Appunti del corso di
ECONOMIA URBANA E TERRITORIALE

IL PRINCIPIO DI COMPETITIVITA’1
LA BASE ECONOMICA URBANA

Andrea Rossi
Pierattilio Tronconi

Partendo da una distinzione tra funzioni che si svolgono nelle città, ossia quelle che si rivolgono ad una DOMANDA ESTERNA e quelle che invece si rivolgono a soddisfare i BISOGNI DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE.

Le funzioni rivolte al soddisfacimento della domanda esterna plasmano le caratteristiche specifiche della città, la sua specializzazione ed il suo ruolo nella divisione spaziale del lavoro.

Sombart definisce le prime come “attività di base” e le seconde “attività di complemento”.

Dall’assunzione di questo punto di vista sono stati elaborati dei modelli per effettuare previsioni di sviluppo aggregato nel breve e medio termine.

Questi modelli non si rivolgono alla struttura delle localizzazioni delle diverse attività nella città, ma solo alla DIMENSIONE ed alla DINAMICA QUANTITATIVA di queste attività, aggregate in pochi settori.

La città viene osservata come una grande macchina per produrre in cui la necessità di importare TUTTI I BENI PRIMARI, per definizione esclusi da una produzione urbana, e la impossibilità di produrre tutta la gamma dei beni e dei servizi, a causa delle ridotte dimensioni del mercato sia dei beni che dei fattori, fanno sì che per la città le ESPORTAZIONI NON SIANO UN FATTO CASUALE, MA UN ELEMENTO NECESSARIO.

Si dà per IMPLICITO il fatto che per esportare la città raggiunga rilevanti livelli di COMPETITIVITA’ ESTERNA che può essere raggiunta:

a – attraverso la specializzazione nelle funzioni caratteristiche del proprio livello gerarchico;

b – attraverso la specializzazione su alcuni beni;

c – attraverso specifici processi di integrazione fra industria e terziario produttivo;

d – attraverso processi di integrazione orizzontale o verticale

Assunta per ipotesi l’esistenza  nella città di  fattori che producono “competitività esterna” ne consegue che “le attività di base”, che lavorano per il mercato esterno, divengono il MOTORE DELLA DINAMICA URBANA.

Dalla loro crescita dipende infatti non solo l’OCCUPAZIONE ed il REDDITO di chi vi lavora, ma anche, per effetto dei meccanismi vari di interdipendenza nella produzione e nei consumi, l’OCCUPAZIONE ED IL REDDITO DELLE ATTIVITA’ COLLEGATE, a monte delle attività di esportazione, nonchè l’occupazione ed il reddito delle ATTIVITA’ DI SERVIZIO che si rivolgono alla popolazione urbana complessiva.

Se la dinamica della domanda di uno specifico prodotto di specializzazione, può spiegare i fenomeni di sviluppo territoriale nel BREVE PERIODO, ESSA TUTTAVIA NON RIESCE A FORNIRE SODDISFACENTI SPIEGAZIONI NEL MEDIO LUNGO PERIODO.

E’ vero infatti che lo sviluppo di una città specializzata nella produzione di automobili dipende dalla crescita del mercato mondiale delle automobili (domanda in espansione), ma ciò vale solo nel breve  medio periodo dato che nel lungo periodo vengono in evidenza la capacità di sostituire nuove produzioni a quelle eventualmente declinanti (domanda di sostituzione) nonchè la capacità di innovazione continua del prodotto e di rilancio della competitività internazionale della città.

Nell’analisi dei fenomeni di sviluppo locale, all’approccio basato sulla DOMANDA, si sono  quindi sostituiti  approcci centrati invece sull’OFFERTA, in cui, per l’appunto, la qualità dei fattori produttivi, le sinergie intersettoriali ed economiche di agglomerazione, il progresso tecnico e le capacità innovative sono visti come i VERI ELEMENTI su cui si fonda la COMPETITIVITA’e, quindi, la capacità di SVILUPPO DI LUNGO PERIODO DI UN ’AREA METROPOLITANA.

In questa nuova ottica il settore RESIDENZIALE o dei SERVIZI viene ad assumere un ruolo ATTIVO di pre - condizione delle esportazioni stesse.

IL MODELLO DI BASE URBANA DI HOYT (ANNI 30)

Hoyt, nella ricerca di un metodo semplice di definizione delle prospettive di sviluppo delle città americane, distingueva l’OCCUPAZIONE URBANA TOTALE (Lt) in:

·        OCCUPAZIONE DI BASE (Lb)

·        OCCUPAZIONE NON DI BASE o di SERVIZIO (Ls)

l’occupazione totale è data dalla somma delle due citate forme di occupazione, ossia:

Lt = Lb + Ls

ponendo Lb =

ed esprimendo l’occupazione non di base come una quota (b) dell’occupazione urbana totale:

Ls = b . Lt                               in cui 0 < b <1

sostituendo  e raccogliendo avremo

Lt =  + bLt

LtbLt =

Lt (1-b) =

da cui

Lt =  .

e in termini di variazioni:

DLt = D .

il fattore  viene considerato come il MOLTIPLICATORE dell’OCCUPAZIONE

URBANA attivato dalla dinamica della OCCUPAZIONE DI BASE.

Similmente, introducendo un TASSO DI ATTIVITA’ (1/a ) è possibile stimare la POPOLAZIONE (P) sulla base della OCCUPAZIONE TOTALE (Lt):

P = a . Lt                                 in cui a >= 1

e riformulando l’occupazione non di base (Ls) come una quota (b) della popolazione totale:

Ls = b . P                                in cui 0 < b < 1

si ottiene

P =  .

la logica del modello di base di esportazione è schematizzata nella seguente figura.

IL MODELLO CON VARIABILI RITARDATE DI CZAMANSKI

Czamansky propone un modello di base economica che introduce, accanto alle tradizionali attività di base (Lb) e di servizio (Ls) introduce le ATTIVITA’ COMPLEMENTARI ALLE FUNZIONI DI BASE (Lc) e stima i ritardi temporali con cui le relazioni nel modello si realizzano.

Il modello è basato sulle seguenti equazioni:

P(t) = a1 + b1 . Lt (t -x)

ricavando Lt (nell’ipotesi di astrazione dei ritardi temporali x ), si ha:

Pt –a1 = b1 . Lt

Lt =

si ricorda altresì che sulla base della nuova ipotesi, l’occupazione totale Lt è data dalla somma dell’occupazione dei tre settori, ossia

Lt = Lb + Lc + Ls

esprimendo l’occupazione connessa alle attività complementari alle funzioni di base (Lc) come una quota (b2) dell’occupazione delle tradizionali attività di base (Lb), si ha:

Lc = a2 + b2 . Lb

e l’occupazione connessa alle attività di servizio (Ls) come una quota (b3) della popolazione (P), si ha :

Ls = a3 + b3 . Pt

sostituendo Lc ed Ls  alla equazione che dà l’occupazione totale (Lt) ed astraendo dalla struttura dei ritardi, si ha

Lt = Lb + a2 + b2 . Lb + a3 + b3 . Pt

raccogliendo:

Lt = Lb (1 + b2) + a2 + a3 + b3 .Pt

sostituendo a Lt l’equazione che esprime l’occupazione totale in funzione della popolazione, si ha:

 = Lb (1 + b2) + a2 + a3 + b3 .Pt

operando si ha:

Pt – a1 =  b1. Lb (1 + b2) + b1 .a2 + b1 .a3 + b1 .b3 .Pt

raccogliendo

Pt – b1 . b3 Pt = a1 + b1. Lb (1 + b2) + b1 . (a2 + a3)

Pt (1 – b1 b3) = a1 + b1. Lb (1 + b2) + b1 . (a2 + a3)

da cui si ricava la popolazione totale:

Pt =

Il modello viene utilizzato per effettuare previsioni di CRESCITA URBANA sulla base della consistenza futura di Lb

La logica del modello è schematizzata come segue:

MODELLO KEYNESIANO
EXPORT – LED

Tiebout e North formulano una versione del modello di base economica sulla base di un semplice moltiplicare keynesiano del reddito attivato dalle esportazioni.

Ipotizzando nulle le scorte, detti:

Y = il prodotto interno (reddito)

C = la domanda di consumo (finale+investimenti)

E = le esportazioni

M = le importazioni dell’area urbana

il modello di equilibrio è il seguente:

prodotto interno + importazioni = domanda di consumo + esportazioni

Y + M = C + E

Il PRODOTTO INTERNO (Y ) è pertanto dato da

prodotto interno = domanda di consumo + esportazioni - importazioni

Y = C + E – M

esprimendo la domanda di consumi C come quota (c) del reddito (Y)

C = cY                                    in cui 0< c <1

fissate le esportazioni

E =

ed esprimendo anche le importazioni come una quota (m) del reddito (Y), si ha

M = mY                                  in cui o < m <1; m < c

sostituendo le nuove espressioni di C, E, M nella equazione di equilibrio, si ottiene:

Y = cY +  - mY

Y – cY + mY =

Y (1 – c + m) =

Y =                 in cui 0< (c-m) < 1

poichè :

c = propensione media al consumo

m = propensione marginale all’importazione

ne deriva

(c – m) = propensione a consumare beni prodotti internamente

Il termine  è il MOLTIPLICATORE Keynesiano delle esportazioni.

Esso ci dice che il REDDITO COMPLESSIVO è un MULTIPLO DELLA DOMANDA DI ESPORTAZIONE.

IL MODELLO INPUT – OUTPUT

Il modello input – output si basa sul modello delle interdipendenze settoriali elaborato da Leontief.

Esso viene utilizzato per la descrizione della struttura dell’economia della città e per effettuare previsioni a breve e medio termine.

Il modello viene limitato a due soli settori produttivi.

Il modello è strutturato secondo una matrice quadrata n x n in cui si considerano i FLUSSI DELLE VENDITE (sulle righe) e di ACQUISTO (sulle colonne) che si manifestano ANNUALMENTE fra gli n settori produttivi locali.

Le somme dei valori di OGNI RIGA che rappresentano i RICAVI TOTALI per ogni settore, EGUAGLIANO le somme dei VALORI PER COLONNA che rappresentano l’INSIEME DEI COSTI (comprensivi dei profitti)

 

settori acquirenti

A

B

C

totale

settori venditori

 

acquisti (costi)

acquisti (costi)

acquisti (costi)

acquisti (costi)

A

vendite (ricavi)

0

4

4

8

B

vendite (ricavi)

6

0

4

10

C

vendite (ricavi)

2

6

0

8

totale

vendite (ricavi)

8

10

8

26

La matrice viene completata da una serie di colonne che presentano le vendite settoriali ALLA DOMANDA FINALE e da una serie di righe che presentano le diverse componenti del VALORE AGGIUNTO SETTORIALE (SALARI E PROFITTI) e le IMPORTAZIONI.

La somma delle componenti della DOMANDA FINALE (NELL’ESEMPIO 51) EGUAGLIA la SOMMA DELLE COMPONENTI DEL REDDITO O DI VALORE AGGIUNTO E DELLE IMPORTAZIONI.



domanda intermedia

domanda finale

 

 

settori acquirenti

A

B

C

consumi privati

consumi pubblici

investimenti

esportazioni

valore della produzione

settori venditori

 

acquisti

acquisti

acquisti

C

G

I

E

X

A

vendite

0

4

4

5

5

3

2

23

B

vendite

6

0

4

3

4

4

3

24

C

vendite

2

6

0

10

5

5

2

30

salari

W

10

7

15

 

 

 

 

32

profitti

V

3

4

5

 

 

 

 

12

importazioni

M

2

3

2

 

 

 

 

7

valore della produzione

X

23

24

30

 

 

 

 

 

Il PRODOTTO INTERNO LORDO dell’area urbana (Y) è dato dalla somma di SALARI (W) e PROFITTI (V), ossia

Y = S W + S V

nell’esempio:

Y = 32 + 12 = 44

Il PRODOTTO INTERNO LORDO dell’area urbana (Y) può altresì essere espresso come segue:

Y = S DOMANDA FINALE (C, G, I, E) – importazioni (M)

nell’esempio:

Y = (5 + 5 + 3 + 2) + (3 +4 +4 + 3) + (10 + 5 + 5 +2) - 7 = 15 + 14 + 22 – 7 = 44

O, ancora, Il PRODOTTO INTERNO LORDO dell’area urbana (Y) può essere espresso come segue:

Y = VALORE TOTALE DELLA PRODUZIONE (X) – VALORE TOTALE DELLE IMPORTAZIONI (M) - S DOMANDA INTERMEDIA DEI SETTORI

nell’esempio:

Y = (23 + 24 +30) – (2 +3 +2) – [(0 + 4 + 4) + (6 + 0 + 4) + (2 + 6 + 0)] =

 = 77 – 7 – [8 + 10 + 8] = 70 – 26 = 44

 Entro questa matrice, prendendo in esame le righe, ossia i RICAVI TOTALI DI OGNI SETTORE, ovvero il valore della PRODUZIONE DI OGNI SETTORE,  sono dati da:

X (A) = S acquisti settori intermedi + S acquisti della domanda finale

prendendo come esempio il settore (A), si ha:

X (A) = (0 + 4 + 4) + (5 + 5 + 3 + 2) = 23

Prendendo in esame le colonne, ossia i COSTI TOTALI DI OGNI SETTORE, ovvero il valore della PRODUZIONE DI OGNI SETTORE , sono dati da:

X (A) = S costi settori intermedi + salari + profitti + importazioni

nell’esempio del settore (A), si ha

X (A) = (0 + 6 + 2 ) + (10 + 3 + 2) = 23

In una economia chiusa, in cui non vi sono importazioni, esprimendo il valore Aij in proporzione al valore della produzione del settore acquirente (X j) si ottengono i coefficienti tecnici aij, ossia

aij =

nell’esempio, il coefficiente tecnico del settore B nei confronti del settore A è dato da:

a ba =

Esso indica, ad  esempio, quante lire di prodotto dal settore B (venduto al settore A) sono necessarie per la produzione di 1 lira del settore A.

Conoscendo i coefficienti tecnici dei vari settori costituenti la matrice e la domanda finale  è possibile pertanto determinare il valore della produzione di ogni singolo settore,

Nell’ipotesi di base dei modelli Input – output si suppone che i COEFFICIENTI TECNICI SIANO COSTANTI all’aumentare della produzione e nel tempo.

Ciò implica una ipotesi esplicita di assenza di RENDIMENTI DI SCALA.

Emerge altresì una grande difficoltà ad utilizzare questi modelli a causa in genere della mancanza di informazioni sui coefficienti tecnici a livello urbano. Vengono talvolta impiegati per fare analisi in ambito regionale, ma anche qui la mancanza di informazioni  sui coefficienti rendono questi modelli scarsamente usati.

VALUTAZIONI CRITICHE SUI MODELLI DI BASE ECONOMICA

Il problema principale che si incontra nell’uso di tutti i modelli di base economica urbana è costituito dalla GENERALE CARENZA DI INFORMAZIONI QUANTITATIVE SULLA CONSISTENZA DELLE ESPORTAZIONI URBANE.

Per aggirare l’ostacolo si ricorre talvolta a semplificazioni analitiche del tipo: si ipotizza che tutte le attività manifatturiere siano rivolte totalmente alla esportazione e che le attività di servizio e l’industria delle costruzioni siano invece rivolte a soddisfare la domanda locale, sia intermedia che finale. Se tale semplificazione è ritenuta parzialmente accettabile per il settore manifatturiero (dato che in genere la domanda locale non è sufficiente ad acquistare tutta la produzione) non lo è spesso per i servizi (vedasi il caso delle città d’arte, le capitali oggetto di turismo, ecc.).

Un altro metodo utilizzato per stimare le esportazioni, allorquando si conosce il valore delle produzioni settoriali, il valore aggiunto o la loro occupazione, è quello denominato dei QUOZIENTI DI LOCALIZZAZIONE.

Esso consiste nel CONFRONTARE la QUOTA DI OGNI SETTORE (Xic) sul TOTALE DELLA PRODUZIONE URBANA LOCALE (Xc)

Sc =  con la stessa QUOTA di un’area di riferimento, ad esempio nazionale (Xn)

Sn =  se il rapporto tra i due QLi =

supera l’unità, si considera la proporzione eccedente come espressiva di un surplus netto rispetto alle esigenze della domanda locale.

Anche questo metodo contiene forti limitazioni perchè considera SIMILI LE STRUTTURE di DOMANDA LOCALE E NAZIONALE, non considera l’esistenza di esportazioni nette nazionali.

Se applicato all’occupazione implica l’assunzione di UGUALI LIVELLI DI PRODUTTIVITA’  nello spazio.

LIMITI AL PRINCIPIO DELLA BASE ECONOMICA URBANA

Il principio della base economica urbana, nelle sue diverse versioni, nasce in un contesto di analisi statica.

Se risponde infatti al buon senso l’osservazione che una città tende a PROSPERARE quando “tira” la DOMANDA dei prodotti della SUA SPECIALIZZAZIONE, e che al contrario al venir meno di questa si genera CRISI, il modello formalizza in modo ristretto questa affermazione ma tende anche ad estenderla su archi temporali probabilmente incompatibili con la rigidità delle sue ipotesi di base.

Le versioni AGGREGATE del modello possono presentare precisi limiti proprio a causa di tale aggregazione dato che la crescita della domanda di un certo settore di “base” può indurre uno sviluppo completamente diverso dalla crescita della domanda di un altro settore di specializzazione.

Il modello ipotizza che non vi siano “strozzature” dal lato dell’OFFERTA che limitino la crescita dei settori locali e che pertanto esistano capacità produttive non utilizzate, fattori produttivi non occupati o possibilità di espansione a costo zero.

Nel più lungo periodo il modello si scontra col problema della STABILITA’ DEI MOLTIPLICATORI. E’ noto infatti che col crescere della città cresce anche la quota delle attività non di base che incidono appunto sul moltiplicatore.

Nel lungo periodo mutano anche altri elementi su cui si fonda il modello: la capacità competitiva dei settori di specializzazione, la specializzazione stessa della città.

Se si mantengono inalterati i rapporti di competitività dei settori di specializzazione fra diverse città, per focalizzarsi esclusivamente sui tassi di crescita della domanda nazionale o internazionale dei settori di rispettiva specializzazione, significa obbligarsi a trascurare ciò che vi è di più rilevante nei PROCESSI DI SVILUPPO: IL CAMBIAMENTO STRUTTURALE.

L’ANALISI SHIFT – SHARE

Per cercare di contenere i limiti ai modelli sopra accennati, si sono cercate alcune strade.

L’analisi “shift – share” scompone il TASSO DI SVILUPPO DIFFERENZIALE di un’AREA LOCALE (Xc) rispetto ad un SISTEMA DI RIFERIMENTO (Xn), ad esempio nazionale

XcXn in due effetti:

·        l’effetto di COMPOSIZIONE (MIXc)

·        l’effetto di COMPETIZIONE (DIFc)

la somma di questi due effetti dà, per definizione, il tasso di sviluppo differenziale dell’area in esame rispetto al sistema di riferimento, ossia:

MIXc + DIFc = XcXn         (1)

L’EFFETTO DI COMPOSIZIONE nasce dalla forte presenza nell’economia locale di quei settori che a livello nazionale mostrano una DINAMICA PIU’ ACCENTUATA, e cioè che presentano UNA DOMANDA RAPIDAMENTE CRESCENTE.

Se indichiamo con

·        X la variabile osservata (valore aggiunto, occupazione);

·        con gli indici “c” il riferimento alla città e con “n” il riferimento alla nazione;

·        con gli indici “ic” il riferimento al settore della città e con “in” il riferimento al settore nazionale;

·        l’apice “°” l’anno di riferimento e con “1” l’anno di osservazione

l’effetto di composizione MIXc è dato da

MIXc =

l’effetto di competizione DIFc è dato da:

DIFc =

ovvero anche, ricavato dalla (1)

DIFc = XcXn  - MIXc

Nei termini dell’analisi shift – shar, ipotizzare che la componente MIX settoriale sia PIU’ RILEVANTE  dello sviluppo locale, significa che dovrebbero crescere più delle altre, quelle città che sono specializzate nei settori più dinamici a livello nazionale, ossia quelli che prevedono una domanda più vivace facendo però assumere all’effetto di competizione un ruolo residuale.

Anche questa ipotesi sembra non rispondere adeguatamente ai cambiamenti che si sono osservati: infatti assai frequentemente  si rileva che la domanda nazionale scende in secondo piano rispetto al dinamismo specifico dell’offerta locale prodotto dalla specifica capacità competitiva locale.

Quanto sopra detto può essere schematizzato su un piano cartesiano in cui sull’asse delle ascisse (x) vengono posti i TASSI DI SVILUPPO SETTORIALI NAZIONALI mentre sull’asse delle ordinate (y) vengono posti  TASSI DI SVILUPPO SETTORIALI LOCALI. Ogni settore viene rappresentato da un punto sul piano cartesiano

Fig.5.3

Si osserva che:

a – un effetto MIX FAVOREVOLE nasce da una forte presenza nell’economia loca le di settori che ricadono nella parte DESTRA del grafico (settori A – B- C );

b – un effetto DIF FAVOREVOLE nasce dalla collocazione prevalente dei diversi settori locali al DI SOPRA DELLA LINEA TRATTEGGIATA INCLINATA DI 45° (settori A – D – E –F);

c – I SETTORI CHE GIACCIONO SOPRA LA LINEA CONTINUA (che può stare al di sopra o al di sotto della linea tratteggiata a seconda che il tasso di sviluppo complessivo dell’area locale sia superiore o inferire a quello nazionale), sono i settori in cui esiste un VANTAGGIO COMPARATO  dell’area in esame (settori A – D- E – F);

d – la migliore condizione urbana è collegabile ad una forte presenza di settori che si collocano nel quadrante A (settori dinamici) o anche nel quadrante B (con dinamica locale più debole, ma sufficiente a mantenere un elevato sviluppo complessivo);

e – una condizione favorevole può anche derivare da una SPECIALIZZAZIONE in settori che sono sì “tradizionali” o “di crisi”, come i settori D o E, ma in cui la forte competitività locale genera elevati tassi di sviluppo. In questo caso la crescita ridotta della domanda nazionale non riuscirebbe a spiegare il successo locale;

f – una specializzazione in settori che cadono nel quadrante C in cui la domanda nazionale è elevata ma la competitività locale è assai scarsa, rende fuori gioco un modello di base di esportazione come strumento di previsione dello sviluppo;

g – una specializzazione in settori del tipo F o G farebbe invece facilmente diagnosticare una crisi rilevante.

IL RUOLO DEI SERVIZI

Si è visto che una buona performance locale non può essere basata solo sulla crescita della domanda esterna.

Circa il ruolo dei servizi nello sviluppo locale si sono formate opinioni e teorie diverse, tra chi sostiene che sono proprio i settori non di base  a determinare le performace locali di lungo periodo dato che essi sono generatori di qualità e chi al contrario ritiene che pur in presenza di una qualificata e forte struttura dei servizi, di fronte ad un crollo della domanda mondiale degli altri settori, la crisi di questi sarebbe inevitabile.

Al di la là di queste estremizzazioni, è fuori discussione il fatto che la presenza in un territorio di qualificate strutture dei servizi concorre a generare quelle flessibilità e capacità di adattamento dell’economia locale che stimola una continua capacità di rapida sostituzione dei settori con domanda in declino con altri più moderni e dinamici.

Si osserva infatti che la competitività di una città non è certo toccata dalla presenza di sofisticate botteghe di salumeria o di sale cinematografiche, bensì dalla presenza di centri universitari, di centri di eccellenza tecnologica.

Si sono pertanto costruiti dei modelli di base di esportazione integrati con i servizi.

La logica di questi modelli è rappresentata dalla figura:

ed è la seguente: una crescente dimensione dell’OCCUPAZIONE e della POPOLAZIONE urbana genera la nascita di servizi avanzati qualificati e questi a loro volta interagiscono con l’occupazione di base consentendole di rinnovare la competitività e la composizione settoriale interna.

I MODELLI GENERALI DI SVILUPPO URBANO E USO DEL SUOLO

I modelli sino ad ora illustrati considerano la città come un’unità aggregata in senso spaziale e non riescono a spiegare la strutturazione interna della città, delle sue zone.

Per tentare di fornire modelli per la programmazione del territorio sono stati elaborati altri tipi di modelli detti MODELLI GENERALI.

Tali modelli simulano la struttura interna della città, la sua evoluzione in periodi successivi e distinti, la localizzazione delle diverse attività, la loro interazione e la conseguente domanda di trasporto.

Il capostipite di questi modelli è quello di LOWRY (1964)

IL MODELLO DI LOWRY

Il modello si propone di simulare la struttura degli usi del suolo urbano in un dato momento sulla base di un limitato numero di informazioni:

·        l’entità e la localizzazione delle attività industriali nella città

·        la matrice delle distanze e dei tempi di trasporto fra zona e zona.

Il modello stima:

a – la dimensione della popolazione urbana totale e la sua localizzazione nelle “n” zone in cui è ripartita la città;

b – la dimensione dell’occupazione di servizio alla popolazione e la sua localizzazione nelle zone;

c – il pattern (modello, schema) degli spostamenti casa-lavoro e casa–negozio e, pertanto, la domanda complessiva di trasporto nella città.

Anche questo modello ha il difetto di simulare una ISTANTANEA  della metropoli dato che il riferimento sono le variabili esogene del modello (in particolare l’occupazione delle attività industriali e la loro localizzazione).

L’ipotesi sottostante alla parte localizzativa del modello è quella che vede la scelta RESIDENZIALE come guidata da SOLE considerazioni di ACCESSIBILITA’ AI LUOGHI DI LAVORO e la scelta di localizzazione dei servizi determinata a sua volta da queste considerazioni.

L’OCCUPAZIONE TOTALE (Lt) è data dalla somma dell’occupazione di BASE INDUSTRIALE (Lb) e di quella di SERVIZIO (Ls).

Lt = Lb + Ls

L’occupazione totale genera, attraverso il tasso di ATTIVITA’, la DIMENSIONE della POPOLAZIONE e questa a sua volta genera, tramite una serie di coefficienti  di attivazione di OCCUPAZIONE DI SERVIZIO PER PERSONA RESIDENTE, l’OCCUPAZIONE DI  “K” SETTORI DI ATTIVITA’ SERVIZIO.

La distribuzione territoriale di quest’ultima variabile è determinata dalle LOCALIZZAZIONI RESIDENZIALI ed in parte anche dalla LOCALIZZAZIONE DELL’OCCUPAZIONE TOTALE.

La logica operativa dell’intero modello è schematizzata nel diagramma a flussi seguente.

Anche i due modelli di interazione spaziale utilizzati da Lowry e che chiamano MODELLI DI POTENZIALE non danno risposte soddisfacenti ed il loro impiego non è mai entrato nella prassi urbanistica corrente, almeno in Italia.

BIBLIOGRAFIA

1 - Roberto Camagni,  Principi di economia urbana e territoriale, Carocci editore.

start

 

variabili esogene

 

  2

 

start