INTRODUZIONE ALLA RENDITA FONDIARIA
E ALLA GENESI DEL VALORE IMMOBILIARE

Ezio Micelli

Da un punto di vista economico, i beni immobili - le case, i centri commerciali, i complessi direzionali, etc. - sono oggetto di mercati particolari. Uno degli aspetti peculiari che distingue il mercato dei beni immobili riguarda il meccanismo di formazione del prezzo al quale essi vengono scambiati. La peculiarità della genesi del valore dei beni immobili si spiega in ragione di elementi che differenziano tali beni rispetto ad altri beni economici in modo strutturale e non contingente.

A ben guardare, infatti, i beni immobili si compongono di due parti distinte. La prima riguarda il manufatto edilizio in quanto esito di un processo di produzione più o meno assimilabile ad un processo industriale. La seconda è costituita da una risorsa - il suolo - che presenta la duplice caratteristica di disomogenità e di limitatezza. Il suolo è disomogeneo in quanto, a rigore, non vi è una porzione di suolo perfettamente identica ad un'altra. Il suolo è limitato in quanto le terre disponibili all'edificazione (o alla coltivazione) sono fisicamente limitate.

Il processo di formazione del valore di qualsiasi bene immobile risente delle particolarità del bene suolo che in esso è incorporato e non può essere quindi essere ricondotto entro la logica del mercato perfettamente concorrenziale.

Da queste constatazioni prende le mosse il ragionamento sviluppato nelle pagine che seguono. La nota è divisa in due parti. La prima parte mette a confronto la formazione del prezzo nel mercato di concorrenza perfetta e nel mercato immobiliare; la seconda parte approfondisce gli aspetti specifici della genesi del valore nel mercato dei suoli con riferimento ai fondamentali contributi dell'economia classica.

1. La rendita nella teoria economica

La specificità del mercato immobiliare può essere analizzata alla luce delle categorie della teoria economica.

Il primo paragrafo confronta le caratteristiche del mercato di concorrenza perfetta con le caratteristiche del mercato immobiliare. Il secondo e il terzo paragrafo sviluppano le implicazioni del primo attraverso la messa a punto di modelli che consentono di approfondire le specificità del mercato immobiliare sul fronte dell’offerta. Il quarto paragrafo, infine, affronta le condizioni di formazione della rendita sul versante della domanda.

1.1. Un confronto fra mercato immobiliare e mercato di concorrenza perfetta

L’elemento che distingue il mercato di concorrenza perfetta rispetto ad altre forme di mercato risiede nel fatto che in esso ciascuna impresa assume che il prezzo sia indipendente dalla quantità prodotta. In altri termini, l’impresa che opera in un mercato perfettamente concorrenziale “subisce” il prezzo di mercato e lo assume come vincolo.

Perché ciò avvenga alcune importanti condizioni devono verificarsi simultaneamente. In primo luogo, le quantità offerte e domandate devono essere tali per cui nessun operatore deve essere in grado di influenzare il prezzo della merce. Inoltre, il mercato deve essere aperto a tutti coloro che intendono produrre o acquistare il bene scambiato. Ciò comporta che il mercato non deve presentare alcun ostacolo di tipo economico, tecnico o amministrativo a chi desideri operarvi. Infine, il bene scambiato deve essere omogeneo.

Nel mercato immobiliare, almeno di norma, opera una pluralità di agenti economici, nessuno dei quali è in grado di influenzare il prezzo dei beni scambiati. Il mercato della casa e quello dei suoli si presentano generalmente frazionati in una molteplicità di operatori e nella maggior parte dei casi non appare verosimile che un soggetto, sia esso compratore o venditore, riesca a influenzare il prezzo di mercato, né tantomeno a stabilirlo autonomamente.

Vi possono essere tuttavia casi in cui il bene immobile presenta caratteristiche tali da restringere significativamente la schiera dei possibili soggetti interessati allo scambio. In tal caso, la prima condizione non è più verificata. Il mercato può allora avvicinarsi al monopolio o all’oligopolio (è il caso in cui la proprietà degli immobili si rivela concentrata in poche mani) e/o al monopsonio (i potenziali acquirenti di un bene immobile possono essere assai pochi quando non uno solo). Tuttavia, eventuali deviazioni rispetto ad una norma in cui una molteplicità di soggetti si confronta sia sul versante dell’offerta che su quello della domanda non hanno natura strutturale, bensì sono legate a specifiche contingenze del mercato e non alterano quindi una valutazione di sostanziale rispetto della prima condizione.

Diverso invece è il ragionamento sulle caratteristiche del mercato immobiliare quando si vada a verificare le ultime due condizioni che qualificano il mercato di concorrenza perfetta: la natura aperta del mercato e l’omogeneità del prodotto. Il mercato immobiliare non è aperto a tutti gli operatori: la possibilità di disporre della risorsa suolo non è assicurata a tutti dal momento che essa è fisicamente limitata. L’omogeneità del prodotto, inoltre, non rappresenta un’ipotesi plausibile: anche se due edifici sono stati realizzati dalla stessa impresa edile, con gli stessi materiali e con lo stesso progetto, essi non insistono sullo stesso sito e questa loro differente localizzazione li rende beni diversi.

Se eventuali deviazioni rispetto alla condizione di impossibilità da parte di un agente di modificare il prezzo deve essere considerata un’alterazione contingente del mercato immobiliare, per le due ultime condizioni lo scarto rispetto ad una situazione di mercato di concorrenza perfetta va considerato come aspetto strutturale di tale mercato, in grado di condizionarne in modo decisivo le regole di funzionamento.

Anche altri mercati presentano caratteristiche analoghe e, in particolare, la caratteristica della disponibilità limitata di un fattore della produzione. E’ quindi possibile affermare che il mercato immobiliare rappresenta un caso particolare di un mercato di concorrenza, in cui l’accesso a risorse necessarie alla produzione è limitato e in cui i beni prodotti risultano strutturalmente disomogenei.

1.2. Ricavi, costi, extraprofitti, rendite

E’ possibile formalizzare in modo più preciso quanto fino ad ora discusso. Vediamo prima di tutto ciò che avviene in un mercato di concorrenza perfetta dal punto di vista dell’impresa con l’aiuto del grafico riportato di seguito (fig. 1).

Sull’asse delle ascisse è riportata la quantità del bene prodotto, mentre sull’asse delle ordinate sono riportati prezzi e costi. La curva del costo marginale (Cm) è la curva che esprime il costo dell’unità addizionale di prodotto; essa interseca la curva dei costi medi totali (Cmt) nel punto in cui quest’ultima raggiunge il suo valore minimo. Il prezzo di mercato del bene è rappresentato da pm. Nel mercato di concorrenza perfetta è supposta una molteplicità di agenti che assumono il prezzo come vincolo non modificabile: pm rimane quindi costante al variare della quantità prodotta.

L’impresa produce finché il prezzo equivale al costo marginale: oltre non ha interesse ad andare. Con riferimento alla figura 1, il ricavo totale è dato dall’area del rettangolo formato dal prezzo (pm) moltiplicato per la quantità (qp). L’insieme dei costi che l’impresa sostiene è dato dal prodotto del costo medio totale ancora una volta moltiplicato per la quantità (qp).

Alcuni chiarimenti sono opportuni sulle voci che compongono i costi dell’impresa. L’area più chiara rappresentata in figura 1 comprende tutte le spese che l’imprenditore sostiene per la produzione, tra cui la remunerazione del capitale, la remunerazione della forza lavoro e la remunerazione del fattore imprenditoriale. L’imprenditore lavora per un preciso ritorno, che prende il nome di profitto normale  e viene considerato a tutti gli effetti come un costo di produzione.

L’extraprofitto è invece la parte del guadagno totale che l’imprenditore ottiene oltre al profitto normale e che rappresenta un surplus che il mercato, in condizioni di normalità, non gli riconoscerebbe.  La differenza fra costi e ricavi - riconoscibile in figura 1 per il colore più scuro - non è quindi il profitto dell’imprenditore, già compreso fra i costi di produzione, bensì l’extraprofitto che l’imprenditore ritrae dalla produzione di quel bene.

Fig. 1 - L’impresa in condizione di extraprofitto.

Cosa succede infatti quando in un settore della vita economica vi è la possibilità di ottenere un extraprofitto? Altri imprenditori decidono di entrare in quel settore in grado di assicurare una redditività superiore a quella “normale”, determinando un aumento dell’offerta. Una superiore quantità offerta causa una diminuzione del prezzo, fino al punto in cui le imprese che operano in quel settore ottengono un profitto nullo: gli imprenditori tornano dunque a guadagnare esattamente un saggio di profitto (normale), in linea con l’insieme dell’economia nel suo complesso.

In figura 2 è riportato un grafico che consente di rileggere tale processo in relazione al classico schema domanda/offerta. L’ingresso sul mercato di nuove imprese e il conseguente aumento dell’offerta comportano una traslazione della curva di offerta verso destra; il prezzo di conseguenza cala da p1 a p2, valore per il quale le imprese non ottengono alcun extraprofitto (vedi figura 3).

E’ da tenere presente che questo succede solamente in teoria, perché in realtà tutti i settori dell’economia presentano saggi di rendimento differenziati tra di loro. Tuttavia, almeno da un punto di vista teorico, preme sottolineare come in un mercato perfettamente concorrenziale le imprese hanno la possibilità di entrare liberamente in un settore che consente extraprofitti.

Ora analizziamo un settore in cui, a differenza di quanto avviene nel mercato di concorrenza perfetta, l’accesso ai fattori della produzione conosca degli ostacoli. Possiamo immaginare ad esempio che un fattore della produzione sia disponibile solo in modo limitato.

Gli imprenditori che operano in un settore con queste caratteristiche si appropriano di un extraprofitto. A livello aggregato, se una risorsa della produzione è a offerta limitata, la curva di offerta è rigida, ovvero non varia in funzione delle variazioni del prezzo. Geometricamente, ciò vuole dire che la curva di offerta è perfettamente verticale e non più inclinata.

Anche se gli operatori rilevano la possibilità di ottenere una redditività superiore a quella ordinaria, l’accesso al mercato è impossibile. La possibilità di ottenere un extraprofitto nel mercato ora considerato rappresenta quindi una condizione permanente, stabile, a differenza di quanto avveniva nel mercato perfettamente concorrenziale in cui invece una simile evenienza aveva carattere solo contingente. Le imprese che operano in questo settore possono remunerare tutti i fattori della produzione, compreso il profitto normale d’impresa, e in più dispongono - strutturalmente e non in modo contingente - di un extraprofitto che chiameremo rendita.

Fig. 2 - Spostamento della curva di offerta e nuova determinazione del prezzo.

Colui che si appropria di questa rendita è il proprietario della risorsa disponibile in quantità limitata che, di solito, è pienamente consapevole del carattere strategico che essa detiene.

Fig. 3 - Costi e ricavi dell’impresa in situazione di equilibrio. Il punto di vista dell’impresa è rappresentato a sinistra; il grafico di destra presenta il mercato nel suo insieme.

Fig. 4 - Mercati in cui un fattore della produzione è disponibile in forma limitata.

1.3. Scarsità legale e scarsità naturale

Il bene immobile si caratterizza dunque per essere esito di un processo produttivo in cui sono combinati fattori produttivi disponibili senza vincoli e una risorsa disponibile solo in forma limitata e strutturalmente disomogenea.

La natura di bene scarso in senso assoluto e quindi a offerta strutturalmente limitata non è sempre connessa con la scarsità “naturale” del bene. In realtà è possibile distinguere due tipi di rendite:

  • un primo tipo di rendite effettivamente legate all’offerta strutturalmente limitata di alcune risorse naturali; il caso che in questa sede risulta di maggiore interesse è quello dei terreni, ma la stessa logica si applica anche ad altre risorse quali ad esempio le miniere o le cave;

  • un secondo tipo di rendite legate invece a restrizioni di natura legale-amministrativa (può essere ad esempio lo stesso piano regolatore generale che impedisce l’utilizzo di suoli potenzialmente disponibili per lo sviluppo urbano). E’ allora il soggetto pubblico che interviene per ragioni diverse a regolamentare un ambito economico restringendo artificialmente l’offerta di risorse necessarie alla produzione di beni e servizi (la restrizione dei suoli a destinazione edificatoria può trovare ragione nella volontà di controllo della crescita urbana). Spesso, in questi casi, la risorsa limitata non è altro che un’autorizzazione amministrativa.

1.4. Domanda solvibile e restrizioni all’offerta: le condizioni per l’insorgere della rendita

L’attenzione è stata rivolta al rapporto fra la limitata disponibilità di una risorsa e la rendita. Un secondo elemento decisivo per la formazione della rendita è la presenza di una domanda solvibile e sfruttabile da parte del fornitore. Più precisamente, le due condizioni - scarsità di una risorsa necessaria alla produzione e livello di domanda - devono presentarsi congiuntamente dal momento che la presenza di una sola delle due non assicura l’insorgere di rendita.

Un ulteriore aspetto legato alla domanda merita di essere sottolineato. La domanda di terra è una domanda derivata dalla domanda dei prodotti finali che è possibile da essa ritrarre. Il prezzo che si è disposti a pagare per la terra deriva dal prezzo di questi stessi prodotti. E’ quindi il prezzo di equilibrio della merce finale che determina la rendita, e non viceversa.

Detto in altri termini, le case non sono care perché il suolo è caro, ma sono i prezzi delle case che consentono alla risorsa suolo di pervenire a determinati prezzi. Analogamente, il prezzo dei prodotti agricoli non è influenzato dalla rendita che viene richiesta dalla proprietà fondiaria, ma è il fatto che i produttori agricoli riescano a praticare determinati prezzi che causa l’insorgere di rendite.

Se infatti i prezzi dovessero scendere a causa, ad esempio, della contrazione della domanda, i ricavi potrebbero scendere a livelli tali da non assicurare ai proprietari della risorsa ad offerta limitata la possibilità di appropriarsi di alcuna rendita, come evidenziato nello schema successivo.

Fig. 5 - Contrazione della domanda, variazione del prezzo e annullamento della rendita.

La curva di domanda si sposta verso sinistra e il prezzo conseguentemente diminuisce da p1 a p2. I ricavi assicurati dal nuovo prezzo di vendita p2 consentono la sola remunerazione dei fattori della produzione e quindi la rendita è scomparsa.

2. I fattori genetici della rendita fondiaria

La rendita è stata considerata sino ad ora come tratto peculiare della sottoclasse dei mercati in cui una risorsa della produzione sia disponibile solo in forma limitata.

L’interesse sarà ora rivolto più specificatamente ai fattori genetici della rendita fondiaria ovvero ai fattori che determinano l’insorgere di rendite relativamente al mercato dei terreni.

Ritorniamo a quanto affermato in Introduzione: il mercato dei beni immobili si discosta dal modello del mercato di concorrenza perfetta in quanto utilizza una risorsa -il suolo- che presenta la duplice caratteristica di essere disomogenea e limitata. E’ quindi dal mercato dei terreni che dovremo partire per capire le anomalie che distinguono il mercato immobiliare.

Nel primo paragrafo, lo scopo è di quindi mettere a fuoco i decisivi contributi di Ricardo e von Thünen, che individuano nella fertilità e nella posizione i due fattori in grado di spiegare la genesi dei valori fondiari. Ma i contributi dell’economia classica non possono essere accettati in toto senza una loro attualizzazione che li renda validi anche in un contesto economico profondamente trasformato rispetto a quello in cui i due grandi economisti hanno elaborato le proprie teorie. Su questo aspetto ci soffermeremo nel secondo paragrafo.

Infine, verranno considerati i limiti della rendita differenziale e la sua necessaria integrazione con la categoria della rendita assoluta: dall’analisi delle due forme di rendite si perviene ad un’esaustiva concettualizzazione della formazione del valore dei suoli e quindi degli immobili.

2.1. Rendita fondiaria e fertilità dei suoli. Il modello di Ricardo

Per l’analisi del rapporto tra fertilità dei suoli e rendita il riferimento obbligato è al modello di David Ricardo. Ipotizziamo un’economia dove una molteplicità di imprenditori opera nel settore primario, sfruttando tutte le terre in grado di remunerare i fattori della produzione. Per semplicità, nello schema riportato in figura 6, i terreni sono riportati in funzione della loro decrescente fertilità.

La terra meno fertile sfruttata è quella in grado di fornire un prodotto capace di remunare solamente i fattori della produzione, cioè la forza lavoro, il capitale investito e il profitto normale dell’imprenditore; questa porzione di suolo prende il nome di terra marginale.

Ovviamente si coltivano anche altre terre più fertili, che assicurano una produzione superiore. Il prodotto delle terre più fertili rispetto alla terra marginale è ripartito in due quote:

  • la prima è impiegata per remunerare i fattori di produzione;

  • la seconda è la rendita; essa sorge in relazione alla superiore fertilità del terreno rispetto a quello marginale e spetta al proprietario del fondo.

Fig. 6 - La rendita nel modello di Ricardo.

All’aumentare della fertilità dei suoli, la rendita cresce. E’ ovvio che se il proprietario fondiario conosce ciò che la propria terra può rendere e quanto rende il suolo marginale, è perfettamente in grado di appropriarsi del residuo, richiedendolo all’imprenditore agricolo ad esempio sotto forma di affitto.

Alcuni aspetti del modello ricardiano vanno sottolineati per l’importanza che rivestono per tutte le successive analisi della rendita. Essa è in primo luogo differenziale: sorge infatti per la differente fertilità di un suolo rispetto rispetto alla terra marginale; se tutte le terre fossero ugualmente fertili non vi sarebbe secondo Ricardo alcuna rendita. In secondo luogo, una volta definiti sulla terra marginale i livelli di remunerazione del fattore lavoro, del fattore capitale e il profitto normale, la rendita assume un carattere residuale legato all’appropriazione di ciò che viene prodotto in sovrappiù sulle terre più fertili.

Il regime di proprietà dei suoli - pubblico o privato che sia - non ha alcuna incidenza sulla formazione della rendita; ha invece a che vedere con la sua distribuzione, che in un regime di proprietà privata premia una particolare categoria di cittadini, ovvero quella dei proprietari dei suoli.

2.2. Rendita fondiaria e posizione: il modello di von Thünen

Il modello di von Thünen pone la formazione della rendita fondiaria non più in funzione della differente fertilità dei suoli - e quindi di una caratteristica intrinseca del bene fondiario - bensì della posizione geografica - ovvero di una sua caratteristica estrinseca. Inoltre, sempre con riferimento al modello ricardiano, la riflessione di von Thünen non considera solo il problema della distribuzione del reddito, ma si spinge oltre mettendo in relazione la rendita fondiaria e la localizzazione delle attività produttive sul territorio.

Il punto chiave del modello è rappresentato dalla differente accessibilità dei luoghi rispetto al centro e quindi ai costi di trasporto che la produzione deve sostenere per accedere ai mercati.

Consideriamo un territorio con un centro e una periferia. Al centro troviamo il mercato, ovvero il luogo dello scambio. Coloro che hanno la propria produzione localizzata in area periferica devono necessariamente sostenere un costo superiore rispetto a coloro che producono in un’area centrale, poiché sono costretti a trasportare la merce fino al luogo dello scambio. Dunque il centro è caratterizzato da costi nulli di trasporto, mentre quanto più ci spostiamo in periferia, tanto più i produttori sopportano crescenti costi di trasporto.

Per il ragionamento sulla formazione della rendita risultano decisive alcune variabili: il prezzo di vendita del prodotto finale, il costo di trasporto delle merci, il costo complessivo della produzione al netto della voce appena considerata.

E’ ora possibile affrontare il rapporto fra rendita e posizione. Vi sarà una localizzazione - un punto della ascissa dello schema di fig. 7 - in cui l’imprenditore ha profitto nullo, dal momento che l’insieme dei ricavi copre solamente l’insieme dei costi. Se costi e ricavi si equivalgono, allora non c’è alcun residuo e l’imprenditore non può offrire alcun compenso al proprietario del suolo dal momento che ciò che ritrae dalla terra consente esclusivamente la remunerazione dei fattori della produzione. Risulta evidente l’analogia con la terra marginale del modello di Ricardo: entrambe le aree rappresentano il limite oltre il quale non esistono più le condizioni per la convenienza privata dell’imprenditore a lavorare i suoli e costituiscono le uniche porzioni di suolo il cui prodotto è interamente destinato alla remunerazione dei fattori di produzione.

Fig. 7 - La funzione della rendita nel modello di von Thünen.

Spostandosi verso il centro, i costi di trasporto diminuiscono e ciò determina la formazione di un residuo, ovvero di una differenza fra ricavi e costi. Mano a mano che ci avviciniamo al luogo dello scambio, il residuo aumenta. Al centro i costi di trasporto sono nulli e il residuo è uguale al margine della coltivazione considerata, ovvero è uguale alla differenza fra ricavi e costi al netto della quota relativa al trasporto delle merci. Nel modello di von Thünen, questo residuo non è altro che la rendita di posizione, di cui la proprietà fondiaria si appropria in quanto è la risorsa suolo a fondamento del vantaggio specifico di quella porzione di suolo rispetto alle aree concorrenti.

Ancora una volta, l’analogia con il modello di Ricardo appare chiara: la rendita nasce da un vantaggio relativo dell’area - nel modello di Ricardo la superiore fertilità, nel modello di von Thünen la superiore accessibilità - di cui si appropria il proprietario fondiario, ovvero colui che fornisce la risorsa in grado di assicurare tale vantaggio. La rendita è detta, come nel modello ricardiano, differenziale poiché sorge per la differente localizzazione del suolo in relazione ad un centro, in questo caso considerato il luogo dello scambio.

Formalizzando con strumenti analitici molto semplici il ragionamento ora compiuto, potremo scrivere la funzione di rendita di una coltivazione nei seguenti termini:

r (d) = px - cx - tdx

dove:

r è la rendita per unità di superficie;

d rappresenta la distanza dal centro;

p costituisce il prezzo per unità di prodotto;

c sono i costi generali al netto dei costi di trasporto per unità di prodotto;

t è il costo di trasporto per unità di prodotto;

x è la quantità di prodotto generata dall’unità di superficie.

Fig. 8 - Inclinazione e intercetta della funzione di rendita.

La lettura dell’equazione sopra riportata è allora la seguente: la rendita (r) di un’unità di superficie è funzione della distanza dal centro (d) e si calcola sottraendo al ricavo per unità di area (px) i costi di produzione ripartiti in costi generali (cx) e costi di trasporto (tdx) crescenti all’aumentare della distanza dal centro.

La derivata della funzione (-tx) esprime la pendenza della funzione della rendita. Quanto più i costi unitari di trasporto sono elevati, tanto più la retta sarà inclinata. L’intercetta della funzione (px - cx) rappresenta il margine per unità di superficie della coltivazione al netto del costo di trasporto.

2.3. La rendita e la localizzazione delle attività sul territorio

Un quesito che ci possiamo porre è il seguente: come verrà ripartita la risorsa suolo fra produzioni agricole in competizione fra loro?

Ipotizziamo che le coltivazioni in concorrenza siano due - la coltivazione a e la coltivazione b. La coltivazione a si caratterizza per costi di trasporto e margini superiori, mentre la coltivazione b si distingue per le caratteristiche opposte, ovvero più contenuti margini e costi di trasporto.

Fig. 9 - Il confronto fra le funzioni di rendita di due coltivazioni.

Sulla base di queste informazioni è possibile rappresentare graficamente le funzioni di rendita delle due coltivazioni. La funzione di rendita della coltivazione a si distingue da quella della coltivazione b per la maggiore inclinazione (per essa infatti sono stati supposti superiori costi di trasporto) e per un’intercetta di valore superiore (la coltivazione a si caratterizza per un margine superiore a quello della coltivazione b).

Come avviene la localizzazione delle attività sul territorio? Immaginiamo che i produttori delle singole coltivazioni partecipino ad un’asta indetta dai proprietari fondiari. Il problema è sapere chi si aggiudicherà le aree più pregiate - ovvero quelle vicine al centro - e chi invece sarà costretto a localizzarsi in posizione più periferica.

Il grafico riportato in figura 10 ci viene in aiuto. Dal centro sino al punto 1 i produttori del bene ad alti costi di trasporto e ad alti margini si aggiudicano le terre, dal momento che sono in grado di offrire ai proprietari fondiari rendite superiori alla concorrenza.

Al contrario, dal punto 1 fino al punto 2, è la coltivazione con margini e costi di trasporto più contenuti che si aggiudica le aree poiché in grado di offrire più elevati livelli di rendita alla proprietà fondiaria.

 

Fig. 10 - Rendita e localizzazione delle attività nello spazio nel modello di von Thünen.

Va notato come non sia sufficiente per una produzione avere margini alti per essere automaticamente la produzione che si aggiudica la possibilità di fruire dei suoli. E’ dal mix dei due fattori costo di trasporto e margine unitario che si determina infatti l’offerta di rendita di ciascuna produzione in funzione della distanza dal centro.

Il modello di von Thünen evidenzia l’indissolubile legame  fra rendita fondiaria, allocazione dei suoli fra produzioni alternative e costruzione del territorio: la rendita costituisce quindi un principio organizzatore dello spazio decisivo per comprendere la localizzazione delle attività sul territorio.

2.4. L’attualità dei modelli

I due fattori genetici della rendita fondiaria posti a fondamento dei due modelli di Ricardo e von Thünen sono stati elaborati nella prima metà dell’Ottocento, in contesti economici radicalmente diversi da quelli attuali, in cui il settore primario rappresentava di gran lunga il settore più rilevante per la formazione della ricchezza. Ripensare tali fattori genetici nel quadro delle economie avanzate rappresenta un nodo ineludibile per dare attualità e quindi validità ai due modelli.

Il primo problema è legato ad una traduzione del concetto di fertilità in un ambito non solo rurale e in un contesto economico dominato dal settore secondario e da quello terziario. Possiamo generalizzare il concetto di fertilità come possibilità di ottenere ricavi superiori alla media delle imprese che operano in un certo settore dell’economia; per le funzioni terziarie e commerciali, possiamo sensatamente affermare che determinati contesti territoriali (ad esempio le grandi città) consentono livelli di domanda superiori e assicurano quindi alle imprese che hanno in quelle aree la propria localizzazione superiori livelli di ricavo. Tradotto in termini di potenziale di mercato, il concetto ricardiano di fertilità sembra in grado di riguadagnare operatività e di essere reso attuale con successo.

Analogamente, anche l’accessibilità è suscettibile di una traduzione nei termini di un’economia avanzata. Se spostiamo l’attenzione dall’accessibilità fisica ai mercati alla capacità di ottenere “informazione” - input produttivo decisivo soprattutto in molte attività terziarie avanzate - a costi più contenuti, ecco che il modello di von Thünen ridiviene modello di grande utilità nella comprensione dell’allocazione del suolo fra attività diverse. Del resto, è con esplicito riferimento a questo fondamentale modello che sono stati elaborati dagli anni ‘60 in poi i più importanti modelli di equilibrio parziale per l’interpretazione della localizzazione urbana delle attività produttive e delle attività residenziali.

Un ultimo aspetto infine merita di essere tenuto in considerazione. Nel momento in cui portiamo il concetto della rendita all’interno di contesti economici avanzati, ci stacchiamo definitivamente dall’idea di rendita come tratto statico dell’economia, essenzialmente ancorato a vincoli di tipo fisico-naturale peculiari di economie fondate sul settore primario.

Se la rendita è legata a vantaggi localizzativi in cui l’informazione e il livello di domanda giocano un ruolo decisivo, allora la rendita interagisce dinamicamente con il processo di costruzione collettivo della città e del territorio. Se ne deduce che la rendita non è concetto statico, bensì dinamico: gli interventi sulla città portano a trasformazioni in grado di modificare i livelli di accessibilità e di fertilità delle diverse aree e quindi rimodellano costantemente la rendita, valorizzando aree prima sfavorite, penalizzandone altre ponendole ai margini rispetto ai luoghi centrali.

2.5. Rendita differenziale e rendita assoluta

Nel modello di von Thünen come in quello proposto da Ricardo, la rendita si presenta come differenziale, in quanto sorge da una differenza di rendimento o di costo rispetto alle terre marginali, che nel caso di Ricardo sono le terre meno fertili e in quello di von Thünen sono quelle più distanti.

La natura differenziale della rendita non è però sufficiente a spiegare esaustivamente il fenomeno; due paradossi ci confermano che essa, da sola, non rende conto del problema in modo completo.

In primo luogo appare poco verosimile che sulla aree marginali il proprietario terriero ceda ad un imprenditore un’area affinché ne possa fruire per svolgere la propria attività senza richiedere alcuna rendita. Esiste infatti una chiara evidenza empirica che, anche sulla terra marginale, la proprietà fondiaria riesce ad ottenere una rendita. Ad esempio, anche i suoli edificabili più periferici e meno accessibili della città hanno un valore di mercato decisamente superiore ai suoli destinati ad uso agricolo anche immediatamente adiacenti.

In secondo luogo, se tutte le terre avessero uguale fertilità - oppure eguale accessibilità - allora non dovrebbe esserci rendita dal momento che non vi è differenza fra l’accessibilità/fertilità delle singole porzioni di suolo. In realtà, l’analisi economica rivela come, in presenza di una domanda adeguata e di un’offerta limitata strutturalmente, si possa benissimo formare una rendita anche su terreni dotati di uno stesso livello di accessibilità/fertilità (si veda al riguardo il caso di figura 4).

Per superare questi due paradossi è necessario introdurre una nuova fattispecie di rendita, la rendita assoluta. Tale fattispecie di rendita non sorge in virtù di una differente accessibilità/fertlità di un suolo rispetto ad un altro all’interno di una stessa categoria di beni fondiari, bensì per una generale scarsità aggregata di suolo - sia esso urbano o rurale - con riferimento ad una domanda aggregata di quest’ultimo.

La formalizzazione geometrica presentata in figura 11 illustra schematicamente in quale modo rendita differenziale e rendita assoluta si articolino nella genesi del valore fondiario. La rendita differenziale esprime il differente vantaggio che il proprietario ritrae in funzione di una superiore fertilità o accessibilità della propria area in relazione alle altre che fanno parte della categoria considerata (ad esempio: le aree urbane). La rendita assoluta esprime il vantaggio di cui tutti i proprietari di una determinata categoria di beni godono in virtù della limitata offerta del bene di loro proprietà.

Fig. 11 - Rendita differenziale e rendita assoluta. Analiticamente, la rendita totale può essere intesa come funzione somma della rendita assoluta e della rendita differenziale.

3. Conclusioni. Quali strumenti per il governo della rendita?

Dall’analisi dei modelli di Ricardo e von Thünen è emerso con chiarezza l’aspetto residuale della rendita urbana. In altri termini, il proprietario fondiario percepisce una quota anche significativa del prodotto complessivo semplicemente in virtù del diritto di proprietà di un bene.

Inoltre, l’accessibilità di un’area risulta spesso funzione dell’intervento della mano pubblica che, grazie all’infrastrutturazione del territorio, genera un aumento della rendita e conseguentemente del valore di terreni e fabbricati, di cui solo una categoria ben precisa di cittadini - i proprietari fondiari - si appropria.

Ragioni di inefficienza allocativa e di iniquità ci impongono quindi di intervenire, per governare la rendita secondo gli obiettivi di efficienza e di equità che la società intende promuovere.

Un’attenzione particolare va  però prestata alla natura intrinseca della rendita e al ruolo che essa svolge nella allocazione del suolo in quanto risorsa limitata strutturalmente. La rendita sorge in quanto esiste un vantaggio reale in grado di determinare un extraprofitto per colui che esercita una determinata attività in un luogo centrale. Tale vantaggio è ineliminabile e prescinde dal fatto che ad essere proprietario dei suoli sia il soggetto pubblico o quello privato.

Non solo. Prima abbiamo considerato come la rendita rappresenta un dispositivo ottimizzante nell’allocazione della risorsa spazio. Le aree più accessibili venivano infatte date in uso a coloro che ne traevano maggior vantaggio. Nell’immagine prima evocata, i suoli più pregiati erano ceduti a coloro che all’asta della proprietà fondiaria erano disposti a dare di più perché dalla localizzazione in aree centrali traevano maggiori benefici. Se così si vuole allocare in modo ottimale la risorsa suolo, quest’ultima deve essere attribuita a coloro che ne beneficiano maggiormente: quand’anche il soggetto pubblico fosse proprietario di tutti i suoli, non potrebbe fare altro che utilizzare il dispositivo della rendita per giungere ad una efficiente allocazione di tale risorsa.

Il dilemma è allora il seguente: da un lato, la rendita solleva legittime istanze legate alla appropriazione di ricchezza collettiva da parte di una porzione minoritaria di cittadini; dall’altro, la rendita è dispositivo ottimizzante nell’allocazione di una risorsa a offerta limitata quale è il suolo.

La soluzione al problema, e quindi la messa a punto di forme efficaci di controllo della rendita, può essere trovata operando su più fronti. In primo luogo rispondendo positivamente alla “domanda di città”, e quindi provvedendo a creare le condizioni perché risulti minima la scarsità aggregata di suoli destinati ad uso urbano. Va detto che il costo sociale di tale produzione non può che essere sostenuto da coloro che ne beneficiano; del resto è su questa filosofia che si poggia il principio della onerosità della concessione edilizia stabilito dalla legge 10/77. In secondo luogo, la rendita può essere ridistribuita attraverso la nuova creazione di valori di accessibilità tramite un articolato processo di infrastrutturazione in grado di rendere centrali luoghi altrimenti svantaggiosamente localizzati.Infine, la fiscalità immobiliare rappresenta lo strumento principe per catturare le plusvalenze fondiarie e immobiliari legate all’intervento della mano pubblica. Vale solo la pena di ricordare che ai tre fronti qui delineati in estrema sintesi corrispondono altrettanti impegnativi filoni di ricerca.

Solo con l’uso congiunto di questi strumenti appare possibile governare la rendita, senza limitarsi ad esorcizzarla ideologicamente o ad accettarne passivamente gli effetti.

4. Nota bibliografica

L’obiettivo di questa nota bibliografica è di segnalare un numero limitato di testi introduttivi in grado di rappresentare un punto di partenza per ulteriori approfondimenti.

La formazione di rendite in alcuni settori dell’economia in relazione alla presenza di fattori fissi della produzione è spiegata nel manuale di Hal Varian Microeconomia, (Cafoscarina, Venezia, 1993, pp. 371 e ss.). Sullo stesso tema, si veda anche il paragrafo 9.2 Condizioni economiche per la formazione di una rendita del volume Economia urbana di Roberto Camagni (Nis, Roma, 1992). In generale, il capitolo La rendita fondiaria urbana (pp. 279 e ss.) del volume appena citato costituisce una notevole sintesi sul tema e rappresenta una ricca fonte di riferimenti bibliografici che spaziano dai contributi dell’economia classica fino ai più recenti contributi dell’economia urbana.

Il tema della localizzazione delle attività economiche è affrontato nei capitoli 5 e 6 del manuale di Ada Becchi Economia e territorio (Collana didattica, Daest, Venezia, 1993). Il ricco apparato bibliografico consente di esplorare il tema con incursioni nella storia economica e nelle scienze regionali.

Di agevole lettura, il capitolo Il mercato dei suoli del volume Economia urbana, di Alan Evans (Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 209 e ss.) spiega il processo di formazione del valore dei suoli ricorrendo a poche ed efficaci formalizzazioni geometriche. Contiene inoltre utili collegamenti fra i temi legati alla formazione del valore fondiario, la fiscalità immobiliare, l’esproprio e le decisioni di piano.

In ambito estimativo, è d’obbligo il riferimento ai contributi di Carlo Forte. Una sintesi sul tema della rendita è contenuta in Principi di economia ed estimo (Etas, Milano, 1977, pp. 20 e ss.). Un altro saggio sul tema è contenuto in Elementi di estimo urbano (Etas, Milano, 1973, pp. 383 e ss.) in cui l’autore mette in relazione rendita dei suoli e degli immobili con la fiscalità immobiliare. Entrambi gli scritti forniscono una considerevole bibliografia, che tuttavia necessita di essere integrata per quanto attiene alla più recente produzione sull’argomento.

In tutti gli scritti ora menzionati è possibile ritrovare i riferimenti bibliografici delle edizioni originali e di quelle attualmente disponibili dei testi di Ricardo, von Thünen, Marx e Marshall.

Sul tema degli strumenti per il governo della rendita, e in particolare sul tema della fiscalità immobiliare, due volumi costituiscono un punto di avvio. Il primo, di carattere teorico, è il manuale di Giorgio Brosio Economia e finanza pubblica (Nis, Roma, 1993, pp. 397 e ss.); il secondo, di contenuto eminentemente applicativo, è il saggio di Luigi Del Monaco Il catasto e la fiscalità immobiliare (Cittàstudi, Milano, 1996).