SVILUPPO E CRISI DEL MATERIALISMO STORICO NEI GRUNDRISSE

Nicrosini Claudio

CAPITOLO I

LA EINLEITUNG. MARX DI FRONTE AL DUPLICE PROBLEMA DEL METODO DELL’ECONOMIA POLITICA E DELLA CONCEZIONE DELLA STORIA

Il manoscritto conosciuto come Introduzione del ’57 (o semplicemente Einleitung), steso fra il 23 agosto e la metà di settembre del 1857, era originariamente destinato a costituire un’introduzione generale a Per la critica dell’economia politica (Zur kritik der politischen Ökonomie – d’ora in poi: Zur Kritik). Ma sotto quest’ultimo titolo fu pubblicato, all’inizio del 1859, unicamente il primo volume dei molti previsti (composto di soli due capitoli, rispettivamente dedicati a merce e denaro). Il testo di Zur kritik non era preceduto dalla Einleitung, ma invece da una più breve e scarna Prefazione (Vorrede), nella quale Marx solamente accennava ad un abbozzo d’introduzione, omessa, a suo dire, per non anticipare i risultati più generali della propria analisi[1].

La Einleitung venne pubblicata per la prima volta, a cura di Karl Kautsky, sul numero del marzo 1903 della rivista socialdemocratica Neue Zeit. Ma solamente con l’edizione dei Grundrisse di Mosca (1939-1941) prima, e con quella di Berlino (1953) poi, il manoscritto venne ristabilito nella sua forma originaria, rivelandosi contenuto nel primo quaderno (siglato con la lettera M) di un gruppo vasto e ricco di significato teorico (i Grundrisse).

Ad ogni modo, nel testo estremamente complesso della Einleitung si continuò a cercare, seguendo le indicazioni che sembrava fornire la Vorrede, la generalizzazione più ampia e coerente del metodo della critica marxiana dell’economia politica. Nonostante il maggiore rigore filologico delle nuove edizioni di Mosca e di Berlino, la tentazione kautskiana di leggere nella Einleitung una sintesi esoterica del metodo marxiano tornò a rivivere negli studi del secondo dopoguerra, allettando le più influenti scuole esegetiche marxiste[2].

Le ‘letture’ della Einleitung sviluppate nella seconda metà del ‘900 sono così numerose, frammentarie (disseminate in saggi di argomento più ampio, e riferite per lo più a singole parti del testo marxiano) e discrepanti fra loro da rendere difficile – ed infruttuoso – farne una rassegna esauriente. Tuttavia è possibile – e necessario ai fini del nostro discorso – distinguere tre filoni interpretativi fondamentali.

1) Alcuni studiosi marxisti hanno creduto di trovare, fra le righe della Einleitung, i presupposti epistemologici generali del materialismo storico e dialettico. Il concetto di astrazione determinata (individuato da Della Volpe e dalla sua scuola[3] e la dialettica dell’astratto e del concreto (individuata dalla scuola sovietica ed in particolare da Ilenkov[4] rappresentano in tal senso le ipotesi teoriche più rilevanti.

2) Altri studiosi marxisti, all’opposto, hanno interpretato la Einleitung come espressione della fondamentale permanenza dei giovanili motivi hegeliani nella filosofia matura di Marx. Questa corrente umanistica del marxismo ha visto nei Grundrisse nel loro insieme il momento di collegamento fra le opere filosofiche giovanili e la teorizzazione matura di Marx, ed ha letto la Einleitung alla luce di questo presupposto (si veda in proposito la scuola di Budapest ed in particolare la Heller[5]. La Einleitung conferma, secondo questi studiosi, come il lato essenziale della concezione della storia di Marx risieda nell’idea che lo sviluppo sociale dei bisogni sia inscindibilmente connesso con la formazione di una nuova coscienza (di classe ed individuale) e con l’affermazione della piena libertà umana.

3) In diretta contrapposizione nei confronti di queste ultime tesi, ‘hegelo-marxite’, verso la metà degli anni ’60 Althusser ha reinterpretato in modo estremamente radicale la Einleitung. Il pensatore francese ha creduto di potervi scovare una latente concezione strutturalistica del modo di produzione e della formazione economico-sociale; concezione che, a suo parere, urterebbe con qualsiasi tentativo successivo di ridefinire in termini storicistici e finalistici il pensiero di Marx[6].

Quello che a nostro avviso occorre notare è come queste opposte esegesi, paradossalmente, ruotino intorno ad un asse interpretativo comune: la medesima convinzione di poter trovare nella Einleitung i fondamenti metodologici essenziali del pensiero marxiano, concepito come sistema teorico fondamentalmente coerente e costituito, come minimo (nel caso di Althusser e Ilenkov), dall’insieme degli scritti marxiani successivi al 1845-46.

Ancora oggi, l’ambizione di sistematizzare la struttura filosofica del pensiero marxiano porta alcuni marxisti a scrivere della Einleitung che essa costituisce “l’immagine più perspicua” dell’“impresa critica” marxiana[7], ed a rintracciarne un’essenziale coerenza filosofica – acme della coerenza filosofica marxiana tout court. Azzardando una posizione alternativa rispetto a questo orientamento – ancora prevalente fra gli studiosi di Marx –, il primo capitolo del nostro lavoro tenterà al contrario mettere in luce le contraddizioni interne e l’aspetto provvisorio della Einleitung. In ciò, d’altro canto, riteniamo possibile appoggiarci rispettivamente ai decisivi ‘precedenti’ rappresentati dai lavori di Mario Dal Pra e di Cesare Luporini.

§ 1. L’interpretazione di Dal Pra

In La dialettica in Marx[8], Dal Pra esamina lo sviluppo complessivo del pensiero filosofico di Marx. Prendendo le mosse dalla lettera al padre del novembre del 1837 (che segna la conversione del giovane intellettuale all’hegelismo) e dalla tesi di laurea presentata nell’aprile del 1841 (primo compiuto scritto filosofico di Marx), Dal Pra risale criticamente la successione dei principali lavori filosofici marxiani, giungendo infine a considerare la Einleitung. In questo scritto si troverebbe, a suo parere, la conclusione effettiva ed il tentativo di chiusura sistematica dell’intero percorso precedente.

§ 1.1. Il significato della Einleitung nel quadro dello sviluppo del pensiero marxiano delineato da Dal Pra

Nelle opere di Marx degli anni ‘41-’45 il basso continuo rimane, secondo Dal Pra, la rielaborazione della dialettica hegeliana. La dialettica hegeliana, a suo avviso, resta il nocciolo teorico fondamentale tanto della tesi di laurea[9], che della Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico[10] e dei Manoscritti economico-filosofici[11]. Nonostante l’attenzione programmaticamente rivolta alla scienza della natura ed allo sviluppo dell’industria, e la rivendicazione della superiorità del materialismo presenti nella Sacra famiglia[12] (1845), secondo Dal Pra, è solo con l’Ideologia tedesca[13] (1845-46) e successivamente con la Miseria della filosofia[14] (1847) che si realizza la svolta decisiva[15] nella definizione della concezione materialistica della storia. Con l’Ideologia tedesca l’indagine si sposta sul piano dei presupposti reali della storia, ovverosia sul modo di produzione e sugli individui determinati, sui rapporti sociali nella loro determinazione materiale di rapporti di produzione. Al centro vi è l’oggettività del produrre. L’empirismo, con la sua “raccolta di fatti morti e aridi”[16] e la sua idea astratta dell’uomo (inteso come essere passivamente percettivo), è rifiutato con nettezza da Marx; eppure, secondo Dal Pra, si può dire che la prospettiva di seguire lo sviluppo reale del processo di produzione materiale distinguendolo dal processo speculativo, e di definire il comunismo come movimento reale presente anziché come fine necessitante, porti con sé un “condizionamento storico-empirico” delle strutture dialettiche.

D’altro canto, a giudizio di Dal Pra, il materialismo storico determina una “flessione rilevante” della “strutturazione concettuale della dialettica”[17], ma nient’affatto la sua soppressione. Infatti, la concezione materialistica della storia implica una doppia esigenza teorica: da un lato, l’esigenza di esaminare i rapporti di produzione e le categorie economiche come totalità, ovvero insieme di momenti in relazione reciproca (questo postulato già nell’Ideologia tedesca vale per l’unità concreta di società civile, Stato e forme di coscienza ma, in modo più evidente, secondo Dal Pra, si afferma con la Miseria della filosofia); dall’altro, l’esigenza di analizzare le contraddizioni reali (empiricamente constatabili in tutte le fasi storiche) fra forze produttive materiali e rapporti di produzione (forma sociale).

Schema statico (struttura unitaria ed articolata della società centrata sulla produzione come momento empiricamente constatabile) e schema dinamico (sviluppo delle forze produttive materiali empiricamente constatabile sul lungo periodo storico), studio della società vista come totalità organica oppure sua delimitazione come fase storica, disegnano un’idea complessa di sviluppo che presuppone, secondo Dal Pra, l’impiego di un metodo dialettico. Il pieno e potente risveglio della dialettica avviene e, come mostra Dal Pra, deve avvenire, proprio con l’esordio del tentativo marxiano di esposizione scientifica dell’economia politica.

Con la Einleitung[18] si ha, secondo la definizione con cui si apre l’ultimo capitolo della Dialettica in Marx, ad essa dedicato, il “ritorno dell’organicismo hegeliano”[19].

Dal Pra scrive: “Marx ritiene […] di aver delineato un movimento reale tra le varie categorie dell’economia politica; ed è appunto la realtà del movimento, cioè la piena adesione del criterio dialettico ai dati dell’esperienza che ne salvaguarda concretamente i momenti, impedendone la risoluzione nell’identità del pensiero”[20]; già qualche riga sopra, però, Dal Pra offre un’efficace sintesi del proprio punto di vista in proposito: “[…] anche qui [nella Einleitung], come nei ‘Manoscritti’, la preoccupazione di stabilire un riscontro empirico dello schema dialettico non cancella e non toglie del tutto di mezzo la sua autonomia […]. E pur rilevando che questa struttura dialettica è astratta, ossia non ha, secondo la pretesa di Hegel, portata reale, Marx ne fa il perno stesso della sua organizzazione unitaria della categorie dell’economia politica. Egli tenta così, appunto, di trarre il nocciolo dialettico di Hegel dalla sua scorza idealistica, anche se l’operazione, per non essere accompagnata da una nuova logica ma rifacendosi, per contro, proprio alla base logica hegeliana, sembra destinata a non superarne tutte le implicazioni logiche idealistiche”[21]. L’invocazione marxiana di un processo reale di tipo materiale sarebbe dunque, oltre che vana, deleteria. L’“autonomia” della dialettica, infatti, riemergerebbe con prepotenza teoretica proprio nella delineazione del cosiddetto processo reale dello sviluppo storico-economico, che perciò rimarrebbe intriso di un finalismo di marca hegeliana[22]. Il richiamo di Marx al materialismo non solo non contribuirebbe a sciogliere il nodo dialettico idealistico, ma in qualche modo contribuirebbe invece ad offuscare i presupposti empirici reali della dialettica – sui quali solamente, a giudizio di Dal Pra, essa si può e si deve appoggiare per non cadere nella metafisica. Conseguentemente, la dialettica marxiana rimarrebbe lontana dal configurarsi come dialettica scientifica.

§ 1.2. Il presupposto epistemologico dell’interpretazione di Dal Pra e la sua efficacia critica

Dal Pra rileva in Marx un equilibrio fra due momenti contrastanti: da un lato, l’esigenza che il movimento della scienza sia tenuto distinto dal movimento reale; dall’altro, l’“istanza di intendere lo stesso movimento reale alla luce degli schemi scientifici il cui valore e la cui portata sono acquisiti in forma pregiudiziale”[23].

Fondamentalmente, a giudizio di Dal Pra, prevale quest’ultima istanza. La dialettica hegeliana è “flessa”, ma non ristrutturata in modo adeguato dall’altra istanza, empirista. Mancando una comprensione epistemologica della sua radice empirica, la dialettica si deve infine vendicare sull’intero sistema di pensiero marxiano, e sulla concezione della storia in particolare. “In questo senso si colloca anche il recupero dei temi essenziali della logica hegeliana in generale e della categoria della totalità e dell’unità organica in particolare. L’unico correttivo di fondo che Marx propone, in questo recupero del metodo dialettico, è quello costituito dalla pregiudiziale realistica; correzione senza dubbio di grande rilievo ma che, priva ancora di precise integrazioni epistemologiche conseguenti, non porta a compimento in modo risolutivo né il superamento della dottrina hegeliana, né la determinazione del nuovo indirizzo metodico che solo una più matura evoluzione storica avrebbe condotto poi a più matura evidenza”[24]. Così Dal Pra conclude la sua trattazione.

A parere di Dal Pra, dunque, è delineabile una latente “alternativa empirista” nella concezione marxiana della dialettica ed è possibile, attraverso “una rilettura empiristica di alcune classiche tesi marxiane”[25], la costruzione di un nuovo marxismo empiristico, che si sbarazzi definitivamente del materialismo dialettico e della sua prospettiva di realismo metafisico (e quindi anche di teleologia della storia)[26].

In tal senso lo “schema dialettico” marxiano può e deve essere allora emancipato in uno “schema pragmatico”[27], attraverso una nuova logica empiristica; le strutture dialettiche devono essere considerate, invece che ontologicamente valide, praticamente efficaci[28]. L’essenza deve essere identificata come nucleo definitorio elementare in un preciso “universo del discorso”; il fine deve essere un termine fissato pragmaticamente come “concetto unitario” in un contesto determinato[29]; il processo deve essere considerato come teoria che circoscrive degli elementi in una serie, attraverso la posizione di un termine e una caratteristica loro in comune[30]. La dialettica nel suo complesso, insomma, è data empiricamente e deve essere rifondata empiristicamente, mutandosi in strumento logico ed epistemologico di ipotesi e di ricerche specifiche.

A nostro avviso questa concezione empiristica della dialettica, indipendentemente dal giudizio che se ne può esprimere da un punto di vista epistemologico, così come è messa in azione sul piano storico-filosofico da parte di Dal Pra ha il pregio di ‘scovare’, senza pregiudizi e con una spregiudicatezza estremamente proficua, i permanenti motivi hegeliano-teleologici del pensiero marxiano, ed in particolare il loro potente risorgere nella Einleitung. Di questo scritto Dal Pra riesce a mostrare, come in una fotografia in bianco e nero, i punti maggiormente critici che, nella prospettiva di un ‘marxismo empiristico’, riescono a risaltare con grande  perspicuità.

Dal Pra, in generale, considera Marx poco sensibile al motivo kantiano della problematicità della conoscenza umana. Secondo Dal Pra, da un lato, Marx rivendica l’autonomia del reale, di cui il concreto pensato non sarebbe che una copia mai del tutto fedele; dall’altro, l’esistenza di un concreto già dato viene di fatto rimessa in discussione dall’onnicomprensività teorica della dialettica e dal conseguente inquadramento idealistico della realtà e della storia. In tal senso la dialettica marxiana, mantenendo un atteggiamento prevalentemente sintetico, hegelianamente non rinuncia ad un carattere reale e totalizzante[31].

Questa valutazione generale di Dal Pra, quando si cala nell’interpretazione di alcuni singoli decisivi passi della Einleitung, ed in modo particolare quando viene a riferirsi al rapporto fra organicismo come metodo per concepire la totalità della società attuale da una parte, e riduzione essenziale del processo storico-sociale complessivo allo sviluppo per fasi delle forze produttive materiali dall’altra, a nostro avviso si traduce in osservazioni estremamente pregnanti.

La critica di dal Pra, per esempio, risulta particolarmente significativa in relazione alla definizione marxiana del concetto di lavoro astratto – momento semplice della dialettica economica e, proprio in virtù del suo carattere astratto, comune ad ogni formazione sociale. Marx, constata Dal Pra, afferma che il pieno sviluppo del momento semplice del lavoro astratto avviene solo con l’affermarsi del momento più complesso del processo sociale: il lavoro astratto si sviluppa unicamente con la società borghese. Quindi, nella concezione marxiana dello sviluppo storico, secondo Dal Pra: “il più concreto condiziona il più semplice almeno nel suo pieno sviluppo”[32]. In tal modo la società borghese viene ad apparire come lo sviluppo complesso del momento storico-universale del lavoro astratto[33]. Conseguentemente – questo è il succo della critica di Dal Pra –, il concreto storico del lavoro astratto, come forma sociale sviluppata o società moderna, viene di fatto ad agire come fine cha, a ritroso, travalica la società borghese e ogni singola formazione economico-sociale determinata, per abbracciare invece la storia umana nella sua totalità. L’organicismo marxiano della Einleitung, dunque, si compenetra con una concezione dello sviluppo storico complessivo di stampo finalistico.

Indubbiamente, rileva Dal Pra, Marx afferma che ogni società si distingue dalle altre per una sua essenza specifica e, più precisamente (da un punto di vista economico), perché una precipua forma di produzione ed i rapporti sociali ad essa legati dominano tutte le altre forme e rapporti; per esempio, nella società borghese la produzione industriale soggioga tutte le altre sfere economiche. Ma Dal Pra non tralascia di dare il giusto peso[34] alla nota affermazione di Marx a proposito dell’“anatomia” della società borghese: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica […]”[35]; questa affermazione, incalza Dal Pra, in qualche modo sembra includere la specifica differenza materiale delle forme sociali precapitalistiche entro l’unicum del processo storico-sociale.

Andando leggermente più in là di Dal Pra – che si limita quasi alla constatazione pura e semplice della tendenza marxiana a rappresentare lo sviluppo storico complessivo come processo –, potremmo esprimerci in questi termini: se l’anatomia dell’uomo è fondamentale per spiegare quella della scimmia, ma non è vero il contrario, ciò significa che la forma superiore fondamentalmente ricapitola quelle inferiori, contenendole come elementi della propria struttura o, in termini dialettici, come momenti interni del proprio processo. Ma allora la forma inferiore risulta compresa, incapsulata, in quella superiore. La stessa evoluzione storica della forma inferiore, in tal senso, sembra dover avere una propria necessaria meta finale in quella superiore.

Come minimo, secondo la formulazione marxiana, la dimensione dello sviluppo della forma inferiore (la singola forma sociale precapitalistica) è contenuta nello sviluppo della forma superiore (il capitalismo moderno). Lo sviluppo storico complessivo, pertanto, se anche sembra muoversi secondo tempi e modi considerevolmente eterogenei, e soggetti a momentanei arretramenti, rimane tuttavia essenzialmente predefinito.

§ 1.3. Critica dell’interpretazione di Dal Pra

Mettendo il dito nella piaga della Einleitung, Dal Pra individua con nettezza la presenza di una potente tendenza teorica, viva ed operante nel pensiero maturo di Marx, incline alla costituzione di una filosofia della storia di tipo organicistico e finalistico.

D’altro canto, l’analisi del pensiero di Marx che ci viene fornita dal libro di Dal Pra, significativamente, si conclude con l’esame della Einleitung. Senza che l’autore pretenda di trarne delle conseguenze definitive, egli crede tuttavia che sulla base della sua indagine si possa “orientare, in termini generali lo studio del periodo posteriore” e del Capitale[36]. La Einleitung appare, nella sintesi di Dal Pra, tanto come acme teorico, quanto come punto morto dello sviluppo filosofico marxiano, dove la tesi della fondazione empiristica sarebbe “intuita”, addirittura “presagita”, ma mai compiutamente elaborata e compresa[37].

Ma applicare a Marx tale schema interpretativo, per quanto si proceda in modo filologicamente accorto, significa in qualche misura giustapporre estrinsecamente una teoria epistemologica empiristica all’ambito culturale originario ed allo sviluppo reale del pensiero di Marx[38], sulla base della presunta validità extra-storica della stessa.

Seguendo questa via Dal Pra miscomprende, a nostro avviso, la natura del travaglio speculativo che la Einleitung incarna. L’aspetto fondamentale, nel testo marxiano, non è il tentativo di rielaborazione in termini empiristici della dialettica hegeliana (rielaborazione che nella concezione di Dal Pra costituirebbe anche storicamente il lato essenziale, svelando il materialismo marxiano come momento incompiuto ed ancora metafisico nello sviluppo filosofico dell’epistemologia empiristica). Questo aspetto della riflessione marxiana, infatti, compare in maniera del tutto subordinata all’intento di una rielaborazione del materialismo storico – vero presupposto – in rapporto al problema bifronte della storia economico-sociale e della scienza economico-sociale, che esso deve ora affrontare. È proprio dalla questione della relazione fra schema ‘sincronico’ e schema ‘diacronico’ infatti, come Dal Pra stesso non manca di rilevare, che nasce l’esigenza del recupero della dialettica. Il presupposto, comunque lo si voglia giudicare, è il materialismo. Il problema, così come Marx se lo pone, è l’espansione teorica del materialismo al campo della storia e della scienza economica.

Dal Pra sottolinea, con acume critico e senza timori di natura ideologica, una tendenza nella Einleitung verso una filosofia della storia di marca organicistica e teleologica, ed il relativo carattere contraddittorio dello svolgimento marxiano. Quello di veramente importante che però sembra non emergere dalle sagaci pagine di Dal Pra, in primo luogo, è che il testo marxiano ha esso stesso la forma predominante del ragionamento in fieri più che dell’esposizione compiuta, e che le contraddizioni in esso riscontrabili sono in divenire. La Einleitung, nel suo incedere, appare ancora come pensiero coscientemente aperto su sbocchi alternativi. Se i Grundrisse nel loro complesso sono stati definiti, per sottolinearne le difficoltà di lettura, una “stenografia intellettuale privata” di Marx[39], questo giudizio si attaglia a maggior ragione alla Einleitung, che in molti punti sembra effettivamente rappresentare immediatamente per iscritto lo svolgersi delle riflessioni marxiane. In secondo luogo, la lettura di Dal Pra prescinde del tutto dalla collocazione della Einleitung nei Grundrisse.

Il nostro tentativo sarà quello di riprendere quei punti critici fondamentali riscontrati da Dal Pra, ed usarli in una rilettura integrale della Einleitung che ne metta in evidenza le contraddizioni, e più in generale contribuisca a definire la problematica dalla quale muovono i Grundrisse nel loro insieme.

§ 2. Il concetto di produzione come cardine teorico dell’indagine economica, e l’ambiguità del suo significato

§ 2.1. La categoria di produzione in generale

La Einleitung si suddivide in quattro capitoli. Nel primo, intitolato “Produzione”, Marx definisce il motivo fondamentale della sua critica dell’economia politica “borghese”.

Marx inizialmente svolge un discorso dal significato generale, nel quale rimarca il carattere storico tanto della società che delle categorie teoriche che pretendono di rispecchiarla.

I pensatori del XVIII secolo ed i loro immediati successori storici (gli economisti del XIX secolo), scrive Marx, fanno ripetutamente riferimento all’uomo come individuo naturale. Ma presupporre ai fini dello studio della società, come accade per esempio a Rousseau[40], Smith[41] e Ricardo[42], l’individuo umano come essere naturale – essere compiutamente posto nella sua essenza dalla natura –, e conseguentemente credere di poter rappresentare la società come aggregato di individui isolati, a parere di Marx non è altro che un’illusione ideologica, essa stessa portato storico dello sviluppo sociale.

Con il XVIII secolo l’individuo comincia in effetti a non essere più immediatamente parte di un tutto, della comunità come totalità sociale; con l’avvento della moderna società borghese, scrive Marx, “[…] le diverse forme del contesto sociale si contrappongono all’individuo come un puro strumento per i suoi scopi privati, come una necessità esteriore”[43]. Il singolo, a questo punto, può iniziare ad apparire come elemento naturale a sé stante: “Non come risultato storico, ma come il punto di partenza della storia”[44]. Ma ciò deriva proprio dallo sviluppo estremo dei rapporti sociali entro i quali soltanto, nella misura in cui assumono l’aspetto dell’astratta generalità, è possibile l’isolamento dell’uomo come singolo, come particolare individuo a sé stante. L’individuo umano, per Marx, è per definizione individuo sociale. È nello sviluppo storico dei rapporti sociali moderni che si deve cercare la spiegazione dell’isolamento dell’individuo. E, più in generale, non la natura dell’uomo, ma lo sviluppo sociale, deve essere oggetto dalla scienza economica.

Secondo i risultati teorici fissati nell’Ideologia tedesca, Marx concepisce la storia, fondamentalmente, come sviluppo delle forze produttive materiali della società e dei rapporti sociali di produzione. Appellandosi evidentemente a questi risultati precedenti come a dei presupposti, nella Einleitung Marx fa quindi slittare l’asse del proprio discorso dallo sviluppo sociale in genere alla produzione materiale (sviluppo delle forze produttive materiali e produzione socialmente determinata da ed in funzione di questo sviluppo) come sua base reale, e quindi punto di riferimento esatto ai fini di una trattazione scientifica dell’economia politica.

Sotto questo profilo, in primo luogo, Marx in rapporto alla produzione rifiuta quelle che definisce “robinsonate del XVIII secolo”[45]. La produzione è sempre “produzione di individui sociali”[46]: “La produzione dell’individuo isolato al di fuori della società - una rarità che può capitare ad un uomo civile sbattuto in una contrada selvaggia, la quale già possiede in sé potenzialmente le capacità sociali – è un tale assurdo quanto lo è lo sviluppo di una lingua senza individui che vivano insieme e che parlino fra loro”[47]. In secondo luogo, Marx ritiene che si debba superare ogni concezione dell’economia che spieghi l’origine dei rapporti sociali nei termini di una “filosofia della storia”, “mitologizzando che ad Adamo e Prometeo sia spuntata in testa l’idea bella e fatta ed essa sia stata poi applicata ecc. Non c’è niente di più noioso e arido che le fantasticherie su un locus communis”[48]. L’economia, al contrario, deve essere concepita nella sua dimensione reale, storica e sociale: “Quando si parla di produzione”, scrive Marx, “si parla sempre di produzione ad un determinato livello di sviluppo sociale […]”[49].

La categoria della produzione, evidentemente, deve essere centrale nella trattazione dell’economia politica perché la produzione materiale è, secondo Marx, il fondamento reale tanto della società che del suo sviluppo storico. Più precisamente, lo sforzo principale ai fini di una fondazione scientifica dell’economia politica deve essere la rielaborazione e la storicizzazione della categoria economica della produzione.

Proprio in relazione a quest’ultimo assunto, però, il discorso marxiano inizia a svelare tutta la propria complessità; secondo Marx deve essere riesaminato il concetto, classico nell’economia politica, di produzione in generale: quale è il senso di questa astrazione – che pretende di essere valida per tutte le epoche storiche – in relazione al carattere storico della produzione sociale?

“Potrebbe sembrare, scrive Marx, “che, per parlare in generale della produzione, noi dovessimo o seguire il processo di sviluppo storico nelle sue diverse fasi, oppure dichiarare fin dall’inizio che abbiamo a che fare con una determinata epoca storica, e quindi ad esempio con la moderna produzione borghese, che è in effetti il tema specifico della nostra analisi. Ma tutte le epoche della produzione hanno certi caratteri in comune, certe determinazioni comuni. La produzione in generale ha un senso, nella misura in cui mette effettivamente in rilievo l’elemento comune, lo fissa, e ci risparmia una ripetizione”[50]. Esistono, secondo Marx, degli elementi generali comuni a tutte le forme di produzione, che possono e devono essere messi in evidenza attraverso un processo di comparazione. La differenza essenziale fra le diverse forme sociali, pertanto, deve venire a rivelarsi attraverso lo sviluppo della categoria di produzione in generale e la sua ulteriore articolazione interna. È quest’ultima che caratterizza la forma economica specifica della compagine sociale. Secondo Marx quindi, se è possibile e necessario riferirsi alla produzione in generale, lo è parimenti svolgere questa categoria economica per rilevare e sviluppare le differenze reali fra e diverse forme di produzione e di società.

Questo presupposto consente a Marx di precisare la propria critica nei confronti degli “economisti borghesi”. Essi, a suo parere, già quando trattano della produzione in generale in quanto tale (come fenomeno reale sottoposto a leggi universali), inseriscono sottobanco e immediatamente in questa rubrica aspetti storicamente determinati della produzione, ovverosia elementi specifici dei moderni rapporti di produzione borghesi (sancendone in questo modo l’“eternità” e l’“armonia”). Il metodo di ragionamento proprio dell’economista borghese riguardo al ‘capitale’, schematizzato da Marx a scopo esemplificativo, suona nei seguenti termini: “[…] nessuna produzione è possibile senza uno strumento di produzione […]; nessuna produzione è possibile senza lavoro passato, accumulato […]; il capitale è tra l’altro anche uno strumento di produzione, anche lavoro passato, oggettivato; dunque il capitale è un rapporto naturale eterno, universale. Ovverosia, a condizione che io tralasci proprio quell’elemento specifico che solo trasforma uno ‘strumento di produzione’, un ‘lavoro accumulato’, in un capitale”[51].

A questa critica marxiana dell’eternizzazione del capitale operata dagli economisti corrisponde, più in generale, il rifiuto di “confondere o cancellare tutte le differenze storiche in leggi umane universali”[52], trasformando le leggi stoiche della produzione in leggi naturali. Tale effetto ideologico, secondo Marx, è il risultato del riferimento astratto alle condizioni generali della produzione, che nella Einleitung vengono così compendiate:

1) le “condizioni senza le quali la produzione stessa [qualsivoglia produzione] non è possibile” (rappresentativamente sintetizzate, a parere di Marx, da John Stuart Mill);

2) le “condizioni che favoriscono in misura maggiore o minore la produzione [ancora: qualsivoglia produzione](di cui scrive, a parere di Marx, Adam Smith)[53].

Se ci si riferisce in modo veramente rigoroso alle prime, indicando con esattezza i presupposti di ogni produzione sociale, secondo Marx ci si riduce ad una sequela di “piatte tautologie”. Se ci si riferisce alle seconde, invece, si rende necessaria o una ricerca specifica, che connetta il problema della produttività all’analisi economica della “concorrenza”, dell’“accumulazione” e quindi al moderno sviluppo del capitale come modo di produzione determinato; oppure è necessaria una riflessione sulle condizioni naturali, tecnologiche e sociali della produzione: “Il che, di nuovo, si riduce [se si vuole rimanere entro i confini dell’economia politica senza passare invece alla vera e propria storia della tecnologia e della produzione] alla tautologia che la ricchezza viene creata tanto più facilmente quanto più esistono, soggettivamente e oggettivamente, gli elementi che la creano”[54].

La critica marxiana alla definizione della categoria di produzione in generale si incastra sistematicamente in una più ampia considerazione polemica del rapporto fra le categorie di produzione e di distribuzione fissato dagli ‘economisti borghesi ’. Essi, a giudizio di Marx, separando in modo artificioso le due categorie, relegano la storia entro i limiti della distribuzione, ed in sostanza ne annullano il senso.

Il ripetuto riferimento di Marx a J. S. Mill (indirizzato ai Principi di economia politica) è indubbiamente centrato su questo tema della separazione rigida fra le categorie economiche della produzione della distribuzione. Nell’opera di Mill in effetti troviamo, in primo luogo, l’afferenza sotto la rubrica della produzione del “capitale”[55]; in secondo luogo, una separazione netta fra la produzione (della quale l’autore anglosassone pretende di individuare leggi tanto esatte quanto quelle della fisica) e la distribuzione (la quale invece secondo Mill dipende dalle consuetudini, dall’educazione morale e dal livello culturale)[56].

Dal lato della produzione, dunque, è difficile non riconoscere la validità alla critica marxiana. Dove il ragionamento di Mill non assume un aspetto tautologico, non si può fare a meno di constatarne le interpolazioni ideologiche[57].

Dal lato della categoria della distribuzione, il riferimento critico marxiano a Mill si fa più difficile, ma si rivela, ad una lettura dei Principi di economia politica, ancora più interessante. La distribuzione, sebbene assegnata da Mill all’arbitrio dei rapporti sociali, viene comunque indirettamente sottoposta alle leggi universali della produzione (che nascondono elementi specifici della società borghese). La categoria della distribuzione, sotto la quale è sussunto l’esame di tutte le formazioni sociali specifiche (presenti e passate), deve infatti tendere ad assumere, ed assume di fatto, l’economia borghese come forma ottimale di organizzazione sociale, proprio perché gli elementi specifici dell’economia borghese sono interpolati, come leggi di natura eterne ed universali, nella categoria della produzione. Questa critica marxiana vale tanto per la concezione dello Stato e del diritto, quanto per la concezione della proprietà, e sembra agire in modo molto caustico sulla struttura della teoria sociale di Mill. Apparentemente Mill, trattando della distribuzione[58], non svolge che un elenco delle forme sociali possibili[59]; ma l’elencazione e lo studio dei tipi fondamentali di distribuzione sociale, se per un verso sembra rappresentare l’accidentalità dei rapporti sociali come manifestazione specifica dell’arbitrio soggettivo nei rapporti umani, per l’altro verso, invece, pretende di essere, in sé stessa, una casistica universale, valida per tutte le epoche. Pertanto, Mill solo superficialmente ammette la possibilità di diverse forme di proprietà – privata e non –, e di Stato – socialista e non. Più in profondità, anche se indirettamente, stabilisce invece che la distribuzione effettiva debba essere valutata secondo la capacità che ha di incrementare e favorire la produzione, e di rispondere alle leggi universali della produzione[60]. Quindi – se le leggi universali della produzione sono quelle del “capitale”[61] –, questa casistica universale costituita dall’analisi milliana della distribuzione deve ricondurre, in ultima istanza, alla constatazione di come la proprietà privata e lo Stato borghese siano realmente superiori perché effettivamente capaci di corrispondere nel modo migliore alle leggi della produzione.

Da questa nostra sommaria interpretazione, svolta sulla scia dei riferimenti marxiani al tema del rapporto fra le categorie economiche della produzione in generale e della distribuzione, non si può affatto pretendere di trarre alcuna conseguenza definitiva in merito ai Principi di economia politica di Mill; essa ci aiuta però a chiarire il senso delle conclusioni di questo primo capitolo della Einleitung a proposito del carattere socialmente determinato della produzione.

Nelle teorizzazioni degli ‘economisti borghesi’, fra le determinazioni che vengono ricondotte alla distribuzione in generale, a parere di Marx spiccano la proprietà e lo Stato.

La proprietà, se considerata come appropriazione individuale della natura mediante una determinata forma sociale, è effettivamente una legge universale, una legge ed un presupposto della produzione in generale. Ma da questa tautologia gli economisti saltano spesso e volentieri, secondo Marx, ad indicare nella proprietà privata come rapporto sociale determinato la forma migliore, o addirittura naturale, della distribuzione.

Per parte loro, la polizia, la giustizia e lo Stato sono invece considerati dagli economisti come strumento indispensabile per la protezione dei beni acquisiti. Ma questo rapporto, osserva invece Marx, non è soltanto accidentale, estrinseco rispetto alla produzione: “Ogni forma di produzione genera i suoi peculiari rapporti giuridici, la sua peculiare forma di governo, ecc.”[62] Così, il diritto del più forte non è sostituito progressivamente, nel corso storico, dal diritto razionale, ma il diritto in generale è una manifestazione dei rapporti di forza e, più precisamente, dei rapporti di produzione. “Gli economisti borghesi”, scrive Marx, “vedono soltanto che con la polizia moderna si può produrre meglio che, ad esempio, con il diritto del più forte. Essi dimenticano che anche il diritto del più forte è un diritto, e che il diritto del più forte continua a vivere sotto altra forma nel loro Stato di diritto”[63].

In quest’ultima osservazione si rivela il senso profondo della critica alla separazione estrinseca di produzione e distribuzione: “La rozzezza e la genericità stanno proprio nel fatto di porre in una relazione reciproca accidentale [zufällig] cose che sono connesse organicamente [organisch], di ridurle cioè ad una mera connessione della riflessione [in einem blosen Reflectionszusammenhang][64].

Dunque, i rapporti di proprietà e la forma giuridica e statuale, se non vengono compresi nei loro nessi organici con la produzione, se non ne viene individuata la base strutturale nei rapporti di produzione nella loro articolazione determinata, diventano nella rappresentazione teorica o fattori del tutto arbitrari o, più verosimilmente, principi assoluti (ipostatizzati). Per Marx, al contrario, occorre analizzare la produzione socialmente determinata degli individui. I rapporti di produzione ed i rapporti giuridico-statali (ed in generale culturali) che ad essi si connettono, costituiscono secondo la terminologia esplicitamente impiegata da Marx, un insieme organico in sviluppo.

I primi capisaldi della concezione sociale marxiana con i quali si apre la Einleitung, pertanto, sono i seguenti:

1) l’esame della società e della storia sociale deve sempre essere incentrato sullo studio della produzione materiale, che ne costituisce il fondamento reale;

2) la produzione dell’individuo è sempre produzione dell’individuo sociale, produzione sviluppata attraverso una forma sociale; ovverosia

3) la produzione degli individui è storicamente e socialmente determinata; quindi

4) necessariamente essa si colloca entro una specifica connessione organica di rapporti di produzione, forme giuridico-statali e forme culturali; conseguentemente

5) nell’ambito dell’economia politica, la categoria di produzione in generale deve essere centrale e parimenti articolarsi in una serie di distinzioni che determinano in modo essenziale la specificità del modo sociale di produzione dato.

§ 2.2. La produzione materiale ed il carattere necessario dello sviluppo storico

Fissati questi presupposti, il perno del ragionamento e delle tribolazioni teoriche di Marx diventa, nella Einleitung, l’analisi storica delle categorie economiche. In particolare, il rapporto della società borghese con quelle forme sociali che l’hanno preceduta storicamente si rivela senz’altro il tema sotterraneo ed assillante di questa riflessione marxiana.

Marx vuole dimostrare che le leggi sulle quali si regge l’economia borghese non sono eterne, ma invece sono prodotti storici, o meglio il prodotto transitorio dello sviluppo storico. Nella riflessione marxiana, però, il concetto di produzione assume in tal senso un ruolo ambiguo.

Da un lato, il processo materiale di produzione rappresenta, nella concezione di Marx, la fonte reale ed il cuore pulsante dello sviluppo storico generale della società – del processo storico complessivo. Dall’altro, la categoria di produzione in generale esiste solo come astrazione che la scienza economica deve articolare ulteriormente e porre in una relazione concreta con le altre categorie economiche. La produzione materiale come aspetto essenziale della società in generale, infatti, esiste sempre ed unicamente come una reale e specifica formazione economico-sociale, intesa come insieme organico determinato centrato intorno ad un modo determinato di produzione.

Apparentemente, in questa concezione non vi sarebbe nulla di contraddittorio. D’altro canto, intorno ai due poli della doppia definizione della ‘produzione’ – come produzione in astratto o come modo di produzione concreto – vengono ad addensarsi due aspetti altrettanto reali della società e due esigenze teoriche corrispondentemente diverse, almeno potenzialmente contrastanti: da una parte, lo studio della produzione in relazione alla concezione complessiva della storia, dall’altra, invece, in relazione all’analisi di una forma sociale specifica.

Marx, come abbiamo visto, vuole stabilire il carattere non assoluto del capitale e delle connesse categorie economiche (inclusa la produzione in generale), fissandone la forma concreta e storicamente determinata. Contemporaneamente, però, vuole salvare il significato storico universale che assume la produzione in generale che, secondo i presupposti del materialismo storico fissati nell’Ideologia tedesca, deve pur sempre essere espressione di quel processo di incremento della produzione materiale (delle forze produttive) che svela il senso recondito del succedersi delle differenti epoche sociali (modi di produzione).

Ma il capitale allora, almeno in parte, non risulta essere un momento storico essenziale entro una logica storica di portata universale e necessaria? Questa contraddizione, che a nostro avviso costituisce l’irrisolto motivo dominante dell’intera Einleitung e ne ‘trascina’ gli sviluppi teorici, trapela già in alcuni passaggi fondamentali del suo primo capitolo.

Da una parte, secondo quanto sostiene Marx, la produzione in generale non è altro che un’astrazione dell’elemento comune a diverse epoche storiche. Quest’astrazione, quindi, ha una validità solo parziale, come Marx cerca di spiegare con una similitudine: “[…] se le lingue più sviluppate hanno leggi e determinazioni comuni con quelle meno sviluppate, allora bisogna isolare proprio ciò che costituisce il loro sviluppo, cioè la differenza da questo elemento generale, mentre le determinazioni che valgono per la produzione in generale devono essere isolate proprio affinché per l’unità – che deriva già dal fatto che il soggetto e l’oggetto, la natura, sono i medesimi – non venga poi dimenticata la diversità essenziale”[65].

Le lingue hanno determinazioni comuni, che tuttavia non annullano fra di esse le differenze essenziali; allo stesso modo, dice Marx, l’unità delle determinazioni inerenti alla produzione in generale – dovute al fatto che l’oggetto ed il soggetto, la natura e l’umanità, rimangono i medesimi – non cancella le differenze essenziali fra le diverse epoche della produzione.

D’altra parte, nella formulazione di questo paragone, le lingue vengono accostate fra loro attraverso la comparazione fra quelle “meno sviluppate” e quelle “più sviluppate”, e dunque collocate in una medesima linea evolutiva.

Quindi, da un lato la differenza fra i modi di produzione, è definita da Marx “essenziale”, essendone l’unità semplice solo una mera astrazione generica; dall’altro, viene implicitamente posto il concetto di uno sviluppo essenzialmente unitario, ovverosia di una identica linea evolutiva nella quale sono incastonate le differenze fra le epoche sociali, che al suo interno appaiono come stadi di sviluppo.

In effetti, l’esigenza di non assolutizzare l’epoca borghese – esigenza che manifesta la sua presenza ed importanza nel ripetuto richiamo alla differenza essenziale fra i diversi modi di produzione – di per sé non riesce ad evitare la presa ed il dominio teorici dell’idea che i modi di produzione siano in fondo fasi del modo sociale di produzione inteso in senso ampio, e che quest’ultimo si sviluppi sostanzialmente nei termini di un incremento delle forze produttive materiali.

Marx accenna, in relazione allo sviluppo necessario del modo di produzione, a due nodi teorici fondamentali: 1) il problema dell’origine dello sviluppo, e quindi della forma iniziale della produzione; e 2) il problema del carattere della necessità che anima lo sviluppo nel suo complesso.

1) Quanto alla prima questione – l’origine dello sviluppo –, Marx segnala la proprietà comune come “la forma più originaria” assunta dall’appropriazione sociale della natura[66]. Marx si basa, per sostenere tale tesi, sulla Storia romana[67] dello storico tedesco M. B. G. Niebuhr, libro del quale aveva redatto un quaderno di appunti ed estratti[68].

Niebuhr nella sua opera tende a dare, insieme al quadro d’insieme dello sviluppo più antico della civiltà romana – dalle origini all’istituzione del tribunato della plebe –, anche un’interpretazione generale dello sviluppo storico della società e dello Stato. Infatti, per spiegare i tratti più oscuri dell’antichità romana, egli equipara a più riprese periodi e formazioni sociali differenti (città di Roma e comuni medievali, famiglie germaniche e gentes antiche), individuandone le caratteristiche comuni.

Secondo Niebuhr, la tribù è inizialmente un’espansione della famiglia primitiva[69] e la tribù di famiglia precede nell’alta antichità quella di luogo, che è un’istituzione statale di molto successiva rispetto alla forma primitiva della tribù[70]: “Chiunque è così audace di rappresentarsi la formazione degli Stati come il risultato di un ordine anteriore di cose in cui non fosse esistita una società simile, si riferisce necessariamente ad un’epoca in cui le famiglie procedenti d’un medesimo ceppo vivevano patriarcalmente congiunte insieme in una piccola comunanza”[71].

A parere di Niebuhr, le forme sociali che nascono dall’incontro, dallo scontro o dalla fusione fra le tribù primitive conservano in gran parte l’iniziale carattere comunitario, ma questo si trasmuta in una forma statale democratica; la forma democratica sembra in effetti rappresentare, come origine dello Stato, il vero e proprio ‘universale’ della società umana, in contrapposizione alle istituzioni gentilizie. Questo principio viene corrotto in modo decisivo solamente dal denaro e dalla schiavitù, che danno nuova forza e nuovo contenuto alle istituzioni gentilizie[72].

Marx attinge a questa concezione, ed ispirandovisi liberamente se ne avvale per sostenere l’ipotesi che l’origine dello sviluppo storico risieda in un forma sociale di produzione di tipo comunistico-comunitario[73].

2) Il secondo nodo – ovvero l’esigenza di definire il carattere della necessità dello sviluppo storico –, secondo Marx, costringe a deviare dall’economia politica in sé stessa, e spostarsi dal concetto di produzione in generale verso quelli di produttività e di incremento della ricchezza. “La questione se la ricchezza si sviluppi meglio con questa o con quella forma di proprietà non è qui ancora in discussione”[74], scrive Marx verso la fine del primo capitolo; e poco prima afferma invece che, ai fini di una ricerca scientifica sulle condizioni generali della produzione in quanto condizioni che la favoriscono in misura maggiore o minore, anzitutto “sarebbero necessarie delle ricerche sui gradi di produttività, in differenti periodi, nello sviluppo di singoli popoli”[75]. Motore dello sviluppo storico complessivo, in linea con i risultati delle precedenti opere di Marx, sembra pertanto essere considerato l’incremento progressivo delle forze produttive[76].

Entrambi questi accenni marxiani alludono, a nostro giudizio, ad uno sviluppo storico oltre che necessario fondamentalmente universale e progressivo, sviluppo che parte da un punto originario comune e segue una linea essenziale. L’organismo sociale nella sua specificità risulta un momento compreso in un processo storico complessivo orientato all’accrescimento delle forze produttive. Con ciò, a fronte del tentativo marxiano di non assolutizzare il capitale, balena uno spettro teleologico di pessimo presagio e di difficile soluzione teorica.

§ 2.3. La dialettica organica delle categorie di produzione, distribuzione, scambio e consumo

Prima di affrontare in modo specifico il tema del metodo dell’economia politica – sforzo che viene intrapreso nel terzo capitolo della Einleitung –, nel tentativo di fortificare ulteriormente i presupposti della propria visione materialistica della società, Marx rivolge ancora una volta la sua attenzione alla categoria della produzione in generale, esaminandone le relazioni con le altre classiche categorie economiche di distribuzione, scambio e consumo[77], e delineando l’insieme delle relazioni fra queste categorie come una totalità organica. Alla questione è dedicato il secondo capitolo.

Secondo Marx, lo schema generale proposto dagli economisti, è riconducibile alla forma del sillogismo hegeliano: la produzione vale come universale, essendo adattamento della natura ai bisogni umani secondo leggi universali; la distribuzione e lo scambio rappresentano invece il momento del particolare, rispettivamente sotto la forma della quantità, determinata dalla casualità sociale, e della qualità, come movimento formale tra il prodotto distribuito ed il bisogno dei singolo; il consumo, infine, è l’individuale, la realizzazione dell’universale attraverso il particolare, il termine finale in cui tutto si conchiude, e che si pone al di fuori dell’economia, o agisce a sua volta su di essa come punto di partenza.

Il nesso delle categorie fissato da parte degli economisti borghesi, per un verso, corrisponde alla distinzione fra fasi reali del processo economico; per l’altro, però, è estremamente grezzo nella separazione e incerto nelle connessioni. Come sillogismo, questo nesso, infatti, è “superficiale” [flach][78], perché non assegna chiaramente alla produzione il ruolo di categoria “predominante” [übergreifend][79], che inizia e conclude il movimento ed abbraccia come totalità le altre categorie e se stessa come categoria unilaterale[80]. Studiare il sostrato materiale della società per capirne tutte le manifestazioni, significa in economia politica ricondurre tutte le categorie a quella, centrale, della produzione, ed intorno a questa ridisegnarne l’unità organica.

1) La produzione come categoria economica, come Marx ha già mostrato nel precedente capitolo della Einleitung, non è stabilita da leggi di natura costanti, ma è sempre storicamente determinata. Poiché però la produzione materiale è essa stessa la radice del movimento storico complessivo e dei suoi stadi determinati, ai quali devono sforzarsi di corrispondere le categorie economiche, fra queste ultime la categoria della produzione rappresenta sempre il fulcro della costruzione teorica[81].

2) La distribuzione, ribadisce Marx, non dipende dalla semplice contingenza storica e sociale. Essa è inscindibilmente legata al modo di produzione: “La distribuzione è essa stessa un prodotto della produzione, non solo per quanto riguarda l’oggetto, e cioè nel senso che solo i risultati della produzione possono essere distribuiti, ma anche per quanto concerne la forma, e cioè nel senso che il modo determinato in cui si partecipa alla produzione determina le forme particolari della distribuzione, la forma in cui si partecipa alla distribuzione. È assolutamente illusorio porre la terra nella produzione, la rendita fondiaria nella distribuzione, ecc.”[82].

Anche quando la distribuzione può apparire come fatto extra-economico – distribuzione sociale degli individui attraverso l’assegnazione ai compiti produttivi, stabilita dalla loro classe sociale di appartenenza; sconvolgimenti sociali dovuti a guerre, conquiste, rivoluzioni – essa, a ben guardare, risulta innanzitutto distribuzione degli strumenti di produzione o sussunzione dei membri della società sotto rapporti di produzione determinati, con la loro destinazione a specifici settori della produzione. Le stesse leggi che mirano alla rivoluzione dei rapporti di produzione esistenti sono del tutto condizionate, nella loro applicabilità ed efficacia, dalla loro reale adeguatezza al modo sociale di produzione. Perfino la rapina pura e semplice attuata dai colonizzatori è un momento della produzione, condizionato tanto dall’organizzazione sociale e produttiva del paese saccheggiatore, quanto da quella del paese depredato.

Solo ai primissimi inizi della società umana i fattori naturali condizionano la produzione come fattori del tutto esterni. In seguito, la stessa distribuzione dei fattori naturali di produzione assume fondamentalmente la forma di risultato della produzione, come distribuzione degli strumenti di produzione creati dalla produzione stessa.

La riconduzione della distribuzione alla produzione, pertanto, può essere generalizzata nelle sue conseguenze, constatando che i rapporti storici devono essere indagati come risultato della produzione materiale, o comunque come momento ad essa subordinato: “Le questioni sollevate sopra si riducono tutte in ultima istanza al modo in cui le condizioni storiche generali incidono sulla produzione e al rapporto che questa ha con il movimento storico in genere. La questione rientra evidentemente nella discussione e nell’analisi della produzione stessa”[83].

Come conseguenza di queste riflessioni, evidentemente, anche la distribuzione come categoria economica deve essere fondamentalmente ricondotta alla categoria della produzione, ai fini di un’analisi economica corretta della formazione economico-sociale determinata.

3) Lo scambio, sostiene Marx, può essere definito o nei suoi tratti generali oppure come scambio immediato (scambio per il consumo individuale).

Nel primo caso, esso è direttamente incluso nella produzione, come scambio di attività e capacità, oppure di prodotti grezzi, non finiti. Anche lo scambio tra commercianti, per esempio, è determinato dall’organizzazione della produzione ed è esso stesso attività produttiva.

Nel secondo caso, in quanto scambio immediatamente destinato al consumo individuale, lo scambio dipende comunque dalla produzione, poiché esso presuppone:

a)     la divisione del lavoro

b)     nel caso dello scambio privato, l’esistenza della proprietà privata e quindi della produzione privata

Quindi, anche lo scambio immediato si basa sul livello di sviluppo della produzione materiale, che ne influenza tanto l’estensione che l’intensità.

Lo scambio e perciò la società borghese, che è la società dello scambio per eccellenza, sono dunque un risultato storico dello sviluppo della produzione materiale[84]; conseguentemente, la categoria economica dello scambio deve essere determinata in rapporto a quella della produzione, in relazione al modo di produzione determinato.

4) La questione del consumo e del suo rapporto con la produzione, che è affrontata nella parte, anche se iniziale, più complessa del secondo capitolo della Einleitung, merita più attenzione, perché tocca un punto fondamentale ed estremamente problematico: produzione e consumo sono gli estremi di quel sillogismo economico che Marx vuole ricondurre al movimento reale della produzione. Del resto, questa relazione produzione-consumo, a differenza dei rapporti produzione-distribuzione e produzione-scambio, assume a nostro avviso il carattere di relazione fra soggetto e oggetto, fra idea e materiale, e acquista quindi un significato filosofico generale.

Marx, nell’esaminare le categorie di produzione e consumo, si richiama alla dialettica di identità e differenza. È attraverso questo strumento mutuato dalla logica hegeliana[85] che nella Einleitung, in un primo tempo, egli cerca di analizzare la relazione fra i due momenti che iniziano e concludono il processo economico.

La produzione è innanzitutto immediatamente identica al consumo. La produzione è infatti consumo produttivo, cosiccome il consumo è definibile, secondo Marx, “produzione consumatrice”[86]. Ma quest’unità indistinta non riesce a cancellare le differenze, ed anzi si ribalta in immediata differenza: “Nella prima [la produzione o consumo produttivo] si reificava il produttore, nella seconda [la produzione consumatrice o consumo] si personifica la cosa da lui creata”[87].

L’immediata differenza, in un secondo momento, viene mediata: “La produzione media il consumo, di cui crea il materiale e al quale senza di essa mancherebbe l’oggetto. Ma il consumo media a sua volta la produzione, in quanto solo esso procura ai prodotti il soggetto per il quale essi sono dei prodotti”[88]; “ciascuno dei due termini fornisce all’altro l’oggetto”, poiché la produzione è mezzo per il consumo, il consumo scopo della produzione: “la produzione” fornisce “l’oggetto esterno al consumo, il consumo l’oggetto ideale alla produzione”[89]. Questa mediazione ristabilisce l’identità fra le due categorie come identità mediata.

Il consumo:

a)     pone idealmente l’oggetto della produzione

b)     realizza il prodotto. “Dissolvendo il prodotto il consumo gli dà veramente il finishing stroke [l’ultima rifinitura][90]

c)      crea il bisogno di nuova produzione

La produzione:

a)     crea il materiale dl consumo

b)     determina il modo determinato del consumo, realizzandolo

c)      crea nuovi bisogni

Ma, dopo aver stabilito questa triplice identità, l’esame della relazione dialettica produzione-consumo si approfondisce ulteriormente e la riflessione marxiana, articolandosi in tre tempi, reca con sé uno stacco deciso rispetto all’impostazione logica hegeliana, con la quale fin qui questo esame è proceduto nel suo tentativo di riassumere l’insieme di produzione, distribuzione, scambio e consumo come totalità organica.

Da principio, Marx prova a stabilire un diverso status per le due categorie corrispondenti, con il tentativo di fissare il ruolo egemone della produzione nel processo economico, attraverso la stessa esposizione dialettica. Marx si sforza di far valere una gerarchia genetica fra produzione e consumo entro lo stesso schema hegeliano di identità e differenza.

Egli sottolinea, da un lato, come nel consumo si realizzi il prodotto, ovvero come ogni singolo prodotto debba in definitiva essere completato dal consumo; dall’altro, tuttavia, come la produzione determini il modo di consumo, “non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente”: “La fame è fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa da quella che divora carne cruda, aiutandosi con mani, unghie e denti. Non è soltanto l’oggetto del consumo ad essere prodotto dalla produzione, ma anche il modo di consumarlo, non solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produzione crea quindi il consumatore”[91].

Qui è da notare come la produzione determini il modo di consumo, ma il consumo, in prima istanza, non determini affatto il modo di produzione. Ogni singolo prodotto si realizza nel consumo; ma lo stesso modo di consumo è determinato in definitiva dal modo di produzione.

Appare evidente come Marx miri a stabilire il ruolo dominante del modo di produzione dato, rispetto all’insieme dato dei bisogni umani che, materiali o spirituali che siano, vengono considerati dipendenti dalla forma sociale determinata della produzione.

In un secondo momento, però, riassumendo lo schema dialettico seguito e proseguendo ancora al suo interno, Marx deve affrontare il tema del consumo non più individuale, ma sociale. Secondo questo diverso punto di osservazione, entro la dialettica di identità e differenza, il rapporto del consumo con la produzione appare – Marx sembra quasi costretto ad ammetterlo – del tutto paritetico.

In questa prospettiva, infatti, il consumo, dissolvendo il prodotto e creando l’esigenza di una nuova produzione, incide su di essa in misura sostanziale: “Il consumo rende definitivamente esecutivo l’atto di produzione, portando a compimento il prodotto come prodotto, dissolvendolo, consumandone la forma oggettiva autonoma; facendo mutare e divenire abilità, mediante il bisogno della ripetizione, la disposizione sviluppata nel primo atto della produzione; esso non è quindi soltanto l’atto conclusivo in virtù del quale il prodotto diviene prodotto, ma anche l’atto in virtù del quale il produttore diviene produttore”[92]. Marx sostanzialmente arriva a dire che il consumo, se si considera il suo aspetto complessivo, determina il modo di produzione (sviluppando l’abilità del produttore sociale). In tal senso, però, ne dovrebbe discendere che la produzione, nella considerazione del processo economico-sociale come totalità, non ha alcuna preponderanza rispetto al consumo – dunque: l’esatto opposto della tesi marxiana. Marx conclude: “Niente di più facile, a questo punto, per un hegeliano, che identificare produzione e consumo”[93].

Infine, giunto a questo estremo – che contraddice inesorabilmente la tesi che Marx si prefiggeva di dimostrare –, Marx ribalta le sue osservazioni in una brusca critica allo schema logico hegeliano impiegato, mettendo in discussione i presupposti stessi dell’applicabilità della dialettica di identità e differenza alla relazione fra produzione e consumo.

Marx crede che il ragionamento precedente, insieme alla forma hegeliana, di per sé ne assuma come tacito presupposto il contenuto idealistico. Occorre pertanto rinunciare al tentativo di adottare direttamente le categorie hegeliane per ricondurre l’insieme di produzione, distribuzione, scambio e consumo al processo materiale di produzione.

A livello strettamente economico, infatti, la produzione totale non equivale al consumo totale. Contro Say, Marx si richiama a Storch[94], riferendosi alla necessità di considerare i mezzi di produzione ed il capitale fisso nella loro peculiarità. La produzione deve quindi essere riconosciuta nel suo ruolo economicamente determinante ed assumere, come categoria economica, una corrispondente forma centripeta rispetto alle altre categorie ed allo stesso consumo.

A livello filosofico, invece, Marx tenta di chiarire i presupposti materialistici che devono essere fatti valere nello studio economico: “[…] considerare la società come un unico soggetto, significa considerarla in modo falso, speculativo. In un soggetto produzione e consumo si presentano come momenti di un solo atto. Ma la cosa più importante da mettere in rilievo è che produzione e consumo, considerati come attività di un soggetto o di più individui, si presentano in ogni caso come momenti di un processo in cui la produzione è l’effettivo punto di partenza e perciò anche il momento egemonico”[95].

In primo luogo, secondo Marx, considerare la società come unico soggetto indistinto, è speculativo, idealistico. Materialisticamente, le differenze concrete e le contraddizioni reali in seno alla società non possono essere tralasciate o ipostatizzate. Esse devono al contrario assumere un’importanza centrale, diventare l’oggetto principale dallo sforzo teorico volto a comprendere la situazione sociale esistente. La scienza economica deve analizzare il modo sociale di produzione determinato: in tal senso è assurdo presupporre la coincidenza immediata fra produzione e consumo, fra produttori e consumatori.

In secondo luogo, secondo Marx, anche considerando un singolo soggetto, la produzione deve essere comunque presupposta come momento predominante, ed ogni schema logico-dialettico deve essere adottato di conseguenza.

A nostro giudizio, il discorso sotteso alle scarne parole spese da Marx in proposito, allude alla teorizzazione hegeliana svolta nei Lineamenti di filosofia del diritto (Grundlinien der Philosophie des Rechts – d’ora innanzi solo Grundlinien). Mettere sullo stesso piano produzione e consumo presumibilmente significa, secondo Marx, rischiare di ricostituire un sistema dei bisogni[96] e concepire il soggetto economico-sociale (fraintendendolo) come realtà statica, fondamentalmente compiuta, scivolando pericolosamente verso l’idealizzazione della realtà sociale presente.

Nello sforzo di superare definitivamente Hegel, Marx inverte il presupposto fissato da Adam Smith – percepito e recepito da Hegel come elemento adatto alla propria costruzione filosofica – in merito al rapporto fra consumo e produzione come categorie teoriche e fattori reali.

Nella Ricchezza delle nazioni, Smith scrive: “Il consumo è l’unico fine e scopo di ogni produzione; e l’interesse del produttore dovrebbe essere considerato solo nella misura in cui può essere necessario a promuovere l’interesse del consumatore. Questa massima è così chiaramente evidente per sé stessa, che sarebbe assurdo cercare di spiegarla. Ma nel sistema mercantile, l’interesse del consumatore è quasi costantemente sacrificato a quello del produttore; e tale sistema sembra considerare la produzione, e non il consumo come il fine e lo scopo definitivo di ogni attività e commercio”[97]. Questa identificazione del consumo individuale come momento essenziale non esprime solamente un precetto di politica economica ma, attraverso di esso, definisce la natura fondamentale, geograficamente e storicamente universale, della società: la società è volta per natura alla soddisfazione del bisogno individuale.

Hegel, in qualche modo, si avvale di questo asserto e lo incapsula nella propria teorizzazione della società civile. I bisogni dei singoli individui e loro soddisfazione, nella trattazione hegeliana del sistema dei bisogni, dettano l’esigenza dello sviluppo della produzione. La divisione sociale del lavoro e lo sviluppo sociale della produzione rispondono intrinsecamente al compito di soddisfare progressivamente i bisogni individuali, ed alla logica lineare del loro crescente affinamento.

Marx dal canto suo tenta di invertire l’ordine di priorità fissato da Smith, ai fini di togliere terreno sotto i piedi dell’idealismo – e dell’idealizzazione della moderna società borghese: “Il consumo come necessità, come bisogno, è esso stesso un momento interno dell’attività produttiva. Ma quest’ultima è il punto di partenza della realizzazione e, quindi, anche il suo momento egemonico, l’atto nel quale l’intero processo riprende il suo andamento”[98].

Nella totalità organica del movimento economico della società, dunque, la produzione è il momento egemonico. Anche se si tralasciano la differenza specifica di questa totalità organica come situazione sociale determinata, e le reali differenze e contraddizioni interne che la contraddistinguono, ed invece si considera genericamente il modo di produzione nel suo sviluppo storico complessivo, deve continuare a valere questo principio. In ogni caso, infatti, i bisogni individuali non costituiscono immediatamente la base di partenza della produzione, né il loro definitivo costituirsi a sistema è la sfera in cui si compie lo sviluppo della produzione.

Ogni produzione determinata soddisfa un dato sistema sociale dei bisogni, ed è pertanto produzione socialmente e storicamente determinata. Lo sviluppo della produzione, però, travalica i propri presupposti storico-sociali e genera uno sviluppo dei bisogni sociali che non è più inquadrabile nel sistema sociale precedente, e ne provoca il crollo e la radicale riconfigurazione.

Occorre ora rimarcare come Marx enunci i punti relativi al rapporto produzione-consumo in modo brusco, quasi con un atto di forza rispetto all’analisi precedente, e non senza traccia di travaglio intellettuale.

Il rifiuto tanto della centralità del consumo che di quella del bisogno individuale come componente determinante del consumo sociale, prevale con nettezza, come presa di posizione di principio contro ogni possibile riconduzione dell’economia ad un sistema dei bisogni. Ma questo sforzo non riesce interamente ad esplicitarsi, e ad arrivare a delle conclusioni nette in relazione alla dialettica del rapporto produzione-consumo così come era stata in precedenza esposta.

Il consumo, secondo l’espressione di Marx, è “un momento interno dell’attività produttiva”[99]; ma proprio in questa immanenza del consumo nel processo produttivo sembra consistere il mantenimento di un fondamentale principio ideale dello sviluppo della produzione – la produzione deve essere e rimanere comunque in qualche misura volta alla soddisfazione dei bisogni. Marx non tematizza questo principio; esso però indiscutibilmente permane come momento interno alla produzione in quanto determinazione fondamentale del suo carattere storicamente progressivo.

In generale, in tutto il secondo capitolo, Marx usa in modo ambiguo i termini produzione, distribuzione, scambio, consumo. Essi si riferiscono contemporaneamente ai fattori reali della produzione ed alle categorie economiche. Le seconde devono articolarsi in una concrezione organica perché i primi costituiscono oggettivamente una totalità concreta, o meglio, il fondamento della società come totalità concreta, organismo sociale.

Ma, se in questo non sembra esservi di per sé nulla di contraddittorio, la centralità attribuita alla produzione rende invece necessario spezzare ogni ambiguità terminologica.

Perché, fra le categorie economiche la produzione deve avere una prevalenza? Perché questa prevalenza rispecchia la centralità della produzione, rispetto a tutti gli altri fattori economici reali. Ma perché la produzione realmente prevale su tutte le altre sfere economiche? Sembra lecito rispondere: perché in essa consiste il fondamento dello sviluppo storico inteso in termini progressivi, come sviluppo dell’attività pratica dell’uomo e soddisfazione per suo mezzo di nuovi e crescenti bisogni umani, creazione per suo mezzo di nuove e superiori forme umane.

In ciò, però, sembra emergere il circolo vizioso in cui si dibatte la riflessione marxiana: da una lato, tutto deve essere ricondotto, in termini materialistici, alla produzione. Dall’altro, la centralità della produzione materiale si fonda sul fatto che in essa Marx individua il fondamento dello sviluppo storico, inteso in termini almeno parzialmente teleologici, come una progressiva trasformazione della natura e della società ai fini di un più completo soddisfacimento dei bisogni umani, di una più completa realizzazione dell’uomo e, in definitiva, dell’affermazione pratica della sua idealità.

Questa latente contraddizione determina a nostro avviso l’andamento sofferto della Einleitung, ed emerge in tutta chiarezza nel suo terzo capitolo.

§ 3. La problematicità del rapporto fra metodo dell’economia politica e concezione della storia

§ 3.1. Come ordinare le categorie economiche? Il duplice problema del metodo dell’economia politica e della concezione dello sviluppo storico

Nel terzo capitolo della Einleitung, Marx affronta il problema del metodo dell’economia politica. Nel farlo, inizia con lo stabilire, quale fondamento essenziale, i termini materialistici della conoscenza scientifica.

Gli economisti del XVII secolo, secondo Marx, “cominciano dall’insieme vivente, dalla popolazione, la nazione, lo Stato, più Stati, ecc.; ma finiscono sempre col trovare per via dell’analisi, alcune relazioni determinanti generali, astratte, come la divisione del lavoro, il denaro, il valore, ecc.”[100]. Dunque, essi procedono “dal concreto rappresentato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici”[101].

Solo in un secondo momento, nell’interpretazione data da Marx, sorgono delle teorie economiche, che cercano di ricondurre sistematicamente il semplice al concreto. “Quest’ultimo” scrive Marx “è, chiaramente, il metodo scientificamente corretto. Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice”[102].

Nel procedimento scientifico, quindi, il concreto appare, attraverso un processo di sintesi teorica, come risultato di pensiero. Qui Marx crede di scovare la radice materiale dell’illusione hegeliana che il reale sia il prodotto del movimento del puro pensiero: “la totalità come essa si presenta nella mente quale totalità del pensiero, è in fact un prodotto del pensare, del concepire; ma mai del concetto che genera se stesso e pensa al di fuori e al di sopra della rappresentazione, bensì dell’elaborazione in concetti dell’intuizione e della rappresentazione”[103].

Come ha efficacemente illustrato Ilenkov in alcuni suoi lavori[104], per Marx la conoscenza da principio prende le mosse dall’intuizione o immagine intuitiva della realtà complessiva (sua rappresentazione piena), per poi procedere analiticamente attraverso rappresentazioni o immagini via via più ‘sottili’ e giungere a delle rappresentazioni astratte, ovvero a delle determinazioni significativamente generali. Solo dopo, secondo Marx, il cervello si può appropriare del mondo teoricamente – con il solo pensiero – “nella sola maniera che gli è possibile, maniera che è diversa dalla maniera artistica, religiosa e pratico-spirituale di appropriarsi del mondo. Il reale rimane, sia prima che dopo, saldo nella sua autonomia fuori dalla mente; fino a che, almeno, la mente si comporta solo speculativamente, solo teoricamente. Anche nel metodo teorico, perciò, la società deve essere sempre presente alla rappresentazione come presupposto”[105].

Ai fini del nostro discorso, occorre notare il carattere materialistico dei presupposti fissati da Marx in relazione alla definizione di questa dialettica dell’astratto e del concreto. A prescindere dalla valutazione della validità epistemologica dell’operazione marxiana, essa consiste nel recupero, entro un ambito gnoseologico strettamente materialistico, della connessione categoriale tipica della ‘scienza’ hegeliana.

Il problema cui Marx si trova di fronte, è quello di valutare la portata storica di questa concezione materialistica e dialettica della scienza. Ora, nel contesto dello studio dell’economia politica – scienza deputata a studiare i meccanismi economici della moderna società borghese –, si tratta di stabilire in quali termini l’economia politica possa essere definita come scienza storica.

Se Marx ha precedentemente concluso che essa deve procedere dalle categorie più semplici a quelle più complesse, ora si chiede: “Ma queste categorie semplici non hanno anche un’esistenza storica o naturale indipendente, prima delle categorie più concrete?”[106]

Intorno a tale questione, cioè relativamente alla precedente esistenza naturale o storica delle categorie semplici rispetto a quelle più complesse, si articolano i rovelli critici del capitolo dedicato al metodo dell’economia politica. L’indagine assume ora l’aspetto di una vera e propria tortura dialettica dell’oggetto, del quale si vuole estorcere l'essenza propria, attraverso un andamento euristico che procede per successivi, continui, ribaltamenti e specificazioni delle tesi che lo riguardano. A nostro avviso, questo stile, lungi dal manifestare in tutto e per tutto una preordinata unità complessiva della costruzione teorica, testimonia al contrario le contraddizioni vive di una ricerca ancora in divenire[107].

Benché dal punto di vista del contenuto Marx sia certo che la critica dell’economia politica nulla abbia a che spartire con la concezione hegeliana del diritto, il metodo seguito da Hegel nelle sue Grundlinien per allacciare l’una con l’altra le categorie di possesso, proprietà e famiglia – categorie aventi un significato naturale e storico oltre che giuridico – è considerato da Marx un modello adatto anche alla trattazione delle categorie economiche dell’economia politica.

Il riferimento di Marx è esplicito e può essere ricondotto ad un preciso passo delle Grundlinien, nel quale Hegel accenna in termini esemplificativi alla collocazione della categoria della famiglia nella partizione della propria opera. Per spiegare la natura del proprio metodo scientifico, nella Anmerkung al paragrafo 32 dell’Introduzione, Hegel scrive: “Nel significato speculativo, la maniera di esistere di un concetto e la sua determinatezza sono una sola e medesima cosa. Ma è da notare che i momenti, il cui risultato è una forma ulteriormente determinata, lo precedono in quanto determinazioni concettuali nello sviluppo scientifico dell’idea, ma non lo precedono nello sviluppo temporale in quanto raffigurazioni. Così l’idea, come è determinata in quanto famiglia, ha per presupposto le determinazioni concettuali, come risultato delle quali essa si presenterà in seguito. Ma il fatto che questi interni presupposti esistano anche per sé, già come formazioni, come diritto di proprietà, contratto, moralità etc., è l’altro lato dello sviluppo, che, soltanto in una civiltà più altamente compiuta, ha condotto a questa esistenza, peculiarmente formata, dei suoi elementi”[108].

Per un verso, l’esposizione hegeliana del diritto razionale dà l’apparenza, secondo Marx, di risalire la china storica. Il possesso, è vero, precede nelle Grundlinien ogni altra categoria[109], e quindi anche la famiglia, sebbene sul piano storico non possa essere dato alcun possesso prima dei rapporti concreti della famiglia o della signoria e servitù. Ma la categoria di possesso, sottolinea Marx, è trattata da Hegel in rapporto diretto con quella di proprietà (privata) ed include implicitamente in tal senso le famiglie e le tribù, che possiedono già prima che si sia affermata la proprietà privata[110] – forma di possesso, questa, storicamente successiva.

Per un altro verso però, a parere di Marx – e, sia la teorizzazione hegeliana inerente al proprio metodo che abbiamo citato, sia l’effettiva composizione d’insieme delle Grundlinien, sembrano dargli pienamente ragione –, Hegel segue in modo predominante un percorso tutt’altro che storico. Marx, traendone direttamente le conseguenze anche in merito alla propria visione della società, scrive: “In una società più progredita essa [la categoria più semplice o la proprietà] si presenta come un rapporto più semplice di un’organizzazione sviluppata”[111]. Come si può verosimilmente supporre leggendo i passi immediatamente successivi, Marx è convinto che nelle Grundlinien la forma moderna, attuale, del diritto e dello Stato sia l’oggetto d’indagine ed il perno della composizione d’insieme. Ed in effetti la proprietà privata, nell’esposizione hegeliana[112], è inseparabile dal possesso, del quale viene anzi a costituire il presupposto giuridico, nonostante il possesso familiare e tribale – la proprietà comune – per parte sua sia il presupposto storico reale della proprietà privata[113].

In qualche modo, allora, sembra che Marx, nell’ordinare le categorie dalle più semplici alle più complesse – categorie che rappresentano nel suo lavoro rapporti economici invece che, come in Hegel, giuridici, e assumono come oggetto d’indagine la società borghese moderna invece che lo Stato –, non sia intenzionato a seguirne la connessione storica, ma invece, sulle orme del suo grande maestro dialettico, voglia considerare prevalentemente la forma sociale attuale come tutto concreto, entro il quale l’implicazione di ogni categoria è più di natura logica che storica.

Marx, però, non ha ancora fissato questo aspetto della dialettica, che già lo pone in discussione, mutandolo, attraverso il suo stesso approfondimento, nel proprio contrario: “Tuttavia, resterebbe sempre il fatto che le categorie semplici sono espressioni di rapporti in cui il concreto meno sviluppato può essersi realizzato, senza aver ancora creato il rapporto o la relazione più complessa che è espressa idealmente nella categoria più concreta; mentre il concreto più sviluppato conserva quella stessa categoria come un rapporto subordinato”[114].

Riferendosi più specificamente ad alcune determinazioni economiche fondamentali, in questa relazione storica si troverebbe, secondo Marx, il denaro rispetto al capitale, alle banche, al lavoro salariato. Con ciò Marx ritorna ad ipotizzare una successione storica reale – di forme economiche di volta in volta storicamente dominanti nella totalità concreta della società ai suoi diversi stadi di sviluppo – cui debba corrispondere la successione fra le categorie nella trattazione scientifica dell’economia politica[115].

Ma anche questa nuova ipotesi – appena delineata e già posta in dubbio da quel “può” – è subito attaccata dallo spirito implacabilmente critico di queste pagine, e rovesciata alla luce dell’evidenza storica. Infatti, “il concreto meno sviluppato può essersi realizzato” nelle categorie che in seguito diventano le più semplici, e quindi acquistano i primi posti nell’ordine della trattazione scientifica; però, aggiunge Marx, da un punto di vista storico complessivo, non è necessariamente così: “D’altra parte si può dire che si danno forme di società molto sviluppate, e tuttavia storicamente immature, in cui si trovano le forme più alte dell’economia – per es. cooperazione, sviluppata divisione del lavoro ecc. – senza che esista affatto il denaro, come ad esempio nel Perù”[116].

E dopo aver portato altri esempi, Marx ribadisce: “Quindi benché la categoria più semplice possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta, essa può appartenere, nel suo pieno sviluppo estensivo ed intensivo solo ad una forma sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta”[117].

A questo punto, lo sviluppo logico del concreto attuale sembra quindi definitivamente distinto dallo sviluppo storico complessivo della società. Lo sviluppo sociale tout court è presumibilmente ricondotto da Marx – anche se ciò non è esplicitato nel testo della Einleitung, se non nel suo quarto capitolo – allo sviluppo delle forze produttive; al contrario il concreto è qui unicamente il concreto economico dato, il capitalismo come sistema organico (logicamente coerente nell’insieme delle sue contraddizioni), il cui sviluppo logico non combacia, di per sé, con lo sviluppo storico della società in generale.

Si affaccia chiaramente nell’esposizione marxiana la questione della non corrispondenza fra lo sviluppo storico da una parte, e la struttura della forma sociale data (ed in particolare, dunque, del capitalismo) dall’altra. Lo sviluppo storico complessivo non può essere riassunto, sembra pertanto rispondere Marx all'iniziale domanda sul metodo dell’economia politica, dalla concatenazione categoriale delle determinazioni economiche inerenti la società moderna.

Tuttavia, sebbene sia negata la possibilità di riassumere esaurientemente la storia della società nella costruzione della scienza economica della società moderna, si deve già constatare, ad un esame più attento della terminologia, la significativa permanenza di elementi finalistici, che trapelano proprio dalle righe marxiane appena ricordate.

Infatti, Marx parla ancora dello sviluppo storico nel senso di una maturazione progressiva (come dimostra il suo riferimento a forme sociali più mature o meno mature), o di una crescita necessaria di complessità. Le forme sociali, così come sono pensate da Marx, appaiono in generale più evolute o meno evolute secondo un concetto di evoluzione che nella Einleitung assume un carattere finalistico-lineare. La storia della società – pur se diversificata a livello locale, soggetta a ritorni o ricadute, e complessa –, poiché è intesa come progresso necessario delle forze produttive, in modo simile a quanto accadeva nelle teorie evoluzionistiche pre-darwiniane per la storia naturale, appare incanalata in un percorso fondamentalmente predefinito, ed in buona misura si presenta come processo essenzialmente lineare[118]. Questo finalismo ricompare nella maniera più esplicita proprio quando Marx si accinge ad illustrare, con l’esempio chiave della categoria del lavoro astratto, la momentanea conclusione secondo la quale le categorie più semplici dell’economia politica non necessariamente rimandano ad un’effettiva precedenza storica di una più semplice fase dello sviluppo sociale.

§ 3.2. Il rapporto fra la società borghese e le forme sociali ad essa antecedenti. Il ‘ricapitolazionismo’ marxiano

Marx scrive: “Il lavoro sembra una categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro nella sua generalità – come lavoro in generale – è molto antica. E tuttavia, considerato in questa semplicità dal punto di vista economico, ‘lavoro’ è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione”[119].

Al concetto di lavoro astratto come sostanza del valore, cioè essenza della ricchezza, la scienza economica arriva attraverso una lunga serie di tappe intermedie, procedendo di pari passo con il lento processo storico di trasformazione della società in senso borghese. Marx fornisce in proposito una ricostruzione estremamente lineare e suggestiva[120]. Inizialmente la ricchezza è concepita solo come denaro (con il cosiddetto sistema monetario). Solo in un secondo tempo, con il sistema manifatturiero-commerciale[121], è indicata come fonte della ricchezza l’attività soggettiva, benché ancora intesa come mero “fare denaro”. Poi, con il sistema fisiocratico, prende piede l’idea dell’oggetto come prodotto in generale, risultato generale del lavoro, e l’attenzione si sposta dal denaro alla ricchezza universalmente concepita (sebbene ancora vincolata alla natura – alla terra – come alla propria  determinazione essenziale[122]). Infine, con i primi sintomi del economia industriale, Adam Smith realizza teoricamente il progresso decisivo, scoprendo il lavoro stesso come generalità astratta dell’attività creatrice, e fonte della ricchezza[123].

“Ora”, prosegue Marx, “potrebbe sembrare che così si sia trovata soltanto l’espressione astratta per la più semplice e antica relazione in cui gli uomini compaiono come produttori, qualunque sia la forma della loro società. E questo in un senso è giusto, in un altro no. L’indifferenza verso un genere determinato di lavoro presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro, nessuno dei quali domini più sull’insieme. Così, le astrazioni più generali sorgono solo dove si dà il più ricco sviluppo del concreto, dove una sola caratteristica appare comune a un gran numero, a una totalità di elementi. Allora, essa cessa di poter essere pensata soltanto in una forma particolare”[124]. Si può dire che con ciò Marx separi il concetto di lavoro in generale, valido per tutte le epoche, dall’effettiva comparsa storica del lavoro generale, che aiuta a comprendere il primo, essendone lampante manifestazione, ma che ne differisce in termini sostanziali, come la realtà effettuale dall’idea astratta.

Un esempio concreto del lavoro in generale, storicamente determinato come lavoro generale, lo si trova, nella sua forma più sviluppata, solo negli Stati Uniti, ossia nella più moderna delle società borghesi. “Così”, scrive Marx, “l’astrazione più semplice che l’economia moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società moderna”[125].

Esiste infatti una “maledetta differenza”, precisa Marx: il lavoro in generale, il lavoro astratto, inteso come categoria che rispecchia la produzione generale della società come risultato storico estremo della divisione del lavoro (nella sua forma borghese) – è una cosa del tutto diversa dal riferimento astratto alla disposizione naturale verso ogni tipo di lavoro propria dei membri delle comunità primitive, così come essa è riscontrabile presso i popoli “non civilizzati”. Il senso della stessa astrazione risulta, nei due casi, completamente diverso.

Inoltre, presso i popoli che tendono a conservare questa disposizione primitiva per più tempo, ciò è dovuto, come per i Russi, all’azione di influenze esterne che li strappano al lavoro determinato cui sono tradizionalmente legati[126].

Marx sottolinea con energia il peso delle condizioni storiche reali, che sole danno alle categorie piena validità. Le categorie scientifiche astratte derivano essenzialmente dalla realtà concreta che rappresentano, e valgono solamente in ciò che in esse vi è di determinato. L’astrazione economica, pertanto, è scientifica solo nella sua determinatezza storica. Qui compare quindi, nella sua formulazione più precisa il concetto, cui si è richiamato con ragion di causa Della Volpe[127], di astrazione determinata: “L’esempio del lavoro mostra in modo evidente che anche le categorie più astratte, sebbene siano valide – proprio a causa della loro natura astratta – per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e posseggono la loro piena validità solo per ed entro queste condizioni”[128].

A questo punto, però, si devono riscontrare anche i potenti motivi di carattere contraddittorio propri di questa riflessione.

L’affermazione della validità – anche soltanto astratta – della categoria di lavoro in generale per tutte le forme sociali, e della sua validità pienamente reale per il capitalismo, sembra condurre inevitabilmente Marx nella direzione opposta rispetto alla tesi della distinzione tra categorie economiche moderne e interpretazione della storia economico-sociale complessiva. La distinzione fra lavoro in generale (categoria scientifica astratta e universale) e lavoro generale (realtà concreta attuale), infatti, tende a riassumersi in una distinzione fra la “disposizione originaria” (che rimane sempre astrattamente valida) e l’effettiva realtà attuale dell’indifferenza verso il lavoro determinato (propria solamente dell’epoca moderna), e dunque a coincidere con l’ammissione di fatto di una disposizione universale, cioè di una naturale predisposizione dell’uomo, che si deve realizzare storicamente.

La categoria del lavoro in generale, del resto, ha a che vedere, come anche quella della produzione in generale, con lo sviluppo generale della ricchezza, e più complessivamente, se ci si riferisce all’idea più ampia che Marx ha della storia, con lo sviluppo necessario delle forze produttive. Da un lato, la disposizione originaria ammessa verso il lavoro astratto non può non tendere a tramutarsi, in questa temporanea formulazione teorica di Marx, in un effettivo agente storico complessivo; dall’altro, il lavoro in generale, così come accadeva alla produzione in generale, assume un ruolo che va ben al di là di quello di semplice astrazione valida, nella sua indeterminatezza, per tutte le epoche sociali, contenendo in sé la postulazione tacita ma ineludibile della storia come processo, come esplicazione delle forze produttive, come dispiegamento progressivo, necessario e universale della produzione e del lavoro umano – processo che deve raggiungere una propria determinatezza storica nel lavoro astratto.

Ecco perché all’‘esempio’ del lavoro, che nelle intenzioni doveva suffragare la distinzione fra dialettica economica della società borghese moderna e sviluppo storico complessivo, segue invece l’ammissione dell’esatto contrario. A questo punto, Marx esplicitamente afferma: “La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora i residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era ancora accennato si è sviluppato in tutto il suo significato ecc.”[129]. Ricompare dunque l’idea che lo sviluppo storico materiale  sia essenzialmente unitario.

Sembra, è vero, che facciano capolino alcune limitazioni, sia di carattere estensivo (lo studio della società moderna permette di comprendere tutte quelle forme sociali precedenti sui cui resti sorge), per cui lo sviluppo storico non è uguale in ogni luogo, cioè non ha carattere universale; sia di carattere qualitativo (nella società moderna si conservano solo degli elementi delle società ad essa precedenti, sui quali si innesta), per cui non di tutti gli elementi delle società precedenti sono sempre e comunque rintracciabili dei residui entro la società borghese. Ma ora prevale nettamente un aspetto teleologico-ricaptolazionistico; e Marx, di seguito, conclude: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica”[130].

In questo fondamentale passaggio della Einleitung, a nostro avviso, bisogna riconoscere l’influenza delle teorie dell’evoluzione naturale pre-darwiniane[131]. Le specie animali, negli sviluppi più coerenti di queste concezioni, si suddividono in inferiori e superiori nella misura in cui si collocano in una presunta linea di sviluppo unitaria, orientata finalisticamente dal semplice al complesso, e mossa da un progressivo perfezionamento dell'organismo[132]. È a questo tipo di teorie evoluzionistiche (di origine lamarckiana[133]) che Marx si ispira nel paragonare il rapporto storico società precapitalistiche – società moderna al rapporto scimmia – uomo. Negli sviluppi della concezione trasformistica lamarckiana, infatti, l’ontogenesi (lo sviluppo organico dell’individuo della specie dal suo stadio embrionale a quello adulto) e la filogenesi (la trasformazione della specie nelle sue caratteristiche essenziali), non soltanto sono concepiti come continuum, ma sono strutturalmente collegate una all’altra, secondo il principio per cui la specie superiore ricapitola nel processo specifico della propria ontogenesi (ed in particolare nelle fasi di crescita dell’embrione) le tappe della filogenesi, ovvero le caratteristiche ontogenetiche delle specie precedenti, e quindi anche la loro successone storica[134].

Nelle teorie evoluzionistiche pre-darwiniane crediamo si sveli una delle radici culturali più profonde dell’inclinazione, nella Einleitung potente, non soltanto a considerare le società precapitalistiche secondo il metro del capitalismo, ma anche – cosa ben più significativa – a vedere quelle ricapitolate nel modo più compiuto in questo. In relazione a questa concezione dell’evoluzione storico-sociale, evidentemente, la limitazione estensiva o geografica (il capitalismo si impone solo in una parte determinata del globo ed in situazioni specifiche) perde da sé il suo significato poiché il capitalismo, come modello sociale che porta ad un più alto livello di perfezione lo sviluppo delle forze produttive, assume un valore universale; la linea di sviluppo che conduce al capitale è, per ciò stesso, quella universalmente essenziale per lo sviluppo storico tout court.

Le implicazioni di questo modo di concepire il processo storico evidentemente rendono estremamente problematica la definizione della differenza specifica. In seguito alle osservazioni precedenti sul rapporto storico evolutivo fra le differenti forme sociali, pertanto, Marx si cimenta con un ennesimo sorprendente ribaltamento critico dell’impostazione del proprio ragionamento. Riemerge, decisivo ed insoluto, il problema iniziale della Einleitung, quello di costituire un’economa politica basata su una concezione della storia materialistica ed anti-ideologica. Ma le argomentazioni che Marx sostiene in tal senso appaiono ora piuttosto deboli.

Bisogna, scrive Marx, evitare di emulare gli economisti, “[…] che cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme di società vedono la società borghese”[135].

Contro lo spettro dell’identificazione della storia sociale con un progresso volto alla società borghese moderna come al proprio destino, Marx solleva l’aspetto critico fondamentale, che vale per tutto l’impianto dei Grundrisse e dell’opera economica successiva; lo sviluppo della società borghese è esso stesso antitetico, e come tale va trattato: “La cosiddetta evoluzione storica si fonda in generale sul fatto che l’ultima forma considera le precedenti come semplici gradini che portano a se stessa, e poiché è raramente, solo in certe determinate condizioni, capace di criticare se stessa […], le concepisce sempre unilateralmente”[136]. La società borghese va dunque essa stessa studiata come sistema organico che si trasforma, e della cui trasformazione devono essere indagati i punti critici. Questo sembra essere il senso stesso della critica dell’economia politica.

Ma, quando Marx riesamina la limitazione qualitativa del carattere unitario del processo storico complessivo (che consisteva nel sottolineare come il capitale riassuma solamente quelle società che l’hanno preceduto geneticamente e non tutte le forme sociali che lo hanno preceduto cronologicamente), a cagione della concezione evolutiva di riferimento, ne deve attenuare di molto il significato. La qualitativa differenza specifica delle forme sociali è ora ricondotta al differente peso relativo delle stesse categorie economiche: “Se è quindi vero che le categorie dell’economia borghese sono valide anche per le altre forme di società, ciò va preso cum grano salis. Esse possono contenere quelle forme in modo sviluppato, atrofizzato, caricato ecc. e sempre con una differenza essenziale”[137].

A ben vedere, questa ridefinizione della differenza qualitativa – che in realtà la riconduce ad una  differenza quantitativa, intensiva – si colloca in pieno entro i margini di una concezione ricapitolazionistica della società borghese ed anzi la irrobustisce, non soltanto riproponendo il parallelismo dei fenomeni sociali con i fenomeni organici, ma sviluppandolo avvalendosi, a nostro avviso, ancora delle teorie biologiche pre-darwiniane.

Il modello di comparazione fra le realtà storico-sociali determinate che Marx ora propone, sembra ispirarsi ad alcun aspetti della teoria evoluzionistica di Geoffroy de Saint Hilaire.

Questo biologo francese apporta alla concezione lamarckiana, fra gli altri, il correttivo secondo il quale all’origine, una nuova specie scaturisce dall'insorgenza di una mostruosità all’interno della sviluppo organico di una specie già esistente. Geoffroy afferma che la differenza specifica all’interno dello stesso materiale organico subentra quando “un organo” viene “alterato, atrofizzato, annientato piuttosto che trasposto”[138] se questo cambiamento, originato dal condizionamento esterno, trova un ambiente che gli consenta di stabilizzarsi.

D’altro canto Geoffroy, pur accentuando il ruolo dell’ambiente, non soltanto (come Lamarck) presuppone un nisus formativus come tendenza immanente allo sviluppo regolare dell’organismo; non soltanto ammette che i cambiamenti più radicali avvengano secondo un piano ordinato; ma soprattutto, anticipando teorie successive, ipotizza esplicitamente che la specie superiore ricapitoli nella sua trasformazione embrionale i grandi balzi specifici dai quali si è generata, e che devono risultare tanto più evidenti nello sviluppo embrionale quanto più le trasmutazioni filogenetiche sono apparse mostruose[139].

Allo stesso identico modo, secondo Marx, le medesime categorie economiche possono essere più o meno caricate o atrofizzate, ma si collocano, in vero, in uno sviluppo sociale complessivo inteso come evoluzione che segue una linea precisa.

Con ciò, però, Marx non può evitare un’implicita premessa ricapitolazionistica, che altera profondamente il senso – se non neutralizza addirittura del tutto il significato – della “differenza essenziale” fra le forme storiche di società, dalla cui tametizzazione la Einleitung aveva preso le mosse.

§ 3.3. La teoria di Marx fra vecchi paradigmi e nuove esigenze

Nelle ultime pagine della Einleitung, sembra Marx intuisca le spinose contraddizioni che vengono a delinearsi in relazione alla questione del rapporto fra metodo organicistico dell’economia politica e concezione evoluzionistica della storia sociale. Forse, Marx percepisce il pericolo di un’assolutizzazione del capitale come frutto necessario di un processo storico essenzialmente lineare (secondo i più avanzati paradigmi evoluzionistici delle scienze naturali contemporanee).

 Per questo, trovandosi di fronte, irrisolti, gli stessi problemi dai quali si era mosso nelle prime pagine della Einleitung, Marx quasi tronca l’intreccio della propria analisi; semplicemente, egli fissa quello che vuole essere il presupposto teorico fondamentale: “Come in generale per ogni scienza teorica e sociale, nell’ordinare le categorie economiche si deve sempre tener fermo che, come nella realtà così nella mente, il soggetto – qui la moderna società borghese – è già dato, e che le categorie esprimono perciò modi di essere, determinazioni d’esistenza, spesso soltanto singoli lati di questa determinata società, di questo soggetto, e che pertanto anche dal punto di vista scientifico essa non comincia affatto nel momento in cui se ne comincia a parlare come tale”[140]. A questo punto, pertanto, Marx afferma che bisogna indagare l’economia politica mettendo da parte le ipotesi inerenti allo sviluppo storico-sociale.

Il metodo organicistico dell’economia politica, se pure deve allacciare l’una con l’altra le categorie economiche generali ed incentrarne lo sviluppo intorno alla categoria della produzione, non deve avere nulla a che fare con la teoria complessiva dello sviluppo storico. L’economia politica deve limitarsi ad un organismo specifico, ovvero ad un modo di produzione determinato: “In tutte le forme di società vi è una determinata produzione che decide del rango e dell’influenza di tutte le altre, e i cui rapporti decidono per ciò del rango e dell’influenza di tutti gli altri. È un’illuminazione generale in cui tutti gli altri colori sono immersi e che li modifica nella loro particolarità. È un’atmosfera particolare che determina il peso specifico di tutto quanto essa avvolge”[141]. Questa esigenza fondamentale di analizzare la specificità del modo di produzione sembra, con ciò, prevalere definitivamente sulla considerazione della storia complessiva della società secondo i paradigmi scientifici evoluzionistici.

Marx, attenendosi a siffatta impostazione, tenta di procedere limitandosi a stabilire gli elementi essenziali per la divisione della materia: “Il capitale è la potenza economica della società borghese che domina tutto. Esso deve costituire il punto di partenza così come il punto di arrivo, e deve essere trattato prima della proprietà fondiaria. Dopo che entrambi saranno stati considerati separatamente, dovrà essere preso in esame il loro rapporto reciproco”[142]. Le categorie, secondo Marx, non devono essere esposte nell’ordine in cui risultano storicamente determinanti per le diverse forme di società, bensì, prioritariamente, nella loro “articolazione originaria all’interno della moderna società borghese”[143].

Ma il problema della storia della produzione in generale, cancellato con questo colpo di mano, viene a riaffiorare nello stesso schema della critica dell’economia politica, che Marx ora compila.

Nel piano dell’opera che conclude il terzo capitolo[144], infatti, sono previste:

a)     la trattazione iniziale delle “determinazioni generali astratte più o meno comini a tutte le forme di società”[145]

b)     le trattazioni separate delle categorie “che costituiscono la struttura interna della società borghese e su cui poggiano le classi fondamentali. Capitale, lavoro salariato, proprietà fondiaria”[146]

c)      le trattazioni di Stato, commercio internazionale, mercato mondiale e crisi

In ciò, è da notare che:

a)     Le determinazioni di merce e denaro, e quindi pure quella di valore, sono considerate astrazioni generali che hanno un senso anche al di fuori della trattazione specifica del capitale[147]; sebbene non pienamente, in virtù e nei limiti del loro carattere astratto esse sono valide per tutte le epoche

b)     Proprietà fondiaria e lavoro salariato, anche se considerati come momenti interni della società borghese, sono collocati esternamente rispetto alla trattazione del capitale, presumibilmente secondo l’intento[148] di congiungere la dialettica logica della società borghese a quella storica, per spiegare il collegamento fra queste grandi categorie e, al contempo, i fondamentali passaggi storici che connettono il capitale ai precedenti modi di produzione

Se ora nuovamente consideriamo la citata formulazione marxiana relativa al capitale come totalità storicamente determinata e unico oggetto della scienza economica[149], non possiamo fare a meno di constatare come, all’intenzione di studiare il capitale in quanto punto di partenza e di ritorno, centro dominante dell’intera società moderna, e all’intenzione di studiare la società borghese in quanto forma sociale storicamente determinata, si affianchi ed intrecci un impulso intrinseco ed inesorabile, volto a rintracciare le origini storiche ed il divenire storico del capitale e parimenti a costruire una storia sociale dal significato complessivo che includa il capitale come suo momento. Il concetto di sviluppo storico delle forze produttive sotteso alla trattazione dell’economia politica, infatti, non consente né una reale autonomia del metodo di questa scienza né, conseguentemente, una piena soddisfazione dell’esigenza marxiana di esprimere teoricamente la ‘differenza specifica’ della società borghese.

§ 4. Dalla Einleitung ai Grundrisse

§ 4.1. La Einleitung come una primo tentativo di rielaborazione dialettica del materialismo storico

Engels ha sintetizzato efficacemente il percorso di pensiero suo e di Marx in alcuni noti passaggi del breve saggio Ludovico Feuerbach ed il punto di approdo della filosofia classica tedesca[150]. Il materialismo, prima della formulazione della concezione materialistica della storia era, secondo Engels, relegato alle sole scienze naturali: “la filosofia della storia, del diritto, della religione, ecc. consisteva nel sostituire al nesso reale da dimostrarsi nei fatti un nesso creato nella testa del filosofo, consisteva nel concepire la storia, tanto in generale che nelle sue singole parti, come la realizzazione graduale di idee, e naturalmente sempre e soltanto delle idee preferite dal filosofo. La storia lavorava quindi incoscientemente, ma necessariamente alla realizzazione di un certo ideale precedentemente stabilito; in Hegel, per esempio, essa lavorava alla realizzazione della sua idea assoluta, e la tendenza ineluttabile a questa idea assoluta costituiva il nesso interiore degli avvenimenti storici. Al posto del nesso reale, ancora sconosciuto, si poneva in questo modo una nuova provvidenza misteriosa: incosciente, o che diventava cosciente poco a poco. Anche qui dunque, come nel campo della natura, era necessario eliminare questi nessi costruiti artificialmente scoprendo i nessi reali; compito che si riduce, in sostanza, a scoprire le leggi generali del movimento, che si impongono come leggi dominanti nella storia della società umana”[151].

E poco dopo, Engels prosegue: “La conclusione è, pel vecchio materialismo, che dallo studio della storia non si cava molto di edificante; per noi, invece, la conclusione è che il vecchio materialismo viene meno a se stesso, perché prende per cause prime le forze motrici ideali che agiscono nella storia, invece di ricercare che cosa si nasconde dietro di esse, quali sono le forze motrici di queste forze motrici. L’inconseguenza non consiste nel fatto che si riconoscano delle forze motrici ideali, ma nel fatto che non si risale da queste alle loro cause determinanti. La filosofia della storia invece, com’è rappresentata specialmente da Hegel, riconosce che i motivi apparenti e anche i motivi reali ed effettivi dell’attività umana non sono affatto le cause ultime degli avvenimenti storici, che dietro a questi motivi si nascondono delle altre forze determinanti, le quali debbono essere indagate. Ma essa non cerca queste forze nella storia stessa; le importa invece nella storia dal di fuori, dall’ideologia filosofica”[152].

Tuttavia, al di là delle affermazioni di Engels, se pure era stata effettivamente aperta dall’Ideologia tedesca la strada per una concezione materialistica della società, il problema della concezione dello sviluppo storico rimaneva tutt’altro che risolto. L’Ideologia tedesca, in effetti, era solamente un primo abbozzo filosofico, per altro incompleto.

Quando Marx si accinge a studiare l’economia della moderna società borghese, si trova nella necessità di esprimere preliminarmente la natura specifica del sistema sociale presente come connessione storico-economica organicamente coesa. Per assolvere a questa esigenza, nella Einleitung, prende corpo quello che Dal Pra ha chiamato il ritorno dell’organicismo hegeliano.

La dialettica adottata da Marx è sostanzialmente di tipo hegeliano, perché il momento prevalente assume la forma di punto di inizio e ritorno del movimento logico delle categorie. Su questa dialettica si fondano: la definizione del movimento economico come sviluppo organicamente centrato sulla produzione; la definizione del sistema economico come organismo specifico nel quale una determinata branca della produzione ed il suo livello di sviluppo costituiscono il cuore pulsante (modo di produzione); la definizione della forma sociale storicamente determinata come totalità il cui fulcro è tale modo di produzione (formazione economico-sociale). Questi sono senz’altro i principali risultati della Einleitung.

§ 4.2. Il ‘fallimento’ della Einleitung

D’altro canto, l’Ideologia tedesca aveva fondato il materialismo storico sulla constatazione empirica che le forze produttive materiali si accrescono, e determinano le diverse fasi storiche dello sviluppo della società. La Einleitung, conseguentemente, presuppone, in tutti i suoi passaggi principali, la necessità dello sviluppo delle forze produttive come motore fondamentale del processo storico complessivo.

Ma nella Einleitung, perciò, deve sorgere la fondamentale questione inerente il rapporto fra il metodo dell’economia politica e la concezione generale della storia. Come valutare la portata delle categorie più astratte del capitale in rapporto alle epoche storiche precedenti? Come motivare il capitalismo e lo sviluppo eccezionale della produttività ad esso connesso nel contesto della storia dell’umanità presa nel suo insieme, senza con ciò stesso trovarsi inevitabilmente ad intessere un’apologia della società borghese?

Il materialismo ‘storico’, impegnato nel tentativo di comprendere materialisticamente la società attuale come concreto dato, viene a mostrarsi debole proprio quanto alla concezione della storia. In un certo senso si può dire che il materialismo, nella Einleitung,  appoggiandosi proficuamente alla dialettica organicistica hegeliana come metodo capace di descrivere una totalità organica nel suo sviluppo[153], stenti però a delimitare chiaramente il carattere specifico di questa totalità, e non riesca a divincolarsi del tutto da una concezione che intende lo sviluppo storico complessivo, sulla scorta delle teorie evoluzionistiche correnti, come progresso esso stesso organico, predefinito nella sua linea essenziale e culminante nella moderna società borghese.

Se ci si riferisce alla Einleitung, la ‘pregiudiziale realistica’ non può essere considerata un ‘correttivo’ apportato al recupero della dialettica hegeliana. Questa interpretazione, da un punto di vista storico-filosofico, risulta oggettivamente fuorviante. Si tratta, al contrario, dell’incapacità del materialismo storico, nella Einleitung evidente, di ricostruire un quadro complessivo dello sviluppo storico senza un tacito appello ad una visione essenzialmente teleologico-lineare. È il materialismo che, come tale, si rivela filosoficamente incapace di abbracciare il campo storico senza incappare in serie contraddizioni; e non, viceversa, l’autonomia della dialettica, interpretata come una sorta di indelebile forma mentis, che pregiudica la filosofia di Marx e lo spinge all’adozione correttiva di un materialismo metafisico. Nella Einleitung, il materialismo è presupposto. Le difficoltà della Einleitung sono principalmente le difficoltà del materialismo storico, e solo in second’ordine della dialettica hegeliana.

Le influenze hegeliane, nella Einleitung, compaiono numerose volte e sotto gli aspetti più disparati. Ma non sempre rappresentano, nella trattazione marxiana, aspetti di per sé stessi controversi ed intrinsecamente problematici (dal punto di vista gnoseologico).

1) La dialettica dell’astratto del concreto è designata da Marx come il metodo scientifico corretto. Essa, però, è ricondotta in modo relativamente coerente – se ci si limita al testo marxiano – al materialismo[154].

2) Marx, nella Einleitung, tende a ricostruire il progresso dell’economia politica come processo finalisticamente orientato ad una determinata scoperta scientifica. Lo sviluppo della teoria del valore-lavoro è visto come motore nascosto e dispiegamento essenziale della storia delle teorie economiche. Qui si può dire senz’altro che si trovi un modello di “lettura sintomale”[155]. Tuttavia questo riconoscimento, da parte di Marx, di una sorta di teleologia nell’evoluzione teorico-scientifica, coincide sostanzialmente con la definizione materialistica della scienza come approssimazione alla verità oggettiva, il cui contenuto materiale è presupposto realmente, ma è determinato teoricamente solo a posteriori. Pertanto tale teleologia non contraddice, per sé stessa, l’impianto materialistico del pensiero marxiano[156].

3) La Einleitung termina con un breve brano dedicato all’arte, ed in particolare alla letteratura. L’arte, secondo Marx, è connessa inscindibilmente alla forma determinata dello sviluppo sociale entro cui si colloca; ma determinate forme artistiche, come per esempio l’arte e l’epos greci, divengono modelli universali perché rispecchiano verità umane permanenti in ogni epoca. L’ipotesi che esista un aspetto naturale dell’uomo sociale, che esso traspaia con più vivezza e forza in società ancora primitive e che, ove queste società siano sufficientemente colte, si sviluppino determinati modelli artistici capaci di permanere come fini universali dell’arte (pur essendo essa, come la società, in continua trasformazione) – questa ipotesi, per sé stessa, non sembra in contrasto con la concezione materialistica di Marx[157].

Questi aspetti formalmente hegeliani[158], a nostro parere, innescano altrettante contraddizioni sostanziali, solo nella misura in cui si collocano nella problematica fondamentale ed irrisolta della definizione della specificità della società moderna in relazione allo sviluppo storico complessivo, e più in particolare del metodo della scienza economica della società attuale in relazione alla concezione della storia. Da questo preciso punto di vista, ovvero come sviluppo della concezione materialistica della storia di fronte ai nuovi problemi posti dalla trattazione dell’economia politica, la Einleitung costituisce – come ha sostenuto Luporini, un ‘fallimento’, in quanto non si dimostra in grado di risolvere i problemi che tanto efficacemente apre all’interno della teoria marxiana[159].

§ 4.3. I primi presupposti dei Grundrisse

Luporini considera la Einleitung un fallimento teorico evidente allo stesso Marx, e un esperimento teorico che gli consente di individuare le tematiche principali che dovranno essere affrontate dagli sviluppi teorici successivi, ma non si risolverle. Per queste precise ragioni la Einleitung, sottolinea Luporini, non rimane soltanto inedita ma, soprattutto, definitivamente incompiuta.

Le nostre considerazioni, rispetto alla Einleitung, concordano in gran parte con questa valutazione di Luporini. Il procedimento di questo testo, come abbiamo tentato di dimostrare, è assai contrastato. In esso abbiamo all’opera un arrovellamento critico instancabile dell’autore nei confronti degli stessi provvisori fondamenti teorici generali della propria critica dell’economia politica[160].

Nella sua ultima parte, la Einleitung accenna proprio alla necessità di trovare delle soluzioni del problema storico alternative rispetto alle ipotesi sullo sviluppo sociale ricapitolazionistiche e lineari-organicistiche. Si tratta di annotazioni lapidarie, ma dalle quali emerge un piano di ricerca complessivo. Questa parte del quarto capitolo, perciò, assume un’importanza estrema ai fini della comprensione del significato della Einleitung, nonché dei nodi principali dei Grundrisse nel loro insieme. Essa infatti rivela come ed in che direzione l’indagine marxiana venga ad aprirsi ed indirizzarsi.

L’esteso piano di lavoro sommariamente tracciato da Marx si articola in otto punti, nei quali si rivelano, da una parte i presupposti materialistici che Marx considera imprescindibili, dall’altra, le nuove esigenze che devono essere soddisfatte a livello teorico nella rielaborazione della concezione della storia, affinché essa si amalgami con il riconoscimento del carattere storicamente determinato e specifico delle leggi del’economia moderna.

Marx da un lato ribadisce, ancora una volta, i capisaldi principali della sua concezione materialistica della società. Egli ritiene sia possibile e necessario costituire una storiografia reale contrapposta alla storiografia ideale, limitata allo Stato, alla religione, alla filosofia, ecc. (punto 2)[161]. In questo senso si deve considerare come essenziale lo studio di rapporti di produzione, sia originari e nazionali che, in second’ordine, derivati e internazionali (punto 3). Questa concezione è materialistica (punto 4) ma, al contrario del materialismo naturalistico, include la storia, riconducendola alla dialettica fondamentale di ‘forze produttive’ e ‘rapporti di produzione’ (punto 5)[162].

D’altro canto, Marx ritiene che della dialettica fra forze produttive e rapporti di produzione si debbano “stabilire i limiti”. Significativamente, egli usa l’espressione “dialettica dei concetti di forze produttive e forze di produzione”. La precedenza sembra doversi assegnare alle differenze reali invece che, aprioristicamente, a questo schema concettuale (punto 5). Ciò vale, non soltanto nella constatazione che la produzione artistica (e culturale in genere) ed i rapporti giuridici [Rechtsverhältnisse] si evolvono in modo non piattamente aderente allo sviluppo della produzione materiale – ossia nella segnalazione di un carattere diseguale dello sviluppo (ungleiche Entwicklung) della struttura economica e della sovrastruttura – (punto 6) ma in generale, come inizia impercettibilmente ad affiorare dalla scarna esposizione marxiana, per la stessa idea dello sviluppo storico complessivo[163].

Ora la critica di Marx, contro la sua stessa teoria, diventa veramente tagliente: “(7) Questa concezione si presenta come sviluppo necessario. Ma giustificazione del caso. Come. (Tra l’altro della libertà). Influenza dei mezzi di comunicazione. La storia universale non è esistita sempre; la storia come storia universale è un risultato”[164]. Si avverte distintamente, in queste righe, lo sforzo di superare il concetto di necessità lineare-cumulativo proprio dei paradigmi evoluzionistici contemporanei.

La difficoltà che la sua concezione teorica deve sciogliere, dichiara Marx, risiede nel giustificare il caso, ed in sott’ordine la libertà, e renderli operanti come tali entro lo sviluppo necessario della società – nel fissare quindi, un'efficace limitazione qualitativa della necessità storica[165].

Inoltre, Marx sottolinea come la storia universale non sia sempre esistita, ma sia essa stessa un risultato, un prodotto dello sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione – e questa limitazione estensiva della necessità, alla luce del nuovo ruolo che assume il fattore casuale nella concezione della necessità, acquista un senso ben più marcato che in precedenza, e diventa essa stessa una distinzione qualitativa[166].

Conseguentemente, le precedenti tesi sull’origine dello sviluppo storico e sul suo carattere necessario vengono entrambe radicalmente rimesse in discussione. Non solo, l’inizio della storia umana, come storia della produzione, è casuale e frammentario: “(8) Il punto di partenza è dato naturalmente dalla determinatezza naturale; soggettivamente e oggettivamente. Tribù, razze, ecc.”[167]. Ma anche, il corso complessivo dello sviluppo storico ha un carattere tutt’altro che lineare. Benché questo rilievo assuma, almeno per ora, una forma criptica, già all’inizio di questo suo programma di lavoro, scrive: “(1) La guerra è sviluppata prima della pace: modo in cui certi rapporti economici come lavoro salariato, macchinismo, ecc., sono stati sviluppati dalla guerra e negli eserciti prima che nell’interno della società borghese. Anche il rapporto tra produttività e rapporti di traffico diviene particolarmente evidente nell’esercito”[168]. Lo sviluppo della produttività, in quest’ottica, sembra imporsi solo in quanto è parimenti sviluppo della distruttività militare (ed economica), ed il ruolo del lato negativo, del ‘lato cattivo della storia’, con ciò viene posto in estremo rilievo.

Con questo quarto e ultimo capitolo della Einleitung Marx sembra dunque chiedersi: lo sviluppo delle forze produttive materiali non deve includere parimenti la differenziazione delle stesse forze produttive come un momento indispensabile del processo storico? L’impostazione complessiva dei Grundrisse – con il vasto e profondo tentativo di rielaborazione della concezione materialistica della storia attraverso la dialettica hegeliana – risponde a nostro avviso a questa nuova esigenza marxiana di ridefinire in termini multilineari (o comunque più aperti) lo sviluppo storico complessivo, in relazione alla necessità di stabilire una volta per tutte il carattere non assoluto, non storicamente universale e necessario, ma invece specifico, delle leggi del capitale. Alla rivisitazione sistematica dei Grundrisse in relazione a questa problematica è dedicato il secondo capitolo del presente lavoro.

NOTE


[1] “Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi […]”, Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 3.

[2] In Italia, del resto, la Einleitung dell’edizione berlinese venne tradotta e pubblicata dapprima ancora in diretta correlazione con Zur Kritik, nel cui stesso volume venne acclusa come appendice (nell’edizione di Per la critica dell’economia politica degli Editori riuniti del 1957 ed in quelle successive da essa tratte). Cfr. Marx, op. cit., pp. 171-199.

[3] Cfr. Della Volpe, Chiave della dialettica storica, Samonà e Savelli, Roma, 1964, pp. 23-26, e più in generale id., Critica dell’ideologia contemporanea, Editori riuniti, Roma, 1967, pp. 13-48. Il presupposto che nella Einleitung si trovino i fondamenti del metodo scientifico del materialismo dialettico e storico (ovverosia della logica dialettica marxiana nella sua distinzione specifica da quella hegeliana) vale anche per quella che forse è la principale opera di Della Volpe: cfr. id., Logica come scienza positiva, in id, Opere, vol. IV, Editori riuniti, Roma, 1973, pp. 281-487 (in particolare cfr. ivi, p. 486). Cfr. anche Merker, Dialettica s storia, La libra, Messina, pp. 281.

[4] Cfr. Ilenkov, La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx, Feltrinelli, Milano, 1975. In realtà Ilenkov non cita direttamente la Einleitung ma solo alcuni altri brani dei Grundrisse; ma come sottolinea giustamente Colletti nella prefazione, Ilenkov fondamentalmente ne presuppone e ne spiega il contenuto.

[5] Cfr. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano, 1974, ed in particolare p. 31 e pp. 83-84.

[6] Cfr. Althusser, Per Marx, Editori riuniti, Roma, 1974. Althusser si riferisce alla definizione del metodo scientifico contenuta nella Einleitung per formulare i concetti di “struttura a dominante” (ivi, p. 178 e p. 183) e “surdeterminazione” (ivi, p. 185). In Leggere il capitale, Althusser si spinge ancora più in là e viene ad identificare, a partire dalla netta distinzione marxiana fra oggetto di coscienza e oggetto reale (cfr. Althusser, Balibar, Leggere il capitale, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 47) un concetto di “tempo storico” radicalmente alternativo ad ogni filosofia della storia e fondato invece su uno sviluppo delle forme il cui ordine, anche quando appare diacronico, è sempre dettato da una sincronia fondamentale (ivi, p. 72). La Einleitung secondo Althusser dimostrerebbe l’impossibilità di qualsiasi “correlazione biunivoca fra i termini che compaiono da una parte nell’ordine della successione dei concetti del discorso della dimostrazione scientifica, e dall’altra nell’ordine genetico della storia reale” (ivi, p. 122).

[7] Burgio, Strutture e catastrofi, Editori riuniti, Roma, 2000, p. 160.

[8] Dal Pra, La dialettica in Marx, Laterza, Roma-Bari, 1977. La prima edizione è del 1965.

[9] Della tesi di laurea Dal Pra segnala come – nonostante la critica della religione e l’insistenza sul motivo della contraddizione piuttosto che su quello della conciliazione degli opposti, e pur con tutta l’attenzione rivolta all’energia pratica come momento che necessariamente affianca e compenetra quello della coscienza teorica – essa corrisponda ad una tormentata fase di “illuminismo dialettico” (Dal Pra, op. cit., p. 30) che risente in modo estremamente potente dell’influsso hegeliano.

[10] Cfr. ivi, pp. 33-96. A parere di Dal Pra, anche quest’opera, stesa presumibilmente fra il marzo e il novembre del 1843, conserva in modo decisivo il motivo dialettico-idealistico. Certamente, nella rivendicazione del passaggio dalla cosa della logica alla logica della cosa, e dallo Stato come soggetto mistico ai soggetti reali, valgono le influenze di Trendelenburg (a proposito dell’interpolazione surrettizia dell’empirico nel preteso sviluppo ideale del concetto) e di Feuerbach (cfr. ivi, p. 39). Ma, al contrario di Della Volpe e della sua scuola, Dal Pra mette in evidenza come nella critica antihegeliana della coincidenza sostanziale di reale e razionale, e nell’esigenza di una logica specifica dell’oggetto specifico, permanga tuttavia una visione della fattualità scandita dalla diversità di essenza ed esistenza e dunque, paradossalmente, una logica che non riesce a fondarsi teoreticamente sull’indagine del fatto concreto. La “presenza embrionale” della dialettica nel realismo umanistico marxiano si rivela in particolare nella tematizzazione di un legame necessario fra la sostanza dell’uomo e le esplicazioni di essa come affari e attività dello Stato. Infatti, nel suo giovanile impeto radicale, Marx concepisce la democrazia come espressione dell’essenza dell’uomo, della sua connaturata qualità sociale. Le difficoltà della riconduzione effettiva del cielo politico alla sua rappresentazione terrestre senza che quest’ultima si riduca a vuota immaginazione filosofica, che già affiorano, non sono ancora tali da impedire al pensatore di Treviri di supporre una dialettica del soggetto e delle sue determinazioni come processo di esplicazione necessario, compimento della sostanza.

Il celebre passo di Marx sulla logica specifica dell’oggetto specifico, in tal senso, non avrebbe quel valore storiografico attribuitogli da Della Volpe (“Così la critica veramente filosofica dell’odierna costituzione dello Stato non indica soltanto le sussistenti contraddizioni, ma le spiega, ne comprende la genesi, la necessità. Le prende nel loro peculiare significato. Ma questo comprendere non consiste, come Hegel crede, nel riconoscere ovunque le determinazioni del pensiero puro, bensì nel concepire la logica specifica dell’oggetto specifico”, Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Editori riuniti, Roma, 1960, p. 105).

[11] Cfr. Dal Pra, op. cit., pp. 97-162. I Manoscritti economico-filosofici del 1844, compilati fra il marzo ed il settembre del 1844, a giudizio di Dal Pra si sobbarcano, negli intenti, l’indagine dei fatti concreti dell’economia politica. D’altro canto, l’accento hegeliano qui contrassegna il ragionamento in modo ancora più deciso, marcando l’alienazione come movimento dialettico del finito. L’essenza della proprietà privata è ora il lavoro alienato, di cui Marx compone una vera e propria ‘fenomenologia’. L’aspetto analitico che fa capolino viene dunque assorbito e sussunto dal procedimento sintetico hegeliano.

La tensione umanistica di Marx lo spinge ad indagare non solo sull’origine dell’estraniazione del lavoro, e della conseguente degradazione umana, ma anche sulla possibile soluzione, la cui condizione necessaria non può che risiedere nell’energia pratica dell’uomo, nella praxis: gli enigmi teoretici non possono essere sciolti se non dall’azione politica. Tuttavia, sottolinea con arguzia filologica Dal Pra, sia la spiegazione dell’alienazione umana, sia il ruolo della prassi politica, sono inseriti in una concezione antropologica ancora palesemente finalistica. L’alienazione ha in qualche modo a che vedere con l’essenza dell’uomo, ed il socialismo con il necessario ritorno in sé. La direzione e la meta finale del processo sono fissate e incapsulate, rispettivamente in modo esplicito e in modo implicito, nella natura più profonda dell’uomo.

[12] Cfr. Dal Pra, op cit., pp. 163-192.

[13] Cfr. Dal Pra, op cit., pp. 193-225.

[14] Cfr. Dal Pra, op. cit., pp. 227-282.

[15] “La concezione materialistica della storia viene delineandosi in modo determinato solo con l’Ideologia tedesca”, Dal Pra, op. cit., p. 193. L’opinione è condivisa da altri importanti studiosi. Cfr. per es. Althusser, Per Marx, op. cit., p. 15 (l’Ideologia tedesca come momento di “rottura epistemologica”), e Luporini, Introduzione, in Id. ted., pp. XI-XCII (che in questo condivide sostanzialmente l’analisi di Althusser – cfr. in particolare p. XLI).

[16] Id. ted., p. 14.

[17] Dal Pra, op. cit., p. 225.

[18] Cfr. Dal Pra, op. cit., pp. 283-325.

[19] ivi, p. 283. Dunque, a giudizio di Dal Pra, la dialettica di Marx rimane fondamentalmente hegeliana.

[20] ivi, p. 313.

[21] Cfr. ibidem.

[22] Qui sembra possibile trovare una notevole assonanza con quanto sostenuto da Findlay in merito all’influenza del metodo hegeliano sulla filosofia di Marx. Cfr. Findlay, Hegel oggi, ILI, Milano, 1972.

[23] Dal Pra, op. cit., p. 302.

[24] Cfr. ivi, p. 325.

[25] Cfr. ivi, p. XVII, passim.

[26] Il riferimento epistemologico, come esplicitato fin dalle prime pagine del libro di Dal Pra, corre alla filosofia di Giulio Preti, ed in speciale maniera al suo (1957) Praxis ed empirismo (cfr. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino, 1975). La correzione da parte di Dal Pra della tesi di Della Volpe di una “totale vacuità” della dialettica hegeliana (Cfr. Dal Pra, op. cit., p. 96), non riguarda soltanto la sua sopravvivenza attiva nelle opere di Marx ma anche, parzialmente, il suo significato come strumento gnoseologico. Dal Pra, invece, nella sua ricostruzione storica si appoggia, pur non condividendone le conclusioni, alla distinzione operata da Lefebvre fra una fase marxiana di elaborazione del materialismo storico, più spiccatamente empirista, e la costruzione del materialismo dialettico, con il conseguente ampio recupero di Hegel. Cfr. Lefebvre, Il materialismo dialettico, Einaudi, Torino, 1949.

[27] La terminologia di Preti è fatta propria da Dal Pra. Cfr. Dal Pra, op. cit., p. XVII.

[28] Cfr. ivi, p. XVIII.

[29] Cfr. ibidem, passim.

[30] Cfr. ivi, p. 94; cfr. Preti, op. cit., pp. 169-70.

[31] Marx, come nota Dal Pra, “è ben lontano dal sottovalutare l’importanza del procedimento astratto del pensiero nella costruzione della scienza, sia che si tratti del procedimento messo in luce dagli economisti classici, sia di quello messo in luce da Hegel; ma né i primi né il secondo hanno tenuto conto adeguato dell’importanza dell’esistenza indipendente del concreto già dato” (Dal Pra, op. cit., p. 319).

[32] Dal Pra, op. cit., p. 321.

[33] Sulla Einleitung e sul lavoro astratto in particolare, vedi il paragrafo successivo di questo capitolo.

[34] Cfr. Dal Pra, p. 323 (anche se Dal Pra, come di sovente preferisce, non cita integralmente il testo marxiano).

[35] Lineamenti, I, M, p. 33.

[36] Dal Pra, op. cit., p. VI. Secondo Dal Pra, essendo La Einleitung l’unico studio marxiano decisamente incentrato sui problemi del metodo dell’economia politica, costituirebbe anche la chiave di lettura fondamentale dei lavori successivi, ed in special modo del Capitale.

[37] Cfr. Dal Pra, op. cit., p. 325. Vale la pena ancora una volta di ricordare le parole con cui si conclude il lavoro di Dal Pra: [la pregiudiziale realistica] non porta a compimento in modo risolutivo né il superamento della dottrina hegeliana, né la determinazione del nuovo indirizzo metodico che solo una più matura evoluzione storica avrebbe condotto poi a più chiara evidenza” (ibidem). Marx sarebbe dunque indotto in errore dall’assunzione, non filtrata da un adeguato apparato epistemologico della dialettica hegeliana; dialettica assorbita, ma non ancora del tutto destrutturata filosoficamente e teoreticamente ridigerita in termini empiristi. Ne risulterebbe, in qualche modo, un ibrido di idealismo ed empirismo, nei termini generali di un materialismo di marca metafisica, e nella veste specifica del cosiddetto materialismo dialettico.

[38] Il soggetto dello sviluppo di pensiero di Marx, in un certo senso, diventa l’empirismo; al punto che lo stesso materialismo marxiano viene ad essere letto da Dal Pra come uno stadio storico ancora ibrido (pregno di una dialettica non metabolizzata) dell’empirismo.

[39] Cfr. Hobsbawm, Introduzione, in: Marx, Forme di produzione precapitalistiche, Editori riuniti, Roma, 1970, p. 8.

[40] Il riferimento di Marx è esplicitamente rivolto al Contratto sociale: “[…] il contrat social di Rousseau […] pone un rapporto ed un nesso contrattuale fra soggetti per natura indipendenti” (Lineamenti, I, M, p. 4).

[41] Il riferimento di Marx, seppure non esplicitamente, corre ad alcuni passi della Ricchezza delle nazioni. Si veda per esempio l’Introduzione, nella quale Smith descrive lo stato di isolamento iniziale dell’individuo nelle nazioni barbare di cacciatori e pescatori, ed il graduale passaggio alla civiltà come incontro fra individui isolati e progresso della divisione del lavoro ad esso corrispondente (R. d. nazioni, Introduzione, p. 46). Cfr. anche il V capitolo del I libro (“Del prezzo reale e nominale delle merci, ovvero del loro prezzo in lavoro e del loro prezzo in moneta”, R. d. nazioni, I, V, pp. 82-95), nonché il celebre brano (col quale esordisce il VI capitolo del I libro) dedicato all’analisi delle parti componenti il prezzo naturale delle merci, che evidentemente presuppone l’esistenza del singolo come lavoratore indipendente: “In quello stadio primitivo e rozzo della società che precede l’accumulazione dei fondi e l’appropriazione della terra, il rapporto tra le quantità di lavoro necessarie a procurarsi diversi oggetti sembra sia la sola circostanza che possa offrire una regola per scambiarli l’uno con l’altro. Se, ad esempio, in un popolo di cacciatori uccidere un castoro costa di solito un lavoro doppio rispetto a quello che occorre per uccidere un cervo, un castoro si scambierà naturalmente per due cervi, ovvero avrà il valore di due cervi. È naturale che ciò che è di solito prodotto del lavoro di due giorni o di due ore abbia un valore doppio di ciò che è di solito il prodotto del lavoro di un giorno o di un’ora” (R. d. nazioni, p. 95).

[42] Ricardo, nei Principi dell’economia politica e dell’imposta, cita svariati passi della Ricchezza delle nazioni (estrapolandoli dai capitoli V e VI del I libro) relativi alla quantità di lavoro come misura e fonte del valore di scambio della merce. La problematizzazione della questione è contenuta nel primo capitolo dell’opera di Ricardo (“Valore”). Quello che però conta di più, in relazione al ragionamento marxiano che ora seguiamo, è la constatazione di come Ricardo, in particolare nella prima parte del primo capitolo, assuma tacitamente il presupposto storico implicito in Adam Smith che il valore di scambio ed il lavoratore come singolo isolato, essenzialmente, siano sempre esistiti (Cfr. Ricardo, Opere, vol. I, UTET, Torino, 1989, pp. 169-186.

[43] Lineamenti, I, M, p. 5.

[44] Lineamenti, I, M, p. 4.

[45] Lineamenti, I, M, p. 4.

[46] Lineamenti, I, M, p. 6.

[47] Lineamenti, I, M, p. 5.

[48] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 6, passim. La critica ha come bersaglio specifico Proudhon e gli economisti proudhoniani.

[49] Lineamenti, I, M, p. 6.

[50] Lineamenti, I, M, p. 6.

[51] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 7, passim.

[52] Lineamenti, I, M, pp. 9-10.

[53] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 8, passim.

[54] Lineamenti, I, M, p. 9. Appare già ora chiaro il senso della conclusione del primo capitolo della Einleitung: “Per riassumere: esistono determinazioni comuni a tutti i livelli della produzione, che vengono fissate dal pensiero come determinazioni generali; ma le cosiddette condizioni generali di ogni produzione non sono altro che momenti astratti con i quali non viene compreso nessun livello storico concreto della produzione” (Lineamenti, I, M, p. 11).

[55] Cfr. J. S. Mill, Principi di economia politica, UTET, Torino, 1953, libro primo, Produzione, cap. IV, Del capitale, pp. 56-63. Per esempio, Mill scrive: “Ciò che il capitale fa per la produzione è di fornire il ricovero, la protezione, gli strumenti ed i materiali che il lavoro richiede, e di nutrire, od altrimenti mantenere i lavoratori durante il lavoro” (ivi, p. 57).

[56] “A differenza delle leggi della produzione, quelle della distribuzione sono in parte opera umana; giacché il modo in cui la ricchezza si distribuisce in una data società dipende dalle legislazioni o dalle consuetudini ivi prevalenti. Ma sebbene i governi o le nazioni abbiano il potere di decidere quali istituzioni debbano esistere, essi non possono arbitrariamente determinare il modo in cui quelle istituzioni debbano operare. Le condizioni dalle quali dipende il potere che essi hanno sulla distribuzione delle ricchezze e il modo in cui questa distribuzione si effettua secondo le varie linee di condotta che la società ritenga opportuno seguire, sono materia di indagine scientifica al pari di qualsiasi legge della natura”, Mill, op. cit., Osservazioni preliminari, p. 23.

[57] “I requisiti della produzione sono due: il lavoro e gli opportuni oggetti naturali”. Così inizia il primo capitolo dei Principi di Mill. Ma fra questi oggetti naturali Mill include il capitale (cap. IV); e quando tratta del lavoro, Mill tratta direttamente del lavoro puro e semplice, astratto dalle sue condizioni oggettive, impiegabile ad una serie diversa di branche economiche e sociali (Cfr. Mill, op. cit., cap. II, pp. 33-46).

[58] Mill, op. cit., II libro, pp. 195-414.

[59] Mill, nel primo capitolo del libro sulla distribuzione, dove esamina le forme di proprietà, considera proprietà privata, comunismo, sansimonismo e furierismo, cfr. Mill, op. cit., pp. 199-206.

[60] Proprio all’inizio del libro sulla distribuzione Mill ribadisce: “Le leggi e le condizioni della produzione della ricchezza partecipano del carattere delle verità fisiche” (cfr. Mill, op. cit., p. 195).

[61] “Piaccia o non piaccia agli uomini, le loro produzioni saranno limitate dall’ammontare della loro accumulazione precedente; e, posta questa come data, la loro produzione sarà proporzionale alla loro energia, alla loro capacità, alla perfezione delle loro macchine, ed al loro uso giudizioso dei vantaggi del lavoro associato”, ivi, p. 195. Questa accumulazione, questo uso delle macchine e, in modo “giudizioso”, del lavoro associato, nella loro forma più perfetta non sono forze proprie del capitalismo moderno?

[62] Lineamenti, I, M, p. 10.

[63] Lineamenti, I, M, p. 11.

[64] Lineamenti, I, M, pp. 10-11. Cfr. MEGA, II/1.1, p. 25.

[65] Lineamenti, I, M, p. 7.

[66] Lineamenti, I, M, p. 10. Questo accenno alla forma originaria della proprietà si trova all’interno della polemica marxiana contro la surrettizia identificazione, da parte degli economisti borghesi, della proprietà in generale (appropriazione della natura) come proprietà privata di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente.

[67] Cfr. Niebuhr, Römische Geschichte; traduz. it.: id, Storia romana, Bizzoni, Pavia, 1832.

[68] Come ci informa Grillo in una nota ai Lineamenti, pur non essendo datato, il quaderno risalirebbe all’incirca al febbraio del 1855. Cfr. Lineamenti, I, M, p. 5, nota 5. Sull’influenza dell’opera di Niebuhr nei Grundrisse, cfr. anche Bonacina, Hegel, il mondo romano e la storiografia, La nuova Italia, Firenze, 1991, pp. 82-86.

[69] Parlando del senso della costituzione gentilizia fra i Germani come modello per interpretare gli albori di questa istituzione storica universalmente diffusa, Niebuhr sottolinea come fra i Germani “nessun padrone comandava e nessun schiavo obbediva” (Niebuhr, Storia romana, op. cit., vol. II, p. 11). Ma, soprattutto, l’autore tedesco mette in evidenza, oltre al diritto di successione che continua a valere ancora a lungo all’interno della stessa gens in caso di morte senza eredi (ivi, vol. II, p. 10) il carattere dell’obbligazione che legava uno all’altro i membri di una stessa gens (cui Niebuhr associa il termine tedesco “Geschlecht” e quello medievale “schiatta”; cfr. ivi, II, p. 13): “[…] l’obbligazione di accorrere se possibile, in aiuto dei parenti civili allorché ne hanno bisogno per la costruzione delle dighe, e delle case, o per provvedere a qualunque sorta di disgrazia” (ivi, II, p. 11). A questo tipo di obbligazione – totalmente diverso da quello che viene a legare i clienti ai patrizi allorquando viene diffondendosi l’usura ed un numero sempre crescente di abitanti della città viene a perdere la propria proprietà della terra e a trovarsi limitato nei propri originari diritti di cittadinanza –, si connetterebbe, secondo la particolare lettura che Marx fa di Niebuhr, il carattere comunistico della comunità originaria e della tribù nella sua forma più primitiva.

[70] “Le tribù di famiglia hanno su quelle di luogo l’anteriorità di data e quasi dappertutto le cedono il posto”, Niebuhr, op. cit., II, p. 1 (cfr. anche le pagine seguenti, relative allo sviluppo della tribù in Attica).

[71] Ivi, II, p. 3.

[72] Il fulcro dell’aspra polemica hegeliana rivolta contro la Römische Geschichte consiste, a nostro avviso, proprio nella concezione niebuhriana dello Stato democratico come Stato originario, cui Hegel contrappone lo Stato monarchico (come origine e punto di ritorno della storia universale). Sui punti particolari intorno ai quali si articola la diatriba fra Niebuhr ed Hegel, e sul contesto culturale generale nel quale si colloca, cfr. anche Bonacina, Hegel, il mondo romano e la storiografia, cit., pp. 95-168.

[73] Marx, a ben vedere, si ispira molto liberamente alla concezione dello sviluppo storico di Niebuhr, avvalendosi di alcuni suoi risultati, senza occuparsi del contesto in cui si collocano. Niebuhr nella sua Storia romana sottolinea sì il carattere comunistico delle tribù primitive come famiglie allargate, riconducendo a queste ultime l’origine delle antiche gentes, ma sostiene parimenti che, come Aristotele ha chiaramente ‘inteso’, “[…] la congiunzione in società politiche era la condizione dell’umanità; che l’uomo superiore al bruto non poteva essere compreso altrimenti che nato e vivo nello Stato […]” (cfr. Niebuhr, op. cit., II, pp. 3-4). Niebuhr si interessa delle forme sociali prestatuali solo in funzione della chiarificazione delle primissime origini dello Stato e della sua natura primordiale, con l’intento di smentire coloro che identificavano nella divisione di ceto il fondamento della nascita di Roma e dell’origine dello Stato in genere: “L’asserzione che vuole che il popolo romano non consistesse in origine che di patroni e di clienti è del novero di quelle che non scemarono di valore se non per l’applicazione troppo audace che se ne fece. Quanto più è falsa tanto più distrugge la verità storica e disconosce la libertà plebea e l’esistenza del comune” (ivi, II, p. 15). Invece, secondo Niebuhr, l’origine dello Stato è fondamentalmente democratica: lo Stato nasce inizialmente come unione superiore fra popoli diversi che viene a mediare in una struttura unitaria, tanto i primitivi rapporti fra le gentes, che i privilegi dei patrizi – come popolo dominante – sui plebei – popoli sottomessi. Solo col tempo, e al prezzo di aspre lotte sociali, il patriziato viene ad impadronirsi del potere statale e ad erodere progressivamente i diritti dei plebei. Marx, pertanto, avvalendosi di alcune conclusioni di Niebuhr (il carattere comunitario delle gentes primitive), ne modifica radicalmente il significato (non lo Stato, ma le stesse comunità primitive diventano l’origine essenziale dello sviluppo storico della società).  Sul tema dell’origine dello Stato in Niebuhr, cfr. anche Bonacina, op. cit., pp. 11-30.

[74] Lineamenti, I, M, p. 10.

[75] Lineamenti, I, M, p. 9.

[76] Della dialettica di forze produttive e rapporti di produzione Marx parla esplicitamente, nell’Introduzione del’57, solo nel quarto capitolo. Importante in tale senso è sicuramente la precedente Miseria della filosofia. Sullo svolgimento del tema delle forze produttive nella Miseria della filosofia cfr. Carandini, La struttura economica della società nelle opere di Marx, Marsilio, Padova, 1973, pp. 33-40.

[77] Ancora una volta Marx sembra riferirsi, fra gli altri, a J. S. Mill, i cui Principi di economia politica sono suddivisi nei seguenti libri: I Produzione (Mill, op. cit., pp. 27-194); II Distribuzione (ivi, pp. 195-414), III Scambio (ivi, pp. 415-752), IV Sull’influenza del governo (ivi, pp. 753-928). Quanto al consumo, esso è presupposto da Mill come fine del lavoro e della produzione in genere. La produzione è finalizzata alla soddisfazione dei bisogni, ed il suo progresso è anche e soprattutto aumento della capacità di soddisfare i bisogni. La ricchezza deve avere un valore di scambio, ma deve pur sempre essere costituita da cose utili o dilettevoli, sembra sostenere con logica lapalissiana Mill. Cfr. ivi, Osservazioni preliminari, pp. 3-23, ed in particolare la definizione della ricchezza a p. 11.

[78] Lineamenti, I, M, p. 12. Cfr. MEGA, II/1.1, p. 26.

[79] Lineamenti, I, M, p. 25. Cfr. MEGA, II/1.1, p. 35.

[80] Cfr. Lineamenti I, M, p. 26.

[81] In questo risiede già la contraddizione entro la quale si muove problematicamente il pensiero di Marx, che da un lato vuole sottolineare il carattere storico di ogni modo di produzione, dall’altro sottolineare il carattere unitario del processo di sviluppo del modo di produzione.

[82] Lineamenti, I, M, p. 20. Ecco perché, secondo Marx, per comprendere la produzione Ricardo si occupa invece prevalentemente della distribuzione: “Economisti come Ricardo, ai quali si rimprovera più di ogni altra cosa di badare esclusivamente alla produzione, hanno fatto della distribuzione l’oggetto esclusivo dell’economia politica, proprio perché essi concepivano istintivamente le forme della distribuzione come l’espressione più determinata in cui si fissano gli agenti della produzione di una determinata società” (Lineamenti I, M, p. 21). Sul ruolo della distribuzione, nei Principi di economia politica, Ricardo in effetti scrive: “Il prodotto della terra – tutto ciò che proviene dalla sua superficie con l’impiego combinato del lavoro – viene distribuito fra le classi della collettività […]. Ma nei diversi stadi della società le proporzioni di tutto il prodotto della terra assegnate a ciascuna di queste classi sotto il nome di rendita, profitto e salari saranno essenzialmente diverse […]. La determinazione delle leggi che regolano questa distribuzione è il problema principale dell’economia politica” (Ricardo, Principi, op. cit., p. 165).

[83] Lineamenti, I, M, p. 23.

[84] Marx dunque ribalta la tesi di Adam Smith, secondo la quale il progresso della produzione deriva dal progresso della divisione del lavoro, la quale a sua volta deriva del progresso della scambio come tendenza innata e razionale dell’uomo. Per Marx, invece, lo scambio presuppone la divisione del lavoro, la quale, a sua volta, è soltanto un elemento della produzione e si colloca entro il progresso di questa. Su Smith cfr. il II capitolo del presente lavoro (cap. II, § 1.1).

[85] Cfr. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, vol. I, Laterza, Bari, 1967, Logica, Dottrina dell’essenza, A) Esistenza, a) La cosa, §§ 125-130, pp. 122-125, e id., Scienza della logica, vol. II, Laterza, Roma-Bari, 1981, Dottrina dell’essenza, cap. II, pp. 454-494.

[86] Lineamenti, I, M, p. 14 (lo stesso termine viene poi ripreso a p. 17).

[87] Lineamenti, I, M, p. 14.

[88] Lineamenti, I, M, p. 15.

[89] Lineamenti, I, M, p. 17.

[90] Lineamenti, I, M, p. 15. Il prodotto si realizza nel consumo, perché solo attraverso quest’ultimo diventa effettivamente tale, diventa in atto ciò che prima era solo in potenza: prodotto dell’uomo per l’uomo. “Una ferrovia sulla quale non si viaggi e che quindi non si logori e non venga consumata, è soltanto una ferrovia dunamei [in potenza], non in realtà”; e ancora, poche righe sotto: “Per esempio un vestito non diviene realmente un vestito che per l’atto di portarlo; una casa che non è abitata non è in effetti una vera casa [...]”  (ibidem).

[91] Lineamenti, I, M, p. 16.

[92] Lineamenti, I, M, pp. 17-18.

[93] Lineamenti, I, M, p. 18.

[94] Cfr. Storch, Corso di economia politica o esposizione dei principi che determinano la prosperità delle nazioni, Pomba, Torino, 1853. Questo libro di Storch fu pubblicato in francese ed in italiano corredato dalle note di Say. Storch però si dissociò dall’interpretazione che esse davano del testo, in un’appendice anch’essa acclusa nel volume (id., Considerazioni sulla natura del reddito nazionale, appendice al corso di economia politica, pp. 860-68).

[95] Lineamenti, I, M, p. 18.

[96] Cfr. F. d. diritto, parte terza, sezione seconda, capitolo primo, pp. 194-205. Sulla Filosofia del diritto, cfr. il cap. II del presente lavoro (§§ 3.1 e 3.2).

[97] R. d. nazioni, IV, VIII, p. 550. Sulla Ricchezza delle nazioni, cfr. il capitolo II del presente lavoro (§ 1.1).

[98] Lineamenti, I, M, pp. 18-19. Qui occorre prescindere da alcuni aspetti specifici della critica marxiana ad Adam Smith (relativi all’interpretazione dei principi mercantilisti) così come compaiono in altre parti dei Grundrisse ed in altri scritti. A parere di Marx, innanzitutto, pur nell’ingenuità di questi principi in essi sono espressi alcuni aspetti  fondamentali della moderna società borghese, che si basa di fatto sulla produzione per la produzione invece che sulla produzione per il consumo. Fra l’altro, la concezione del denaro propria dei mercantilisti conserva una sua validità, che diviene palese nei momenti di crisi monetaria. Il nostro accenno, coerentemente con l’andamento del ragionamento della Einleitung, riguarda invece solamente l’aspetto filosofico della concezione smithiana verso il quale si rivolge la polemica marxiana.

[99] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 18.

[100] Lineamenti, I, M, p. 27.

[101] Lineamenti, I, M, pp. 26-27.

[102] Lineamenti, I, M, p. 27.

[103] Lineamenti, I, M, p. 28.

[104] In particolare cfr. Ilenkov, La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx, Feltrinelli, Milano, 1975.

[105] Lineamenti, I, M, p. 28.

[106] Lineamenti, I, M, p. 28.

[107] Di primo acchito Marx, al dilemma sulla preesistenza naturale o storica delle categorie più semplici, risponde con un enigmatico: “Ça  dépend”. Cfr. Lineamenti, I, M, p. 28.

[108] F. d. diritto, § 32, A., p. 56.

[109] Cfr. F. d. diritto, § 40, p. 62.

[110] La proprietà, così come è descritta da Hegel, è di fatto la proprietà privata, perché si connette inscindibilmente al concetto di persona giuridica che sta alla base dl diritto astratto.

[111] Lineamenti, I, M, p. 29.

[112] Cfr. F. d. diritto: “Il diritto, anzitutto, è l’esistenza immediata, che la libertà si dà in maniera immediata: a) possesso, che è proprietà […]” (§ 40, p. 62). L’appropriazione scaturisce dalla persona (§ 44, p. 66), si realizza in un primo momento nel possesso (§ 45, p. 67) e, in quanto estrinsecazione della persona si compie pienamente unicamente nella proprietà: “[…] l’aspetto per cui io, in quanto volontà libera, sono oggettivamente in possesso di me stesso, e per tal modo sono anche volontà davvero reale, costituisce qui il vero e il giuridico, la determinazione della proprietà” (§ 45, p. 67).

[113] Anche se nella considerazione la società moderna, la proprietà deve comunque presupporre il possesso come sostrato reale, nella considerazione dello Stato moderno, invece, in quanto la proprietà ne è un rapporto giuridico fondante, essa non presuppone il possesso, bensì ne è condizione.

[114] Lineamenti, I, M, p. 29.

[115] “In questo senso si può quindi dire che la categoria più semplice può esprimere i rapporti predominanti di un insieme meno sviluppato, oppure i rapporti subordinati di un insieme più sviluppato; rapporti che storicamente esistevano già prima che l’insieme si sviluppasse nella direzione che è espressa in una categoria più concreta. In questo senso, il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale” , Lineamenti, I, M, p. 29.

[116] Lineamenti, I, M, p. 29.

[117] Lineamenti, I, M, p. 30.

[118] Abbastanza di recente Fulvio Papi si è soffermato sul carattere filosofico della concezione marxiana della storia come reminiscenza costante dell’idealismo classico tedesco e, più in generale, espressione dell’idea ottocentesca di progresso (Cfr. Papi, Il sogno filosofico della storia, Guerini, Milano, 1994). A nostro avviso però, nella Einleitung, è molto più rilevante cogliere l’influenza dei paradigmi evoluzionistici pre-darwiniani, che sembrano godere, all’interno della concezione materialistica marxiana, di un notevole prestigio. La teleologia marxiana, ci sembra, nella Einleitung si sviluppa mediatamente, appoggiandosi prevalentemente sui contemporanei modelli scientifici di storia naturale. Il finalismo delle forze produttive nel suo complesso sembra volutamente equiparato da Marx al finalismo dell’azione degli esseri viventi, che nella concezione lamarckiana porta alla formazione progressiva di istinto, industriosità e ragione. L’influsso della teleologia idealistica sulla concezione di Marx nella Einleitung avviene solo per tramite di questi paradigmi scientifici. Sulle teorie evoluzionistiche cfr. lo studio di Giovanni Pinna: Pinna, La natura paleontologica dell’evoluzione, Einaudi, Torino, 1995. Sul loro influsso nella Einleitung cfr. il sottoparagrafo successivo (§ 3.2).

[119] Lineamenti, I, M, p. 30.

[120] Cfr. Lineamenti, I, M, pp. 30-31.

[121] Qui Marx allude a quello che nei manuali di storia delle teorie economiche e di storia economica è definito mercantilismo. Cfr. Roll, Storia del pensiero economico, Boringhieri, Torino, 1967, pp. 45-77.

[122] L’agricoltura veniva infatti identificata dalla scuola fisiocratica come l’unico lavoro realmente produttivo di ricchezza. Cfr. Roll, op. cit., pp. 120-132 e Schumpeter, Storia dell’analisi economica, Boringhieri, Torino, 1972, pp. 120-132.

[123] Sulla critica marxiana alle tesi economiche di Smith vedi le note del capitolo successivo. Smith, in particolare, identifica attività lavorativa e lavoro oggettivato – mentre la loro distinzione è alla base della teoria marxiana del plusvalore.

[124] Lineamenti, I, M, p. 31.

[125] Lineamenti, I, M, p. 32.

[126] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 32: “[…] c’è una maledetta differenza se dei barbari hanno la disposizione ad essere utilizzati per tutto, o se degli esseri inciviliti si applicano essi stessi a tutto. E poi, presso i russi, a questa indifferenza verso il carattere determinato del lavoro corrisponde praticamente il fatto che essi sono tradizionalmente legati a un lavoro del tutto determinato dal quale vengono strappati solo ad opera di influenze esterne”.

[127] Della Volpe, Chiave della dialettica storica, op. cit., p. 24.

[128] Lineamenti, I, M, p. 32.

[129] Lineamenti, I, M, pp. 32-33.

[130] Lineamenti, I, M, p. 33.

[131] Sulle teorie evoluzionistiche pre-darwiniane cfr. Pinna, La natura paleontologica dell’evoluzione, op. cit., ed in modo particolare pp. 3-29. Vidoni ha constatato, in passato, l’effetto di queste teorie nella Einleitung: “Ad ogni modo va tenuto presente che solo dopo le spiegazioni apportate dalla teoria di Darwin l’evoluzionismo può venire adeguatamente concepito, eliminando non solo il provvidenzialismo a sfondo religioso ma anche ogni concezione teleologica di filosofi come Hegel, nonché i residui di teleologismo presenti negli stessi scienziati evoluzionisti: vedi la misteriosa tendenza interna degli organismi postulata da Lamarck” (Cfr. Guerreggio, Vidoni, Nel laboratorio di Marx, Franco Angeli, Milano, 1982, p. 72).

[132] Il padre dell’evoluzionismo, Lamarck, sosteneva l’idea di un continuum evolutivo, nel quale la distinzione fra le specie in fondo costituiva un ché di arbitrario e nominale. Ma questo continuum esprimeva ancora, trascinandola sul piano della reale genesi delle specie una dall’altra, la progressione ideale propria della “grande catena del’essere” della zoologia tradizionale. Secondo Lamarck, la natura aveva prima formato gli esseri più semplici, e solo poi, a partire da questi si erano formati progressivamente gli esseri più complessi. Le specie primitive dunque non si erano estinte, ma si erano trasformate e continuavano a vivere – perfezionate – nelle specie attuali. Cfr. Pinna, op. cit., pp. 15-17.

[133] Lamarck nella sua Philosophie zoologique (1809), sosteneva i due principi fondamentali per cui 1) l’uso costante e frequente di un organo lo trasforma, e 2) i caratteri così acquisiti dall’individuo, sono ereditati dalla discendenza. Cfr. Lamarck, Philosophie zoologique, pagine scelte, in: Sorenzi, L’evoluzionismo. Un’antologia, Loscher, Torino, 1971, pp. 89-110.

[134] In realtà la celebre sintesi: “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi” è di molto posteriore, e risale ad Häckel. Ma il suo germe è già implicitamente vivo nella teoria lamarckiana (nel principio dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti). Il principio, inoltre, venne fatto valere già da Geoffroy de Saint Hilaire in relazione allo sviluppo dell’embrione, nell’ipotesi che la storia dell’individuo ricapitolasse gli stadi fondamentali dello sviluppo delle specie. Geoffroy de Saint Hilaire ammetteva una certa variabilità, e considerava la trasformazione da una specie ad un’altra come il risultato di una relativa stabilizzazione in seguito ad una variazione mostruosa della prima. Lo sviluppo dell’embrione ricapitolava questa filogenesi dei mostri-specie. Su Geoffroy de Saint Hilaire cfr. Pinna, op. cit., pp. 19-29. Sullo sviluppo ulteriore del ricapitolazionismo in Häckel, cfr. Pinna, op. cit., pp. 200-217.

[135] Lineamenti, I, M, p. 33.

[136] Lineamenti, I, M, p. 33.

[137] Lineamenti, I, M, p. 33.

[138] Cfr. Geoffroy de Saint Hilaire, Philosophie anatomique, vol I (1818), cit. in: Pinna, op. cit., p. 23.

[139] Cfr. Pinna, op. cit., pp. 24-25.

[140] Lineamenti, I, M, p. 34.

[141] Lineamenti, I, M, p. 34.

[142] Lineamenti, I, M, p. 35.

[143] Lineamenti, I, M, p. 36.

[144] Cfr. Lineamenti, I, M, pp. 36-37. Questo piano rimane sostanzialmente valido, pur se con delle successive precisazioni, non soltanto nei Grundrisse, ma ancora per diversi anni a seguire (secondo Vigodskij addirittura fino al 1862); esso, comunque, sebbene già a partire circa dal 1860-61 si modifichi il suo senso profondo, resta indubbiamente la base del testo di Per la critica dell’economia politica (1859). Cfr. Vigodskij, Introduzione ai Grundrisse di Marx, pp. 75-98.

[145] Lineamenti, I, M, p. 36.

[146] Lineamenti, I, M, pp. 36-37.

[147] Anche se Marx aggiunge l’oscura clausola: “nel senso sopra chiarito”  (Lineamenti, I, M, p. 36).

[148] Intento confermato del prosieguo dei Grundrisse e da alcune lettere di Marx. Fra di esse, cfr. quella ad Engels datata 2-4-1858: “Il passaggio dal capitale alla proprietà fondiaria è nello stesso tempo storico, perché la forma moderna della proprietà fondiaria è un prodotto dell’azione del capitale sulla proprietà fondiaria feudale ecc. Egualmente, il passaggio dalla proprietà fondiaria al lavoro salariato non è soltanto dialettico ma storico, perché l’ultimo prodotto della proprietà fondiaria moderna è il costituirsi ovunque del lavoro salariato […]” (Marx, Engels, Opere complete, vol. XL, pp. 329-30). Sul tema cfr. Rosdolsky, p. 59 sgg.

[149] “Il capitale è la potenza economica della società borghese che domina tutto. Esso deve costituire il punto di partenza come il punto di avvio, e deve essere trattato prima della rendita fondiaria. Dopo che entrambi sono stati presi in esame separatamente deve essere preso in esame il loro rapporto reciproco”, Lineamenti, I, M, p. 35.

[150] Engels, Ludovico Feuerbach ed il punto di approdo della filosofia classica tedesca, in Marx, Engels, Opere scelte, Editori riuniti, Roma, 1969.

[151] Ivi, p. 1136. La definizione engelsiana, contenuta in quest’opera, della problematica filosofica entro cui si colloca il materialismo storico, divenne ‘canonica’ nell’ambito della socialdemocrazia tedesca prima, e del movimento comunista poi.

[152] Engels, op. cit., p. 1138.

[153] Una simile osservazione è stata fatta da Engels nella sua recensione a Per la critica dell’economia politica: “Ciò non ostante fra tutto il materiale logico esistente, questo metodo [quello di Hegel] era l’unica cosa a cui almeno ci si potesse appigliare.[…] Ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l’enorme senso storico che ne costituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno lo sviluppo del suo pensiero andava sempre parallelamente allo sviluppo della storia mondiale, e quest’ultimo non doveva in sostanza essere altro che la prova del primo” (Engels, Per la critica dell’economia politica (Recensione), in: Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori riuniti, Roma, 1969, p. 207).

[154] Cfr. Ilenkov, op. cit.

[155] Cfr. Althusser, Balibar, Leggere il Capitale, p. 29.

[156] Sul particolare significato, in Marx, della descrizione teleologica di fenomeni artistici, filosofici e scientifici cfr. Merker, La storiografia filosofica in Marx, in: id. (a cura di), Marx, un secolo, Editori riuniti, Roma, 1983, pp. 205-221.

[157] Se si tralascia il fatto che in questo stesso brano sull’arte, Marx caratterizza ancora una volta la società antica come una fase “meno matura” dello sviluppo storico.

[158] Di per sé ha poca rilevanza rintracciare genericamente nella Einleitung, gli elementi hegeliani, sia a livello meramente terminologico, sia nell’uso logico di concetti quali essenza, fine, processo, ecc., senza ulteriori specificazioni. Il punto dolente di questo testo, invece, è la concezione della storia, laddove l’interpretazione materialista si cimenta con lo sviluppo, rintracciabile empiricamente, della produzione e delle forze produttive materiali e tenta di definire il carattere della necessità universale che lo anima in rapporto alla specificità delle leggi della moderna economia borghese.

[159] Cfr. Luporini, Marx secondo Marx, in id., Dialettica e materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974. Secondo Luporini, ancora alla fine degli anni ’50, Marx concepisce la formazione economica della società ancora come “unicum continuum”: “Piaccia o non piaccia, questa è la maniera in cui Marx vedeva le cose nel 1859” (ivi, p. 219). Questa concezione ‘continuazionistica’ ed unilineare dello sviluppo storico, a parere di Luporini, genera problemi tali da provocare il ‘fallimento’ della Einleitung e l’espressione teorica incompiuta della Vorrede: “Nel 1859 Marx non aveva ancora raggiunto questo punto più alto di maturazione sistematica [identificato da Luporini nel Capitale ed in una relativa strutturazione ‘empiristica’ del rapporto fra le forme sociali precedenti e la logica del modo di produzione capitalistico]; e non è detto che le formulazioni della teoria generale del materialismo storico, che troviamo nella prefazione a Per la critica dell’economia politica (prefazione, non va dimenticato, che sostituiva una introduzione rimasta interrotta credo non a caso; cioè – credo – perché fallita, anche se costituisce per noi un testo importantissimo), non risentano di questo status di incompiutezza dell’indagine specifica (la ‘critica dell’economia politica’), nel suo assetto teorico di base” (ivi, p. 227). La forma larvata, evidentemente è dovuta al fatto che qui si tratta di mettere in discussione “le formulazioni della teoria generale del materialismo storico” – ma il senso della critica di Luporini è comunque ben chiaro. Su quale sia il significato ‘compiuto’ del sistema marxiano nell’interpretazione datane da Luporini, cfr. il cap. III del presente lavoro (§ 3).

[160] Se si volesse giocare con i titoli di due noti studi su Marx, più che di Marx oltre Marx, attenendosi all’esigenza di leggere Marx secondo Marx, si dovrebbe parlare, a proposito della Einleitung, di ‘Marx contro Marx’ (cfr. C. Luporini, Marx secondo Marx, op. cit., e Negri, Marx oltre Marx, Feltrinelli, Milano, 1979). In particolare, ove si tentasse di leggere questo scritto in termini unitari, si sarebbe costretti a tralasciarne quasi del tutto il quarto tormentato capitolo. Questo, e non a caso, accade anche a Dal Pra (eccettuato il brano del quarto capitolo sull’arte, che può genericamente essere ricondotto all’organicismo hegeliano).

[161] Cfr. Lineamenti, I, M, pp. 37-38. Non è da escludere che Marx si riferisca, oltr che a Hegel, al nuovo indirizzo storiografico post-hegeliano della Kulturgeschichte.

[162] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 38.

[163] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 38. Cfr. MEGA, I/1.1, p. 43.

[164] Cfr. Lineamenti, I, M, p. 38.

[165] Si avverte una chiara reminiscenza della teorizzazione del nesso fra caso e libertà sviluppata nella tesi di laurea, nella quale il clinamen epicureo era raffigurato come espressione della libera autocoscienza. Cfr. Differenza fra la filosofia di Democrito e quella di Epicureo, in: Marx, Engels, Opere complete, vol. I, Editori riuniti, Roma, 1980, pp. 19-102.

[166] In realtà lo stesso sviluppo dei mezzi di trasporto e comunicazione può evidentemente essere ricondotto allo sviluppo necessario della produzione. La casualità tende ad acquisire un nuovo ruolo, che però non  è, almeno per il momento, teoricamente definito. Questo aspetto è destinato a rimanere in larga misura solamente latente nei Grundrisse.

[167] Lineamenti, I, M, pp. 38-39.

[168] Lineamenti, I, M, p. 37.