IL CONCETTO DI “BISOGNO SOCIALE[1]

Agnes Heller

Il concetto di ”bisogno sociale” non è per Marx una categoria di per sé estraniata, ma è interpretabile razionalmente in ogni società e in particolare anche dopo il superamento positivo dell’estraniazione. Comunque è uno dei concetti che Marx usa “con meno rigore” e in differenti accezioni. Tra i vari fatti sociali da esso descritti, troviamo spesso l’estraniazione capitalistica dei bisogni. Ma se si considera attentamente la tendenza principale del pensiero di Marx, si trova che questa interpretazione è solo una tra le tante e che è rilevante solo per la società capitalistica. L’identificazione delle categorie di “interesse gene tale” e “bisogno sociale” è quindi completamente estranea alla concezione complessiva di Marx. È necessario sottolinearlo vigorosamente, perché nella letteratura marxista è diventato corrente l’uso delle due categorie come sinonimi. Non mi riferisco qui solamente all’interpretazione feticistica del concetto di ”bisogno sociale,” ma anche alla assunzione di tale interpretazione quale valore positivo, giustificata dal fatto che il “bisogno sociale” è un “bisogno della società,” inteso non come totalità, media, o tendenza di sviluppo dei bisogni individuali dei singoli, ne come bisogno personale “socializzato,” ma come sistema di bisogni generale, sovrastante gli individui e i loro bisogni personali. Questa concezione ha portato a diverse conclusioni (e consegue teoriche e pratiche, di cui si devono citare almeno le due più importanti: a) poiché il cosiddetto “bisogno sociale” è più generale e insieme più elevato di quello “personale,” in casi di conflitto il singolo deve subordinare ai “bisogni sociali” la sua esigenza di soddisfare i bisogni personali; praticamente tale “bisogno sociale” si rivela come il bisogno dei ceti privilegiati o predominanti della classe operaia (o anche della società), mascherato dall’aureola della “validità generale”; b) “bisogni sociali” sono “veri,” autentici bisogni dei singoli uomini; persone che de facto non hanno bisogni di questo tipo, “non hanno ancora riconosciuto” i loro “veri” bisogni. Da questa concezione segue la distinzione tra bisogni ”riconosciuti” e “non riconosciuti.” Ma chi deve decidere quali siano i ”veri” bisogni degli uomini? Saranno di nuovo solo i rappresentanti dei cosiddetti “bisogni sociali.” In altre parole: come incarnazioni dell’”universalità” e della “socialità,” i bisogni effettivi dei privilegiati o dei capi del movimento decidono quali tra i bisogni della classe (cioè della stragrande maggioranza della popolazione) siano “giusti” e quali ” ingiusti”: in questo modo i bisogni effettivi della maggioranza vengono considerati “non veri.” I “rappresentanti” dei ”bisogni sociali” si incaricano allora di decidere i bisogni della maggioranza e ne perseguono i presunti “bisogni non riconosciuti,” invece di quelli propri ed effettivi.

Escludendo l’esame delle conseguenze pratiche della feticizzazione del concetto di “bisogni sociali,” aggiungiamo solo che il concetto di bisogno feticizzato è stato “costruito” in analogia con quello di interesse. Abbiamo già visto sulla base dell’analisi marxiana che la subordinazione di sé all’interesse “generale” in realtà è correlata con il perseguimento dell’interesse personale. Bourgeois e citoyen sono ugualmente necessari al funzionamento della società borghese. Inoltre, riferendoci agli interessi, possiamo sensatamente distinguerli in “riconosciuti” e “non riconosciuti.” L’interesse è costituito infatti dall’opposizione degli interessi (l’identità degli interessi in verità è l’identità delle opposizioni). L’interesse è riduzione e insieme omogeneizzazione dei bisogni, nel senso che facciamo valere il (indifferentemente se questo significhi persona, insieme o classe) come nostra propria “determinazione di tipo riflessivo,” contro altri; è quindi realistico affermare che l’uomo (la nazione, la classe, ecc.) che non riesce a prevalere sugli altri, non agisce corrispondentemente ai suoi interessi. Inoltre, quando un uomo (un insieme, una classe) non vede chiaramente le modalità o i mezzi ottimali per far valere se stesso, “non ha riconosciuto” i ”propri interessi.” Quanto ai rapporti tra le varie oggettivazioni, se le modalità o i mezzi per farsi valere in modo ottimale sono diversi o perfino contrapposti, allora si può a ragione parlare di “contrasti di interesse.”

Torniamo alla posizione di Marx. Come abbiamo visto egli parla in diverse occasioni di bisogni “reali “immaginari,” ma mai e in nessun luogo di bisogni inconsci o non riconosciuti” (tanto i bisogni “ reali” che quelli immaginari” sono coscienti). Anzi, il concetto di bisogni radicali gli serve, tra l’altro, proprio per poter aggirare la categoria dei bisogni” non riconosciuti” per cui attribuisce più di una volta alla classe operaia tali bisogni, pur non presenti de facto. Dove ci sono bisogni “non riconosciuti” ci sono anche “educatori” che “rendono coscienti” gli uomini dei loro bisogni. Come è noto, Marx ha però respinto questa concezione del bisogno “non riconosciuto” già nelle Tesi su Feuerbach dove considera la categoria per ciò che essa è: una categoria dell’illuminismo.

Marx considera solo bisogni di individui. Si può calcolare o preventivare una media dei bisogni individuali (come nel caso dei “bisogni necessari”), che però restano sempre individuali. Solo nella descrizione del feticismo Marx si serve della categoria del bisogno nel senso feticistico (per contrapporla ai bi sogni non feticistici, ovvero individuali). Si pensi a quel passo del Capitale già citato, dove egli definisce l’estraniazione capitalistica come quella in cui sono decisivi non i bisogni di sviluppo del lavoratore, ma i “bisogni di valorizzazione del capitale,” espressione qui usata in senso chiaramente feticistico. Infatti sebbene il bisogno di valorizzazione sia sempre il bisogno di un singolo capitalista, anche il capitalista è una potenza estraniata. Nella società capitalistica le relazioni inter - umane — pur rimanendo tali — appaiono come relazioni reificate (lo stesso vale anche per i bisogni).

Si è già detto che Marx usa il concetto di “bisogni sociali” in vari sensi. L’interpretazione più importante (e più frequente) è quella di bisogno “socialmente prodotto.” Le relative osservazioni sono già state esposte nel primo capitolo[2] e quindi non le ripeteremo. I bisogni ‘socialmente prodotti” ‘sono bisogni di uomini singoli. In questa determinazione si devono far rientrare a volte solo i bisogni “non naturali,” a volte tutti i bisogni indiscriminatamente. In questo ultimo caso “bisogno socialmente prodotto” è sinonimo di bisogno umano, dove “umano” non è una categoria di valore.

In un’altra accezione che compare più raramente, ma pur sempre con una certa frequenza, il ”bisogno sociale” è una categoria di valore positiva: è il bisogno dell’uomo del comunismo, del cosiddetto “uomo socializzato.” Nel terzo libro del Capitale, la società capitalistica viene di nuovo contrapposta alla società dei “produttori associati,” proprio dal punto di vista dei bisogni. A tale proposito ricordiamo che: “... l’estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto tra la produzione ed i bisogni sociali, i bisogni di un’umanità socialmente sviluppata, ma […]  in base al profitto ed al rapporto fra questo profitto ed il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio del profitto.[3]” Qui i “bisogni sociali” indicano quindi i bisogni dell’”umanità socialmente sviluppata.” E superfluo mettere in evidenza che anche qui per “bisogno sociale” si intende il bisogno del singolo uomo.

In un terzo senso il “bisogno sociale” designa la media dei bisogni diretti a beni materiali in una società o classe. Quando Marx intende il bisogno in questo senso, pone spesso “bisogno sociale” tra virgolette, il che non è assolutamente casuale. “Bisogno sociale” tra virgolette è espressione dei bisogni nella forma di domanda solvibile; senza virgolette indica quei bisogni che, pur riferendosi a beni materiali, non trovano espressione nella domanda solvibile. La distinzione è rilevante per Marx solo in rapporto alla classe operaia; per quanto riguarda le classi dominanti, bisogno materiale e domanda solvibile per lo meno coincidono; il più delle volte però la domanda solvibile perfino eccede il vero e proprio bisogno (il “bisogno necessario” delle classi dominanti). Per la classe operaia la discrepanza si pone tra “bisogno sociale,” che appare nella forma di domanda solvibile, e bisogno sociale “vero,” dato che quest’ultimo non solo supera quantitativamente il primo, ma contiene anche bisogni concreti di diverso tipo. Nel Capitale Marx dice: “….. il ‘bisogno sociale,’ ossia ciò che regola il principio della domanda, risulta essenzialmente dal rapporto che esiste tra le diverse classi e dalla loro rispettiva posizione economica….”[4] Dopo poche pagine, dibattendo più a fondo il problema, afferma: “Sembra dunque che la domanda rappresenti un bisogno sociale determinato di una certa grandezza, che esige, per essere soddisfatto, la presenza sul mercato di una quantità determinata di un certo articolo. Ma la determinazione quantitativa di questo bisogno è assolutamente elastica e fluttuante. Il suo carattere di fissità è puramente apparente. Qualora i mezzi di sussistenza diminuissero di prezzo o aumentasse il salario monetario, il “bisogno sociale” di queste merci diventerebbe più intenso. Lo scarto fra la domanda — ossia il bisogno di merci rappresentato sul mercato — ed il bisogno sociale reale, varia naturalmente in modo considerevole da una merce a un’altra.[5]

Il “bisogno sociale” che si riferisce alla domanda è quindi mera apparenza, che non esprime i” reali” bisogni sociali della classe operaia, anzi li” trasfigura” nel loro contrario.

Ma quali sono questi bisogni sociali reali? Il contenuto di tale categoria corrisponde in Marx essenzialmente al contenuto empirico o sociologico dei bisogni necessari. Che però, vogliamo metterlo in evidenza, è una media, e precisamente la media dei bisogni individuali (sviluppatisi storicamente, tramandati negli usi e con componenti morali). In verità si tratta di una categoria oggettiva: un dato uomo, di una data classe, di una determinata epoca, nasce in un sistema e in una gerarchia di bisogni precostituiti (anche se in evoluzione) dalle consuetudini, dalla morale delle generazioni precedenti e soprattutto dagli oggetti dei suoi bisogni. Egli introietta (a seconda della società) questo sistema, anche se in modo individuale. In nessun caso è però una struttura autonoma, “aleggiante” sopra i membri di una classe o di una società: bisogno del singolo è ciò che egli sa e sente come suo bisogno — egli non ha altri bisogni. Per questo nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx lamenta l’”assenza di bisogni” nei lavoratori. Non si vuole affermare che i lavoratori sono consapevoli dei bisogni che appaiono sotto forma di domanda e non sono invece coscienti dei bisogni veri, che non hanno questa forma: “Nell’ultimo caso i bisogni sociali non sarebbero ‘flessibili.” Si tratta piuttosto del fatto che i veri bisogni sociali rappresentano i bisogni autentici, del tutto coscienti, mentre quelli “sociali,” che si presentano sul mercato, segnalano le possibilità di soddisfazione dei primi in una data società. E non si tratta qui nemmeno di una contrapposizione di conscio e inconscio, ma, come dice Marx nella Miseria della filosofia, dell’antitesi tra essere e non essere, tra realizzare e non realizzare, tra soddisfacibile e non soddisfacibile.

Aggiungiamo che Marx applica tale interpretazione dei bisogni sociali solo ai bisogni materiali e, tra i non materiali, solo a quelli acquistabili mediante valore di scambio. Per quanto riguarda altri bisogni, la categoria di “bisogno sociale,” intesa nel senso precedente, è del tutto irrilevante. E ciò vale sebbene il citato carattere oggettivo dei bisogni (il sistema di bisogni già realizzato e la relativa gerarchia “guidano” i bisogni di un uomo nato in una determinata società in quanto i bisogni possono svilupparsi solo nell’interazione con gli oggetti e le oggettivazioni che li delimitano) si riferisca non solo ai bisogni materiali — cioè a quelli “sociali” interpretati nel modo precedente — ma ai bisogni in genere: al bisogno dell’attività artistica come al bisogno di comunità o di amore. Riguardo a questi ultimi però Marx non parla mai di “bisogni sociali” nel senso qui determinato. La soddisfazione di questi ultimi tramite il valore di scambio appare ai suoi occhi, come abbiamo già visto, la forma più caratteristica del fenomeno dell’estraniazione: la quantificazione del non-quantificabile.

Citiamo, last but not least, la quarta accezione di” bisogni sociali”: la soddisfazione sociale — o a volte comunitaria — dei bisogni. È una interpretazione non-economica che serve a definire o ad esprimere il fatto che gli uomini posseggono bisogni non solo prodotti socialmente, ma anche bisogni soddisfacibili unicamente con la creazione delle relative istituzioni sociali Ad esempio, nella società moderna, la soddisfazione del bisogno di imparare è possibile solo mediante adeguate istituzioni per l’istruzione pubblica. Lo stesso vale anche per il bisogno di tutelare la salute, e per innumerevoli tipi di bisogno culturale e perfino per il bisogno di comunità. (In quest’ultimo caso non è necessaria la creazione di apposite istituzioni. Però questo è un bisogno eo ipso soddisfacibile solo nella vita comunitaria.)

Sebbene la categoria non sia di per sé economica, possiamo comunque rilevarvi un aspetto economico. Nella Critica del programma di Gotha Marx scrive che si deve detrarre dal reddito “integrale” del lavoro “.....ciò che è destinato alla soddisfazione collettiva di bisogni, come scuole, istituzioni sanitarie, ecc.[6] È interessante osservare come Marx attribuisca ai ”bisogni sociali” puramente materiali un carattere di relativa stabilità quantitativa (la loro quantità dovrebbe aumentare solo parallelamente alla crescita della popolazione). La parte di questi valori sociali che serve alla “soddisfazione collettiva dei bisogni” aumenterà rapidamente in futuro (per la soddisfazione di tali bisogni sarà necessaria una percentuale sempre maggiore del “reddito integrale del lavoro”). “Questa parte aumenta sin dall’inizio notevolmente rispetto alla società attuale e aumenterà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando.[7]” È superfluo dire che Marx non si immagina assolutamente una detrazione parziale che correli i bisogni “veri,” “consapevoli” degli uomini al consumo personale, mentre i bisogni ”non riconosciuti” sarebbero rappresentati dalla “soddisfazione collettiva dei bisogni.” Per il futuro Marx ipotizza uomini ai quali questi bisogni soddisfacibili solo socialmente appaiono ab ovo come bisogni coscienti e personali e la cui soddisfazione sarà cosi importante, che essi stessi limiteranno altri bisogni. Sappiamo bene che, secondo Marx, è nella società dei “produttori associati” che solo altri bisogni pongono limiti ai bisogni umani. Quando cessa il dominio delle cose sull’uomo, quando i rapporti interumani non appaiono più come. rapporti di cose, allora ogni bisogno governa il “bisogno di sviluppo dell’individuo,” il bisogno di auto-realizzazione della personalità.

NOTE


[1] Estratto da “La teoria dei bisogni” di Ágnes Heller.

[2] Ágnes Heller  “La teoria dei bisogni” ,capitolo “Osservazioni preliminari: il concetto marxiano di bisogno”.

[3] MARX, Il capitale, ci libro III (I), p 315.

[4] Ibidem, libro III (1) p. 229.

[5] Ibidem, libro III (1), pp, 236-237.

[6] MARX, Critica del programma di Gotha, in MARX, ENGELS, Opere scelte, cit., p.959.

[7] Ibid., p. 959.