OPERE SCELTE

Mao Tse Tung

SULLA PRATICA[1]

SUL RAPPORTO FRA LA CONOSCENZA E LA PRATICA, FRA IL SAPERE E IL FARE

(Luglio 1937)

Il materialismo premarxista esaminava il problema della conoscenza senza tener conto della natura sociale dell’uomo e dello sviluppo storico dell’umanità, e perciò non poteva comprendere che la conoscenza dipende dalla pratica sociale, cioè dalla produzione e dalla lotta di classe.

I marxisti ritengono, innanzi tutto, che l’attività produttiva dell’uomo sia l’attività pratica fondamentale e che essa determini ogni altra forma di attività. La conoscenza umana dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso di essa l’uomo riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco giunge a diversi gradi di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli uomini. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva. Nella società senza classi, ogni uomo, come membro della società, collabora con gli altri membri della società, entra con essi in determinati rapporti di produzione e s’impegna nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. Anche nella società divisa in classi, i membri delle varie classi sociali entrano, in varie forme, in determinati rapporti di produzione e s’impegnano nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. Questa è la principale fonte di sviluppo della conoscenza umana.

La pratica sociale degli uomini non si limita alla sola attività produttiva ma ha molte altre forme: lotta di classe, vita politica, attività scientifica e artistica in breve gli uomini, in quanto esseri sociali, partecipano a tutti i campi della vita pratica della società e così conoscono, a gradi differenti, i vari rapporti che esistono tra gli uomini, non soltanto attraverso la vita materiale, ma anche attraverso la vita politica e culturale (che è strettamente legata alla vita materiale). Fra queste altre forme di pratica sociale, è in particolare la lotta di classe, nelle sue diverse forme, a esercitare una profonda influenza sullo sviluppo della conoscenza umana. Nella società divisa in classi, ogni individuo vive come membro di una determinata classe e ogni pensiero, senza eccezione, porta un’impronta di classe.

I marxisti ritengono che l’attività produttiva della società umana si sviluppi passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, e che di conseguenza anche la conoscenza umana, sia nel campo della natura che della società, si sviluppi passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti cioè dal superficiale al profondo, dall’unilaterale al multilaterale. Per un periodo storico molto lungo, gli uomini non poterono comprendere che unilateralmente la storia della società e questo era dovuto, da una parte, al fatto che i pregiudizi delle classi sfruttatrici deformavano costantemente la storia della società, dall’altra, al fatto che la produzione su scala ridotta limitava l’orizzonte degli uomini. Solo quando, con la comparsa di forze produttive gigantesche — la grande industria — apparve il proletariato moderno, gli uomini poterono pervenire a una completa comprensione storica dello sviluppo della società e trasformare le loro conoscenze della società in una scienza, e questa scienza è il marxismo.

I marxisti ritengono che soltanto la pratica sociale degli uomini sia il criterio della verità della conoscenza del mondo esterno. In realtà, gli uomini ricevono la conferma della verità della loro conoscenza solo dopo che nel corso del processo della pratica sociale (nel processo della produzione materiale, della lotta di classe e della sperimentazione scientifica) hanno raggiunto i risultati previsti. Se l’uomo vuole riuscire nel lavoro, cioè arrivare ai risultati- previsti, deve con formare le sue idee alle leggi del mondo oggettivo esterno; in caso contrario, nella pratica, fallirà. Se fallisce, ne trarrà insegnamento, correggerà le sue idee e le conformerà alle leggi del mondo esterno, trasformando così la sconfitta in vittoria; è questo il significato delle massime: “La sconfitta è madre del successo” e “Sbagliando s’impara”. La teoria dialettico-materialistica della conoscenza pone la pratica al primo posto; essa ritiene che la conoscenza umana non possa in nessun modo essere separata dalla pratica e respinge tutte le erronee teorie che negano l’importanza della pratica e scindono la conoscenza dalla pratica. Lenin dice: “La pratica è superiore alla conoscenza (teorica), perché possiede non solo il pregio dell’universalità ma anche quello dell’immediata realtà”[2]. La filosofia marxista — il materialismo dialettico — ha due caratteristiche molto evidenti. La prima è la sua natura di classe: essa afferma apertamente che il materialismo dialettico è al servizio del proletariato. L’altra è la sua natura pratica: essa sottolinea che la teoria dipende dalla pratica, che la teoria si basa sulla pratica e, a sua volta, serve la pratica. La verità di una conoscenza o di una teoria non è determinata da un giudizio soggettivo ma dai risultati oggettivi della pratica sociale. Il criterio della verità può essere soltanto la pratica sociale. Il punto di vista della pratica è il punto di vista primo e fondamentale della teoria dialettico-materialistica della conoscenza.[3]

Ma come la conoscenza umana nasce dalla pratica e, a sua volta, serve la pratica? Per comprenderlo, basta esaminare il processo di sviluppo della conoscenza.

Gli uomini, nel corso della loro pratica, vedono all’inizio soltanto l’aspetto fenomenico, gli aspetti singoli e i nessi esterni delle diverse cose. Per esempio, alcune persone vengono da fuori a Yenan per fare un’indagine. Il primo o il secondo giorno vedono la località, le strade, le case, incontrano molta gente, partecipano a ricevimenti, serate e riunioni di massa, ascoltano discorsi di vario genere e leggono vari documenti; tutto ciò rappresenta l’aspetto fenomenico, gli aspetti singoli e i nessi esterni delle cose. Questa fase del processo conoscitivo si chiama fase della percezione, cioè fase delle percezioni e delle impressioni. In altri termini, le singole cose riscontrate a Yenan, agendo sugli organi dei sensi dei signori del gruppo d’indagine, provocano determinate percezioni, fanno sorgere nella loro mente una serie di impressioni collegate da un nesso approssimativo esteriore; questa è la prima fase della conoscenza. In questa fase l’uomo non può ancora formarsi concetti profondi né trarre conclusioni logiche.

Il proseguire della pratica sociale porta a numerose ripetizioni delle cose che suscitano negli uomini percezioni e impressioni, e allora si produce nella mente umana un subitaneo cambiamento (un salto) nel processo della conoscenza e nasce il concetto. Il concetto non riflette più l’aspetto fenomenico, gli aspetti singoli e i nessi esterni delle cose, ma coglie l’essenza delle cose, il loro insieme e il loro nesso interno. La differenza fra concetto e percezione non è soltanto quantitativa ma anche qualitativa. Procedendo in questa direzione e servendosi dei metodi del giudizio e della deduzione, si può arrivare a conclusioni logiche. Quando, come in San Kuo Yen Yi [4] si dice:

Aggrotta le sopracciglia e ti verrà in mente uno stratagemma”, o quando più comunemente si dice: “Lasciatemi riflettere”, ci si riferisce al momento in cui l’uomo opera con la sua mente, servendosi dei concetti, per formare giudizi e trarre deduzioni. Questa è la seconda fase della conoscenza. I signori del gruppo d’indagine, dopo aver riunito svariato materiale e averci “riflettuto” su, potrebbero date il seguente giudizio: “La politica del fronte unito nazionale antigiapponese, condotta dal Partito comunista, è conseguente, sincera e leale”. Se altrettanto lealmente fossero per l’unità e la salvezza del paese, dopo aver dato questo giudizio, potrebbero fare un altro passo e giungere a questa conclusione: “Il fronte unito nazionale antigiapponese può avere successo”. Nell’intero processo della conoscenza di una cosa, questa fase dei concetti, dei giudizi e delle deduzioni è la più importante, è la fase della conoscenza razionale.

Il vero compito della conoscenza è arrivare, attraverso la percezione al pensiero, alla graduale comprensione delle contraddizioni interne delle cose oggettivamente esistenti, delle leggi che regolano queste cose, del nesso interno tra l’uno e l’altro processo, arrivare cioè alla conoscenza logica.

Ripetiamo: la conoscenza logica si distingue dalla conoscenza percettiva in quanto la conoscenza percettiva coglie gli aspetti singoli, fenomenici delle cose, i loro nessi esterni, mentre la conoscenza logica fa un gran passo in avanti, abbraccia l’insieme, l’essenza; il nesso interno delle cose, porta alla scoperta delle contraddizioni interne del mondo circostante, e può così afferrarne lo sviluppo in tutto il suo insieme, con il flesso interno di tutti i suoi aspetti.

Prima del marxismo nessuno aveva mai elaborato una teoria dialettico-materialistica del processo di sviluppo della conoscenza, teoria basata sulla pratica e che procede dal superficiale al profondo. Il materialismo marxista ha risolto per la prima volta in modo corretto il problema, mettendo in evidenza materialisticamente e dialetticamente il movimento di approfondimento della conoscenza, movimento attraverso il quale nella società gli uomini passano dalla conoscenza percettiva alla conoscenza logica nel corso della pratica complessa, che si ripete costantemente, della produzione e della lotta di classe. Lenin dice: “Le astrazioni di materia, legge naturale, valore, ecc., in breve, tutte le astrazioni scientifiche (giuste, serie, non arbitrarie) riflettono la natura più profondamente, più veracemente, più completamente”[5]. Il marxismo-leninismo ritiene che le caratteristiche specifiche delle due fasi del processo della conoscenza consistano nel fatto che nella fase inferiore la conoscenza si manifesta come conoscenza percettiva, mentre nella fase superiore come conoscenza logica; però ciascuna di queste due fasi è uno stadio dell’unico processo della conoscenza. La conoscenza percettiva e la conoscenza razionale differiscono qualitativamente, tuttavia non sono separate l’una dall’altra, ma sono unite sulla base della pratica. La nostra pratica dimostra che le cose percepite non possono essere immediatamente comprese e che soltanto le cose comprese possono essere ancor più profondamente percepite. La percezione non può risolvere che il problema dell’aspetto fenomenico; solo la teoria può risolvere il problema dell’essenza. Non è possibile trovare una soluzione a questi problemi al di fuori della pratica. Chiunque voglia conoscere una cosa, non ha altro mezzo che venire a contatto con essa, ossia vivere (operare) nel suo ambiente. Al tempo della società feudale, non era possibile conoscere in antecedenza le leggi della società capitalistica perché, non essendo ancora apparso il capitalismo, mancava la pratica ad esso corrispondente. Il marxismo poteva essere soltanto un prodotto della società capitalistica. Al tempo del capitalismo premonopolistico, Marx non poteva conoscere in antecedenza e in concreto certe leggi specifiche proprie dell’epoca dell’imperialismo, poiché l’imperialismo, fase suprema del capitalismo, non era ancora apparso e mancava la pratica a esso corrispondente; soltanto Lenin e Stalin furono in grado di assumersi questo compito. Marx, Engels, Lenin e Stalin poterono formulare le loro teorie non solo per la loro genialità ma, soprattutto, perché parteciparono personalmente alla pratica della lotta di classe e delta sperimentazione scientifica del loro tempo; se fosse mancata questa condizione, nessun genio avrebbe potuto riuscirvi. L’espressione “dotto, anche se non varca la soglia di casa, conosce tutto ciò che avviene sotto il sole” era una frase vuota nei tempi antichi quando la tecnica non era sviluppata. Anche se nella nostra epoca, tecnicamente progredita, ciò è realizzabile, in tutto il mondo sono soltanto gli uomini impegnati nell’attività pratica che possono veramente pervenire, con l’esperienza personale, a valide conoscenze; e solo quando gli uomini con la loro pratica avranno acquisito il “sapere” e questo “sapere”, attraverso gli scritti e la tecnica, arriverà al nostro “dotto”, questi potrà conoscere indirettamente “tutto ciò che avviene sotto il sole”. Per conoscere direttamente una cosa o un certo insieme di cose, occorre partecipare di persona alla lotta pratica che modifica la realtà, che modifica quella cosa o quell’insieme di cose; solo così è possibile prendere contatto con i loro aspetti fenomenici e scoprirne l’essenza e comprenderle. É questo il processo della conoscenza che ogni uomo segue nella realtà, sebbene alcuni, deformando di proposito i fatti, sostengano il contrario. I più ridicoli a questo mondo sono i “saccenti” i quali hanno solo un’infarinatura di cognizioni casuali e frammentarie ma si considerano “superiori a tutti”, il che testimonia la loro incapacità di valutare serenamente se stessi. Il sapere è scienza, e questa non ammette la minima disonestà o presunzione; esige invece proprio il contrario: onestà e modestia. Per acquisire delle conoscenze, bisogna partecipare alla pratica che trasforma la realtà. Per conoscere il gusto di una pera, bisogna trasformarla mangiandola. Per conoscere la struttura e le proprietà dell’atomo, bisogna modificare lo stato dell’atomo, facendo esperimenti fisici e chimici. Per conoscere la teoria e i metodi della rivoluzione, bisogna prendere parte alla rivoluzione. Tutte le vere conoscenze provengono dall’esperienza diretta. Tuttavia l’uomo non può sperimentare direttamente ogni cosa, e la maggior parte del sapere ci deriva, di fatto, da esperienze indirette come, per esempio, le conoscenze tramandateci dai tempi antichi o pervenuteci da altri paesi. Queste conoscenze sono il prodotto dell’esperienza diretta dei nostri antenati e degli stranieri. Se le conoscenze acquisite dai nostri antenati e gli stranieri nel corso della loro esperienza diretta corrispondevano, o corrispondono, alla condizione di quell’”astrazione scientifica” di cui parlava Lenin, se cioè erano, o sono, il riflesso scientifico di cose oggettivamente esistenti, allora sono attendibili; in caso contrario non lo sono. Perciò le conoscenze di un uomo si compongono soltanto di due parti: la prima proviene dall’esperienza diretta, la seconda dall’esperienza indiretta. Per di più, ciò che per me è esperienza indiretta per altri è esperienza diretta. Ne consegue che, considerate nel loro insieme, le conoscenze di qualsiasi genere sono inseparabili dall’esperienza diretta. La fonte di tutte le conoscenze risiede nelle percezioni che gli organi dei sensi dell’uomo ricevono dal mondo oggettivo esterno; chi nega questa percezione, chi nega l’esperienza diretta e la partecipazione personale alla pratica che modifica la realtà, non è un materialista. Ecco perché i “saccenti” sono così ridicoli. I cinesi hanno un vecchio detto: “Se non si entra nella tana della tigre come si possono catturare i tigrotti?”. Questo detto è vero sia per la pratica degli uomini che per la teoria della conoscenza. Non ci può essere conoscenza disgiunta dalla pratica.

Al fine di chiarire il movimento dialettico-materialistico della conoscenza che nasce dalla pratica volta a modificare la realtà, per chiarire cioè il movimento del graduale approfondimento della conoscenza, daremo qualche altro esempio concreto.

Nel periodo iniziale della sua pratica — quello della distruzione delle macchine e della lotta spontanea — il proletariato era appena nella fase percettiva della sua conoscenza della società capitalistica e conosceva soltanto gli aspetti singoli e i nessi esterni dei vari fenomeni del capitalismo. A quell’epoca il proletariato era ancora una “classe in sé”. Ma una volta raggiunto il secondo periodo della sua pratica — quello della lotta economica e politica cosciente e organizzata — grazie alla sua attività pratica, all’esperienza acquisita nel corso di una lotta prolungata — esperienza che Marx ed Engels generalizzarono scientificamente creando così la teoria marxista che servi a educarlo — il proletariato riuscì a comprendere l’essenza della società capitalistica, i rapporti di sfruttamento fra le diverse classi sociali, i propri compiti storici, e divenne allora una “classe per sé”.

La stessa strada ha seguito il popolo cinese per la conoscenza dell’imperialismo. La prima fase è stata quella della conoscenza percettiva, superficiale, come dimostrano le lotte indiscriminate contro gli stranieri — il Movimento del Taiping, il Movimento dello Yi Ho Tuan, ecc. É stato soltanto in un secondo momento che il popolo cinese ha raggiunto la fase della conoscenza razionale, ha visto le contraddizioni interne ed esterne dell’imperialismo e ha compreso la verità essenziale che l’imperialismo si era alleato con la classe dei compradores e con la classe feudale per opprimere e sfruttare le masse popolari della Cina. Questa conoscenza ha avuto inizio, più o meno, al tempo del Movimento del 4 maggio 1919.

Passiamo ora alla guerra. Se chi dirige la guerra non ha esperienza militare, nella fase iniziale non potrà comprendere le leggi profonde che regolano la condotta di una data guerra (per esempio, la nostra Guerra rivoluzionaria agraria degli ultimi dieci anni). Nella fase iniziale potrà acquisire soltanto l’esperienza che deriva dalla partecipazione personale a un gran numero di battaglie, molte delle quali, del resto, si concluderanno con la sua sconfitta. Tuttavia questa esperienza (l’esperienza delle vittorie e, in particolare, delle sconfitte) lo metterà in grado di comprendere gli elementi di ordine interno presenti nella guerra nel suo complesso, vale a dire le leggi di quella data guerra, di comprenderne la strategia e la tattica e di conseguenza gli darà la possibilità di dirigerla con sicurezza. Se, a questo punto, la direzione della guerra dovesse passare a un uomo privo di esperienza, questi, a sua volta, potrà comprendere le leggi reali della guerra soltanto dopo aver subito una serie di sconfitte (cioè dopo avere acquistato esperienza).

Capita spesso di sentir dire da un compagno che non ha il coraggio di accettare un lavoro: “Non mi sento sicuro di riuscirci”. Perché non si sente sicuro? Perché non ha un’idea chiara e precisa del contenuto e delle condizioni di quel lavoro — non ha mai affrontato un lavoro di quel genere o l’ha affrontato di rado, e pertanto non è in grado di capire le leggi che lo regolano. Soltanto dopo che gli saranno stati spiegati dettagliatamente l’ambiente e le condizioni di lavoro, egli si sentirà più sicuro e vorrà occuparsene. Se poi quel compagno, dedicandosi per un certo periodo a questo lavoro, acquisterà esperienza e guarderà la realtà con animo aperto invece di considerare i problemi in modo soggettivo, unilaterale e superficiale, allora potrà trarre da solo le conclusioni sul modo di portarlo avanti e lavorerà con molta più risolutezza. Solo coloro che esaminano i problemi in modo soggettivo, unilaterale e superficiale, non appena arrivano in un posto, si mettono, con aria di sufficienza, a dare ordini e direttive senza considerare le circostanze, senza cercare di guardare le cose nel loro insieme (la loro storia e il loro stato attuale considerato come un tutto) e senza penetrarne l’essenza (la loro natura e il nesso interno fra una cosa e le altre). É inevitabile che questa gente inciampi e finisca per cadere.

Di conseguenza, il primo passo nel processo della conoscenza è il contatto con le cose del mondo esterno: la fase della percezione.

Il secondo è la sintesi dei dati forniti dalla percezione, la loro sistemazione e la loro elaborazione: la fase dei concetti, dei giudizi e delle deduzioni. Ma soltanto se i dati forniti dalla percezione sono molto ricchi (e non frammentari e incompleti) e corrispondono alla realtà (non sono cioè frutto di un inganno dei sensi), è possibile, sulla loro base, elaborare giusti concetti e trarre giuste conclusioni logiche.

Ci sono qui due punti importanti che bisogna mettere particolarmente in rilievo. Il primo, di cui abbiamo già parlato ma del quale vogliamo riparlare, è il problema della dipendenza della conoscenza razionale dalla conoscenza percettiva. Chi ritiene che la conoscenza razionale possa non provenire dalla conoscenza percettiva è un idealista. La storia della filosofia conosce una cosiddetta scuola “razionalista” che ammette soltanto la realtà della ragione e nega quella dell’esperienza, ritenendo sicura soltanto la ragione e non l’esperienza percettiva; l’errore di questa scuola consiste nel capovolgere i fatti. I dati della ragione sono attendibili proprio perché hanno origine dai dati della percezione, altrimenti sarebbero come un fiume senza sorgente, come un albero senza radici, sarebbero qualcosa di soggettivo, di spontaneo, di inattendibile. Circa l’ordine nel processo della conoscenza, l’esperienza percettiva occupa il primo posto, e noi sottolineiamo l’importanza della pratica sociale in questo processo, proprio perché solo la pratica sociale può dare origine alla conoscenza umana e permettere all’uomo di ricevere dal mondo oggettivo esterno l’esperienza percettiva. Per un uomo che chiude gli occhi, si tura le orecchie e si isola completamente dal mondo oggettivo esterno non si può nemmeno parlare di conoscenza. La conoscenza ha inizio con l’esperienza: questo è il materialismo della teoria della conoscenza.

Il secondo punto è la necessità di approfondire la conoscenza, la necessità di passare dalla fase della conoscenza percettiva a quella della conoscenza razionale: questa è la dialettica della teoria della conoscenza[6]. Ritenere che la conoscenza possa fermarsi alla fase inferiore, alla fase della percezione, e che solo la conoscenza percettiva sia attendibile e non lo sia quella razionale, significa ricadere nell’errore dell”empirismo”, errore ben conosciuto nella storia. L’errore di questa teoria sta nel non ammettere che i dati della percezione, pur essendo il riflesso di certe realtà del mondo oggettivo esterno (non parlo dell’empirismo idealistico che riduce l’esperienza alla cosiddetta introspezione), sono tuttavia soltanto unilaterali e superficiali, riflettono le cose in modo incompleto e non ne rispecchiano l’essenza. Per riflettere completamente una cosa nella sua totalità, per riflettere la sua essenza e le sue leggi interne è necessario, operando con la mente sottoporre i ricchi dati, della percezione a una elaborazione — eliminare la pula e scegliere il grano, scartare il falso e conservare il vero, procedere dall’uno all’altro è dall’esterno all’interno — al fine di formare un sistema di concetti e teorie; è necessario, cioè, il. salto dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale. Dopo questa elaborazione, la conoscenza non diventa meno completa o meno attendibile. A contrario, tutto ciò che nel corso del processo della conoscenza viene scientificamente elaborato sulla base della pratica, riflette, come dice Lenin, le cose oggettivamente esistenti in modo più profondo, più verace, più completo. I fautori del praticismo volgare, invece, danno importanza all’esperienza ma disdegnano la teoria, e di conseguenza sono incapaci di vedere l’insieme del processo oggettivo, mancano di un chiaro orientamento e di ampie prospettive e, compiaciuti, si accontentano dei loro successi casuali e delle loro vedute ristrette. Se costoro dirigessero la rivoluzione, la condurrebbero in un vicolo cieco.

La conoscenza razionale dipende dalla conoscenza percettiva, e la conoscenza percettiva deve svilupparsi in conoscenza razionale — ecco la teoria dialettico-materialistica della conoscenza. In filosofia, sia il “razionalismo” che l”empirismo” non comprendono il carattere storico o dialettico della conoscenza e, sebbene ciascuna di queste dottrine contenga un aspetto della verità (mi riferisco al razionalismo e all’empirismo materialistico, non idealistico), tuttavia dal punto di vista della teoria della conoscenza considerata nel suo insieme, sia l’una che l’altra sono sbagliate. Il movimento dialettico-materialistico della conoscenza, che va dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale, ha luogo sia nel processo della conoscenza del piccolo (per esempio, la conoscenza di una cosa o di un lavoro) che nel processo della conoscenza del grande (per esempio, la conoscenza di una società o di una rivoluzione).

Ma il movimento della conoscenza non si conclude qui. Se il movimento dialettico-materialistico della conoscenza si fermasse alla fase della conoscenza razionale, non sarebbe stata trattata che la metà del problema e, dal punto di vista della filosofia marxista, nemmeno la più importante. La filosofia marxista sostiene che il problema più importante non è comprendere le leggi del mondo oggettivo per essere in grado di spiegarlo, ma valersi della conoscenza di tali leggi per trasformare attivamente il mondo. Per il marxismo, la teoria è importante, e questi importanza è espressa perfettamente nelle parole , di Lenin: “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario[7] Ma Il marxismo attribuisce grande valore alla teoria proprio e solo perché essa può guidare l’azione. Se si possiede una giusta teoria, ma ci si limita a farne oggetto di vuote dissertazioni, la si tiene in archivio e non la si applica nella pratica, allora questa teoria, per quanto buona, non serve a nulla. La conoscenza comincia con la pratica, e la conoscenza teorica acquisita attraverso la pratica deve tornare nuovamente alla pratica. Il ruolo attivo della conoscenza non si manifesta solo nel salto attivo dalla conoscenza percettiva a quella razionale, ma anche, e questo ha un’importanza maggiore, nel salto dalla conoscenza razionale alla pratica rivoluzionaria. La conoscenza che ha afferrato le leggi del mondo deve essere di nuovo diretti verso la pratica che trasforma il mondo, deve essere applicata nella pratica della produzione, della lotta rivoluzionaria di classe, della lotta rivoluzionaria nazionale, e anche nella pratica della sperimentazione scientifica. Questo è il processo di verifica e di sviluppo della teoria, la continuazione di tutto il processo della conoscenza Il problema di sapere se una teoria corrisponda alla verità oggettiva non è e non può essere risolto completamente nel movimento dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale di cui abbiamo già parlato. L’unico modo per risolvere completamente questo problema è quello di dirigere ancora la conoscenza razionale verso la pratica sociale, di appllicare la teoria alla pratica e vedere se si può arrivare ai risultati previsti. Molte teorie delle scienze naturali sono. riconosciute vere non solo perché furono considerate tali quando vennero elaborate dagli scienziati, ma anche perché hanno trovato conferma nella successiva pratica scientifica. Nello stesso modo, il marxismo-leninismo è riconosciuto come verità non solo perché fu ritenuto tale quando venne scientificamente elaborato da Marx, Engels, Lenin e Stalin, ma anche perché è stato confermato dalla susseguente pratica della lotta rivoluzionaria di classe e della lotta rivoluzionaria nazionale. Il materialismo dialettico è una verità universale perché nessuno, nella pratica, può sfuggire al suo dominio. La storia della conoscenza umana ci dimostra che la verità di numerose teorie era incompleta che solo la verifica nella pratica ha permesso di completarla. Molte teorie erano sbagliate, ma dopo la verifica nella pratica i loro errori sono stati corretti. Ecco perché la pratica è. il criterio della verità , e “il punto di vista della vita, della pratica, deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza”[8] Stalin ha giustamente detto: “. . . la teoria diventa priva di oggetto se non viene collegata con la pratica rivoluzionaria, esattamente allo stesso modo che la pratica diventa cieca se non si rischiara la strada con la teoria rivoluzionaria[9].

A questo punto, è concluso il movimento della conoscenza? Rispondiamo: Sì, è concluso, ma tuttavia non lo è. Quando nella società l’uomo s’impegna nella pratica che modifica un determinato processo oggettivo (naturale o sociale) a un certo stadio del suo sviluppo passa, grazie al riflesso del processo oggettivo nella sua mente e alla sua attività soggettiva, dalla conoscenza percettiva alla conoscenza razionale ed elabora idee, teorie, piani o progetti che in generale corrispondono alle leggi del processo oggettivo; in seguito applica queste idee, teorie, piani o progetti nella pratica dello stesso processo oggettivo, e se raggiunge lo scopo prefisso, vale a dire se riesce, nella pratica di questo processo, a trasformare in una realtà concreta, almeno nelle linee generali, le idee, le teorie, i piani o i progetti precedente mente elaborati, allora il movimento della conoscenza di questo processo si può considerare compiuto. Per esempio, la realizzazione di un piano di costruzione, la conferma di un’ipotesi scientifica, la creazione di un congegno, il raccolto di un prodotto agricolo nel processo di trasformazione della natura, oppure il successo di uno sciopero, la vittoria in una guerra, la realizzazione di un programma d’insegnamento nel processo di trasformazione della società — tutto questo può essere considerato raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Tuttavia, parlando in generale, nella pratica per trasformare la natura o la società accade di rado che le idee, le teorie, i piani o i progetti elaborati dagli uomini vengano realizzati senza subire alcun cambiamento. Questo avviene perché gli uomini impegnati a modificare la realtà sono spesso sottoposti a numerose limitazioni: sono frequentemente vincolati non sono dalle condizioni scientifiche e tecniche, ma anche dallo sviluppo e dal grado di manifestazione del processo oggettivo (gli aspetti e l’essenza del processo oggettivo non sono stati ancora messi completamente in evidenza). In tale situazione, per la scoperta nella pratica di circostanze impreviste, le idee, le teorie, i piani o i progetti subiscono spesso cambiamenti parziali e, a volte, addirittura totali. Cioè, succede che le idee, le teorie, i piani o i progetti prestabiliti non corrispondano, in parte o del tutto, alla realtà, siano parzialmente o totalmente sbagliati. In molti casi, solo dopo ripetuti fallimenti si riesce a correggere gli errori, a raggiungere la corrispondenza con le leggi del processo oggettivo e a trasformare così il soggettivo in oggettivo, cioè ad arrivare, nella pratica, ai risultati previsti. A questo punto, comunque, il movimento della conoscenza umana di un determinato processo oggettivo, a un dato stadio del suo sviluppo, può ritenersi concluso.

Tuttavia, se si considera il processo nel suo sviluppo, il movimento della conoscenza umana non si conclude qui. Ogni processo, sia che si verifichi nella natura che nella società, progredisce e si sviluppa a causa delle sue contraddizioni e lotte interne, e il movimento della conoscenza umana deve progredire e svilupparsi di conseguenza. Se si tratta di un movimento sociale, i dirigenti veramente rivoluzionari non solo devono sapere correggere le loro idee, teorie, piani o progetti quando vengono scoperti degli errori, come si è detto sopra, ma quando un processo oggettivo progredisce e passa da uno stadio del suo sviluppo a un altro, devono essere anche capaci di seguire essi stessi, nella loro conoscenza soggettiva, questo sviluppo e questo passaggio, e di farli seguire a tutti i partecipanti alla rivoluzione; devono, cioè, fare in modo che i nuovi compiti rivoluzionari e i nuovi piani di lavoro corrispondano ai nuovi cambiamenti intervenuti nella situazione. In un periodo rivoluzionario la situazione cambia rapidamente, e se i rivoluzionari non modificano rapidamente la propria conoscenza per uniformarla alla nuova situazione, non potranno condurre la rivoluzione alla vittoria.

Accade spesso che le idee non vadano al passo con la realtà; e questo avviene perché numerose condizioni sociali pongono un limite alla conoscenza umana. Noi lottiamo contro i testardi nei ranghi rivoluzionari perché le loro idee non seguono il ritmo delle modificazioni nella situazione oggettiva, e storicamente si manifestano sotto forma di opportunismo di destra. Costoro non vedono che la lotta degli opposti ha già fatto avanzare il processo oggettivo, mentre la loro conoscenza è ancora ferma al vecchio stadio. Questo caratterizza le idee di tutti i testardi. Le loro idee sono staccate dalla pratica sociale; essi non sono capaci di precedere e guidare il carro della società, ma si trascinano dietro di esso brontolando perché corre troppo, e tentano di farlo indietreggiare o di indirizzarlo nella direzione opposta.

Noi lottiamo ugualmente contro i parolai di “sinistra”. Le loro idee vanno al di là di una determinata fase di sviluppo del processo oggettivo; alcuni di essi considerano come verità i parti della loro fantasia, altri cercano di realizzare nel presente ideali raggiungibili  soltanto nel futuro; le loro idee, staccate dalla pratica corrente della in maggioranza degli uomini, staccate dalla realtà attuale, si traducono, nell’azione, in avventurismo.

L’idealismo e il materialismo meccanicistico, l’opportunismo e l’avventurismo sono tutti caratterizzati dalla frattura fra il soggettivo e l’oggettivo, dal distacco della conoscenza dalla pratica. La teoria marxista-leninista della conoscenza, caratterizzata dalla pratica sociale, scientifica, non può non combattere con decisione queste ideologie erronee. I marxisti riconoscono che nel processo generale, assoluto, di sviluppo dell’universo, lo sviluppo di ogni processo particolare è relativo; perciò, nel grande fiume della verità assoluta, la conoscenza umana di un processo particolare in ogni determinata fase di sviluppo, è soltanto una verità relativa. Dalla somma delle innumerevoli verità relative risulta la verità assoluta[10]. Lo sviluppo di un processo oggettivo è pieno di contraddizioni e di lotte, e lo sviluppo del movimento della conoscenza umana è anch’esso pieno di contraddizioni e di lotte. Ogni movimento dialettico del mondo oggettivo troverà, prima o poi, il suo riflesso nella conoscenza umana. Nella pratica sociale il processo di nascita, sviluppo e fine non ha termine, e non ha termine neppure il processo di nascita, sviluppo e fine nella conoscenza umana. Come la pratica, la quale modifica la realtà oggettiva secondo idee, teorie, piani o progetti determinati, progredisce costantemente, così anche la conoscenza umana della realtà oggettiva si approfondisce sempre più. Il movimento di modificazione del mondo reale oggettivo non ha mai fine, e non ha mai fine neppure la conoscenza della verità che l’uomo acquista attraverso la pratica. Il marxismo-leninismo non esaurisce la verità ma, al contrario, nel processo della pratica apre continuamente la strada alla conoscenza della verità. La nostra conclusione è che noi sosteniamo l’unità storica, concreta, del soggettivo e dell’oggettivo, della teoria e della pratica, del sapere e del fare, e siamo contro tutte le ideologie erronee, di “sinistra” o di destra, avulse dalla storia concreta.

Nell’epoca presente dello sviluppo della società, la storia ha posto sulle spalle del proletariato e del suo partito politico la responsabilità della giusta conoscenza e della trasformazione del mondo. Il processo della pratica di trasformazione del mondo, determinato sulla base della conoscenza scientifica, ha già raggiunto un momento storico in Cina e nel mondo, un momento di grande importanza e senza precedenti nella storia dell’umanità — il momento di dissipare completamente le tenebre sulla Cina e sul mondo e di trasformare il mondo in un mondo radioso quale finora non si è mai visto. La lotta del proletariato e dei popoli rivoluzionari per la trasformazione del mondo comporta la realizzazione dei seguenti compiti: trasformazione del mondo oggettivo e, nello stesso tempo, trasformazione del proprio mondo soggettivo — trasformazione delle proprie capacità conoscitive e trasformazione dei rapporti esistenti tra il mondo soggettivo e il mondo oggettivo. In una parte della Terra, nell’Unione Sovietica, questa trasformazione è già in atto, e il popolo ne sta accelerando il processo. Anche il popolo cinese e i popoli del mondo intero attraversano o attraverseranno tale processo di trasformazione. Il mondo oggettivo che deve essere trasformato include anche tutti gli avversari della trasformazione; essi dovranno passare per la fase della trasformazione forzata prima di poter entrare in quella della trasformazione cosciente. L’epoca del comunismo mondiale sarà raggiunta quando l’umanità intera arriverà alla cosciente trasformazione di se stessa e del mondo.

Scoprire la verità mediante la pratica, e mediante la pratica con fermare e sviluppare la verità. Partire dalla conoscenza percettiva e svilupparla attivamente in conoscenza razionale, e poi partire dalla conoscenza razionale e dirigere attivamente la pratica rivoluzionaria in modo da trasformare il mondo soggettivo e oggettivo. Pratica, conoscenza, di nuovo pratica e di nuovo conoscenza; questa formula nella sua ripetizione ciclica è infinita, e il contenuto della pratica e della conoscenza, a ogni ciclo, si eleva a uno stadio più alto. Questa è, nel suo complesso, la teoria della conoscenza del materialismo dialettico, questa è la concezione dell’unità del sapere e del fare, propria del materialismo dialettico.

NOTE


[1] Nota introduttiva –

Ci sono stati nel nostro Partito compagni inclini al dogmatismo che per lungo tempo hanno respinto l’esperienza della rivoluzione cinese, hanno negato la verità secondo cui ‘il marxismo non è un dogma ma una guida per l’azione” e non hanno fatto che prendere meccanicamente dai testi marxisti parole e frasi isolate per intimidire la gente. Ci sono stati ugualmente compagni inclini all’empirismo che per lungo tempo si sono aggrappati alla loro esperienza personale, frammentaria, senza comprendere l’importanza della teoria per la pratica rivoluzionaria, nè vedere In situazione della rivoluzione nel suo insieme; per quanto abbiano lavorato con zelo, il loro lavoro è stato fatto alla cieca. Le concezioni errate di questi due tipi di compagni, in particolare le concezioni dogmatiche, hanno arrecato grave pregiudizio alla rivoluzione cinese negli anni dal 1931 al 1934. Inoltre i dogmatici, parati della toga marxista, hanno disorientato molti nostri compagni. Il saggio Sulla pratica è stato scritto dal compagno Mao Tse-Tung per denunciare, basandosi sulla teoria marxista della conoscenza, gli errori di carattere soggettivo del dogmatismo e dell’empirismo, e in particolare del dogmatismo, in seno al nostro Partito. Questa opera mette l’accento sulla denuncia del dogmatismo, forma di soggettivismo, che disdegna la pratica, ed è per questo che s’intitola Sulla pratica. Le concezioni sviluppate qui dal compagno Mao Tse-tung furono esposte, a suo tempo, in una conferenza tenuta all’Università militare e politica antigiapponese di Yenan.

[2] V.I. Lenin, “Schema del libro di Hegel “Scienza della logica”.

[3] Cfr. K. Marx, Tesi su Feuerbacb e V. I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Cap. Il, paragrafo 6.

[4] San Kuo Yen Yi (Romanzo dei tre regni), celebre romanzo storico scritto da Lo Kuan-chung (fine del XIV e inizio del XV secolo).

[5] V.I. Lenin, “Schema del libro di Hegel “Scienza della logica”.

[6] V.I. Lenin dice: “Per comprendere occorre incominciare a comprendere, a sapere, empiricamente, ed elevarsi dall’esperienza alla generalizzazione”. “Schema del libro di Hegel “Scienza della logica”.

[7] V.I. Lenin, Che fare? Cap. I, paragrafo 4.

[8] V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Cap. II, paragrafo 6.

[9] J.V. Stalin, Dei principi del leninismo, III parte.

[10] Cfr. V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Cap. II, paragrafo 5.