Appunti del corso di
ECONOMIA URBANA E TERRITORIALE[1]
LA
RENDITA FONDIARIA URBANA
Andrea Rossi
Pierattilio Tronconi
PREMESSA: LA RENDITA NEL PENSIERO ECONOMICO
Nell’analisi
economica neo classica si definisce rendita la remunerazione che qualunque fattore a offerta limitata riceve
al di là dei suoi costi di produzione.
Per i marginalisti sono le scarsità relative
dei beni che regolano i valori nella sfera dello scambio.
Nell’ottica
della scarsità l’esigenza degli economisti classici (Smith,
Ricardo, Marx) di elaborare una spiegazione separata della rendita viene
meno in quanto l’attenzione è rivolta non ai gruppi o classi
soggetti della distribuzione sociale, bensì ai “fattori
di produzione” la cui utilità si valuta con i “servizi produttivi” che essi sono in grado di
contribuire.
Se la terra
è un fattore di produzione come ogni altro, non c’è dunque ragione per
interpretare il reddito afferente ad essa con criteri diversi con i quali si
spiegano i profitti e i salari.
L’analisi
macroeconomica viene con ciò ricondotta all’analisi micro
economica.
Secondo il
punto di vista micro economico e micro territoriale della teoria marginalista dell’allocazione delle risorse,
la rendita è il prezzo che tiene in equilibrio la
domanda e l’offerta di suolo e realizza la migliore allocazione territoriale
delle risorse per l’intera collettività.
La rendita
sarebbe pertanto strettamente ancorata ai processi di
ottimizzazione:
·
della
localizzazione delle singole attività produttive e residenziali;
·
della
allocazione delle risorse territoriali fra usi alternativi;
minimizzazione
Visto
invece sotto l’aspetto macro economico e macro territoriale, la rendita appare come una quota distributiva del reddito (nazionale o urbano) che
va ad una specifica classe sociale, la classe dei proprietari terrieri.
Il
suolo rurale ha la
caratteristica di essere una risorsa originaria, non creata dall’uomo e
pertanto scarsa o difficilmente espandibile, soggetta pertanto ad una
potenziale utilizzazione monopolistica.
Il
suolo urbano, essendo invece il
prodotto degli investimenti infrastrutturali ed
essendo sede di agglomerazione di attività, non è da considerarsi un fattore
originario. Nel breve periodo tuttavia, essendo anch’esso non largamente
espandibile, deve essere considerato scarso.
Sia il
suolo urbano che quello rurale hanno un ruolo nella produzione sociale
che deriva:
a - per
il suolo urbano:
dai
processi generali di urbanizzazione della popolazione e delle attività, dalla
prossimità di infrastrutture di trasporto, di un “centro urbano”;
b - per
il suolo agricolo:
dalla presenza di condizioni di fertilità.
Per i marginalisti la remunerazione della terra non ha la
funzione di stimolare l’offerta aggregata complessiva, ma solo
quella di ottimizzare l’allocazione delle risorse e di generare una quota
distributiva.
Per le
altre scuole economiche (keynesiane in particolare)
la rendita è invece un “reddito non guadagnato” che viene sottratto alle
altre attività e pertanto è considerata come fonte di inefficienza
economica e di ingiustizia sociale.
CONDIZIONI ECONOMICHE PER LA FORMAZIONE DI
UNA RENDITA
(IN GENERALE)
Le varie
dottrine economiche hanno diversamente spiegato la formazione e le forme che la
rendita ha assunto.
LA SCUOLA MARGINALISTA
Secondo la
teoria micro economica neo
classica, le condizioni economiche per la formazione di una rendita
sono due ed esse sono rappresentate:
a – da una
curva di offerta tendenzialmente verticale, rigida (curva S’T* della fig.a) o
comunque anelastica (curva aS’ della fig.b);
b – una
curva di domanda che esprima la disponibilità a pagare un prezzo superiore
al costo di produzione del bene
prodotto.
La prima
condizione esprime l’effetto scarsità.
Nessuno è disposto a pagare un bene naturale se questo è abbondante e presente
in quantità superiore alla domanda. Allorchè la
domanda cresce, passando da D-D a D’-D’ (curva fig.a) e
l’offerta non è espandibile, il fornitore della risorsa scarsa ottiene una
rendita unitaria pari alla differenza tra il prezzo spuntato sul mercato ed il costo di produzione del bene venduto
(p* - c: area grigia della figura a). La
situazione di curva di offerta verticale (retta S – S’) è propria di alcuni casi particolari ed in
economia urbana rappresenta una situazione di breve-medio periodo in cui l’offerta
di terreno urbanizzato deve essere considerata costante.
La seconda
condizione esprime l’esistenza di una domanda
solvibile e sfruttabile da parte del fornitore.
A parità di
condizioni, la rendita sarà tanto maggiore quanto minori sono le
possibilità di sostituire il fattore scarso con fattori alternativi a buon
mercato e quanto maggiore è la necessità che l’acquirente ha di poter disporre
del fattore in esame.
|
Fig. a: Domanda e offerta di terra e
rendita fondiaria. Offerta rigida di breve periodo.
Nel lungo
periodo in genere l’offerta diviene inclinata positivamente (curva S – S’) per effetto di possibili espansioni
dell’offerta con nuove urbanizzazioni realizzate a costi crescenti (fig.
b).
|
Fig. b: Domanda e offerta di terra e
rendita fondiaria. Offerta anelastica di lungo
periodo.
La
formazione di una rendita del suolo scaturisce dunque:
a
– dalla presenza di una domanda e di una offerta che devono essere presenti
insieme;
b
– da una situazione di monopolio;
Tali
condizioni esistono in ambito urbano dato che siamo in presenza di scarsità di
terreni centrali ed accessibili, di una massa di terreni urbanizzati non
espandibile nel breve periodo e di una domanda interessata.
Il prezzo per
l’uso della terra e la rendita aumentano se aumenta la domanda di terra (nelle
figure, passando dalla curva di domanda D’- D’
a D’’ – D’’).
Nel caso
della fig.a (breve periodo), la rendita complessiva
aumenta dall’area grigia all’area “c-s-s’-p**”.
Nel caso
della fig. b (lungo periodo), la rendita coincide col “surplus del produttore”
e aumenta da a-b-p* a a-d-p**.
La fig. c
rappresenta invece il caso particolare in cui nel breve periodo siano possibili
due utilizzazioni alternative della stessa terra urbana, ad esempio
per residenza e per localizzazioni commerciali.
|
Fig. c: Domanda e offerta di terra e rendita
fondiaria. Due utilizzazioni alternative della terra.
Data la
quantità totale di terra disponibile O – O’ della fig. c, suddivisa in usi residenziali (asse
delle ordinate di sinistra Tr) ed in usi
commerciali (asse delle ordinate di destra Tc), nonchè le due rispettive curve di domanda DTr e DTc,
·
il
prezzo si stabilirebbe al livello p*;
·
e le
relative quantità allocate ai due usi sarebbero O – T* e T*- O’.
Se
aumentasse la domanda di terra per usi residenziali a D’ Tr avremmo:
un
aumento sia del prezzo a p** che della rendita anche nei terreni per
usi commerciali pur in assenza di ulteriore domanda; ciò a seguito della rigidità dell’offerta
complessiva di terra disponibile.
LA SCUOLA CLASSICA
Per
la scuola economica classica (Smith, Ricardo) , la domanda
di terra è una domanda
derivata dalla
domanda dei suoi prodotti ed il prezzo che pertanto si è
disposti a pagare per la terra deriva
dal prezzo di questi stessi prodotti.
Il
prezzo finale dei prodotti risulta a sua volta determinato dalla cosiddetta
legge della “domanda e dell’offerta”.
Ne deriva che il livello della rendita segue le dinamiche della
domanda: ad esempio aumenta all’aumentare della domanda e dunque del prezzo del prodotto finale.
La rendita non entra pertanto nel costo di produzione di una merce, ma deriva dal prezzo della merce
stessa. La rendita è pertanto considerata come un fenomeno legato alla
distribuzione del reddito piuttosto che alla sua produzione.
Una
volta definiti prezzo e quantità utilizzata della terra, è
possibile, sulla base del modello classico ricardiano,
analizzare la distribuzione del reddito prodotto fra le tre grandi classi
sociali e le tre grandi categorie di reddito: salari, profitti e rendite.
Il
prodotto complessivo è definito dalla curva di prodotto marginale fisico del
lavoro applicato alla terra, rappresentato da una curva inclinata negativamente
per effetto della legge dei rendimenti decrescenti.
·
Nel
caso della rendita intensiva, per effetto del rendimento
decrescente di dosi successive di lavoro e capitale applicate alla stessa
quantità di terra,
·
nel
caso della rendita estensiva, ottenuta aumentando l’impiego di
terra, per effetto della scarsità di terre fertili.
|
Fig. 6.2: Distribuzione del
reddito nel modello ricardiano di rendita
differenziale estensiva.
In
quest’ultimo caso, ordinando le terre in senso decrescente
di fertilità e ipotizzando un rapporto lavoro/terra costante, una volta definita esogeneamente la domanda di terra T*T’ sulla base della domanda ad esempio di “grano” e data la
curva di prodotto marginale
PmgL (fig 6.2) la distribuzione del reddito
avverrà nel modo seguente:
a
– la porzione di terra marginale, l’ultima messa a coltura in
corrispondenza di T*, non otterrà alcuna rendita per effetto della competizione
fra i possessori di terre ultra-marginali; le terre infra-marginali
otterranno invece una remunerazione pari alla differenza fra il loro prodotto
ed il prodotto della terra marginale (complessivamente rappresentata dall’area rbs);
b
– i lavoratori otterranno un salario di “sussistenza” pari a Ow e dunque una massa salariale totale rappresentata
dall’area OwaT*;
c
– il saggio medio di profitto (ciò che resta del prodotto della terra marginale
dopo aver pagato i salari) è pari a sw ed i profitti complessivi sono rappresentati dall’area swba.
Qualora
per effetto “dello sviluppo complessivo della società” e dunque dell’aumento
della domanda di lavoro e di grano (inteso come bene salario), si mettessero a
coltura ulteriori terre, sempre meno fertili, la terra marginale T** diverrebbe ora il nuovo termine di paragone, ossia la terra senza
rendita alla cui produttività si riferiscono le terre infra
marginali.
Tutte
le terre in precedenza utilizzate vedrebbero in conseguenza aumentate la loro
rendita e l’area della rendita totale si allargherebbe all’area rcw.
Il
lavoro otterrebbe lo stesso salario unitario e allargherebbe la massa
salariale all’area OwcT** per
effetto dell’aumento dell’occupazione sulle nuove terre messe a coltura.
I profitti tenderebbero a cadere e, al limite, a scomparire.
In
particolare il modello ricardiano:
a
– evidenzia il carattere differenziale della rendita
stessa, dato che essa si forma per effetto della differenza di produttività
delle terre messe a coltura ovvero come differenza rispetto ai costi di
produzione delle terre meno fertili e marginali. Per Ricardo se tutte le terre
fossero ugualmente fertili, non vi sarebbe alcuna rendita,
b
- introduce un metodo di ricerca delle condizioni di equilibrio sulla base di
concetti “marginalisti”;
c
– mostra come il regime di proprietà dei suoli non abbia alcuna influenza sull’apparizione della
rendita, ma autorizzi semplicemente l’appropriazione della stessa da
parte del proprietario terriero;
d
– una volta definiti i saggi di profitto e di salario sulla
produzione della terra marginale (T* oppure T**), la rendita assume un carattere “residuale” di
appropriazione del surplus prodotto dalle terre più fertili;
e
– l’interesse del proprietario terriero è sempre opposto all’interesse di ogni
altra classe della comunità.
Le
osservazioni di cui alle lettere a) e b) saranno ripresi dalla scuola
neoclassica , in particolare da Walras, che elaborerà
una teoria della produttività marginale della terra ed una teoria della rendita
come remunerazione di tale
produttività.
Le
osservazioni di cui alle lettere c) e d) saranno invece sviluppate dalla scuola
di tradizione marxista.
LE DETERMINANTI GENETICHE DELLA RENDITA
FONDIARIA
1 - FERTILITA’ E POSIZIONE
Si
tratta ora di esaminare le
fonti e le determinazioni della rendita fondiaria, ovvero di individuare le ragioni per le
quali si forma una domanda di terra pronta a pagare, per il suo uso, un
prezzo superiore a quello di pura produzione.
Nel
costo di produzione viene compreso anche gli interessi sul capitale
impiegato originariamente per rendere la terra fertile ed il suolo urbano
utilizzabile a scopi residenziali o produttivi.
A
partire da Adam Smith, le fonti riconosciute della
rendita fondiaria sono due, ossia:
·
la
fertilità della terra;
·
la
posizione, ovvero la sua localizzazione in rapporto ai mercati.
Von
Thünen introduce anche il concetto di rendita legata
alla domanda di localizzazione delle attivita’
economiche.
Attratte
tutte da una localizzazione più prossima al centro urbano ove è collocato il
mercato di tutti i prodotti (al fine di limitare il costo di trasporto), le
diverse attività agricole sono costrette ad ordinarsi a distanze sempre più
crescenti dal centro a seguito del meccanismo della competizione per il suolo più accessibile.
Esse
pertanto sono disposte a pagare, per avere il diritto di installarsi sulle
diverse porzioni di territorio, una rendita massima data dalla differenza
fra il prezzo dei prodotti e l’insieme dei costi di produzione e di trasporto.
La produzione che sarà in grado di pagare di più per ciascun terreno, ne
otterrà la disponibilità.
La rendita si configura pertanto come un trasferimento di reddito
dal produttore al proprietario terriero pari, per ogni unità di territorio, al
risparmio che la specifica accessibilità consente sui costi di trasporto
rispetto al terreno più distante messo a coltura.
Secondo
questa teoria la localizzazione delle
diverse produzioni e la rendita effettiva vengono definite contemporaneamente
in un processo che presenta una quadruplice natura di ottimalità:
1
– ottimalità nella localizzazione della attività
(i terreni più accessibili sono allocati alle produzioni che possono pagare la
rendita maggiore);
2
– ottimalità per i proprietari della terra che
massimizzano la rendita complessivamente ottenuta;
3
– ottimalità sociale in quanto è massimizzato il
valore del prodotto ottenuto dalla terra disponibile, al netto dei costi di
trasporto;
4
– ottimalità sociale in quanto è minimizzato il
costo di trasporto complessivo pagato dalle diverse attività.
Le
ultime tre osservazioni vengono illustrate dal grafico seguente in cui
si suppongono tre terreni a), b), c) che producono culture diverse ma con lo
stesso costo di produzione unitario per unità di suolo, comprensivo di un margine di profitto
“normale” che denominiamo (C).
Ricordando
che
RICAVI – COSTI = PROFITTI + RENDITE
Se
indichiamo con:
X la produzione per unità di suolo
td il costo di trasporto unitario alla distanza d
con le
semplificazioni introdotte, indicando
v = Ricavi = P . X
in cui P è il prezzo unitario per unità
di suolo
c = Costi + profitto = C . X
r = Rendite
td.X
= costi di trasporto
i
ricavi, al netto del costo del trasporto (y)
saranno dati da:
y = P.X - td.X = r + C.X
Le figura seguente (6.3)
rappresenta le curve del prodotto lordo
e dei costi di trasporto del modello di von Thünen.
Fig. 6.3:Prodotto lordo e costi
di trasporto in un modello di von Thünen,
in ipotesi di omogeneità dei costi unitari
Da esse emerge che la terra viene allocata alle colture che offrono la
rendita maggiore (ya) e questa rende
massima, con l’area della rendita totale, l’area del prodotto complessivo,
sottostante alla curva disegnata con tratteggio.
I costi complessivi di trasporto sono
costituiti dall’area Ta + Tb + Tc; essi sono
minimizzati grazie al fatto che le produzioni con i più elevati costi di trasporto
per unità di suolo sono localizzate vicino al centro.
Il modello di Ricardo e quello di von Thünen, pur essendo stati
elaborati in due ambiti culturali differenti, mostrano ampie similitudini nella
loro logica interna:
a
- in entrambi i casi la rendita ha un carattere residuale (ossia
è ciò che rimane dopo aver sottratto al prezzo del prodotto i costi di
produzione e, per von Thünen
anche quelli di trasporto) e differenziale (scaturisce da
una differenza di rendimento o di costo rispetto alle aree marginali, meno
fertili o più distanti);
b
– l’analisi è effettuata in termini marginalisti;
c
– il prezzo del prodotto è esogeno rispetto al modello di distribuzione
del reddito;
d
– vi è separazione tra proprietà del suolo e suo sfruttamento
da parte dell’imprenditore agricolo;
e
– il proprietario della terra si appropria del surplus derivante dai due
elementi genetici (fertilità e posizione);
f
– la rendita su ciascuna porzione di terra si accresce per effetto della
crescita del reddito sociale complessivo che determina un aumento della domanda
del prodotto del suolo e quindi del suo prezzo.
La rendita è pertanto, come sostiene anche Smith “il prezzo più elevato che il conduttore può
permettersi di pagare in una determinata condizione della terra” una
volta detratti dal prezzo di vendita del prodotto tutti i costi di produzione
più un margine di profitto normale.
Nel
caso si produca un solo tipo di bene su tutte le terre, la rendita è quell’elemento che rende uguali tutti i costi di produzione
delle diverse terre ai costi delle terre marginali, quelle che presentano i
costi diretti più elevati o i più elevati costi di trasporto.
Nel
caso si producano prodotti diversi e non omogenei, come è il caso dell’economia
urbana, la diversa fertilità della terra è assimilabile alla diversa
produttività dei terreni più prossimi al centro; in presenza di prezzi e ricavi
differenti dal centro alla periferia, la rendita è quell’elemento
che abbassa tutti i ricavi netti al livello di quelli ottenuti sulle terre
marginali.
Il
modello di von Thünen è
stato tradizionalmente utilizzato nell’ambito dell’economia urbana ed ha dato
origine ad una corrente di pensiero (la new urban economics) che vede nell’accessibilità il principio
genetico fondamentale della città e nel modello lo strumento più adatto per
comprenderne la logica profonda.
2 - ALCUNE CONSIDERAZIONI DI EQUITA’ E DI
BENESSERE SOCIALE
Secondo
Marshall la rendita scaturisce da un “valore di posizione” la cui
parte maggiore è costituita da public value.
Per
la sua formazione la rendita esige come condizione l’esistenza di una domanda,
ovvero di attività che si avvantaggiano dalla prossimità e sono disposte a
pagare (sotto forma di rendita) tutto l’extra profitto ottenibile grazie alla
prossimità stessa.
Essa
è dunque ineliminabile in quanto nasce da un vantaggio oggettivo
ed esiste anche indipendentemente dal regime specifico della proprietà
privata dei suoli.
Quand’anche
il suolo fosse di proprietà pubblica, lo Stato dovrebbe imporre per il
suo uso lo stesso prezzo che sarebbe fissato in regime di proprietà privata al
fine di non determinare una sotto ottimale allocazione di una risorsa
scarsa e strategica come la terra, di realizzare su di essa il
massimo prodotto e di minimizzare il costo complessivo sociale di trasporto.
Una
tradizione di analisi che si è occupata di
comparare sotto diversi aspetti del benessere sociale una
condizione di proprietà privata del suolo (PP) con una condizione di libero accesso (LA) è pervenuta alle seguenti conclusioni:
a
– la condizione di PP dà origine ad un maggiore prodotto
sociale ed è da considerarsi come un sistema istituzionale economicamente
efficiente;
b
– nel caso di PP, il maggiore prodotto è tutto o quasi
appropriato dai proprietari fondiari;
c
– nel caso di LA, coloro che utilizzano la
terra ottengono una remunerazione maggiore;
d
– in condizioni di LA, la terra migliore o meglio localizzata
viene sfruttata in modo più intensivo e da un maggiore numero di produttori,
rispetto al caso di PP. In ambito urbano ciò significa maggiore
congestione delle aree centrali rispetto ad una condizione di PP.
Ciò
è rappresentato nella figura seguente:
-
Fig.6.4: Densità di uso del
suolo urbano in regime di proprietà privata e di libero accesso.
Inoltre
si sostiene che:
e
– in una situazione di LA scompare un criterio oggettivo di attribuzione
della risorsa scarsa in oggetto ai singoli individui. Al criterio del
miglior offerente viene sostituito dalla perfetta casualità ( o dal
principio del primo arrivato).
In
quest’ultima situazione si verrebbe a turbare una
condizione di equità sociale attribuendo un vantaggio a chi casualmente
utilizza la risorsa o al decisore politico che dispone del potere di poter
decidere su a chi attribuire tale risorsa.
La
conclusione è la seguente:
“Il controllo sociale della rendita fondiaria può avvenire non
tanto attraverso la sua negazione di principio, quanto piuttosto attraverso la tassazione.
Non essendo la rendita una componente del costo di produzione, la sua tassazione non incide sul prezzo
dei prodotti e non arreca dunque danno all’economia.
Inoltre, non derivando la rendita da un contributo attivo del
proprietario al processo produttivo, la sua tassazione non nuoce alle
condizioni generali di creazione della ricchezza sociale.”[2]
Il
metodo della tassazione della rendita si rileverebbe ben applicabile anche
nell’ambito della espansione edilizia al
fine di contrastare la rendita “speculativa” pronta a trarre vantaggio dai
processi di urbanizzazione e di reazione di nuove accessibilità e di nuove
rendite di posizione che si risolverebbero in un premio sui terreni già
urbanizzati.
“Esorcizzare con motivazioni ideologiche la rendita significa
in sostanza non comprenderne le ragioni genetiche, ridurre la ricchezza
sociale, introdurre surrettiziamente nuovi soggetti al tavolo della
distribuzione del reddito. Un più corretto obiettivo di politica urbanistica
dovrebbe invece essere quello di rispondere positivamente alla domanda di
“agglomerazione” (facendo comunque pagare l’intero costo sociale della stessa);
creare, anzichè contrastare, nuovi valori di
accessibilità, attraverso la predisposizione di efficienti infrastrutture di
trasporto; e infine far affluire alla collettività una parte del plusvalore che
così si è contribuito a produrre attraverso la tassazione della rendita
fondiaria.”[3]
LA DUPLICE NATURA DELLA RENDITA FONDIARIA
URBANA
Si
ricorda che la rendita si forma in presenza di due condizioni fondamentali:
La
teoria marxista individua una duplice natura della rendita fondiaria:
a
– una natura differenziale, che nasce a livello micro territoriale
dalla differenza nella qualità delle diverse terre;
b
– una natura assoluta che si manifesta a livello macro
territoriale e aggregato nella formazione di una rendita uniforme su tutte
le terre, al di là del livello della rendita differenziale di ogni unità
territoriale.
“La presenza di un di tipo di rendita, al di là della
rendita differenziale è congetturabile sulla base di tre riflessioni
teorico—empiriche:
a) sembra irrealistico pensare che sulla terra
“marginale”, la meno fertile o la più distante dal centro, il proprietario
consenta una utilizzazione economica, portatrice di profitti (anche se non di
extra-profitti), senza richiedere alcun tipo di rendita (è il tipo di
riflessione effettuato da Marx);
b) se tutte le terre fossero di uguale qualità
(uguale fertilità e perfetta accessibilità) ma fossero insufficienti rispetto
alla domanda, secondo il modello ricardiano-thuneniano
non sorgerebbe alcuna rendita, mentre sappiamo che dal modello generale domanda
di fig a, una rendita sorge abbondantemente;
c) esiste una chiara evidenza empirica che la rendita
sulla terra urbana marginale, posta ai confini dell’area urbanizzata non è
uguale al costo di opportunità della terra, cioè alla rendita agricola, ma è
maggiore.
E dunque lecito e anzi necessario ipotizzare una
seconda fattispecie di rendita, che sorge per una generale scarsità aggregata
della terra, urbana o rurale, in riferimento a una domanda aggregata “di città”
o di campagna.” [4]
Entro
i due casi è inoltre possibile effettuare una ulteriore distinzione (vedi Fig. 6.5).
Principi e livelli di analisi |
||
|
Principio di accessibilità |
Principio di agglomerazione |
Ottica prevalente |
Livello micro territoriale |
Livello macro territoriale |
Prevale un effetto di offerta |
A1 Rendita differenziale Rendita di posizione o di “situazione” (in agricoltura: rendita di fertilità differenziale) |
B1 Rendita assoluta di scarsità Offerta ridotta per ragioni economiche o di “classe” (in agricoltura: idem, lobbyng
agricolo) |
Prevale un effetto di domanda |
A2 Rendita di monopolio Accessibilità speciali: ad esempio , militari (in agricoltura: terreni speciali per vini pregiati) |
B2 Rendita assoluta di agglomerazione. Domanda di “città” e di economie di agglomerazione (non esiste in agricoltura) |
Fig. 6.5: Tipologia della rendita
fondiaria urbana
Livello micro territoriale:
A1
– una rendita differenziale propriamente detta, allorchè
le singole porzioni di territorio si offrono con diversi vantaggi di
posizione (prevale l’offerta),
A2
– una rendita di monopolio allorchè alcune
porzioni di territorio possono produrre un vantaggio assolutamente specifico,
fatto oggetto di domanda speciale (prevale la domanda).
Livello macro
territoriale:
B1
– una rendita assoluta di scarsità quando per l’aggregato delle
terre urbane si presentano situazioni di limitazione dell’offerta;
B2
– una rendita assoluta di agglomerazione allorchè
l’aggregato delle terre urbane è fatto oggetto di una domanda
mossa dall’obiettivo di fruire di economie di agglomerazione.
A1 - LA RENDITA DIFFERENZIALE URBANA
Essa
consegue al fatto che a livello micro territoriale
prevale una offerta di terre che presentano caratteristiche differenti
di posizione.
La
rendita differenziale urbana nasce dalla capacità di un luogo di produrre
extra profitti, grazie alla sua accessibilità generalizzata ai mercati,
una accessibilità che riduce i costi di trasporto e comunicazione per
l’impresa.
Il
prezzo di mercato è definito sulla base dei costi di produzione del
terreno marginale, il più svantaggiato, sicchè le
produzioni ottenute sui terreni infra marginali si
trovano a godere di un vantaggio differenziale.
L’extra
profitto di posizione ottenuto dall’imprenditore, si trasferisce al
proprietario della terra e questo tipo di rendita prescinde
completamente dall’esistenza della proprietà fondiaria, dato che essa
non crea la parte di valore che si trasforma in plusprofitto.
Per
Marshall le fonti di questa rendita sono da individuare:
a)
nella fertilità differenziale
b)
dalle differenze di posizione
c)
dai diversi costi di trasporto
d)
dalla prossimità ad un mercato del lavoro specifico per l’impresa
e) dalle economie
esterne che derivano dal progresso generale della società e dell’ambiente
industriale
f)
dalla presenza di uno stock di capitale fisso incorporato nel suolo.
Tutti
questi elementi condurrebbero, secondo Marshall, alla creazione di una rendita di situazione, all’interno della quale non distingue l’elemento differenziale micro territoriale da quello macro territoriale.
A2 - LA RENDITA DI MONOPOLIO
Essa
nasce dalla possibilità di sfruttamento da parte di una domanda che
trova in talune porzioni di terra dei vantaggi specifici e particolari (
esempio: un vigneto che consente di produrre un vino particolare ad elevata
domanda).
Il
proprietario fondiario si approprierebbe così di parte del profitto del
produttore monopolistico (nell’esempio, di vino).
Il
livello della rendita sarebbe determinato dal livello del prezzo del
prodotto ( quanto più quest’ultimo è elevato e
maggiore è la possibilità di estorcere una rendita elevata).
Questa
posizione di monopolio può anche essere generata creando una situazione di restrizione
dell’offerta.
Si
supponga che una terra (OQ della figura 6.6) possa avere un uso
particolare, individuato da una curva di domanda DD’ ed un uso banale da cui si possa
trarre una rendita normale PP.
In
presenza di una situazione di proprietà diffusa, la quantità
offerta per l’uso particolare si stabilirebbe al livello QQ’ ed il prezzo al livello P, esattamente uguale al prezzo ottenuto per l’uso banale
che si svolgerebbe sulla terra Q’Q.
In
presenza invece di un unico proprietario che agisce monopolisticamente, questo si troverebbe a massimizzare
il profitto, eguagliando il ricavo marginale DR ottenuto sull’uso particolare, al costo marginale, dato
dal costo di opportunità PP.
La
terra offerta per l’uso particolare sarebbe ristretta a QQ’’ ed otterrebbe un prezzo
P’’ con una rendita di monopolio pari a P’’P, mentre
la terra allocata all’uso banale sarebbe Q’’Q al prezzo P’’.
Fig. 6.6: Rendita di monopolio su
una terra con due usi alternativi.
B – LA RENDITA ASSOLUTA
Il
concetto di rendita assoluta nasce dall’opera di MARX[5].
Per
Marx la rendita fondiaria è la forma più antica in cui si presenta il plusvalore.
Forma
di sovrappiù dominante nelle economie pre capitalistiche, essa è invece
subordinata al profitto nella economia capitalistica ed è
determinata dalla legge dell’eguaglianza dei saggi di profitto
conseguibili o su terre di diversa fertilità (rendita differenziale
di tipo estensivo) o su uguali investimenti di capitale su uno stesso
terreno (rendita differenziale di tipo intensivo).
La rendita assoluta sarebbe invece da attribuire agli ostacoli che
la proprietà della terra opporrebbe alla concorrenza capitalistica.
CONTRADDIZIONI RILEVATE
“Dobbiamo dire che, se l’intuizione iniziale era giusta, la
successiva giustificazione teorica della rendita assoluta di Marx non sembra nè convincente nè scevra da
contraddizioni.”[6]
1
– Marx nega che il prezzo dei beni agricoli produttivi possa essere considerato
come un “prezzo di monopolio nel senso comune della parola o un prezzo in cui
la rendita entra come una imposta”, conclusione che invece è seguita dalla migliore
teoria neo marxista moderna.
2 –
Nella sua dimostrazione Marx afferma che l’appropriazione del plusvalore da
parte del proprietario terriero può avvenire solo se il prezzo di mercato
sale sopra il prezzo di produzione. Questo meccanismo non e’ spiegato
visto che Marx fonda il suo ragionamento sulla rendita assoluta sul fatto che
esista un “valore” dei prodotti superiore al prezzo di mercato.
3 –
Il fatto che Marx neghi un intervento monopolistico per spiegare
la crescita del prezzo di mercato dei beni agricoli e l’affermazione che “il
fatto che il terreno peggiore deve fruire di una rendita affinchè
la sua coltivazione sia possibile sarebbe la causa di un aumento dei prezzi del
grano” genera una doppia contraddizione:
a –
sarebbe in contrasto con la teoria dei prezzi in quanto Marx non considera
mai la rendita (quale? per Marx questo vale solo per la rendita
differenziale ma non per la rendita assoluta!) un costo di produzione;
b – perchè ribalta uno dei fondamenti della teoria
classica per cui la rendita è un fenomeno solo distributivo
che deriva e non determina l’alto prezzo.
4 –
L’affermazione di Marx per cui “se la composizione organica del capitale
agricolo fosse uguale o superiore a quella del capitale sociale medio, la
rendita assoluta scomparirebbe” è un vero e proprio autogoal
dato che implicherebbe la scomparsa di una categoria analitica rilevante!
Tuttavia
rimane la necessità di fornire spiegazioni circa il fatto che il prezzo dei
prodotti delle attività urbane può spingersi a un livello tale da consentire il
sorgere di una rendita che va al di là del livello della semplice rendita
differenziale e che di questo margine, uguale su tutto il suolo urbano,
si appropriano i proprietari dei suoli.
Cause
possibili sono:
a – una restrizione dell’offerta di suolo
operata da una classe di proprietari in
modo da prelevare un tributo sulle altre classi,
b – da una scarsità assoluta di terre
urbanizzate.
Il
concetto di scarsità è ripreso da SRAFFA il quale afferma l’esistenza
di due forme di rendita:
·
quella
differenziale connessa all’esistenza di qualità del suolo differenti che danno
luogo a differenti metodi di produzione;
·
quella assoluta
imputabile alla scarsità di terra che viene chiamata rendita assoluta da scarsità.
SCOTT propone a sua volta un modello di economia spazializzata in cui coesistono e si sommano:
·
una rendita da
scarsità;
·
una rendita da
posizione alla von Thünen;
c –
altre spiegazioni, fondate sul prevalere del potere dell’offerta, sono
state fornite recentemente da:
·
HARVEY: la rendita assoluta dipende dal fatto che i
proprietari di terreni urbani sottraggono le terre al fine di speculare su un
futuro aumento dei prezzi delle aree. Il prezzo minimo richiesto oggi dai
proprietari terrieri rappresenterebbe dunque il prezzo atteso
capitalizzando così un aumento della rendita;
·
EVANS: la rendita assoluta discende dal livello dei costi
di transizione cui incorre il proprietario terriero nella ricerca di un
acquirente;
·
LIPIEZ: la rendita assoluta scaturisce dalla bassa
composizione organica del capitale in edilizia e dalla appropriazione da
parte del costruttore della differenza fra valore e prezzo di
produzione dell’edificio. Qui prevale l’interesse del costruttore su
quello del proprietario;
d –
Altri economisti invece non fanno derivare la scarsità di terra urbana dalla
restrizione dell’offerta, bensì dall’aumento della domanda.
Una
domanda non di accessibilità micro territoriale,
rivolta alle singole porzioni (centrali o a maggiore accessibilità urbana) di
territorio urbano, ma una domanda complessiva di localizzazioni
urbane, una domanda di economie di agglomerazione.
Le economie
di agglomerazione ed i rendimenti crescenti di scala urbana, che
costituiscono le ragioni di fondo per cui esistono le città, generano
una domanda di suolo urbano generico che è disposta a pagare un prezzo
superiore a quello del suolo agricolo anche sui suoli marginali, al
confine estremo della città.
I
vantaggi di utilità delle persone ed i vantaggi di produttività delle attività economiche
vengono appropriati dal fattore produttivo immobile e scarso, ossia la terra urbana.
Ci si
trova pertanto di fronte ad un processo di natura distributiva e non produttiva
che genera un “reddito non guadagnato” solo per il fatto che gli appezzamenti
di terreno si trovano attorno ad una città.
VERSO UNA TEORIZZAZIONE DINAMICA
“A proposito della rendita urbana, due sono gli
ambiti in cui un approccio dinamico sembra essenziale: nello studio delle relazioni
fra rendita e profitto e nello studio dell’impatto urbano dell’innovazione.”[7]
Il
problema della variabile temporale nella formazione della rendita e
nell’impatto urbano dell’innovazione impone un approccio di tipo dinamico.
In un
mercato tendenzialmente perfetto del suolo urbano, in cui operano
capitalisti e operatori immobiliari attenti, la nascita della rendita
può precedere l’estrazione di un extra profitto, qualora tale extra
profitto venga previsto e sia capitalizzato come rendita futura attesa
nel valore del suolo urbano.
La
molla dello sviluppo urbano risiederebbe in questo caso solo nel livello
differenziale del profitto atteso dagli imprenditori rispetto a quello
atteso dagli operatori immobiliari.
L’altro
elemento che costituisce il motore dell’economia e della città è rappresentato dall’innovazione, intesa come una variazione delle tecnologie nei
mercati e nei prodotti, e, nello specifico urbano, nelle attività presenti
nella città.
Il
riferimento è a SCHUMPETER che individua nell’innovazione l’unico elemento
capace di far sorgere un profitto, inteso come remunerazione dell’imprenditore
che va al di là del semplice interesse connesso al capitale investito.
Il
proprietario del suolo urbano è in grado di appropriarsi, grazie ai vantaggi di
“accessibilità” o di “situazione” o di “agglomerazione” che il suo terreno
garantisce, anche dei vantaggi “dell’atmosfera urbana” generatrice di
innovazioni e profitti schumpeteriani.
Queste
affermazioni sono rappresentate in un modello di tipo “ricardiano
– schumpeteriano” della rendita urbana a carattere
quasi dinamico.
|
Fig. 6.8: Un modello ricardiano – schumpeteriano di
rendita fondiaria urbana.
Si ipotizza una città monocentrica con terreni
disposti a distanza crescente dal centro, dotati di decrescente “fertilità” o
“redditività” (curva PMg1) ed un rapporto costante terra/lavoro.
In
presenza di una curva dei salari crescente con la dimensione urbana (WW),
in una situazione di equilibrio di lungo periodo (E°)
la dimensione della città sarebbe D° ed il prodotto sarebbe
distribuito fra rendite (area acE°)
e salari (OaE°D°), con profitti pari a zero.
Qualora
nell’area urbana si desse luogo ad una esplosione innovativa, la curva
di prodotto marginale crescerebbe a PMg2.
Ciò
darebbe luogo nel breve periodo, ovvero in un arco di tempo in cui non
si può procedere a nuove urbanizzazioni, ad un nuovo equilibrio (E’)
ed a un profitto pari all’area adE’E°
( con salari invariati e rendita pari a deE’).
La
successiva espansione o attrazione di nuove attività, con la presenza di profitti,
genererebbe una crescita della città alla dimensione D’’ ed una nuova
caduta dei profitti a zero
per effetto dei processi imitativi sulle
innovazioni e di competizione sul mercato dei prodotti a tutto vantaggio dei salari e delle rendite.
Questo
modello appare dotato di capacità esplicative sintetiche di diverse teorie per
cui la sua bontà sta nel metterle in accordo quasi tutte: il modello ricardiano, quello thuneniano,
quello neoclassico della domanda, quello schumpeteriano,
quello classico marxiano della caduta tendenziale del saggio di profitto,
quello biologico –ecologico.
NOTE
[1] Roberto Camagni, Principi di economia urbana e territoriale, Carocci editore.
[2] Ibidem.1, pag. 199.
[3] Ibidem.1, pag. 200.
[4] Ibidem.1, pag. 201.
[5] Scrive Marx:
“Il fatto che l’affittuario potrebbe valorizzare il suo
capitale al profitto usuale, se non paga alcuna rendita, non rappresenta un
motivo per il proprietario fondiario di prestare senza contropartita il suo
terreno all’affittuario e di essere così filantropo da garantire a quest’ultimo, per amicizia, il credit gratuit.
Presume ciò significa astrarre dalla proprietà fondiaria, annullare la
proprietà fondiaria, la cui esistenza costituisce precisamente un limite per
l’investimento di capitale e per la sua libera valorizzazione della terra, un
limite che non scompare minimamente di
fronte alla semplice considerazione dell’affittuario che il livello del prezzo
del grano gli permetterebbe, qualora egli non pagasse una rendita, ossia
qualora egli potesse comportarsi di fatto come se la proprietà fondiaria non
esistesse, di ottenere dal suo capitale il profitto usuale sfruttando il
terreno meno fertile.
Ma la rendita differenziale ha come premessa il monopolio
della proprietà fondiaria, la proprietà fondiaria come limite del capitale, poichè, senza di essa, il plusprofitto
non sarebbe convertito in rendita fondiaria e non cadrebbe nelle mani del
proprietario fondiario invece che in quelle del dell’affittuario.
La proprietà fondiaria agisce da barriera anche là
dove la rendita fondiaria non esiste in quanto rendita differenziale, cioè nel
terreno meno fertile.
Se osserviamo i casi in cui in un paese a produzione
capitalistica possono aver luogo investimenti di capitale nella terra senza
pagamento di rendita, troviamo che essi implicano l’abolizione della proprietà
fondiaria, di fatto anche se non legalmente, un’abolizione che si può
verificare solamente in circostanze ben determinate e per loro natura casuali.”
(Marx, Il capitale – libro III – cap
45° - pag. 858 edizione Editori riuniti)
E
ancora:
“la pura e semplice proprietà giuridica della
terra non crea una rendita fondiaria al proprietario. Ma gli dà il potere
di non sottoporre a sfruttamento il suo terreno, finchè
le condizioni economiche non gli permettono una valorizzazione di esso, che gli
dia una eccedenza sia nel caso che la terra
venga usata per l’agricoltura vera e propria, sia per altri scopi
produttivi, come costruzioni, ecc..”.
(Marx – il capitale – libro III – cap 45° ; pag 865).
L’ipotesi principale dalla quale dipende la rendita assoluta
è quella dell’arretratezza tecnica dell’agricoltura rispetto all’industria
(ipotesi che Marx non giudica vera in assoluto ma valida solo in
determinati periodi storici).
L’ipotesi si concreta nel fatto che l’agricoltura
avrebbe (in termini di valore) una composizione organica del capitale (rapporto
tra capitale costante Cc e capitale
variabile Cv) piu’ bassa di quella della
media dei settori industriali, ovvero più elevati rapporti tra gli impieghi di
lavoro (lavoro vivo) e di mezzi di produzione (lavoro morto):
composizione
organica del capitale =
in cui nell’agricoltura Cv è
maggiore di quello investito nell’industria
Poichè solo il lavoro vivo è
fonte di nuovo valore, si ha che il rapporto tra il plusvalore Pv (il plusvalore, in termini di valore, costituisce l’eccedenza
del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei
mezzi di produzione e della forza lavoro) ed il capitale complessivo anticipato è maggiore
nell’agricoltura che nell’industria.
Quando una tale disparità si manifesta tra settori
industriali, il plusvalore viene redistribuito
dalla concorrenza in proporzione alle quote di capitale anticipato dai
capitalisti finchè il saggio di profitto non si
uniforma.
Tale redistribuzione è impedita
tra l’agricoltura e l’industria dalla proprietà fondiaria che, godendo di
una posizione di monopolio, può trattenere una parte di tale plusvalore.
“ La proprietà fondiaria è qui la barriera che
non permette nessun nuovo investimento di capitale sul terreno finora non
coltivato o non affidato, senza prelevare una tassa, in altre parole
senza pretendere una rendita, quantunque la terra messa a coltura sia di
un tipo che non frutta alcuna rendita differenziale e che, se non
esistesse la proprietà fondiaria, avrebbe già potuto essere coltivato con un aumento
minimo del prezzo di mercato, di modo che il prezzo di mercato
regolatore avrebbe pagato al coltivatore
di questo terreno peggiore soltanto il suo prezzo di produzione. Ma in
conseguenza del limite posto dalla proprietà fondiaria, il prezzo di mercato
deve accrescersi fino a un punto in
cui la terra puo’ pagare una eccedenza sul prezzo di
produzione, ossia una rendita.”
(Marx – Il capitale – libro III – cap 45 )
La rendita assoluta è pertanto la differenza tra
il valore individuale del prodotto di un dato tipo di terreno (valore del
capitale costante + il valore del
capitale variabile + il plusvalore globale) ed il prezzo di produzione (quest’ultimo calcolato come valore del capitale costante + il valore del capitale variabile +
una parte del plusvalore globale in proporzione al capitale anticipato dai
capitalisti, pari allo stesso saggio di profitto prevalente nei settori
industriali).
Poichè anche la terra meno fertile tra quelle in uso genera una rendita assoluta, per Marx, essa, contrariamente alla rendita differenziale, entra nel prezzo di mercato dei prodotti della terra.
[6] Roberto Camagni, Principi di economia urbana e territoriale, Carocci editore Pag. 206.
[7] Ibidem pag.215.