IL CAPITALE

LIBRO III

SEZIONE VI

TRASFORMAZIONE DEL PLUSPROFITTO IN RENDITA FONDIARIA

CAPITOLO 38

LA RENDITA DIFFERENZIALE.

CARATTERISTICHE GENERALI.

Nell’analisi della rendita fondiaria, vogliamo dapprima partire dall’ipotesi che i prodotti che fruttano una tale rendita nel caso dei quali una parte del plusvalore, quindi anche una parte del prezzo totale si risolve in rendita — è sufficiente a nostri fini considerare i prodotti dell’agricoltura o anche i prodotti minerari — siano venduti ai loro prezzi di produzione come tutte le altre merci. In altri termini, che i loro prezzi di vendita siano eguali agli elementi del loro costo (il valor del capitale costante e variabile consumato) più un profitto che è determinato dal saggio generale del profitto e ragguagliato al capitale complessivo anticipato, consumato e non consumato.

Noi supponiamo, quindi, che i prezzi medi di vendita di questi prodotti siano eguali ai loro prezzi di produzione. Ci si domanda, allora, come, in tale ipotesi, si possa sviluppare una rendita fondiaria, ossia come una parte del profitto possa convertirsi in rendita fondiaria, così che una parte del prezzo delle merci può cadere in mano del proprietario fondiario.

Per mostrare il carattere generale di questa forma della rendita fondiaria, noi supponiamo che le fabbriche di un certi paese siano azionate, nella loro grande maggioranza, da macchine a vapore, mentre una determinata minoranza di esse vengano azionate da cascate naturali. Supponiamo, inoltre, che i quei rami di industria il prezzo di produzione ammonti a 115 per una massa di merci che hanno consumato un capitale di 100. Il 15 % di profitto non è calcolato soltanto sul capitale consumato di 100, ma sul capitale complessivo investito nella produzione di questo valore-merci. Questo prezzo di produzione come è stato precedentemente messo in rilievo, non è determinato dal prezzo di costo individuale di ogni singolo produttore industriale, ma dal prezzo di costo richiesto in media dalla merce nelle condizioni medie del capitale nell’intera sfera.

È, in realtà, il prezzo di produzione di mercato: il prezzo medio di mercato, distinto dalle sue oscillazioni.

È in generale nella forma del prezzo di mercato e in seguito nella forma del prezzo di mercato regolatore o del prezzo di produzione di mercato, che si presenta la natura del valore delle merci, cioè il fatto che questo valore non è determinato dal tempo di lavoro necessario individualmente ad un singolo produttore per la produzione di una determinata quantità di merci o di singole merci, ma dal tempo di lavoro socialmente necessario; dal tempo di lavoro che è necessario per produrre la quantità complessiva, socialmente necessaria, dei diversi tipi di merci che si trovano sul mercato, al dato livello medio delle condizioni sociali di produzione.

Poiché le particolari proporzioni numeriche sono qui del tutto irrilevanti, noi vogliamo ancora supporre che il prezzo di costo nelle fabbriche azionate dalla forza idraulica, ammonti soltanto a 90 in luogo di 100. Essendo 115 il prezzo di produzione che regola il mercato per la massa di queste merci, con un profitto del 15% , i fabbricanti che azionano le loro macchine con la forza idraulica, venderanno del pari a 115, ossia al prezzo medio che regola il prezzo di mercato. Il loro profitto ammonterebbe allora a 25 in luogo di 15; il prezzo di produzione regolatore permetterebbe loro di conseguire un plusprofitto del 10 %, non perché essi vendono le loro merci al di sopra del prezzo di produzione, ma perché le vendono al prezzo di produzione, perché le loro merci sono prodotte, o il loro capitale opera, in condizioni eccezionalmente favorevoli, condizioni che sono superiori al livello medio di questa sfera.

Immediatamente emergono due fatti:

Primo: il plusprofitto dei produttori che sfruttano le cascate naturali come forza motrice non si differenzia, a prima vista, da qualsiasi plusprofitto (e noi abbiamo già analizzato questa categoria esaminando i prezzi di produzione), il quale non sia il risultato casuale di transazioni nel processo di circolazione, di occasionali fluttuazioni dei prezzi di mercato. Questo plusprofitto è, dunque, parimenti eguale alla differenza fra il prezzo di produzione individuale di questi produttori privilegiati ed il prezzo di produzione sociale generale, che regola il mercato, di tutta questa sfera di produzione. Questa differenza è eguale all’eccedenza del prezzo di produzione generale della merce sul suo prezzo di produzione individuale.

I due limiti che regolano questa eccedenza sono da un lato il prezzo di costo individuale e quindi il prezzo di produzione individuale, dall’altro il prezzo di produzione generale.

Il valore della merce prodotta per mezzo della cascata è inferiore, perché la sua produzione richiede una quantità complessiva di lavoro minore, precisamente nella merce entra una quantità minore di lavoro oggettivato, come parte del capitale costante. Il lavoro qui impiegato è più produttivo (la sua produttività individuale è maggiore) del lavoro impiegato nella generalità delle fabbriche dello stesso tipo. La sua maggiore produttività si mostra nel fatto che per produrre la stessa massa di merci esso richiede una quantità minore di capitale costante, una quantità minore di lavoro oggettivato, di quanto non venga richiesto nelle altre fabbriche; richiede, inoltre, una quantità minore di lavoro vivo, poiché la ruota idraulica non ha bisogno di combustioni. Questa maggiore produttività individuale del lavoro impiegato riduce da un lato il valore e dall’altro il prezzo di costo e quindi il prezzo di produzione della merce. Dal punto di vista dell’industriale ciò si esprime in un minore prezzo di costo della merce. Egli deve pagare meno lavoro oggettivato e altresì meno salario avendo impiegato una minore quantità di forza-lavoro viva. Essendo minore il prezzo dì costo della sua merce, è minore anche il suo prezzo di produzione individuale.

Il  suo prezzo di costo è 90 anziché 100.

Quindi anche il suo prezzo di produzione individuale sarebbe soltanto di 103,5  anziché di 115, infatti, a parità di saggio generale del profitto (15%) , il profitto riferito al suo capitale complessivo individuale sarebbe di

p =  15%  90 = 13,5

e quindi il prezzo di produzione individuale

pdp individuale = 90 + 13,3 = 103,5

 (100 : 115 = 90 : 103,5). La differenza fra il suo prezzo di produzione individuale e quello generale trova un limite nella differenza fra il suo prezzo di costo individuale e quello generale. Questa è una delle grandezze che costituiscono un limite al suo plusprofitto. L’altro limite è costituito dal livello del prezzo di produzione generale, in cui il saggio generale del profitto entra come uno dei fattori regolatori. Se il carbone diminuisse di prezzo, scemerebbe la differenza fra il suo prezzo di costo individuale ed il prezzo di costo generale e quindi il suo plusprofitto. Qualora egli fosse costretto a vendere la merce al suo valore individuale, o al prezzo di produzione determinato dal suo valore individuale, la differenza scomparirebbe.

Tale differenza è il risultato da un lato del fatto che la merce è venduta al suo prezzo generale di mercato, al prezzo a cui la concorrenza livella i prezzi individuali, dall’altro del fatto che la maggiore produttività individuale del lavoro da lui messo in opera non va a vantaggio degli operai, ma, al pari di tutte le forze produttive del lavoro, di chi le impiega; così che essa si presenta come forza produttiva del capitale.

Poiché un limite di questo plusprofitto è dato dal livello del prezzo generale di produzione, di cui il livello del saggio generale del profitto costituisce uno dei fattori, tale plusprofitto può derivare unicamente dalla differenza tra il prezzo di produzione generale e quello individuale, quindi dalla differenza fra il saggio individuale del profitto e quello generale.

Un’eccedenza su questa differenza presuppone che il prodotto sia stato venduto non al prezzo di produzione regolato dal mercato, ma ad un prezzo superiore.

Secondo: fino ad ora il plusprofitto del fabbricante che impiega come forza motrice la cascata naturale in luogo del vapore non si distingue in alcun modo da qualsiasi altro plusprofitto. Ogni plusprofitto normale, vale a dire ogni plusprofitto che non sia originato da occasionali operazioni di vendita o da oscillazioni del prezzo di mercato, è determinato dalla differenza fra il prezzo di produzione individuale delle merci di questo particolare capitale e il prezzo di produzione generale che regola in generale i prezzi di mercato delle merci prodotte dal capitale di questa sfera di produzione, oppure i prezzi di mercato delle merci del capitale complessivo investito in questa sfera di produzione.

Ma qui subentra la differenza.

A quale circostanza il capitalista industriale, nel caso preso in considerazione, deve il suo plusprofitto, l’eccedenza che il prezzo di produzione regolato dal saggio generale del profitto apporta a lui personalmente?

In primo luogo egli lo deve ad una forza naturale, la forza motrice della cascata, che si trova nella natura e che non costa, a differenza del carbone che trasforma l’acqua in vapore e che essendo esso stesso un prodotto del lavoro ha del valore, deve essere pagato con un equivalente. L’acqua è un agente naturale di produzione che viene generato senza l’intervento del lavoro.

Ma ciò non è tutto: l’industriale che lavora con la macchina a vapore impiega ugualmente forze naturali che non gli costano nulla, ma che rendono il lavoro più produttivo e, nella misura in cui esse rendono in tal modo meno costosa la produzione dei mezzi di sussistenza richiesti dagli operai, accrescono il plusvalore e quindi il profitto; forze naturali, quindi, che sono monopolizzate dal capitale precisamente come lo sono le forze naturali del lavoro sociale derivanti dalla cooperazione, dalla divisione, ecc. L’industriale paga il carbone, ma egli non paga la proprietà dell’acqua di mutare il suo stato, di trasformarsi in vapore, non paga la elasticità del vapore e così via. Questa monopolizzazione delle forze naturali, vale a dire della accresciuta produttività del lavoro a cui esse danno origine, è comune a tutti i capitali che lavorano con macchine a vapore. Essa può aumentare quella parte del prodotto del lavoro che rappresenta il plusvalore, rispetto alla parte che si converte in salario. Nella misura in cui essa agisce in tal senso, eleva il saggio generale del profitto, ma non crea un plusprofitto che consiste appunto nell’eccedenza del profitto individuale sul profitto medio. Il fatto che l’applicazione di una forza naturale, della cascata, crea qui un plusprofitto, non può quindi derivare soltanto dalla circostanza che l’accresciuta forza produttiva del lavoro è qui dovuta all’impiego di una forza naturale. Devono intervenire ulteriori circostanze modificatrici.

Inversamente, il semplice impiego di forze naturali nell’industria può ripercuotersi sul livello del saggio generale del profitto, modificando la massa di lavoro occorrente alla produzione dei mezzi di sussistenza necessari, ma esso non crea in sé e per sé uno scarto dal saggio generale del profitto e proprio di un tale scarto si fa qui questione. Inoltre: il plusprofitto che un certo capitale individuale può comunemente realizzare in una particolare sfera di produzione — poiché gli scarti tra i saggi di profitto delle varie sfere di produzione si livellano continuamente al saggio medio del profitto — deriva, astrazione fatta dagli scarti puramente casuali, da una diminuzione del prezzo di costo, quindi dei costi di produzione. Tale diminuzione è dovuta alla circostanza che il capitale è investito in masse superiori alla media e vengono quindi ridotti i foux frais della produzione, mentre le cause generali che accrescono la produttività del lavoro (cooperazione, divisione) possono esercitare una influenza molto maggiore, più intensa, essendo più ampio il loro campo di azione; oppure [può derivare] dalla circostanza che, astrazione fatta dal volume del capitale operante, vengono impiegati metodi di lavoro migliori, nuove invenzioni, macchine perfezionate, segreti chimici di fabbricazione ecc., in breve vengono usati mezzi di produzione e metodi di produzione superiori al livello medio. La diminuzione del prezzo di costo e il plusprofitto che ne risulta derivano qui dal modo in cui il capitale operante è investito. Essi derivano o dal fatto che il capitale operante si trova concentrato in misura straordinariamente grande nelle mani di un solo individuo —  circostanza questa che viene meno non appena vengono investite in media delle masse di capitale di eguale grandezza —, oppure dal fatto che un capitale di una grandezza determinata opera in modo particolarmente produttivo — circostanza questa che viene meno non appena il metodo di produzione eccezionale diventa di dominio pubblico, oppure è sorpassato da metodi ancora più sviluppati.

La causa del plusprofitto deriva qui, dunque, dal capitale stesso (in cui è compreso il lavoro che esso mette in movimento); o da una differenza di volume del capitale impiegato, oppure da un suo impiego più razionale; e in sé e per sé nulla impedisce che tutto il capitale nella medesima sfera di produzione possa essere investito allo stesso modo. La concorrenza fra i capitali tende, al contrario, ad eliminare in grado sempre maggiore questa differenza; la determinazione del valore mediante il tempo di lavoro socialmente necessario si afferma con la diminuzione del prezzo delle merci e la necessità di produrre le merci nelle stesse favorevoli condizioni. Ma è diverso per quanto riguarda il plusprofitto dell’industriale che utilizza la cascata. L’accresciuta forza produttiva del lavoro da lui impiegato non deriva né dal capitale e dal lavoro stesso, né dalla semplice utilizzazione di una forza naturale distinta dal capitale e dal lavoro, ma incorporata nel capitale. Essa deriva da una maggiore produttività naturale del lavoro, connessa allo sfruttamento di una forza naturale che però non si trova a disposizione di qualsiasi capitale nella stessa sfera di produzione, come ad es. la elasticità del vapore; di una forza naturale, quindi, il cui sfruttamento non è sottinteso per il solo fatto che dei capitali vengono investiti in questa sfera. Si tratta invece di una forza naturale soggetta a monopolio, che, come nel caso della cascata, è unicamente a disposizione di coloro che possono disporre di particolari porzioni della superficie terrestre e di quanto vi è connesso. Non è assolutamente facoltà del capitale chiamare in vita questa condizione naturale di una maggiore produttività del lavoro, mentre ogni capitale può trasformare l’acqua in vapore. Nella natura essa si trova soltanto in località de terminate e là dove non esiste non può essere creata mediante determinati esborsi di capitale. Essa non dipende da prodotti che possono essere creati con il lavoro, come le macchine, il carbone, ecc., ma da determinate condizioni naturali di determinate porzioni della terra. Quella parte di industriali che possiede le cascate esclude l’altra parte, che non le possiede, dall’impiego di questa forza naturale, poiché la terra, e tanto più la terra dotata di energia idrica, è limitata. Ciò non significa, però, che, quantunque la massa delle cascate naturali di un paese sia limitata, la massa dell’energia idrica utilizzabile per fini industriali non possa essere aumentata. Si può deviare artificialmente la cascata, al fine di sfruttare completamente la sua forza motrice; senza modificare la cascata si può perfezionare la ruota idraulica in modo da utilizzare la maggiore quantità possibile di energia idrica; là dove la ruota idraulica ordinaria non è adatta alla corrente si possono installare delle turbine, ecc. Il possesso di questa forza naturale costituisce un monopolio nelle mani del suo proprietario, una condizione di elevata produttività del capitale investito, che non può essere creata con il processo di produzione del capitale stesso questa forza naturale, che è in tal modo soggetta a monopolio, è sempre vincolata alla terra. Una tale forza naturale non appartiene alle condizioni generali della sfera di produzione in questione, né alle condizioni della stessa che si possono creare dappertutto.

Supponiamo, ora, che le cascate, unitamente al terreno del quale fanno parte, siano in mano di individui che vengono considerati possessori di queste parti del globo terrestre, proprietari fondiari, così che essi impediscono l’investimento del capitale nella cascata e la sua utilizzazione mediante il capitale. Essi possono concedere o negare tale sfruttamento. Ma il capitale non può di per se stesso creare la cascata.

Il plusprofitto che deriva dalla utilizzazione della cascata d’acqua non dipende quindi dal capitale, ma dalla utilizzazione per mezzo del capitale di una forza naturale che può essere soggetta a monopolio ed è stata monopolizzata.

In tali circostanze il plusprofitto si trasforma in rendita fondiaria, ossia viene ad appartenere al proprietario della cascata.

Se l’industriale paga al proprietario 2.400 €  all’anno per lo sfruttamento della sua cascata, il suo profitto ammonta a 3.600 €.; ossia al 15 % sui 24.000 € a cui ammontano i suoi costi di produzione (comprensivi ora anche della rendita pagata al proprietario della cascata); ed egli si trova in condizioni altrettanto buone, forse migliori di tutti gli altri capitalisti della sua sfera di produzione che lavorano con il vapore. Le cose non muterebbero se il capitalista fosse il proprietario della cascata. Tanto nel primo caso che nel secondo egli incasserebbe il plusprofitto di 2.400 €  non come capitalista, ma come proprietario della cascata e proprio perché non deriva dal suo capitale in quanto tale, ma dalla disponibilità di una forza naturale limitata nelle sue dimensioni, separabile dal suo capitale e monopolizzabile, questo plusprofitto si trasforma in rendita fondiaria.

Primo:

È evidente che questa rendita è sempre una rendita differenziale, poiché essa non entra come un fattore determinante nel prezzo generale di produzione della merce, ma lo presuppone. Essa deriva sempre dalla differenza fra il prezzo individuale di produzione del capitale particolare che dispone della forza naturale monopolizzata ed il prezzo generale di produzione del capitale investito in quella sfera di produzione.

Secondo:

Questa rendita fondiaria non deriva dall’accrescimento assoluto della produttività del capitale impiegato o del lavoro che esso si appropria, accrescimento che può solamente ridurre il valore delle merci; ma dal rendimento relativamente più forte di capitali individuali determinati, investiti in una certa sfera di produzione, in confronto con altri investimenti di capitale, che sono esclusi da queste condizioni eccezionali, create dalla natura, che favoriscono la produttività. Se, ad esempio, l’utilizzazione del vapore, quantunque il carbone abbia un valore e l’energia idrica non ne abbia, assicurasse dei vantaggi preponderanti, preclusi all’utilizzazione dell’energia idrica, o tali da annullare ampiamente i vantaggi dell’energia idrica, tale energia non verrebbe impiegata, e non potrebbe creare un plusprofitto e quindi nemmeno una rendita.

Terzo:

La forza naturale non è la fonte del plusprofitto, ma unicamente una sua base naturale, essendo la base naturale dell’eccezionalmente accresciuta produttività del lavoro. Allo stesso modo il valore d’uso è in generale depositario del valore di scambio, ma non ne è la causa. Se potesse essere creato senza lavoro, questo stesso valore d’uso non avrebbe un valore di scambio, ma conserverebbe sempre la sua utilità naturale di valore d’uso. D’altro lato, tuttavia, nessuna cosa può avere un valore di scambio senza avere un valore d’uso, depositario naturale del lavoro Se i diversi valori non si livellassero ai prezzi di produzione ed i diversi prezzi di produzione individuali al prezzo di produzione generale che regola il mercato, il semplice aumento della produttività del lavoro ottenuto con l’uso della cascata ridurrebbe unicamente il prezzo delle merci prodotte con la cascata, senza accrescere la parte di profitto contenuta in queste merci, precisamente come d’altro lato questa accresciuta forza produttiva del lavoro non verrebbe trasformata in plusvalore, se il capitale non si appropriasse la forza produttiva naturale e sociale del lavoro da esso impiegato, come se fosse sua propria.

Quarto:

La proprietà fondiaria comprendente la cascata non ha nulla a che vedere in sé e per sé con la creazione di quella parte del plusvalore (profitto) e quindi del prezzo della merce in generale che viene prodotta con l’aiuto della cascata. Questo plusprofitto esisterebbe anche qualora non esistesse la proprietà fondiaria, qualora, ad esempio, il terreno in cui si trova la cascata fosse sfruttato dall’industriale come terra libera. La proprietà fondiaria non crea quindi la parte di valore che si trasforma in plusprofitto, ma semplicemente permette al proprietario fondiario, al proprietario della cascata, di trasferire questo plusprofitto dalle tasche dell’industriale nelle sue. Essa non è la causa della creazione di questo plusprofitto, ma della sua conversione nella forma della rendita fondiaria, quindi della appropriazione di questa parte del profitto o del prezzo della merce, da parte del proprietario del terreno o del proprietario della cascata.

Quinto:

È evidente che il prezzo della cascata, vale a dire il prezzo che il proprietario fondiario riceverebbe se egli vendesse la cascata ad un terzo, o anche all’industriale stesso, non entra in un primo tempo nel prezzo di produzione delle merci, pur entrando per l’industriale nel suo prezzo di costo individuale; poiché la rendita deriva in questo caso dal prezzo di produzione delle merci dello stesso tipo prodotte con la macchina a vapore e questo prezzo è regolato indipendentemente dalla cascata. In secondo luogo, poi, questo prezzo della cascata è un’espressione irrazionale, sotto la quale si nasconde un rapporto economico reale. La cascata, al pari della terra in generale, al pari di ogni forza naturale, non ha un valore, non rappresentando un lavoro oggettivato in essa e quindi non ha nemmeno un prezzo; poiché il prezzo normaliter non è altro se non il valore espresso in denaro. Dove non vi è del valore, nulla può eo ipso essere espresso in denaro. Questo prezzo non è altro che la rendita capitalizzata. La proprietà terriera permette al proprietario di impadronirsi della differenza fra il profitto individuale e il profitto medio; il profitto così carpito, che si rinnova ogni anno, può essere capitalizzato ed appare allora come il prezzo della forza naturale stessa. Se il plusprofitto che lo sfruttamento della cascata procura all’industriale è di 2.400 €  all’anno e l’interesse medio è di 5%, questi 2.400 € rappresentano annualmente l’interesse di un capitale di 48.000 €.; e questa capitalizzazione dei 2.400 € annui, che la cascata permette al suo proprietario di carpire all’industriale, appare come valore-capitale della cascata stessa. Che questa cascata non abbia di per se stessa valore, ma che il suo prezzo sia un semplice riflesso del plusprofitto carpito, calcolato capitalisticamente, lo si vede subito dal fatto che il prezzo di 48.000 € rappresenta soltanto il prodotto di un plusprofitto di 2.400 € per 20 anni, mentre, rimanendo invariate le altre circostanze, la medesima cascata dà al suo proprietario la possibilità di impadronirsi annualmente di questi 2.400 € per un periodo indeterminato, 30 anni, 100 anni; d’altro lato, qualora un nuovo metodo di produzione, non applicabile all’energia idrica, riducesse il prezzo di costo delle merci prodotte con la macchina a vapore da 24.000 a 21.600, il plusprofitto  scomparirebbe e di conseguenza la rendita e con essa il prezzo della cascata.

Dopo avere in tal modo stabilito il concetto generale della rendita differenziale, passiamo a considerare la rendita stessa nell’agricoltura propriamente detta. Quanto si dirà in questo campo avrà valore nell’insieme anche per le miniere.

 

AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del III libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1 – non sono state riportate le note che Marx ed Engels richiamano nel testo (fatte salve alcune eccezioni);

2 – sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda gli esempi numerici in cui, per facilitare la lettura;

a – sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

b – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle;

c – in alcuni esempi numerici le cifre decimali sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata con un apice (‘).

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio.

In altre parti si sono invece mantenute le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione o per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro, laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Maria Luisa Boggeri;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm