Appunti del corso di
ECONOMIA URBANA E TERRITORIALE
[1]

IL PRINCIPIO DI GERARCHIA

Andrea Rossi
Pierattilio Tronconi

Le economie di agglomerazione ci indicano una tendenza verso la grande dimensione urbana, tuttavia non spiegano come mai in realtà, entro sistemi urbani apparentemente in equilibrio,

coesistono città di diversa dimensione.

La realtà mostra infatti che coesistono dimensioni urbane diverse a cui corrispondono anche funzioni economiche differenti.

In genere si rileva che:

·        i centri più piccoli accolgono funzioni che trovano sbocco nella domanda locale a seguito delle limitate economie di scala e dimensioni di produzione.

·        i centri maggiori accolgono invece anche funzioni più rare e specializzate in cui compaiono più rilevanti economie di scala.

Il problema che ci si pone è quello di ricercare i principi sui quali vengono regolati ad un tempo:

a – la gerarchia dei centri

b – la dimensione e frequenza dei centri di ciascun livello gerarchico, e, quindi, l’area di mercato di ciascuno

c – la distanza media fra centri di uguale o diverso livello gerarchico e, perciò, la distribuzione geografica di tutti i centri

L’APPROCCIO GEOGRAFICO
IL MODELLO DI CHRISTALLER (ANNI 30)

Christaller si era proposto di esaminare come prodotti e funzioni diverse, in particolare funzioni di servizio, si articolino sul territorio dando origine ad una gerarchia urbana nell’ipotesi:

·        di uno spazio isotropo, omogeneo in tutte le direzioni sia in termini di densità demografica che di caratteristiche fisiche ed infrastrutturali

·        di efficienza spaziale di una struttura di concentrazioni produttive equidistanti

·        di aree di mercato esagonali per ciascun bene

Per far questo  Christaller definisce la gerarchia di beni e servizi attraverso due concetti:

·        la portata (range) che individua la distanza massima cui può essere venduto ciascun bene, ovviamente ai prezzi di mercato.

·        la soglia (threshold) ossia la distanza corrispondente alla quantità minima di ciascun bene producibile in modo efficiente. La soglia rappresenta quindi la relazione al limite che esiste tra produzione minima e spazio territoriale minimo di mercato

Ad esempio la merce A ha una portata racchiudibile nel raggio massimo di 100 km perchè, andando oltre, i prezzi a cui può essere venduta superano quelli di mercato; la merce B invece ha una potata doppia. perchè le sue condizioni di produzione consentono ai prezzi di vendita di conquistarsi spazi maggiori

Ad esempio la merce A, prodotta in quantità minima e in modo efficiente, per poter essere venduta richiede una soglia di mercato racchiudibile nel raggio di 20 Km  la merce B, prodotta sempre su scala minima richiede invece uno spazio di mercato doppio.

Fissati questi concetti ne deriva l’assunto per cuiogni bene viene prodotto solo se la sua portata supera la soglia territoriale minima ed è collocato lungo una scala gerarchica di beni individuata dalla dimensione delle rispettive soglie.

Date queste premesse Christaller ritiene che attorno alla struttura spaziale della produzione di un bene di ordine superiore, prodotto da una rete di centri di ordine superiore (centri a) si localizzino alla medesima distanza su ciascun spigolo degli esagoni relativi , i centri connessi alla produzione di un bene di ordine inferiore (centri b).

Sviluppando la rappresentazione per livelli gerarchici inferiori di beni e di centri ne deriva:

a – che ogni centro produce il bene relativo al suo livello gerarchico e tutti i beni di ordine inferiore;

b – che per ciascun centro di ordine superiore esiste, a cascata, una pluralità di centri di ordine inferire, fino a raggiungere le agglomerazioni di livello più basso (es. il villaggio) di cui esiste il numero più elevato.

Il principio di localizzazione dei centri di ordine inferiore è denominato principio del mercato perchè è il principio che ottimizza la localizzazione di questi centri (fig.1)

Il numero dei centri e di aree di mercato è moltiplicato per 3 nel passaggio da un certo livello a quello inferiore (1+ 6/3).

Fig. 1 - Organizzazione della aree di mercato secondo il principio di mercato di Christaller.

Un altro principio di localizzazione dello spazio è il principio del trasporto, in cui l’esistenza di una rete di trasporti che collega i centri maggiori, impone al centro inferiore una localizzazione baricentrica fra ogni coppia di centri maggiori. (fig2).

Per ciascuna area maggiore si hanno 4 aree minori (1+6/2)

Sulla base di questo principio si determinano una serie di localizzazioni di centri di diversa dimensione lungo una linea direttrice privilegiata:

Fig. 2 - Organizzazione della aree di mercato secondo il principio di trasporto di Christaller (K=4)

Un altro principio di localizzazione dello spazio  è il principio di organizzazione amministrativa in cui si impone che tutta l’area di mercato dei centri minori sia interna all’area del centro maggiore. (fig3)

 

 

Fig. 3 - Organizzazione della aree di mercato secondo il principio amministrativo di Christaller.

Il modello di Cristaller è prevalentemente qualitativo.

Esso mette in evidenza i postulati:

a – di comportamento ottimizzante dei consumatori, dato che le aree di mercato sono separate e non si sovrappongono;

b – di uno spazio economico omogeneo, in cui le agglomerazioni sorgono sotto spinte di carattere economico;

c – di un costo di trasporto proporzionale alla distanza;

d – di presenza di economie di scala (implicite nel concetto di soglia minima);

e – di presenza di economie di agglomerazione (implicite nell’affermazione che il numero dei centri deve essere minimizzato e della conseguente presenza nei centri maggiori di tutte le produzioni di ordine più basso);

f – di copertura completa di tutto il territorio (in modo che i consumatori abbiano accesso a tutti i beni).

OSSERVAZIONI

Il modello di Christaller appare adatto a descrivere ed interpretare una struttura di centri basata sulla produzione di servizi infatti:

·        i costi di trasporto sono sopportati dai consumatori e quindi incidono in modo evidente, spesso rilevante e proporzionale alla distanza percorsa;

·        trova altresì ampio riscontro empirico il fatto che i centri maggiori svolgano tutte le funzioni inferiori in aggiunta a quello maggiori, che sono loro proprie:

·        le economie di scala sono meno evidenti che nel settore industriale.

L’APPROCCIO ECONOMICO
IL MODELLO DI LÖSCH (ANNI 40)

Lösch, assumendo una maglia triangolare degli insediamenti agricoli sul territorio, costruisce il pattern (la sequenza) di organizzazione spaziale del singolo settore sulla base del modello di concorrenza monopolistica di Chamberlin, ossia sulla base di esplicite (ma esogene) funzioni di costo e di domanda individuale e di equilibrio economico spaziale stabile raggiunto grazie alla possibilità di entrata di nuove imprese nel settore.

Le aree di mercato hanno la consueta struttura esagonale ed i centri di produzione hanno una distribuzione spaziale omogenea.

Definendo con K il numero delle aree di mercato inscritte in un’area superiore, Lösch descrive 10 successivi modi di strutturazione e gerarchizzazione delle aree di mercato, corrispondenti ad una crescente dimensione minima di produzione.

Fig. 1 - I nove modi più compatti di organizzazione dei centri.

Chiamata “a” la distanza fra due insediamenti agricoli e “b” la distanza fra due produttori del bene analizzato e con K il numero delle aree completamente servite, la distanza fra i centri di produzione segue la regola

b = a

Per ogni modello spaziale, ossia per ogni K, è possibile determinare il numero nr  di centri di ogni livello gerarchico r (in cui r = 0 indica il centro più grande), la distanza dr  fra centri di ordine r ed il numero N di aree di mercato incluse.

Se a è la distanza fra gli insediamenti agricoli originati e R il numero di ranghi r della gerarchia (escludendo gli insediamenti agricoli originari) le diverse progressioni sono:

per N : K°, K1 , K 2 , K 3..........K r

per n : 1, K°(K-1) , K1 (K-1), ......... K r –1 (K-1)

per  dr :   a , a ,  a , ................ a ,

Lösch ritiene troppo restrittive le ipotesi assunte da Christaller di mantenere K costante, ossia il fatto che non muti il fattore di proporzionalità fra il numero dei centri di ogni livello successivo, ed il fatto che ogni centro svolga oltre alla funzione che caratterizza il suo rango, anche tutte le altre funzioni inferiori.

Date queste nuove ipotesi il modello di Lösch consente di evidenziare due fattispecie empiricamente rilevanti:

a – la possibilità di una diversa composizione della struttura produttiva di centri dello stesso livello gerarchico;

b – la possibilità di specializzazioni produttive dei centri per ogni centro può ospitare anche solo la funzione propria del suo livello gerarchico;

Il risultato del modello di Lösch è una organizzazione del territorio strutturata attorno ad una serie di settori circolari alternati, ad alta e bassa densità di insediamenti, che si estendono radialmente a partire da una grande città.

OSSERVAZIONI

Il modello di Lösch sembra meglio adatto a descrivere un paesaggio urbano in cui anche il settore industriale gioca un ruolo rilevante: dalla sua presenza nascono infatti processi di specializzazione.

CONSIDERAZIONI CRITICHE SUI MODELLI DI LOCALIZZAZIONE

Entrambi i modelli ( Cristaller e Lösch ) sono costruiti su ipotesi di ottimizzazione:

·        minimizzazione dei costi di trasporto per i consumatori

·        massimizzazione del numero dei produttori

·        minimizzazione del numero dei centri per raggiungere economie di agglomerazione

·        riduzione degli investimenti in reti di trasporto

·        massimizzazione dei profitti per i produttori.

Ipotesi che non sempre sono riscontrabili nella realtà come il fatto che oggi i costi di trasporto sono divenuti irrilevanti. Ciò fa cadere di conseguenza l’ipotesi di aree di mercato non sovrapposte.

I modelli, pur aspirando ad assurgere a modelli di equilibrio spaziale generale ( essi considerano non una singola città ma una intera gerarchia; non un solo settore, ma l’intero spettro delle produzioni), non appaiono adeguati a rispondere all’obiettivo posto, infatti:

a - manca una analisi dal lato della domanda del consumatore (il modello è eminentemente un modello di produzione);

b – la funzione dei costi è indipendente dalla localizzazione e quindi non considera la variabilità spaziale del prezzo e della produttività dei fattori produttivi e neppure prende in considerazione il costo del suolo urbano

c – le diverse produzioni sono giustapposte e aggregate sul territorio ma non esiste alcun meccanismo di interdipendenza sul versante dei possibili effetti di complementarietà nella domanda, su quello di possibili legami input – output nell’offerta;

d - da un punto di vista matematico di Lösch, anche se vengono esplorate le condizioni necessarie perchè il modello presenti una soluzione di equilibrio, non si dimostra l’esistenza la stabilità la unicità di tale soluzione.

Se la città è una concentrazione di attività residenziali, un grande mercato del lavoro ed un modo efficiente di organizzazione della produzione sociale, il modello delle località centrali, nella formulazione dei fondatori, crea, da un punto di vista analitico: una gerarchia di città senza città.

APPLICAZIONI DEL MODELLO DI GERARCHIA

I modelli delle località centrali sono stati impiegati in applicazioni empiriche rivolte:

·        a fornire una descrizione del sistema urbano,

·        a verificare le conclusioni della teoria,

·        ad introdurre elementi di pianificazione del sistema.

Nelle applicazioni empiriche si sono evidenziate forti critiche connesse al fatto che sia il numero delle classi che i confini tra classi diverse sono inficiate da valutazioni soggettive del ricercatore.

Per ridurre l’incertezza connessa a tali valutazioni, sono venute in soccorso delle ricerche empiriche (SOMEA) che hanno determinato i coefficienti medi di presenza delle diverse classi di servizi nei diversi livelli della gerarchia urbana italiana.

·        le classi dei centri sono definite attraverso la somiglianza nella gamma dei servizi presenti,

·        le classi di servizi vengono definite attraverso la tendenza dei singoli servizi a ritrovarsi insieme nei centri di offerta.

In genere le diverse analisi sono state rivolte ad aspetti differenti della struttura urbana:

a – alla gerarchia urbana nazionale e regionale,

b – alla gerarchia dei centri interni a un’area metropolitana,

c – alla gerarchia dei centri che si stabilisce sulla base di specifiche funzioni di diversa qualità.

Dato che il modello delle località centrali è di tipo statico, esso non è in grado di spiegare la genesi storica e l’evoluzione di una gerarchia urbana.

Si è tentato, introducendo anche l’analisi di alcuni fattori di cambiamento, di individuare le variazioni che si possono determinare nella gerarchia stessa.

IL MODELLO DI STATICA COMPARATA DI PARR.

Parr ha tentato l’esplorazione geometrica dei modi di mutamento nella struttura di una gerarchia urbana, ricorrendo ad una tassonomia dei tipi di mutamento che possono essere associati ad una struttura urbana (con K variabile), mantenendo l’ipotesi della presenza di tutte le funzioni inferiori nei centri di ordine superiore.

All’interno di località centrali, le più rilevanti categorie di mutamento temporale sono le seguenti:

a – la formazione di livelli successivi della gerarchia, dai più bassi ai più alti,

b – il mutamento nella allocazione delle funzioni economiche ai diversi livelli della gerarchia,

c – modificazioni nella struttura gerarchica con le seguenti 3 sottoclassi:

·        formazione di un nuovo livello della gerarchia, (fig. 1a)

·        modificazione della estensione dell’area di mercato di un livello gerarchico, (fig. 1b)

·        scomparsa di un livello gerarchico (fig. 1c).

La riflessione mette in evidenza come una delle forze fondamentali del mutamento strutturale sia da ricercarsi nel progresso tecnico e nei processi innovativi che fanno sì che muti il mix di funzioni esercitate da un centro e la dimensione della sua area di mercato.

CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELLA GERARCHIA URBANA

 

Fig. 1a – Formazione di un nuovo livello nella gerarchia.

 

Fig. 1b – Modificazione dell’estensione dell’area di mercato di un livello di centri.

 

1c – Scomparsa di un livello gerarchico.

DALLA GERARCHIA ALLE RETI DI CITTA’

Lo sviluppo negli ultimi 20 anni di città di dimensione intermedia (40.000 – 200.000 abitanti) ha stimolato nuove ricerche che hanno collegato il fenomeno ad un mutamento qualitativo nei rapporti gerarchici

Al di sotto di uno o due livelli urbani superiori (che comprendono all’incirca i capoluoghi nazionali e regionali) e al di sopra di un livello inferiore di centri rurali si sarebbe progressivamente consolidata una struttura di centri caratterizzati da forte interdipendenza, accentuata specializzazione produttiva, mancanza di evidenti rapporti gerarchici interni, insomma un reticolo strettamente interconnesso di centri intermedi.

La spiegazione è individuata:

a – nell’emergere, a partire dalla fine degli anni 50, di una forte propensione localizzativa non metropolitana dell’industria (trasformazione del ciclo fordista);

b – l’emergere di nuove “economie di distretto” o economie di localizzazione di tipo intra industriale, che ha generato un forte successo della piccola industria (delocazione della grande impresa. Esempio i distretti industriali di Prato);

c – la riduzione della dimensione minima efficiente per molte produzioni industriali e terziarie (avvento della microelettronica ed innovazioni nel processo produttivo)

d – la crisi economica , territoriale, fiscale ed organizzativa della grande città derivante dalla chiusura del precedente ciclo di sviluppo caratterizzato dal binomio sviluppo-urbanizzazione

e – la tendenziale omogeneizzazione delle condizioni di infrastrutturazione del territorio non metropolitano, della crescita su tutto il territorio dei livelli di istruzione e formazione professionale;

f – l’abbandono del principio “areale” nella organizzazione dello spazio di mercato dei singoli centri, connesso al venir meno del costo di trasporto come elemento rilevante nel calcolo economico.

Lo spazio e l’economia si organizzano su rapporti a rete: reti di rapporti di sub fornitura locali o internazionali; reti finanziarie mondiali.

Alla tradizionale struttura urbana ereditata dalla società agricola precedente, caratterizzata da una gerarchia Christalleriana strettamente annidata nei centri, organizzata direttamente sulla struttura gerarchica dei mercati agricoli e sulla struttura delle funzioni burocratiche e amministrative pubbliche, si è andato sostituendo una struttura mista cristallerianaloschiana a K variabile caratterizzata da:

1 – la permanenza di rapporti gerarchici a livelli elevati dell’armatura urbana, organizzati attorno al mercato delle funzioni terziarie avanzate e di controllo,

2 – il permanere di alcune fattispecie territoriali di una struttura gerarchica di tipo “areale” organizzata su aree di mercato per gli output della produzione ( bacini di manodopera, bacini di risorse naturali, ecc),

3 – la presenza di centri specializzati, appartenenti ai livelli medio-alto e medio-basso dell’armatura urbana caratterizzati da una fitta rete di rapporti orizzontali organizzati sulla base di “vocazioni” di tipo industriale ma anche terziario (città d’arte, turistiche, di cura)

Per spiegare la nuova strutturazione del territorio a rete si ricorre ad un paradigma interpretativo nuovo, quello della organizzazione a rete (congettura che è anch’essa ancora in cerca di una adeguata teorizzazione).

Si descrivono alcuni aspetti caratterizzanti la nuova situazione:

A – le “reti di città” consistono in un insieme di rapporti tendenzialmente orizzontali e non gerarchici fra città, che nel modello tradizionale non dovrebbero avere alcun rapporto;

B – tali rapporti possono legare fra loro città differentemente specializzate e complementari (reti complementari) o città similari aventi una stessa specializzazione (reti di sinergia);

C – la combinazione della complementarietà con la specializzazione consente la realizzazione di nuovi vantaggi connessi alla integrazione orizzontale fra unità produttive  (economia di distretto) e di integrazione verticale attorno a precise “filiere” di specializzazione;

STRUTTURE GERARCHICHE E STRUTTURE RETICOLARI DI CENTRI URBANI

Struttura gerarchica tradizionale

Struttura polarizzata, organizzata su due livelli

Struttura reticolare

D – un caso particolare delle “reti di sinergia” possono essere le “reti di innovazione” che nascono fra centri similari che si consorziano al fine di realizzare grandi infrastrutture o attorno a progetti di innovazione territoriale (aeroporti, centri tecnologici) per le quali i singoli centri non disporrebbero delle capacità finanziarie e dimensioni adeguate di mercato;

E – il modello a rete non è un modello di organizzazione totale del territorio.Esso si adatta bene a rappresentare il comportamento spaziale dell’industria e del terziario superiore (direzionalità, finanza, ricerca, consulenza internazionale). Il modello gerarchico continua infatti a permanere come “memoria” territoriale dei tempi in cui altri settori ( agricoli, commerciali, terziario per la popolazione, la pubblica amministrazione) rappresentavano la quasi totalità dell’economia e di conseguenza organizzavano il paesaggio urbano.

F – In termini empirici è possibile avanzare l’ipotesi che sulla gerarchia tradizionale dei centri si sia sovraimposta oggi una gerarchia di reti formata da:

·        una rete di primo livello a cui appartengono le “città mondiali”

·        una rete di secondo livello di città specializzate a carattere nazionale

·        una rete di terzo livello di città specializzate a carattere regionale.

Struttura mista o di transizione (sovraimposizione di strutture gerarchiche ad albero e di strutture reticolari fra distretti industriali)

In conclusione si può definire il nuovo paradigma reticolare come segue: le reti di città sono insiemi di rapporti orizzontali e non gerarchici fra centri complementari o similari, rapporti che realizzano la formazione di economie o esternalità rispettivamente di specializzazione/divisione del lavoro e di sinergie/cooperazione/innovazione.

Fra i contributi americani si ricorda il modello mercantile di James Vance nel 1970 che assume come caratterizzante la genesi e la localizzazione della città, il commercio su lunga distanza che si svolge su reti specifiche di comunicazione e trasporto fra un commerciante all’ingrosso ed un altro soggetto diverso dal consumatore finale (altro commerciante all’ingrosso, un’industria di trasformazione, ecc). Viene sostenuta la tesi per cui la forza creativa che organizza l’evoluzione storica della struttura urbana sia la costruzione di avamposti in nuovi territori, sulla spinta di interessi commerciali. Al di là delle critiche, all’autore va riconosciuto il merito di aver messo l’accento su un elemento rilevante della natura della città : l’essere nodo di relazioni su lunga distanza e non solo elemento di organizzazione dello spazio gravitazionale circostante.

LA DISTRIBUZIONE DELLE DIMENSIONI URBANE
LA RANK – SIZE – RULE

Volendo analizzare l’organizzazione del territorio, spostando l’attenzione sulle caratteristiche macro dell’intero sistema urbano, occorre abbandonare i modelli ispirati da premesse microeconomiche e fare riferimento a nuovi approcci.

Uno di questi, denominato regola – rango - dimensione ( ranksize- rule), si propone di descrivere la distribuzione delle frequenze dei centri per dimensione demografica.

Partendo dalla osservazione empirica che esiste una minor frequenza dei centri di grande dimensione rispetto ai centri di dimensione via via inferiore, si è potuto constatare che in tutti i sistemi economici il prodotto della dimensione di ogni centro (Pr) per il suo rango (r) è costante e all’incirca uguale alla dimensione della città più grande (P*), ossia:.

P* = Pr . r = costante

Più in generale, assumendo per (r) un coefficiente di correlazione b ( che in genere è compreso fra 0,98 e 0,99), si ha:

Pr = P* / rb

Nella forma logaritmica la funzione si riduce ad una retta con inclinazione pari a b:

log(Pr) = log(P*) - b log(r)

La versione con b = 1 è da attribuire ad Auerbach (1913) e poi è stata ripresa da altri (Lorka e Gibrat) .

Nel 1949 Zipf interpretò la regola rango-dimensione come il risultato stocasico, di due forze sistematiche contemporaneamente operanti sul territorio, derivanti dal principio del minimo sforzo: una forza di “unificazione” o concentrazione, legata alle economie di scala ed una forza di “diversificazione” o diffusione, legata all’obiettivo di riduzione dei costi di trasporto.

Simon propense invece ad interpretare tale legge come un esempio della “legge dell’effetto proporzionale” che fa sì che la crescita del numero assoluto di abitanti di ogni centro sia proporzionale alla dimensione del centro stess, e che in conseguenza il tasso di crescita dei centri sia indipendente dallo loro dimensione.

Come conciliare la rappresentazione della gerarchia urbana derivante dalla renk-size-rule        (con città tutte uguali in ciascun gradino, cioè in ciascun livello gerarchico) con il modello delle località centrali di Cristaller e Lösch ?

Beckmann osserva:

a – che i due modelli non sono in contrasto se si consente, per ogni livello gerarchico, una distribuzione casuale delle dimensioni dei centri attorno al valore individuato dal modello di Christaller;

b – che il rango della città mediana in ciascun livello gerarchico cristalleriano moltiplicato per la sua dimensione dà un valore approssimativamente costante,

c – che una volta conosciuta la dimensione della popolazione degli insediamenti agricoli, il rapporto fra la popolazione del centro più piccolo e la sua area di mercato ed il vettore dei fattori di annnidamento kr  è possibile generare una distribuzione delle dimensioni delle città in ciascun livello gerarchico, coerente con la rank-size-rule.

GERARCHIA, DIPENDENZA, DOMINAZIONE TERRITORIALE

Appare lecito chiedersi fino a che punto sia implicito nel concetto di gerarchia urbana non solo un rapporto economico – funzionale di ottima allocazione delle risorse territoriali, ma anche un rapporto di dominazione del grande sul piccolo.

L’assunzione nell’analisi di questa nuova dimensione richiederebbe fare ricorso ad altre discipline come la politologia e la sociologia urbana, tuttavia se si superano i limiti imposti dalla scuola neo classica, è possibile dare delle risposte al tema del potere utilizzando strumenti derivati dall’ economia politica.

Questi strumenti risiedono in primo luogo:

·        nella analisi dei prezzi relativi dei diversi prodotti/funzioni e di quegli elementi che consentono al produttore (urbano) di appropriarsi di un surplus dei costi di produzione;

·        in una teoria della distribuzione del reddito;

·        in una evidenziazione dei modi attraverso i quali le classi (urbane) che presiedono alle decisioni strategiche di investimento contribuiscono ad orientare la distribuzione funzionale e territoriale del reddito.

Rapporti di dominazione all’interno della gerarchia urbana nascono sui seguenti elementi:

1 - dipendenza commerciale.

Tra le città di diversa dimensione esiste un rapporto squilibrato di dipendenza commerciale: i rapporti di scambio o di transazione sono unidirezionali lungo la gerarchia dei centri: la grande città vende prodotti e servizi alla media città e questa alla piccola città, senza acquistare nulla in cambio. Solo il settore agricolo, localizzato in modo diffuso, vende a tutte le classi dimensionali di città.

2 – sfruttamento delle imperfezioni del mercato dei beni finali.

E’ possibile sostenere che al crescere del livello delle funzioni svolte e dei servizi prodotti, si riduca l’elasticità della domanda al prezzo (aumentando i fattori di “imperfezione” del mercato).

Maggiore livello gerarchico implica infatti maggiore rarità dell’offerta e minore frequenza di acquisto per quanto riguarda la domanda: ciò determina una minore sensibilità della domanda al prezzo.

Si viene a creare una offerta di prodotti e servizi che incorporando in genere maggiore qualità incontra senza grandi difficoltà una domanda disposta ad assorbire incrementi di prezzo con una minima riduzione della quantità.

3 – sfruttamento delle imperfezioni del mercato degli input.

Beni e servizi sofisticati, prodotti in ambienti urbani di livello elevato, incorporano a cascata i surplus nei prezzi degli input intermedi e dei fattori produttivi che nascono dalle imperfezioni dei rispettivi mercati (es. mercato della formazione superiore, del lavoro qualificato, dell’informazione, della direzionalità)

4 – controllo

Il controllo nella acquisizione, allocazione, localizzazione delle risorse, nonchè il controllo dell’informazione economica consente alle funzioni direzionali e finanziarie di lucrare su quelle imperfezioni temporanee che nascono dalla non perfetta trasparenza dei mercati .

In termini distributivi, le remunerazioni che in tal modo affluiscono alla città possono essere così raggruppate:

·        interessi e profitti scaturenti dal controllo sui processi temporali (finanziamenti)

·        profitti scaturenti dal controllo dei processi spaziali (investimento off - shore)

·        royalty scaturenti dal controllo del mercato dei fattori di innovazione (brevetti e licenze)

·        rendite ed extra profitti scaturenti dal controllo sull’informazione e sull’offerta di particolari fattori strategici.

5 – leadership

Connessa ai comportamenti e sistemi di remunerazione dell’elite del potere economico e politico.

BIBLIOGRAFIA



[1] Roberto Camagni, Principi di economia urbana e territoriale, Carocci editore.