibile tenendo conto degli esiti della trattativa svolta dall’amministrazione. Una prestazione vantaggiosa garantita dall’accordo conta più della conformità al piano. Pertanto, in questo modello le strategie e le indicazioni espresse dal piano di struttura sono le linee guida dell’amministrazione, ma le stesse strategie possono esser molto indebolite o anche contraddette dalla discrezionalità dell’azione amministrativa. Non è insolito che, durante il negoziato che precede l’approvazione del progetto, le linee guida possano scadere in risorsa da utilizzare nello scambio politico ed economico. Inoltre, il comportamento negoziale può indurre l’amministrazione a privilegiare la valutazione dei vantaggi specifici e immediati che può ottenere da una trattativa, rispetto ad una valutazione ispirata da un interesse generale non sempre univocamente definibile[6].

Due modelli a confronto

Il modello italiano — e, in generale, il modello continentale — è proprio degli stili amministrativi legati alla tradizione giuridica del diritto romano e inclini a considerare la coppia formata dai concetti legge e contratto come una coppia dicotomica, ovvero di opposti inconciliabili. Il modello britannico è proprio degli stili amministrativi legati alla tradizione giuridica anglosassone e inclini a considerare la coppia legge e contratto come un continuum in cui i due concetti, legge e contratto, tendono a sfumare l’uno nell’altro e sono riconoscibili nella loro individualità solo agli estremi del continuum. Il modello continentale con la sua rigidità offre la certezza dei diritti, ma non offre flessibilità; il modello britannico con la sua flessibilità facilita lo sviluppo del processo decisionale e l’attuazione del piano, ma a causa della sua discrezionalità non dà certezze dei diritti. Poiché le norme, e quindi i diritti, vengono decise insieme al progetto, non c’è certezza dei diritti sino a quando il progetto non è stato negoziato con successo. In conclusione, nel modello italiano i vantaggi della certezza dei diritti vengono pagati con la sostanziale mancanza di flessibilità del sistema; nel modello britannico la flessibilità di sistema è pagata con la mancanza della certezza dei diritti. I due modelli sono molto diversi, e in qualche misura simmetrici: capovolgono il dilemma tra regolazione e discrezionalità, certezza e flessibilità, senza risolverlo entrambi in modo soddisfacente.

Convergenza dei due modelli

Anche se quasi contrapposti, i due modelli tendono ad avvicinarsi nelle pratiche amministrative, poiché, se da un lato gli operatori italiani cercano di rendere più flessibile un sistema di per sé rigido, gli operatori britannici cercano di trovare maggior certezza in un sistema discrezionale e flessibile. Inoltre, in entrambi i modelli gli attori ricorrono a forme di negoziazione e contrattazione nei processi di attuazione del piano. Il modello italiano nelle pratiche è anch’esso un modello negoziale, solo che la negoziazione deve essere mascherata in modo che i suoi esiti possano essere ricondotti nell’ambito della norma, oppure diventino espliciti e pubblici una volta che la norma è stata variata per farla aderire ai risultati del negoziato. Uno scambio politico ed economico avviene in entrambi i modelli, solo che nel modello britannico è uno scambio legittimato dalla procedura e dalla discrezionalità del potere amministrativo, mentre nel modello italiano costituisce una fisiologia informale e talora illegale che può indurre, come spesso è successo, fenomeni anche endemici di corruzione. Simmetricamente il modello britannico non riesce ad essere così aperto e flessibile come pretende. Se da un lato l’amministrazione non ha mai rinunciato al suo ampio potere discrezionale, dall’altro, per procedere nel processo decisionale ed impedire che diventi un continuo e defatigante negoziato, vengono escogitate pratiche e norme non scritte che aiutano l’amministrazione a prendere decisioni coerenti. In entrambi i modelli si sente la necessità di migliorare la trasparenza delle procedure come difesa sia da eccessi di discrezionalità, sia da interpretazioni troppo rigide delle norme. Le informazioni che riguardano le decisioni dovrebbero essere accessibili a tutti, e le scelte giustificate in modo esplicito in modo da dare a tutti, non solo alle parti coinvolte, gli strumenti per discuterle. In conclusione, dalla considerazione dei due modelli emerge che nessun modello può offrire certezze assolute, nessun piano può determinare completamente il futuro. Pertanto l’obiettivo di un migliorato quadro normativo dovrebbe essere quello di definire i limiti dell’incertezza. Nella pianificazione e nel controllo degli usi del suolo, incertezza non è un termine univoco, si possono incontrare diverse forme di incertezza; come al solito dipende da come costruiamo il problema. In primo luogo, l’incertezza dipende da come sono definiti valori e diritti, valori conflittuali e diritti non chiari sono sempre fonti di incertezza. In secondo luogo, l’incertezza dipende da ciò che ci si aspetta che la pianificazione possa offrire alla comunità e, in particolare, agli attori coinvolti nei processi di trasformazione urbana.

Un modello certo e flessibile

Come s’è detto, la discrezionalità del modello britannico è basata sul fatto che i diritti di trasformazione degli usi del suolo sono di proprietà dello stato e ciò garantisce al modello la sua flessibilità; al contrario, la mancanza di discrezionalità che caratterizza il modello italiano e continentale è dovuta alla necessità di rispettare i diritti soggettivi di trasformazione degli usi del suolo e ciò determina le certezze formali offerte dal modello. Malgrado all’origine i due modelli abbiano un carattere mutuamente esclusivo e simmetrico, è possibile far convergere parte delle loro qualità in un terzo modello caratterizzato da un relativo indebolimento dei caratteri di entrambi, ovvero un modello di tipo italiano che acquista flessibilità rinunciando alle certezze ipotetiche. Un modello di questo tipo sarebbe rigido e certo per quanto riguarda i diritti soggettivi degli usi del suolo esistenti, flessibile e discrezionale per quanto riguarda le possibili trasformazioni dei diritti d’uso.

Tre funzioni di pianificazione e due modelli: un’interazione a cascata, un’interazione circolare

In qualunque sistema di pianificazione sono attive tre funzioni principali che possiamo definire rispettivamente le funzioni di programmazione, progettazione, e regolazione. La funzione di programmazione è la funzione che disegna le strategie di trasformazione; la funzione di progettazione produce politiche e progetti operativi; la funzione di regolazione esprime in norme le scelte di piano. Il processo di pianificazione è il risultato dell’interazione delle tre funzioni. Nel modello tradizionale l’interazione tra le funzioni si sviluppa almeno formalmente in modo lineare, a cascata: la programmazione produce il piano che definisce le strategie e le norme di trasformazione urbana; la progettazione applica le strategie e le norme di trasformazione per produrre i progetti operativi che modificano gli usi del suolo esistenti e introducono le nuove norme d’uso del suolo già prestabilite dal piano. In un modello flessibile l’interazione delle tre funzioni è circolare: la programmazione produce un piano che individua solo le strategie della trasformazione urbana, la progettazione interpreta le strategie e produce i progetti operativi che introducono le nuove norme d’uso del suolo e variano quelle esistenti; a loro volta delle proposte di progetto possono suggerire nuove strategie o la variazione di quelle esistenti. In entrambi i modelli la regolazione ha un duplice compito: riconoscere e garantire i diritti d’uso del suolo esistenti e riconoscere le loro trasformazioni via che sono introdotte dai progetti operativi.

Differenze dei due modelli

La differenza tra i due modelli è che nel modello tradizionale le norme che decidono le trasformazioni sono predeterminate dal piano, mentre nel modello flessibile le norme di trasformazione vengono decise insieme ai progetti operativi. La flessibilità del secondo modello consiste in questo: poter adattare le norme di trasformazione alle circostanze e al mutamento del contesto, sempre che il progetto sia coerente con le strategie che interpreta. L’interpretazione delle strategie offre uno spazio di negoziazione delle caratteristiche dei progetti operativi e delle norme che li esprimono; la negoziazione richiede che l’autorità di pianificazione disponga di una certa discrezionalità e assuma la responsabilità dell’uso della discrezionalità ai fini dell’interesse generale. Nel modello flessibile un progetto è insieme un’interpretazione e una verifica della praticabilità della strategia a cui fa riferimento. In quanto tale un progetto può anche suggerire di modificare una strategia che si riveli poco praticabile o suggerire una nuova strategia. Inoltre, un progetto deve tener conto del contesto in cui interviene, anzi procede proprio dall’attenta considerazione del contesto. In altre parole, un progetto procede dalla considerazione delle norme che garantiscono i diritti esistenti per perseguire gli obiettivi individuati dalla strategia. Strategie e norme esistenti sono i due poli tra cui entra in tensione il progetto con il risultato di produrre delle norme nuove e, talora, di suggerire delle nuove strategie. La principale differenza tra modello tradizionale e flessibile riguarda il modo di rapportarsi del piano al tempo. Nelle retoriche degli urbanisti di tutto il mondo il piano è sempre stato un disegno del futuro; talora lo è effettivamente, soprattutto lo è stato quando il territorio era percepito come un vuoto da riempire e da organizzare. Più spesso il piano è rappresentazione dei rapporti di forza tra gli attori che agiscono nello spazio: in questo senso nel modello tradizionale il piano è la produzione di un equilibrio dei rapporti degli attori raggiunto in un tempo astratto — quello dell’attuazione completa del piano. Il modello flessibile libera il futuro dal tempo astratto del piano, e lo restituisce da un lato alla scommessa delle strategie, e dall’altro alla soggettività innovativa dei progetti.

Trasformazione del piano regolatore

Nel modello flessibile il piano regolatore generale perde le sue valenze strategiche e non offre più certezze ipotetiche, il piano diventa il documento, disegnato e scritto, che riconosce e rappresenta i diritti d’uso del suolo esistenti. In quanto tale il piano ha un duplice ruolo: in primo luogo è il termine di riferimento per misurare i benefici e i costi attesi dalle trasformazioni che potrebbero esser introdotte da un progetto (è quindi uno strumento essenziale per la valutazione dei progetti); in secondo luogo, il piano registra le nuove norme d’uso del suolo introdotte dai progetti approvati (ogni qualvolta un progetto di trasformazione è approvato esso si traduce in nuove norme d’uso del suolo che sostituiscono le vecchie e aggiornano il piano). In breve, nel modello flessibile il piano è il piano delle norme che riconoscono i diritti reali — e non attesi — d’uso del suolo; esso è una sorta di catasto, un archivio degli usi del suolo che si aggiorna continuamente con le nuove norme introdotte dai progetti di trasformazione approvati. Nel modello storico di piano regolatore sono mescolati due tipi di norme, le norme che riconoscono gli usi del suolo esistenti e le norme che prescrivono la trasformazione degli usi del suolo esistenti. Nel modello flessibile scompaiono le certezze ipotetiche che producono le attese di trasformazione e con esse scompare il modello di piano regolatore tradizionale. L’esclusione delle certezze ipotetiche dal piano regolatore, e la loro separazione dalle certezze dei diritti d’uso del suolo esistenti, non significa l’esclusione di programmi e visioni del futuro dall’orizzonte dei processi di pianificazione, ma il riconoscimento che la natura strategica di programmi e visioni una natura non può essere irrigidita nella norma, nel dettato atemporale della legge. Programmi e visioni sono costruiti in un confronto politico che si alimenta anche delle ipotesi e delle previsioni tecniche, e si traducono nelle linee guida e nelle strategie che l’amministrazione esprime nel piano strategico, approvato dal governo locale come documento politico e non come legge dello stato. Pertanto, nel modello flessibile la forza di programmi e visioni si fonda sul consenso e sulla passione politica e non sulla forza della legge.

Funzionamento del modello flessibile

Nel modello flessibile la cerniera tra il documento legale delle norme e il documento politico delle strategie è costituita dai progetti di trasformazione. Il controllo dei progetti diventa una valutazione delle conseguenze che l’attuazione di un progetto comporterebbe sulla situazione esistente, e una valutazione della coerenza di quelle conseguenze con le strategie dell’Amministrazione. Ogni progetto, coerente con le strategie, una volta approvato si configura come una variante delle norme esistenti, e diventa esso stesso parte delle norme.

Differenze tra modello flessibile e modello britannico

Il modello flessibile ha dei punti di contatto con il modello britannico nella separazione tra norme e strategie, ma differisce dal modello britannico per due ragioni principali. In primo luogo, poiché i diritti d’uso del suolo sono soggettivi e non sono dello stato, il modello flessibile prevede la definizione e rappresentazione dei caratteri dei diritti esistenti. In secondo luogo, il modello flessibile sostituisce alla discrezionalità e alla negoziazione formale, ma segreta, tipiche del sistema britannico, una valutazione trasparente dei progetti basata su due termini espliciti di riferimento: il sistema dei diritti esistenti e l’insieme degli obiettivi espressi dalle strategie. In questo modo la flessibilità del modello non è più affidata alla discrezionalità dello stato, ma ad un continuo confronto tra ragioni. In questo confronto lo stato ha una voce autorevole, ma che si confronta con le altre voci.

NOTE


[1] La mutazione è sancita dalla legge urbanistica del 1968, ma ha le sue radici già nella legge del 1947, vedi anche la nota 7. La mutazione è graduale in quanto il cambiamento introdotto dalla legge è troppo radicale per venire assunto subito dalle pratiche di pianificazione, e per molti anni, dopo la legge del 1968, in molte località si è continuato a praticare un’urbanistica rigida di tipo tradizionale.

[2] Gli action plans sono dei piani particolareggiati o delle semplici zonizzazioni, ma in entrambi i casi sono estesi solo all’area in cui si è deciso un intervento.

[3] Negli ultimi trent’anni la tipologia britannica ha subito numerosi mutamenti

[4] Com’è noto, la legge urbanistica del 1947 tentò la nazionalizzazione dei suoli edificabili. Dopo più di un fallimento il tentativo fu riproposto altre volte sino agli anni ottanta, quando fu definitivamente abbandonato; ma anche i governi conservatori che avevano osteggiato la nazionalizzazione, non cancellarono il principio che fosse lo Stato a detenere e ad assegnare discrezionalmente il diritto di trasformazione del suolo.

[5] Nel caso americano in teoria i piani di zonizzazione dovrebbero essere la traduzione delle strategie espresse dal master plan, ma nella pratica i master plan vengono redatti raramente e, anche quando sono disponibili, influenzano raramente le scelte delle zonizzazioni, che risultano una mescolanza di strategie e norme tipica del modello storico.

[6] È questo il rischio maggiore dello stile negoziale applicato ai processi di pianificazione; l’accusa che viene rivolta a questo stile di governo è di finire col privilegiare possibili vantaggi parziali anche a scapito dell’interesse generale e col trattare una risorsa scarsa come il suolo come se fosse una merce facilmente riproducibile.