IL CAPITALE

LIBRO II

SEZIONE I

LE METAMORFOSI DEL CAPITALE E IL LORO CICLO

CAPITOLO 6

I COSTI DI CIRCOLAZIONE

I - COSTI PURI DI CIRCOLAZIONE.

1. Tempo di compera e di vendita.

I mutamenti di forma del capitale da merce in denaro e da denaro in merce sono in pari tempo operazioni commerciali del capitalista, atti di compera e di vendita. Il tempo in cui si compiono questi mutamenti di forma del capitale è soggettivamente, dal punto di vista del capitalista, tempo di vendita e tempo di compera, il tempo durante il quale egli opera sul mercato come venditore e come compratore. Come il tempo di circolazione del capitale costituisce una sezione necessaria del suo tempo di riproduzione, così il tempo durante il quale il capitalista compra e vende, si aggira per il mercato, costituisce una sezione necessaria del suo tempo di funzione in quanto capitalista, cioè in quanto capitale personificato. Esso costituisce una parte del suo tempo di affari.

[Poiché si è presupposto che le merci fossero comprate e vendute ai loro valori, in questi processi si tratta soltanto della conversione dello stesso valore da una forma nell’altra, da forma di merce in forma di denaro, e da forma di denaro in forma di merce, di un mutamento di stato. Se le merci vengono, vendute ai loro valori, la grandezza di valore resta invariata tanto in mano del compratore che del venditore; solo la sua forma di esistenza si è mutata. Se le merci non sono vendute ai loro valori, la somma dei valori scambiati rimane tuttavia invariata; ciò cha da un lato è plus, dall’altro è minus.

Le metamorfosi M — D e D — M sono però operazioni commerciali che avvengono tra compratori e venditori, essi hanno bisogno di tempo per accordarsi sull’affare, tanto più, in quanto qui avviene una lotta in cui ogni parte cerca di aver il sopravvento sull’altra, e gli uomini di affari stanno gli uni contro gli altri, così come «when Greek meets Greck then comes the tug of war» (quando un greco incontra un greco, si accende la più aspra contesa).

Il mutamento di stato costa tempo e forza-lavoro, ma non per creare valore, bensì per produrre la conversione del valore da una forma nell’altra, e a questo riguardo il reciproco tentativo di appropriarsi in questa occasione, una quantità eccedente di valore, non cambia nulla. Questo lavoro, ingrandito dalle maligne intenzioni di ambo le parti, non crea alcun valore, come non aumenta la grandezza di valore dell’oggetto conteso il lavoro che si svolge in un processo giudiziario. Avviene, per questo lavoro — che è un momento necessario del processo capitalistico di produzione nella sua totalità, in cui esso comprende anche la circolazione, o è da essa compreso — all’incirca ciò che avviene per il lavoro di combustione di una sostanza che viene impiegata per la produzione di calore. Questo lavoro di combustione non produce calore, sebbene sia un momento necessario del processo di combustione. Ad esempio, per consumare carbone come combustibile devo combinarlo con ossigeno, e a tal fine convertirlo dallo stato solido alla stato gassoso (perchè nel gas di acido carbonico, risultato della combustione, il carbone è in stato di gas), dunque operare un mutamento fisico di forma d’esistenza o di stato. La dissociazione delle molecole del carbonio, che sono legate in un tutto solido, e la scissione della stessa molecola del carbonio nei suoi singoli atomi, deve precedere la nuova combinazione, e ciò costa un certo dispendio di energia che non si trasforma dunque in calore, ma ad esso viene sottratta. Se, dunque, i possessori della merce non sono capitalisti ma produttori diretti autonomi, il tempo impiegato per la compera e la vendita è una sottrazione dal loro tempo di lavoro, e perciò essi cercarono sempre (nell’antichità come nel Medioevo) di rimandare tali operazioni ai giorni di festa.

Le dimensioni che assume la conversione delle merci nelle mani dei capitalisti, non possono naturalmente trasformare in creatore di valore questo lavoro che non crea alcun valore ma unicamente media un mutamenti) di forma del valore. Così pure il miracolo di questa transustanziazione non può avvenire per una trasposizione, cioè per il fatto che i capitalisti industriali, anziché compiere essi stessi quel «lavoro di combustione» , ne fanno l’affare esclusivo di terze persone da essi pagate. Naturalmente, queste terze persone non metteranno a loro disposizione la propria forza-lavoro per amore dei loro beaux yeux. Per l’esattore di rendite di un proprietario fondiario o per l’inserviente di una banca è altrettanto indifferente che il proprio lavoro non aumenti di un soldo la grandezza di valore sia delta rendita, sia delle monete d’oro portate a sacchi ad un’altra banca][10].

Per il capitalista che fa lavorare altri per sè, la compera e la vendita diventano una funzione principale. Poichè egli si appropria in una misura sociale maggiore il prodotto di molti, deve anche venderlo nella stessa misura e più tardi trasformarlo nuovamente da denaro in elementi di produzione. Comunque, il tempo di compera e di vendita non crea alcun valore. Subentra un’illusione in virtù della funzione del capitale commerciale. Ma, qui senza entrare più oltre nel merito, già dal principio è chiaro che: se mediante la divisione del lavoro una funzione che in sè e per sè è improduttiva ma è un momento necessario della riproduzione viene trasformata da un’occupazione accessoria di molti nell’occupazione esclusiva di pochi, nel loro affare particolare, non per questo si trasforma il carattere della funzione stessa. Un commerciante (qui considerato come puro e semplice agente del mutamento di forma delle merci, come semplice compratore e venditore) per mezzo delle sue operazioni può accorciare per molti produttori il tempo di compera e di vendita. Egli è da considerare quindi come una macchina che diminuisce l’inutile dispendio di forza o serve a liberare tempo di produzione[11].

Per semplificare la cosa (poichè solo più tardi prenderemo in considerazione il commerciante in quanto capitalista e in quanto capitale commerciale), supponiamo che questo agente per la compera e per la vendita sia un uomo che vende il proprio lavoro. Egli spende la sua forza-lavoro e il suo tempo di lavoro in queste operazioni M — D e D —M. E perciò egli vive di questo come un altro, ad esempio, del filare o dell’impastar pillole. Egli assolve una funzione necessaria, poiché il processo di riproduzione stesso comprende funzioni improduttivo. Egli lavora quanto un altro, ma il contenuto del suo lavoro non crea né valore né prodotto. Egli stesso appartiene ai faux frais (costi improduttivi, ma necessari) della produzione. La sua utilità non consiste nel trasformare in produttiva una funzione improduttiva, ovvero in produttivo un lavoro improduttivo. Sarebbe un miracolo, se una simile trasformazione potesse venir effettuata mediante un siffatto trasferimento della funzione. La sua utilità consiste invece in questo, che in questa funzione improduttiva viene impegnata una parte minore della forza-lavoro e del tempo di lavoro della società. Di più. Supponiamo che egli sia un semplice operaio salariato, sia pure pagato meglio. Qualunque sia la sua remunerazione, in quanto operaio salariato egli lavora una parte del suo tempo gratuitamente. Egli riceve giornalmente, supponiamo, il prodotto di valore di otto ore di lavoro e opera durante dieci ore. Le due ore di pluslavoro che egli compie non producono valore così come non lo producono le sue otto ore di lavoro necessario, sebbene mediante quest’ultimo venga trasferita su di lui una parte del prodotto sociale. In primo luogo: considerata socialmente, una forza-lavoro viene comunque utilizzata durante dieci ore in questa pura e semplice funzione della circolazione. Essa non è impiegabile per altro, non per lavoro produttivo. In secondo luogo poi la società non paga queste due ore di pluslavoro, sebbene vengano spese dall’individuo che le compie. In tal modo la società. non si appropria prodotto eccedente né valore. Ma i costi di circolazione che egli rappresenta diminuiscono di un quinto, da dieci ore a otto. La società non paga alcun equivalente per un quinto di questo tempo attivo di circolazione di cui egli è agente. Ma se è il capitalista a impiegare questo agente, per il non-pagamento delle due ore diminuiscono i costi di circolazione del suo capitale, che costituiscono una sottrazione dalle sue entrate. Per lui questo è un guadagno positivo, perchè il limite negativo della valorizzazione del suo capitale si restringe. Finché piccoli produttori autonomi di merci spendono una parte del proprio tempo nella compera e nella vendita, ciò si presenta soltanto come tempo speso negli intervalli della loro funzione produttiva, o come riduzione del loro tempo di produzione.

In qualsiasi circostanza, il tempo impiegato a tal fine è un costo di circolazione che non apporta nulla ai valori scambiati. È il costo richiesto per tradurli da forma di merce in forma di denaro. In quanto il produttore capitalistico di merci appare come agente della circolazione, si distingue dal diretto produttore di merci solo perchè egli vende e compra su scala più vasta e perciò opera da agente della circolazione in un’estensione più grande. Quando poi l’estensione del suo affare gli impone o lo mette in grado di comprare (assoldare) come operai salariati propri agenti della circolazione, sostanzialmente il fenomeno non è mutato. Forza-lavoro e tempo di lavoro devono essere spesi in certo grado nel processo di circolazione (in quanto esso è puro e semplice mutamento di forma). Ma ciò appare ora come esborso supplementare di capitale; una parte del capitale variabile deve essere sborsata nell’acquisto di queste forze-lavoro che operano solo nella circolazione. Questo anticipo di capitale non crea prodotto né valore. Esso diminuisce pro tanto l’estensione in cui il capitale anticipato opera produttivamente. È lo stesso che se una parte del prodotto venisse trasformata in una macchina che compra e vende la parte rimanente del prodotto. Questa macchina cagiona una sottrazione dal prodotto. Essa non coopera nel processo di produzione, sebbene possa diminuire la forza-lavoro spesa nella circolazione ecc, ecc. Essa costituisce semplicemente una parte dei costi di circolazione.

2. Contabilità.

Oltre al vero e proprio comperare e vendere, tempo di lavoro viene speso nella contabilità, nella quale entra inoltre lavoro oggettivato, penna, inchiostro, carta, scrittoio, spese d’ufficio. Dunque, in questa funzione da una parte viene spesa forza-lavoro, dall’altra, mezzi di lavoro. Qui  accade proprio come per il tempo di compera e di vendita.

Come unità entro i suoi cicli, come valore in processo, sia entro la sfera della produzione sia entro le due fasi della sfera della circolazione, il capitale esiste solo idealmente nella figura della moneta di conto, dapprima nella testa del produttore di merci, rispettivamente produttore capitalistico di merci. Questo movimento viene fissato e controllato per mezzo della contabilità, che comprende anche la determinazione del prezzo o il computo del prezzo della merce (calcolo del prezzo). Il movimento della produzione e specialmente della valorizzazione — in cui le merci figurano solo come depositarie di valore, come nomi di cose, la cui ideale esistenza di valore è fissata in moneta di conto — ottiene così nella rappresentazione una immagine simbolica. Fino a che un singolo produttore di merci o fa la contabilità solo nella sua testa (come, ad esempio, il contadino; soltanto l’agricoltura capitalistica produce il fittavolo che tiene la contabilità), ovvero solo in modo accessorio, fuori del suo tempo di produzione, tiene una contabilità per le sue spese, entrate, termini di pagamento ecc., fino allora è evidente che questa sua funzione e i mezzi di lavoro che egli forse consuma in ciò, come carta e così via, rappresentano un consumo addizionale di tempo di lavoro e di mezzi di lavoro, che sono necessari, ma costituiscono una sottrazione sia dal tempo che egli può consumare produttivamente sia dai mezzi di lavoro che sono in funzione nel vero e proprio processo di produzione e entrano nella formazione del prodotto e del valore[12]. La natura della funzione stessa non varia né per l’estensione che essa ottiene dall’essere concentrata nelle mani del produttore capitalistico di merci, e dall’apparire anziché come funzione di molti piccoli produttori di merci, come funzione di un solo capitalista, come funzione entro un processo di produzione su scala più vasta; né dal suo svellersi dalle funzioni produttive, delle quali essa costituiva un accessorio, e dal suo autonomizzarsi come funzione di agenti particolari, esclusivamente incaricati di essa.

La divisione del lavoro, l’autonomizzarsi di una funzione, non la rende formatrice di prodotto e di valore se essa non lo è in sè, cioè già prima del suo autonomizzarsi. Se un capitalista investe ex novo il suo capitale, deve investirne una parte nell’acquisto di un contabile ecc. e in mezzi di contabilità. Se il suo capitale è già in funzione, impegnato nel suo costante processo di riproduzione, egli deve costantemente ritrasformare in contabile, commesso e simili una parte del prodotto-merce, mediante trasformazione in denaro. Questa parte del capitale è sottratta al processo di produzione e appartiene ai costi di circolazione, sottrazioni dal ricavato totale. (Inclusa la stessa forza-lavoro che viene impiegata esclusivamente per questa funzione).

Vi è tuttavia una certa differenza tra i costi che scaturiscono dalla contabilità, rispettivamente spesa improduttiva di tempo di lavoro, da una parte, e quelli del puro e semplice tempo di compera e di vendita, dall’altra. Questi ultimi scaturiscono soltanto dalla determinata forma sociale del processo di produzione, dal fatto che esso è processo di produzione di merce. La contabilità, come controllo e sintesi ideale del processo, diviene tanto più necessaria quanto più il processo si svolge su scala sociale e perde il carattere puramente individuale; dunque più necessaria nella produzione capitalistica che non in quella sminuzzata dell’impresa artigiana e contadina, più necessaria nella produzione collettiva che non in quella capitalistica. Tuttavia i costi della contabilità si riducono con la concentrazione della produzione, e quanto più essa si trasforma in contabilità sociale.

Si tratta qui soltanto del carattere generale dei costi di circolazione, che scaturiscono dalla semplice metamorfosi delle forme. superfluo entrare qui in tutte le loro forme particolari. Come, però, funzioni appartenenti al puro mutamento di forma del valore, quindi che scaturiscono dalla determinata forma sociale del processo di produzione, le quali per il produttore individuale di merci sono soltanto elementi effimeri e appena percettibili, scorrano accanto alle sue funzioni produttive o si intreccino con esse, come possano balzare agli occhi, in quanto massicci costi di circolazione, lo si vede nella semplice riscossione e spesa di denaro, non appena queste, in quanto funzioni esclusive di banche ecc., o del cassiere nelle imprese individuali, vengono autonomizzate e concentrate su vasta scala. Ciò che è da tener fermo, è che questi costi di circolazione non mutano il loro carattere per la mutata forma.

3. Denaro.

Un prodotto, venga o no costruito come merce, è sempre figura materiale di ricchezza, valore d’uso, destinato a entrare nel consumo individuale o produttivo. Come merce il suo valore esiste idealmente nel prezzo, che non muta nulla alla sua reale figura d’uso. Ma che determinate merci, come oro e argento, abbiano funzione di denaro e come tali dimorino esclusivamente nel processo di circolazione (anche come tesoro, riserva ecc., essi restano, sebbene in modo latente, nella sfera della circolazione), è un puro prodotto della determinata forma sociale del processo di produzione, che è processo di produzione di merci. Poichè sulla base della produzione capitalistica la merce diviene la figura generale del prodotto, e la massa più grande del prodotto viene prodotta come merce e deve perciò assumere la forma di denaro, poichè dunque la massa di merci, la parte della ricchezza sociale che opera da merce, cresce incessantemente, aumenta qui anche il volume dell’oro e argento che opera come mezzo di circolazione, mezzo di pagamento, riserva ecc. Queste merci che operano come denaro non entrano né nel consumo individuale né in quello produttivo. È lavoro sociale, fissato in una forma in cui serve soltanto da macchina di circolazione. Oltre al fatto che una parte della ricchezza sociale è relegata in questa forma improduttiva, il logorio del denaro esige continua sostituzione di esso o conversione di più lavoro sociale — in forma di prodotto — in più oro e argento. Questi costi di sostituzione sono ragguardevoli in nazioni sviluppate capitalisticamente, perchè in generale la parte della ricchezza relegata in forma di denaro è abbondante. Oro e argento, in quanto merce-denaro, costituiscono per la società costi di circolazione che scaturiscono solo dalla forma sociale della produzione. Sono faux frais della produzione di merci in generale, che crescono con lo sviluppo della produzione di merci e particolarmente della produzione capitalistica. È una parte della ricchezza sociale che deve essere sacrificata al processo di circolazione[13]

II - COSTI DI CONSERVAZIONE.

Costi di circolazione che provengono dal semplice cambiamento di forma del valore, dalla circolazione idealmente considerata, non entrano nel valore delle merci. Le parti di capitale in essi spese costituiscono semplici sottrazioni dal capitale speso produttivamente, in quanto viene preso in considerazione il capitalista [e costituiscono una spesa improduttiva di forza-lavoro in quanto si prende in considerazione l’intera società]. Di altra natura sono i costi di circolazione che ora considereremo. Essi possano scaturire da processi di produzione che vengono continuati solo nella circolazione, il cui carattere produttivo, dunque, è soltanto nascosto dalla forma di circolazione. Essi, considerati socialmente, possono d’altra parte essere semplici costi, spesa improduttiva, sia di lavoro vivente sia di lavoro oggettivato, ma tuttavia, appunto per ciò, operano come creatori di valore per il capitalista individuale, costituiscono un’aggiunta al prezzo di vendita della sua merce. Ciò consegue già dal fatto che, in differenti sfere di produzione e qualche volta per differenti capitali individuali entro la stessa sfera di produzione, questi costi sono differenti. Per mezzo della loro aggiunta al prezzo della merce, essi vengono suddivisi secondo la quota in cui ricadono sui capitalisti individuali. Ma ogni lavoro che aggiunge valore può aggiungere anche plusvalore e sulla base capitalistica aggiungerà sempre plusvalore, poichè il valore che esso forma dipende dalla sua propria grandezza, il plus valore che esso forma dipende dalla misura in cui il capitalista lo paga. Costi dunque che rincarano la merce, senza aggiungerle valore d’uso, che per la società appartengono dunque ai faux frais della produzione, per il capitalista individuale possono costituire fonte di arricchimento. D’altra parte, in quanto l’aggiunta che essi apportano al prezzo della merce non fa che suddividere in modo uguale questi costi di circolazione, non cessa con questa il loro carattere improduttivo. Ad esempio, compagnie di assicurazione suddividono le perdite di capitalisti individuali tra la classe capitalistica. Ciò tuttavia non impedisce che, considerando il capitale sociale complessivo, le perdite così livellate siano sempre perdite.

1. Formazione di scorte in generale.

Durante la sua esistenza come capitale-merce o la sua permanenza sul mercato, cioè finché si trova nell’intervallo tra il processo di produzione dal quale proviene e il processo di consumo nel quale entra, il prodotto costituisce scorta di merci. Come merce sul mercato, e perciò in figura di scorta, il capitale-merce compare doppiamente in ciascun ciclo, una volta come prodotto-merce dello stesso capitale in processo, del quale si considera il ciclo; l’altra volta invece come prodotto-merce di un altro capitale che deve trovarsi sul mercato per essere comprato e trasformato in capitale produttivo. Certamente e possibile che quest’ultimo capitale-merce sia prodotto solo su ordinazione Allora si verifica un’interruzione fino a che esso non sia prodotto. Tuttavia il flusso del processo di produzione e di riproduzione esige che una massa di merci (mezzi di produzione) si trovi costantemente sul mercato, dunque costituisca scorta. Il capitale produttivo comprende altresì l’acquisto della forza-lavoro, e la forma di denaro è qui solo la forma di valore dei mezzi di sussistenza che il lavoratore deve già trovare in gran parte sul mercato. Nel corsa di questo paragrafo ci addentreremo maggiormente nella questione. Qui è già acquisito questo punto. Se ci poniamo dal punto di vista del valore-capitale in processo, che si è trasformato in prodotto - merce e deve ora essere venduto o trasformato in denaro, che quindi ora sul mercato opera come capitale - merce, le condizioni in cui questo forma la scorta sono rappresentate da una inopportuna, involontaria permanenza sul mercato. Quanto più rapidamente si vende, tanto più fluido è il processo di riproduzione. L’arresto nel mutamento di forma M’ — D’ impedisce il reale cambiamento di materia che deve avvenire nel ciclo del capitale, come sua ulteriore funzione in quanto capitale produttivo. D’altra parte, per D — M la costante presenza della merce sul mercato, la scorta di merce, appare condizione del flusso del processo di riproduzione, come dell’investimento di capitale nuovo o addizionale.

Il permanere del capitale-merce sul mercato come scorta di merce esige fabbricati, magazzini, serbatoi, depositi di merci, dunque esborso di capitale costante; e altresì pagamento di forze-lavoro per l’immagazzinamento delle merci nei loro depositi. Inoltre le merci si deteriorano e sono esposte a dannosi influssi naturali. Per proteggerle da ciò, si deve sborsare capitale addizionale, parte in mezzi di lavoro, in forma oggettiva, parte in forza-lavoro[14]

L’esistenza del capitale nella sua forma di capitale-merce e perciò di scorta di merce cagiona dunque costi i quali, poichè non appartengono alla sfera della produzione [ma alla sfera della circolazione], si annoverano tra i costi di circolazione. Questi costi di circolazione si distinguono da quelli registrati sub I perchè in una certa estensione entrano nel valore delle merci, dunque rincarano la merce. In tutti i casi, capitale e forza-lavoro che servono alla conservazione e alla custodia della scorta di merce sono sottratti al diretto processo di produzione. D’altra parte, i capitali qui impiegati, calcolando la forza-lavoro come parte costitutiva del capitale, devono essere sostituiti dal prodotto sociale. Il loro esborso opera perciò come una diminuzione della forza produttiva del lavoro, cosicché è richiesta una maggiore quantità di capitale e lavoro per raggiungere un determinato effetto utile. Sono costi improduttivi.

Ora, in quanto i costi di circolazione condizionati dalla formazione della scorta di merce scaturiscono soltanto dalla durata del periodo di trasformazione di valori esistenti da forma di merce in forma di denaro, dunque solo dalla determinata forma sociale del processo di produzione (solo dal fatto che il prodotto viene prodotto come merce e perciò deve compiere anche la trasformazione in denaro), essi partecipano interamente del carattere dei costi di circolazione annoverati sub I. D’altra parte, il valore delle merci viene qui conservato, rispettivamente aumentato, solo perché il valore d’uso, il prodotto stesso, viene trasportato in determinate condizioni oggettive che costano un esborso di capitale; e viene assoggettato a operazioni che sui valori d’uso fanno agire lavoro addizionale. Il computo dei valori-merce, la contabilità di questo processo, le operazioni di compera e di vendita, viceversa, non agiscono sul valore d’uso in cui esiste il valore-merce. Essi hanno a che fare solamente con la sua forma. Perciò, sebbene in questa ipotesi questi costi della formazione di scorta (che qui è involontaria) scaturiscano puramente da un arresto del mutamento di forma e dalla necessità di esso, tuttavia essi si distinguono dai costi sub I perché il loro stesso oggetto non è il mutamento di forma del valore ma la conservazione del valore che esiste nella merce in quanto prodotto, valore d’uso, e perciò può essere conservato solo con la conservazione del prodotto, del valore d’uso stesso. Il valore d’uso qui non viene elevato o aumentato, al contrario decresce. Ma il suo decrescere viene limitato ed esso viene conservato. Anche il valore anticipato, esistente nella merce, non viene qui elevato. Ma viene aggiunto nuovo lavoro, oggettivato e vivente.

Occorre ora approfondire l’analisi per indagare in qual misura questi costi improduttivi provengano dal carattere peculiare della produzione di merci in genere e della produzione di merci nella sua forma generale, assoluta, cioè, della produzione capitalistica di merci; in qual misura, d’altra parte, essi siano comuni a ogni produzione sociale e qui soltanto entro la produzione capitalistica assumano una figura particolare, una particolare forma fenomenica.

A. Smith ha sostenuto la fantastica opinione che la formazione di scorte sia un fenomeno peculiare della produzione capitalistica[15]. Economisti più recenti, ad esempio Lalor, ritengono al contrario che essa decresca con lo sviluppo della produzione capitalistica. Sismondi considera ciò addirittura un lato debole di quest’ultima.

In realtà, la scorta esiste in tre forme: nella forma del capitale produttivo, nella forma del fondo individuale di consumo e nella forma della scorta di merce o capitale-merce. La scorta in una forma decresce relativamente se cresce nell’altra forma, sebbene, rispetto alla sua grandezza assoluta, possa crescere contemporaneamente in tutte e tre le forme.

È chiaro fin dal principio che dove la produzione è indirizzata direttamente al soddisfacimento del bisogno personale, e soltanto in minor parte si produce per il baratto o la vendita, dove quindi il prodotto sociale per nulla o in minor parte assume la forma della merce, la scorta nella forma della merce, o scorta di merce costituisce solo una parte piccola e effimera della ricchezza. Ma il fondo di consumo è qui relativamente grande, specialmente quello dei veri e propri mezzi di sussistenza. Non c’è che da osservare l’economia contadina di vecchio tipo. Una parte preponderante del prodotto si trasforma qui immediatamente, senza formare scorta di merce — appunto perchè rimane nelle mani del suo possessore — in mezzi di produzione o mezzi di sussistenza di scorta. Essa non assume la forma della scorta di merce e appunto per questo, in società che sono fondate su tale modo di produzione, secondo A. Smith non esiste scorta. A. Smith scambia la forma della scorta con la scorta stessa e crede che la società fino all’epoca sua sia vissuta alla giornata o si sia affidata al caso del giorno successivo[16] . E’ un equivoco infantile.

La scorta nella forma del capitale produttivo esiste nella forma di mezzi di produzione, che si trovano già nel processo di produzione o almeno nelle mani del produttore, quindi in modo latente già nel processo di produzione. Si è visto in precedenza che, con lo sviluppo della produttività del lavoro, quindi anche con lo sviluppo del modo capitalistico di produzione — che sviluppa la forza produttiva sociale del lavoro più di tutti i precedenti modi di produzione — la massa dei mezzi di produzione, una volta per tutte incorporati nel processo nella forma di mezzi di lavoro e sempre ripetutamente presenti in esso per periodi più o meno lunghi (fabbricati, macchine ecc.), cresce costantemente, e che la loro crescita è tanto un presupposto quanto un effetto dello sviluppo della forza produttiva sociale del lavoro. La crescita, non solo assoluta ma relativa, della ricchezza in questa forma (cfr. Libro I, cap. XXIII, 2) caratterizza soprattutto il modo capitalistico di produzione. Le forme materiali di esistenza del capitale costante, i mezzi di produzione, non constano però soltanto dì siffatti mezzi di lavoro, ma anche di materiale di lavoro nei più differenti gradi della lavorazione, e di materie ausiliarie. Con la scala della produzione e l’aumento della forza produttiva del lavoro mediante cooperazione, divisione, macchinario ecc., cresce la massa delle materie prime, materie ausiliarie ecc. che entrano nel quotidiano processo di riproduzione. Questi elementi devono essere pronti nel luogo di produzione. Il volume di questa scorta esistente nella forma di capitale produttivo cresce dunque in assoluto. Affinché il processo scorra — prescindendo del tutto dal fatto che questa scorta possa essere rinnovata quotidianamente o soltanto a termini determinati — deve essere sempre pronta nel luogo di produzione più accumulazione di materie prime ecc. di quanto viene consumato ad esempio quotidianamente o settimanalmente. La continuità del processo esige che l’esistenza delle sue condizioni non dipenda né da eventuali interruzioni negli acquisti quotidiani, né dal fatto che il prodotto-merce sia venduto quotidianamente o settimanalmente e perciò solo in modo irregolare sia ritrasformabile nei suoi elementi di produzione. Ma, palesemente, il capitale produttivo può, in misura assai differente, essere latente o formare scorta. Ad esempio, comporta una grande differenza che il filandiere debba tenere pronto cotone o carbone per tre mesi o per uno solo. Come si vede, questa scorta può relativamente decrescere, sebbene in assoluto cresca.

Ciò dipende da diverse condizioni che, essenzialmente, si riducono tutte alla maggiore velocità, regolarità e sicurezza con cui la massa necessaria di materie prime può essere sempre fatta affluire, in guisa che non sorga mai una interruzione. Quanto meno sono assolte queste condizioni, quanto minori dunque la sicurezza, regolarità e velocità dell’afflusso, tanto maggiore deve essere la parte latente del capitale produttivo, cioè la scorta di materie prime ecc. in mano del produttore, che attende ancora la sua lavorazione. Tutto ciò sta in rapporto inverso al grado di sviluppo della produzione capitalistica e perciò della forza produttiva del lavoro sociale. Dunque anche la scorta in questa forma.

Ma ciò che qui compare come decrescita della scorta (ad esempio presso Lalor) in parte non è che una decrescita (nel testo tedesco Abnahme (decrescita); potrebbe però trattarsi di una svista o di un errore di stampa per Zunahme (accrescimento), poichè in questo caso il passo risulterebbe più chiaro secondo il contesto.) della scorta nella forma di capitale-merce o della vera e propria scorta di merce; dunque, un semplice cambiamento di forma della medesima scorta. Se, ad esempio, la massa del carbone che quotidianamente viene prodotta nel paese stesso, quindi il volume e l’energia della produzione di carbone, è grande, il filandiere non ha bisogno di un grande deposito di carbone per assicurare la continuità della sua produzione. Il sicuro e costante rinnovo dell’afflusso di carbone lo rende superfluo. Secondo: la velocità con cui il prodotto di un processo può trapassare in un altro processo come mezzo di produzione, dipende dallo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Il basso costo del trasporto ha in ciò una parte importante. Il trasporto costantemente rinnovato, ad esempio, di carbone dalla miniera alla filanda sarebbe più caro dell’approvvigionamento con una più grande massa di carbone per più lungo tempo, a trasporto relativamente più a buon mercato. Ambedue queste circostanze finora considerate provengono dal processo di produzione stesso. In terzo luogo, agisce lo sviluppo de! sistema creditizio. Quanto meno il filandiere per rinnovare le sue scorte di cotone, carbone ecc. dipende dall’immediata vendita del suo filo — e quanto più è sviluppato il sistema creditizio, tanto minore è questa dipendenza immediata — tanto minore può essere la grandezza relativa di queste scorte per assicurare una produzione di filo su scala data, una produzione continuata e indipendente dalle vicende della vendita del filo. In quarto luogo, molte materie prime, semilavorati ecc. hanno però bisogno di un più lungo periodo di tempo per la loro produzione e ciò vale segnatamente per tutte le materie prime che fornisce l’agricoltura. Se non deve verificarsi una interruzione del processo di produzione, deve dunque esser presente una determinata scorta di tali materie per l’intero periodo in cui il prodotto nuovo non può prendere il posto di quello vecchio. Se questa scorta nelle mani del capitalista industriale decresce, ciò dimostra soltanto che essa cresce nella forma di scorta di merce nelle mani del commerciante. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto consente ad esempio di trasportare rapidamente da Liverpool a Manchester il cotone giacente nel porto d’importazione, cosicché il fabbricante, secondo il bisogno, può rinnovare la sua scorta di cotone in porzioni relativamente piccole. Ma questo stesso cotone poi, in misura di tanto più grande, giace come scorta di merce in mano dei commercianti di Liverpool. É dunque un puro e semplice cambiamento di forma della scorta, ciò che è sfuggito a Lalor e ad altri. E, considerato il capitale sociale, la stessa massa di prodotto si trova qui tuttavia nella forma della scorta. Per un singolo paese l’estensione in cui, ad esempio, deve essere pronta la massa necessaria per l’anno decresce con lo sviluppo dei mezzi di trasporto. Se molte navi a vapore e a vela vanno tra l’America e l’Inghilterra, aumentano le occasioni di rinnovo della scorta di cotone per l’Inghilterra e decresce dunque la massa della scorta di cotone che in media deve giacere depositata in Inghilterra. Allo stesso modo opera lo sviluppo del mercato mondiale e la moltiplicazione delle fonti di rifornimento dello stesso articolo che ne deriva. L’articolo viene portato un po’ per volta da differenti paesi e in differenti termini di tempo.

2. Scorta di merce vera e propria.

Si è già visto: sul fondamento della produzione capitalistica la merce diviene la forma generale del prodotto, e tanto più quanto più quella si sviluppa in volume e profondità. Anche a pari volume della produzione, esiste dunque come merce una parte incomparabilmente più grande del prodotto, a paragone sia di precedenti modi di produzione sia del modo capitalistico di produzione in grado meno sviluppato. Ma ogni merce — quindi anche ogni capitale-merce che è soltanto merce, ma merce come forma d’essere del valore-capitale — in quanto dalla sua sfera di produzione non entra immediatamente nel consumo individuale o produttivo, e nell’intervallo si trova perciò sul mercato, costituisce un elemento della scorta di merce. In sè e per sè — a volume invariato della produzione — la scorta di merce (cioè questo autonomizzarsi e fissarsi della forma di merce del prodotto) cresce perciò con la produzione capitalistica. Si è già visto che questo è solo un cambiamento di forma della scorta, cioè che da un lato la scorta cresce in forma di merce perché dal l’altro lato decresce nella forma di diretta scorta di produzione o di consumo. È soltanto una mutata forma sociale della scorta. Se contemporaneamente aumenta non solo la grandezza relativa della scorta di merce in rapporto al prodotto sociale complessivo, ma anche la sua grandezza assoluta, ciò avviene perché con la produzione capitalistica cresce la massa del prodotto complessivo.

Con lo sviluppo - della produzione capitalistica la scala della produzione viene determinata in grado sempre minore dalla immediata domanda del prodotto e in grado sempre maggiore dal volume del capitale di cui dispone il capitalista individuale, dall’impulso di valorizzazione del suo capitale e dalla necessità della continuità e dell’ampliamento del suo processo di produzione. Con ciò cresce necessariamente in ogni particolare ramo di produzione la massa del prodotto che si trova sul mercato come merce, o cerca uno smercio. Cresce la massa di capitale fissata più o meno a lungo nella forma di capitale-merce. Cresce perciò la scorta di merce.

Infine, la parte maggiore della società si trasforma in operai salariati, gente che deve vivere alla giornata, ricevere settimanalmente e spendere quotidianamente il suo salario, che deve dunque trovare presenti i propri mezzi di sussistenza come scorta. Per quanto i singoli elementi di questa scorta possano fluire, una parte di essi deve costantemente arrestarsi affinché la scorta possa mantenere sempre il suo flusso.

Tutti questi momenti provengono dalla forma della produzione e dal mutamento di forma in essa contenuto, che il prodotto deve percorrere nel processo di circolazione.

Qualunque sia la forma sociale della scorta di prodotti, la sua conservazione richiede spese: fabbricati, recipienti, ecc., che costituiscono i serbatoi del prodotto; e inoltre mezzi di produzione e lavoro, più o meno secondo la natura del prodotto, i quali devono essere spesi per difesa contro influssi perturbatori. Quanto più le scorte sono socialmente concentrate, tanto minori sono relativamente queste spese. Questi esborsi costituiscono sempre una parte di lavoro sociale, in forma sia oggettivata sia vivente — cioè, nella forma capitalistica, esborsi di capitale — che non entrano nella formazione stessa del prodotto, sono quindi sottrazioni dal prodotto. Sono spese improduttive necessarie della ricchezza sociale. Sono i costi di conservazione del prodotto sociale, sia che la sua esistenza, in quanto elemento della scorta di merce, scaturisca soltanto dalla forma sociale della produzione, cioè dalla forma di merce, e dal suo necessario mutamento di forma, sia che si consideri la scorta di merce solo come una forma speciale della scorta di prodotti, che è comune a tutte le società, anche se non nella forma di scorta di merce, in questa forma della scorta di prodotti appartenente al processo di circolazione.

Ci si domanda ora fino a che punto questi costi entrino nel valore delle merci.

Se il capitalista ha trasformato il suo capitale, anticipato in mezzi di produzione e forza-lavoro, in prodotto, in una massa di merci pronta, destinata alla vendita, e questa rimane invendibile in magazzino, durante questo tempo non si arresta soltanto il processo di valorizzazione del suo capitale. Le spese che la conservazione di questa riserva esige, in fabbricati, lavoro addizionale ecc., costituiscono una perdita positiva. Il compratore che finalmente si presenta lo deriderebbe se egli dicesse: la mia merce è rimasta invendibile per sei mesi, e la sua conservazione durante questi sei mesi non solo mi ha fatto giacere ozioso tanto e tanto capitale, ma mi ha inoltre cagionato X spese improduttive. Tant pis pour vous, dice il compratore. Qui accanto a voi c’è un altro venditore la cui merce è stata approntata solo l’altro ieri. La vostra merce è un fondo di magazzino e probabilmente più o meno intaccata dal morso del tempo. Voi dovete dunque vendere più a buon mercato del vostro rivale. Che il produttore di merci sia l’effettivo produttore della propria merce o il suo produttore capitalistico, cioè, in realtà, soltanto un rappresentante dei suoi effettivi produttori, non cambia nulla alle condizioni di esistenza della merce. Egli deve trasformare la sua cosa in denaro. Le spese improduttive, che il fissarsi della cosa nella forma di merce gli procura, rientrano nelle avventure individuali del produttore, che non interessano affatto il compratore della merce. Questi non gli paga il tempo di circolazione della sua merce. Anche se il capitalista tiene intenzionalmente la sua merce lontana dal mercato, in epoche di reale o presunta rivoluzione di valore, dipende dall’avverarsi di questa rivoluzione di valore, dalla esattezza o non esattezza della sua speculazione, se egli realizza le spese improduttive addizionali Ma la rivoluzione di valore non è una conseguenza delle sue spese improduttive. Dunque, in quanto la formazione di scorte è un arresto della circolazione, i costi così cagionati non aggiungono valore alla merce. D’altra parte, non può esistere una scorta senza una permanenza nella sfera della circolazione, senza il permanere più o meno lungo del capitale nella sua forma di merce; dunque nessuna scorta senza arresto di circolazione, proprio come il denaro non può circolare senza la formazione di scorta di denaro. Dunque, senza la scorta di merce nessuna circolazione di merce. Se questa necessità non si contrappone al capitalista in
M’ — D’, gli si contrappone in D — M; non per il suo capitale-merce ma per il capitale-merce di altri capitalisti, i quali producono mezzi di produzione per lui e mezzi di sussistenza per i suoi operai.

Sia la formazione di scorte volontaria o involontaria, cioè, sia che il produttore di merci trattenga intenzionalmente una scorta, ovvero che le sue merci formino scorta in conseguenza della resistenza che le circostanze del processo di circolazione stesso oppongono alla loro vendita, sembra che ciò non possa cambiare nulla all’essenza della cosa. Ma per la soluzione di questo problema è utile sapere ciò che distingue la formazione volontaria di scorte da quella involontaria. La formazione involontaria della scorta scaturisce da o si identifica con un arresto di circolazione che avviene all’insaputa del produttore di merci e va contro la sua volontà. Che cosa caratterizza la formazione volontaria di scorta? Il venditore cerca comunque di disfarsi della sua merce al più presto possibile. Egli offre sempre in vendita il prodotto come merce. Se lo sottraesse alla vendita, esso costituirebbe solo un possibile (nel testo è riportata una parola in greco che qui non è ritrascrivibile) non effettivo (nel testo è riportata una parola in greco che qui  non è ritrascrivibile) elemento della scorta di merce. La merce in quanto tale è per lui comunque solo depositaria del suo valore di scambio, e in quanto tale essa può agire solo per e dopo aver deposto la sua forma di merce e assunto forma di denaro.

La scorta di merce deve avere un certo volume, per soddisfare, durante un periodo dato, il volume della domanda. A tale riguardo, si conta su un costante ampliamento della cerchia dei compratori. Ad esempio per bastare per un giorno, una parte delle merci che si trovano sul mercato deve costantemente persistere nella forma di merce, mentre l’altra fluisce, si trasforma in denaro. La parte che si arresta mentre l’altra fluisce, decresce bensì costantemente, come decresce il volume della scorta stessa, fino a che è venduta infine per intero. L’arresto delle merci è dunque calcolato qui come condizione necessaria della vendita della merce. Il volume, inoltre, deve essere più grande della vendita media o del volume della domanda media.

Diversamente, le eccedenze oltre questa non potrebbero essere soddisfatte. D’altra parte, la scorta deve essere costantemente rinnovata, perchè costantemente si dissolve. Questo rinnovo, in ultima istanza, può provenire soltanto dalla produzione, da un apporto di merce. Che questa venga dall’estero o no, non cambia nulla alla cosa. Il rinnovo dipende dai periodi di cui le merci hanno bisogno per la loro riproduzione. Durante questo tempo la scorta di merce dev’essere sufficiente. Il fatto che essa non rimanga in mano del produttore originario, ma passi per serbatoi differenti, dal grande commerciante fino al venditore al minuto, muta soltanto l’aspetto, non la cosa stessa. Considerando la cosa da un punto di vista sociale, una parte del capitale continua a trovarsi nella forma di scorta di merce, fino a che la merce non sia entrata nel consumo produttivo o individuale. Il produttore stesso cerca di avere una consistenza di scorte corrispondente alla sua domanda media, per non dipendere immediatamente dalla produzione e per assicurarsi una cerchia costante di clienti. Corrispondentemente ai periodi di produzione si costituiscono termini di compera, e la merce forma scorta per un tempo più o meno lungo, fino a che non possa essere sostituita da nuovi esemplari della stessa specie. Solo con questa formazione di scorte sono assicurati il carattere costante e la continuità del processo di circolazione e perciò del processo di riproduzione, che include il processo di circolazione.

Si rammenti; M’ — D’ può essere compiuto per il produttore di M sebbene M si trovi ancora sul mercato. Se il produttore stesso volesse tenere in deposito la sua propria merce finché non sia venduta al consumatore definitivo, dovrebbe mettere in movimento un capitale doppio, uno come produttore della merce, un altro come commerciante, Per la merce stessa — sia essa considerata come merce singola oppure come parte costitutiva del capitale sociale — la cosa non cambia se i costi della formazione di scorte ricadono sul suo produttore o su una serie di commercianti da A a Z.

In quanto la scorta di merce non è altro che la forma di merce della scorta, che su scala data della produzione sociale dovrebbe esistere o come scorta produttiva (fondo latente di produzione) o come fondo di consumo (riserva di mezzi di consumo), se non esistesse come scorta di merce, anche i costi che la conservazione della scorta esige, dunque i costi della formazione di scorte — cioè il lavoro oggettivato o vivente impiegato a tale scopo — sono puri e semplici costi trasposti della conservazione sia del fondo sociale di produzione sia del fondo sociale di consumo. L’elevarsi del valore della merce che essi causano suddivide solo pro rata (proporzionalmente) questi costi sulle differenti merci, poichè essi sono differenti per differenti sorti di merci. I costi della formazione di scorte restano tuttavia sottrazioni dalla ricchezza sociale, sebbene siano una condizione di esistenza della stessa.

Solo in quanto la scorta di merci è condizione della circolazione delle merci e anzi una forma sorta necessariamente nella circolazione delle merci, in quanto questo apparente ristagno è dunque forma del flusso stesso, proprio come la formazione di riserva monetaria è condizione della circolazione monetaria, solo in tanto essa è normale. Viceversa, quando le merci che indugiano nei loro serbatoi di circolazione non fanno posto alla incalzante onda della produzione, non appena, dunque, i serbatoi straboccano, la scorta di merci si estende in conseguenza dell’arresto della circolazione, proprio come crescono i tesori quando si arresta la circolazione monetaria. A tale riguardo è indifferente che questo arresto abbia luogo nei magazzini del capitalista industriale o nei depositi del commerciante. La scorta di merci allora non è condizione della vendita ininterrotta, ma conseguenza della invendibilità delle merci. I costi rimangono gli stessi, ma, poichè ora scaturiscono puramente dalla forma, cioè dalla necessità di trasformare le merci in denaro e dalla difficoltà di questa metamorfosi, non entrano nel valore della merce ma costituiscono sottrazioni, perdite di valore nel realizzo del valore. Poichè la forma normale e quella anormale della scorta formalmente non si distinguono e sono ambedue arresti della circolazione, i fenomeni possono essere scambiati e tanto più ingannare l’agente stesso della produzione, in quanto per il produttore il processo di circolazione del suo capitale può scorrere sebbene si arresti il processo di circolazione delle sue merci che sono passate nelle mani dei commercianti. Se il volume della produzione e del consumo si dilata, in circostanze per il resto invariate, si dilata, il volume della scorta di merci. Questa viene rinnovata e assorbita altrettanto rapidamente, ma il suo volume è più grande. Il volume della scorta di merci che si dilata per l’arresto della circolazione può dunque essere scambiato erroneamente per un sintomo dell’allargamento del processo di riproduzione, e lo è soprattutto quando con lo sviluppo del sistema creditizio il movimento reale può venire mistificato.

I costi della formazione di scorte consistono:

1) in un decrescere quantitativo della massa del prodotto (ad esempio, nella scorta di farina);

2) nel deterioramento della qualità;

3) nel lavoro oggettivato e vivente che la conservazione della scorta esige.

III. SPESE DI TRASPORTO.

Non è necessario entrare qui in tutti i particolari dei costi di circolazione, come ad esempio imballaggio, assortimento ecc. La legge generale è che tutti i costi di circolazione che scaturiscono solo dal mutamento di forma della merce non aggiungono valore a quest’ultima. Sono puri e semplici costi per il realizzo del valore o per la sua trasposizione da una forma nell’altra. Il capitale sborsato in questi costi (compreso il lavoro da esso comandato) appartiene ai faux frais della produzione capitalistica. La sostituzione di essi deve avvenire mediante il plusprodotto e costituisce, dal punto di vista dell’intera classe capitalistica, una sottrazione di plusvalore o di plusprodotto, così come per un operaio è perduto il tempo di cui ha bisogno per acquistare i suoi mezzi di sussistenza. Le spese di trasporto sostengono però una parte troppo importante per non trattarne ancora qui brevemente.

Entro il ciclo del capitale e la metamorfosi della merce, che costituisce una sezione di quello, si compie il cambiamento di sostanza del lavoro sociale. Questo cambiamento di sostanza può condizionare il cambiamento spaziale dei prodotti, il loro movimento reale da un luogo all’altro. Ma la circolazione delle merci può avvenire senza loro movimento fisico e il trasporto di prodotti senza circolazione di merce e perfino senza immediato scambio di prodotti. Una casa che A vende a B circola come merce ma non va a spasso. Valori- merce mobili, come cotone o ferro grezzo, si ammucchiano nello stesso deposito di merci nello stesso tempo in cui percorrono dozzine di processi di circolazione, vengono comprati e rivenduti dagli speculatori[17]. Ciò che qui si muove realmente è il titolo di proprietà sulla cosa, non la cosa stessa. D’altra parte, l’industria dei trasporti aveva una parte importante ad esempio nel regno degli Incas, sebbene il prodotto sociale non circolasse come merce e neppure fosse distribuito mediante il baratto.

Perciò se l’industria dei trasporti, sul fondamento della produzione capitalistica, appare come causa di costi di circolazione, questa particolare forma fenomenica non muta nulla alla cosa.

Le masse di prodotti non aumentano per il loro trasporto. Anche il mutamento delle loro proprietà naturali, operato eventualmente per suo mezzo, non è, con alcune eccezioni, un deliberato effetto utile ma un malanno inevitabile. Ma il valore d’uso delle cose si attua soltanto nel loro consumo, e il loro consumo può rendere necessario il loro mutamento di luogo, cioè l’aggiunto processo di produzione dell’industria dei trasporti. Il capitale produttivo investito in essa aggiunge dunque valore ai prodotti trasportati, parte per il trasferimento del valore dei mezzi di trasporto, parte per l’aggiunta di valore mediante il lavoro di trasporto. Quest’ultima aggiunta di valore si suddivide, come in ogni altra produzione capitalistica, in sostituzione di salario e in plusvalore.

All’interno di ogni processo di produzione il mutamento di luogo dell’oggetto di lavoro e i mezzi di lavoro e le forze-lavoro a ciò necessari — ad esempio, cotone che dalla sala di cardatura passa alla sala di filatura, carbone che dal pozzo viene portato alla superficie — hanno una parte di grande importanza. Il passaggio del prodotto finito in quanto merce finita da un luogo di produzione autonomo in un altro da questo spazialmente distante mostra lo stesso fenomeno, solo su scala più grande. Al trasporto dei prodotti da un luogo di produzione in un altro segue ancora quello dei prodotti finiti dalla sfera della produzione nella sfera del consumo. Il prodotto è pronto per il consumo solo quando ha compiuto questo movimento.

Come si è mostrato in precedenza, è legge generale della produzione di merci che: la produttività del lavoro e la sua creazione di valore stanno in rapporto inverso. Come per ogni altra cosa, ciò vale per l’industria dei trasporti. Quanto minore è la quantità di lavoro morto e vivo che il trasporto della merce per una distanza data esige, tanto maggiore è la forza produttiva del lavoro, e inversamente[18].

La grandezza assoluta di valore che il trasporto aggiunge alle merci, in circostanze per il resto invariate, sta in rapporto inverso alla forza produttiva dell’industria dei trasporti e in rapporto diretto alle distanze da percorrere.

La parte relativa di valore che, in circostanze per il resto invariate, le spese di trasporto aggiungono al prezzo della merce, sta in rapporto diretto al volume ed al peso della merce. Tuttavia le circostanze modificanti sono numerose. Il trasporto esige, ad esempio, più o meno grandi misure precauzionali, perciò più o meno grande spesa di lavoro e mezzi di lavoro a seconda della relativa fragilità, deteriorabilità, esplosività dell’articolo. Qui i magnati delle ferrovie dispiegano, in una fantastica creazione di specie, un genio più grande dei botanici o dei zoologi. La classificazione dei beni sulle ferrovie inglesi, ad esempio, riempie dei volumi e poggia, secondo il principio generale, sulla tendenza a tramutare le svariatissime proprietà naturali dei beni in altrettanto numerosi difetti di trasporto e pretesti obbligatori di truffa. «Vetro che precedentemente aveva il valore di 11 sterline per crate (una cesta da imballaggio di determinato volume), in conseguenza dei progressi industriali e dell’abolizione della tassa sul vetro ha ora soltanto il valore di 2 sterline, ma le spese di trasporto sono elevate come prima, e più elevate nei trasporti per via d’acqua. Prima, vetro e prodotti di vetro per lavori in piombo, entro 50 miglia da Birmingham venivano trasportati a 10 scellini per tonnellata. Ora il prezzo di trasporto si è elevato di tre volte, con il pretesto del rischio a causa della fragilità dell’articolo. Ma chi non paga ciò che realmente si rompe è la direzione delle ferrovie»[19]. Che inoltre la parte relativa di valore che le spese di trasporto aggiungono ad un articolo stia in rapporto inverso al suo valore, per i magnati delle ferrovie diventa un motivo particolare per gravare di tasse un articolo in rapporto diretto al suo valore. Le lamentele degli industriali e commercianti su questo punto ritornano ad ogni pagina delle deposizioni della relazione riportata.

Il modo capitalistico di produzione diminuisce le spese di trasporto per la singola merce mediante lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, come mediante la concentrazione — la grandezza della scala — del trasporto. Essa aumenta la parte del lavoro sociale vivente e oggettivato, che viene spesa nel trasporto di merci, dapprima mediante la trasformazione della grande maggioranza di tutti i prodotti in merci, e poi per mezzo della sostituzione di mercati locali con mercati distanti.

Il circolare, cioè l’effettivo aggirarsi delle merci nello spazio, si risolve nel trasporto della merce. L’industria dei trasporti costituisce da un lato un ramo autonomo di produzione, e perciò una particolare sfera di investimento del capitale produttivo. D’altro lato, si distingue perchè appare come la continuazione di un processo di produzione entro il processo di circolazione e per il processo di circolazione.

NOTE


[10] La parte tra parentesi quadre da una nota alla fino del manoscritto VIII.

[11] Le spese d commercio sebbene necessarie, devono essere riguardate come Una spesa onerosa». (QUESNAY Analyse du tableau économique, in Daire Physiocrates, parte I, Parigi 1846 p. 7l) Secondo Quesnay, il «proflt» a cui la concorrenza tra commercianti dà origine, cioè il fatto che questa li costringa «a ribassare la loro retribuzione e il loro guadagno, ... non è, parlando seriamente, che una eliminazione dì perdita per il venditore di prima mano e per il compratore consumatore Ora, una eliminazione di perdita sulle spese del commercio non è un prodotto reale o un accrescimento di ricchezza ottenuto con il commercio considerato in se stesso come scambio, indipendentemente dalle spese dì trasporto o considerato insieme alle spese di trasporto» pp, 145-146) «Le spese del commercio ricadono sempre sui venditori dei prodotti, che godrebbero dell’intero prezzo che ne pagano per essi i consumatori se non vi fossero spese di mediazione»(163). I propriétaires e producteur sono «salariants», i commercianti sono «salaries» (p. 164), QUESNAY Dialogue, sur le commerce, ecc, in Daire. Physiocrates parte I, Parigi, 1846).

[12] Nel Medioevo troviamo la contabilità per l’agricoltura solo nei Conventi. Tuttavia si è visto (Libro I, cap 12) che già nelle antichissime comunità indiane figura un contabile per l’agricoltura. La contabilità è qui autonomizzata a funzione esclusiva di un impiegato della comunità. Mediante questa divisione del lavoro, sono risparmiati tempo, fatica e spese, ma la produzione e la contabilità della produzione restano cose altrettanto differenti quanto il carico di una nave e la polizza di carico. Nel contabile è sottratta alla produzione una parte della forza-lavoro della comunità, e i costi della sua funzione non vengono sostituiti dal suo proprio lavoro, ma da una sottrazione dal prodotto della comunità. Come per il contabile della comunità indiana, avviene mutatis mutandis per il contabile del capitalista. (Dal manoscritto II).

[13] «Il denaro che circola in un paese è una determinata porzione del capitale del paese, completamente sottratta a scopi produttivi, onde facilitare o incrementare la produttività del rimanente; un certo ammontare di ricchezza è perciò tanto necessario per adottare l’oro come mezzo di circolazione, quanto lo è per fare una macchina, onde facilitare una qualsiasi altra produzione» (Economist, vol. V, p. 520).

[14] Il Corbet nel 1841 calcola i costi per l’immagazzinamento di grano per una stagione di 9 mesi, in ½ % di perdita di quantità, 3% per interesse sul prezzo del grano, 2% per affitto di depositi, 1% manutenzione e trasporto, ½ % lavoro di consegna, totale 7%, ossia per un prezzo del grano di 50 scellini, 3 scellini e 6 pence per quarter (TH. CORBET, An Inquiry into the Causes and Modes of the Wealth of Individuals ecc., Londra, 1841). Secondo le dichiarazioni di commercianti di Liverpool davanti alla Commissione per le ferrovie, i costi (netti) dell’immagazzinamento di cereali nel 1865 ammontarono a 2 pence per quarter, ovvero 9-10 pence per tonnellata, al mese (Royal Commission on Railways, 1867. Evidence, p. 19, n. 331)

[15] Libro Il, Introduzione.

[16] Non è vero che la formazione di scorte scaturisca soltanto dalla trasformazione del prodotto in merce e della scorta di consumo in scorta di merce, come immagina A. Smith; al contrario questo cambiamento di forma cagiona, durante il trapasso dalla produzione per il bisogno personale alla produzione di merci, le più violente crisi nell’economia dei produttori. In India, ad esempio, si conservò fino ai tempi più recenti «la consuetudine di immagazzinare in quantità il grano, per il quale in anni di sovrabbondanza si poteva ottenere poco» [East India (Bengal and Orissa Famine). Return. House of Commons, 1867, I ,pp. 230,231, n. 74]. La richiesta di cotone, juta ecc, salita improvvisamente per la guerra civile americana, cagionò in molte parti dell’India grande riduzione della coltivazione del riso, rialzo dei prezzi del riso e vendita delle vecchie scorte di riso dei produttori. A ciò si aggiunse, neI 1864 - 1866, una esportazione senza precedenti di riso verso Australia, Madagascar ecc. Da ciò il carattere acuto della carestia del 1866 che nel distretto di Orissa soltanto portò via un milione di uomini [(l.c., 174, 175, 213, 214 e III. East India (Bengal and 0rissa Famine). Papers relating to the Famine in Behar, pp. 32, 33, dove tra le cause della carestia viene accentuato il drain of old stock (deflusso della vecchia scorta). (Dal manoscritto II)].

[17] Storch chiama quest’ultima circulation factice [circolazione fittizia].

[18] Ricardo cita Say, il quale considera come una benedizione del commercio il fatto che questo, mediante le spese di trasporto, rincari i prodotti o innalzi il loro valore. «Il commercio» dice Say «ci mette in grado di acquistare una merce nel suo luogo dì origine e di trasportarla ad un altro luogo di consumo; ci mette perciò in grado di aumentare il valore della merce di tutta la differenza tra il suo prezzo al primo luogo e quello al secondo». Ricardo osserva in proposito: «Vero, ma come le viene dato il valore addizionale? Aggiungendo al costo della produzione, primo, le spese di trasporto, secondo, il profitto sugli anticipi di capitale fatti dal commerciante. La merce ha più valore unicamente per la stessa ragione per ci ogni altra merce può ottenere più valore perchè più lavoro è stato speso nella sua produzione e trasporto, prima che essa sia comprata dal consumatore. Questo non dev’essere indicato come uno dei vantaggi del commercio». (RICARDO, Principles of Political Economy, 111 ed., Londra, 1821, pp. 309, 310).

[19] Royal Commission on Railways, p. 31, n. 630.