IL CAPITALE

LIBRO II

SEZIONE I

LE METAMORFOSI DEL CAPITALE E IL LORO CICLO

CAPITOLO 1

IL CICLO DEL CAPITALE MONETARIO

Il processo ciclico[1] del capitale si attua in tre stadi, i quali, secondo l’esposizione del primo volume, formano la seguente serie:

Primo stadio: il capitalista appare sul mercato delle merci e sul mercato del lavoro come compratore; il suo denaro viene convertito in merce, ossia compie l’atto di circolazione

D — M.

Secondo stadio: consumo produttivo da parte del capitalista delle merci acquistate. Egli opera come produttore capitalistico di merci; il suo capitale compie il processo di produzione. Il risultato è: merce di valore maggiore di quello dei suoi elementi di produzione.

Terzo stadio: il capitalista si ripresenta sul mercato come venditore; la sua merce viene convertita in denaro, ossia compie l’atto di circolazione

M — D.

La formula per il ciclo del capitale monetario è dunque:

D — M..... P..... M’ — D’,

nella quale i puntini indicano l’interruzione del processo di circolazione e M’ e D’ contrassegnano M e D accresciuti di plusvalore.

Il primo e il terzo stadio sono stati esaminati nel I Libro solo nella misura in cui era necessario per la comprensione del secondo stadio, il processo di produzione del capitale. Le differenti forme di cui si riveste il capitale nei suoi diversi stadi e che esso, al ripetersi del ciclo, ora assume ora abbandona, non vennero perciò considerate. Esse costituiscono ora l’oggetto immediato della ricerca.

Per comprendere esattamente queste forme, occorre innanzi tutto fare astrazione da tutti quei momenti che nulla hanno a che fare con il mutamento di forma e la costituzione della forma come tali. Per questo si presuppone qui non solo che le merci vengano vendute al loro valore, ma anche che ciò avvenga in condizioni immutate. Si prescinderà, dunque, anche dalle variazioni di valore che possono intervenire nel corso del processo ciclico.

I. PRIMO STADIO. D — M[2]

D — M rappresenta la conversione di una somma di denaro in una somma di merci: per il compratore, trasformazione del suo denaro in merce, per i venditori, trasformazione delle loro merci in denaro. Ciò che fa di questo processo della circolazione generale delle merci insieme una sezione funzionalmente determinata nel ciclo autonomo di un capitale individuale, è dapprima non la forma del processo, bensì il suo contenuto materiale, cioè lo specifico carattere d’uso delle merci che si scambiano il posto col denaro. Da una parte vi sono mezzi di produzione, dall’altra forza-lavoro, fattori oggettivi e personali della produzione di merci, la cui natura parti colare deve naturalmente corrispondere al tipo dell’articolo da produrre.

Se chiamiamo

L la forza-lavoro,

Pm i mezzi di produzione,

la somma di merci da comperare M è

M = L + Pm,

o, più brevemente,

M = M(L+Pm).

Considerato secondo il suo contenuto, D — M si presenta dunque come D — M(L+Pm) cioè D — M si suddivide in

 

 

la somma di denaro D si scinde in due parti, l’una delle quali acquista forza-lavoro (D — L), l’altra mezzi di produzione (D — Pm). Queste due serie di compere appartengono a mercati completamente differenti, l’una al mercato delle merci in senso stretto, l’altra al mercato del lavoro.

Oltre a questa scissione qualitativa della somma di merci, nella quale D viene convertito, D — M(L+Pm) rappresenta però anche un rapporto quantitativo sommamente caratteristico.

Noi sappiamo che il valore, rispettivamente il prezzo della forza- lavoro, viene pagato al suo possessore, che la offre in vendita come merce, nella forma di salario, cioè come prezzo di una somma di lavoro che contiene pluslavoro; così che, se, ad esempio, il valore giornaliero della forza-lavoro per un prodotto di 5 ore di lavoro è uguale a 60 €, questa somma nel contratto tra compratore e venditore figura come il prezzo o salario, poniamo, per un lavoro di 10 ore. Se un contratto simile venisse ad esempio stipulato con 50 operai, questi dovrebbero fornire al compratore, durante una giornata, 500 ore di lavoro, metà delle quali, ossia 250 ore di lavoro, pari a 25 giornate lavorative di 10 ore, consiste solo di pluslavoro. Quantità e volume dei mezzi di produzione da comperare devono essere sufficienti per l’impiego di tale massa di lavoro.

D — M(L + Pm) non esprime dunque unicamente il rapporto qualitativo secondo cui una determinata somma di denaro, ad esempio 101.280 €, viene convertita in mezzi di produzione e forza-lavoro che si corrispondono reciprocamente, ma anche un rapporto quantitativo tra le due quote del denaro investite in forza-lavoro L e in mezzi di produzione Pm, un rapporto in precedenza determinato dalla somma del pluslavoro eccedente da erogarsi da parte di un determinato numero di operai.

Se dunque, ad esempio, il salario settimanale dei 50 operai di una filanda ammonta a 12.000 €, si devono spendere in mezzi di produzione 89.280 €, ponendo che sia tale il valore dei mezzi di produzione che il lavoro settimanale di 3.000 ore, di cui 1.500 ore di pluslavoro, trasforma in filo.

operai

salario settimanale

spesa in mezzi di produzione

durata settimanale di  lavoro

pluslavoro

n

ore

ore

50

12.000

89.280

3.000

1.500

Qui è del tutto indifferente considerare fino a che punto, nei diversi rami di industria, l’impiego di lavoro addizionale condizioni un’aggiunta di valore, sotto forma di mezzi di produzione. L’importante è soltanto che, in ogni caso, la quota di denaro spesa in mezzi di produzione — i mezzi di produzione comprati in D — Pm — deve essere sufficiente, dunque calcolata in precedenza per questo, procurata in proporzione corrispondente. Ossia, la massa dei mezzi di produzione deve essere sufficiente ad assorbire la massa di lavoro, per poter essere da essa trasformata in prodotto. Se non ci fossero mezzi di produzione sufficienti, il lavoro eccedente, del quale il compratore dispone, non sarebbe utilizzabile; il suo diritto di disporne non servirebbe a nulla. Se ci fossero più mezzi di produzione che lavoro disponibile, essi non sarebbero saturati dal lavoro, e non verrebbero trasformati in prodotto.

Non appena si è compiuto D — M(L + Pm) il compratore dispone non soltanto dei mezzi di produzione e della forza-lavoro necessari per produrre un articolo utile. Possiede una maggiore disponibilità di forza-lavoro, ossia una quantità di lavoro maggiore di quella necessaria per sostituire il valore della forza-lavoro e dispone contemporaneamente dei mezzi di produzione richiesti per la realizzazione o oggettivazione di questa somma di lavoro; dispone dunque dei fattori necessari alla produzione di articoli che hanno un valore maggiore di quello dei loro, elementi di produzione, ossia di una massa di merci contenente plusvalore. Il valore da lui anticipato in forma di denaro, si trova dunque ora in una forma naturale, nella quale esso può venir realizzato come valore che produce plusvalore (in forma di merci). In altre parole: esso si trova ora nello stato o nella forma di capitale produttivo, che ha la capacità di avere una funzione creativa di valore e di plusvalore. Chiamiamo P il capitale in questa forma.

Ma il valore di P è uguale al valore di L + Pm  ovvero è uguale a D convertito in L e Pm.

P = L + Pm = D(L + Pm)

D è il medesimo valore-capitale di P, ma in un diverso modo di esistenza, cioè valore-capitale allo stato o in forma di denaro: capitale monetario.

D — M(L + Pm) ossia, secondo la sua forma generale D — M, somma di acquisti di merci, questo processo della circolazione generale delle merci è perciò insieme, come stadio nel processo ciclico autonomo del capitale, trasformazione del valore-capitale dalla sua forma di denaro alla sua forma produttiva, o, più brevemente, trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo. Nella figura del ciclo qui esaminata per prima, il denaro appare dunque come il primo depositano del valore-capitale, perciò il capitale monetario appare come la forma nella quale viene anticipato il capitale.

Come capitale monetario esso si trova in uno stato nel quale può compiere funzioni di denaro, come, nel caso presente, le funzioni di mezzo generale d’acquisto e di mezzo generale di pagamento. (Quest’ultimo, in quanto la forza-lavoro è bensì già acquistata, ma viene pagata solo dopo che ha operato. Ove i mezzi di produzione non siano già pronti sul mercato, ma debbano essere ordinati, il denaro in D — Pm agisce parimenti come mezzo di pagamento). Questa capacità non scaturisce dal fatto che il capitale monetario è capitale, ma dal fatto che esso è denaro.

D’altra parte, il valore-capitale allo stato di denaro può assolvere soltanto funzioni di denaro, e nessun’altra. Ciò che rende queste ultime funzioni di capitale è il determinato ruolo che hanno nel movimento del capitale, perciò anche il nesso tra lo stadio in cui esse compaiono e gli altri stadi del suo ciclo. Per esempio, nel caso che per primo abbiamo davanti a noi, il denaro viene convertito in merci la cui unione costituisce la forma naturale del capitale produttivo, la quale, perciò, nasconde già in sè latente, in potenza, il risultato del processo capitalistico di produzione.

Una parte del denaro, che in D — M(L + Pm) assolve le funzioni di capitale monetario, con il compiersi di questa stessa circolazione trapassa ad una funzione nella quale il suo carattere di capitale scompare e rimane il suo carattere di denaro. La circolazione del capitale monetario D si suddivide in D — Pm e D — L, acquisto di mezzi di produzione e acquisto di forza-lavoro. Consideriamo separatamente l’ultimo processo. D — L è acquisto di forza-lavoro da parte del capitalista; è vendita di forza-lavoro — potremmo dire qui di lavoro, essendo presupposta la forma del salario — da parte del lavoratore, possessore della forza-lavoro. Ciò che è per il compratore D — M (= D — L), qui come in ogni acquisto, per il venditore (il lavoratore) è L — D (= M — D), vendita della sua forza- lavoro. E questo primo stadio della circolazione, ovvero la prima metamorfosi della merce (Libro I, cap. III, 2 a ), è, da parte del venditore del lavoro, trasformazione della propria merce nella sua forma di denaro. Il lavoratore spende via via il denaro così ottenuto in una somma di merci che soddisfano i suoi bisogni, cioè in articoli di consumo.

La circolazione totale della sua merce si presenta dunque come L — D — M, cioè, primo, come L — D (= M — D) e, secondo, come D — M, dunque nella forma generale della circolazione semplice delle merci M — D — M, in cui il denaro figura come semplice transitorio mezzo di circolazione, come semplice mediatore dello scambio di merce contro merce.

D — L è il momento caratteristico della trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo, poiché è la condizione essenziale affinché il valore anticipato sotto forma di denaro si trasformi realmente in capitale, in valore che produce plusvalore. D — Pm è necessario soltanto per realizzare la massa di lavoro acquistata attraverso D — L.

D — L perciò è stato presentato da questo punto di vista nel Libro I, sezione II, Trasformazione del denaro in capitale .

La cosa è qui da considerare ancora da un altro punto di vista, con speciale riferimento al capitale monetario quale forma fenomenica del capitale.

D — L viene considerato generalmente come caratteristico per il modo capitalistico di produzione. Ma non certo per il motivo addotto, che l’acquisto della forza-lavoro è un contratto di acquisto nel quale è pattuita la fornitura di una quantità di lavoro maggiore di quella che è necessaria per compensare il prezzo della forza-lavoro, del salario: quindi fornitura di pluslavoro, che è la condizione fondamentale per la capitalizzazione del valore anticipato o, ciò ch’è lo stesso, per la produzione di plusvalore. Ma piuttosto in virtù della sua forma, poiché nella forma del salario il lavoro viene acquistato con denaro, e questo passa per segno distintivo dell’economia monetaria.

Anche qui ciò che è considerato caratteristico non è l’irrazionale della forma. Questo irrazionale viene piuttosto trascurato. L’irrazionale consiste in questo, che il lavoro, come elemento creatore di valore, non può esso stesso possedere un valore, dunque anche una determinata quantità di lavoro non può avere un valore che si esprima nel suo prezzo, nella sua equivalenza con una determinata quantità di denaro. Ma noi sappiamo che il salario è semplicemente una forma travestita, una forma in cui, ad esempio, il prezzo giornaliero della forza lavoro si rappresenta come prezzo del lavoro sprigionato nel corso di una giornata da questa forza-lavoro, cosicché, per esempio, il valore prodotto in 6 ore di lavoro da questa forza-lavoro, viene espresso come valore della sua funzione o del suo lavoro di 12 ore.

D — L è come la caratteristica, il contrassegno della cosiddetta economia monetaria, poiché il lavoro compare qui come la merce del suo possessore e quindi il denaro come compratore: dunque, a causa del rapporto monetario (cioè compra e vendita di attività umana). Ma già molto presto il denaro appare come compratore di cosiddetti servizi, senza che D si trasformi in capitale monetario o senza che venga sovvertito il carattere generale dell’economia.

Per il denaro è affatto indifferente il tipo di merce in cui esso viene trasformato. Esso è la forma generale di equivalente di tutte le merci, le quali nei loro prezzi indicano già che esse rappresentano idealmente una determinata somma di denaro, attendono di tra sformarsi in denaro e solo attraverso il loro scambio di posto con il denaro ottengono quella forma nella quale sono convertibili in valori d’uso per i loro possessori. Se la forza-lavoro si trova dunque sul mercato come merce del suo possessore, la cui vendita avviene nella forma di pagamento per il lavoro, in figura di salario, la sua compra-vendita non rappresenta nulla di più straordinario della compra-vendita di ogni altra merce. Il fatto caratteristico non è già che la merce forza-lavoro sia acquistabile, bensì che la forza- lavoro compaia come merce.

Attraverso D — M trasformazione del capitale monetario in capitale produttivo, il capitalista opera il collegamento tra fattori oggettivi e fattori personali della produzione, in quanto tali fattori consistono in merci. Se il denaro per la prima volta viene trasformato in capitale produttivo, ovvero per la prima volta opera per il suo possessore come capitale monetario, egli deve comprare i mezzi di produzione, stabilimenti, macchine ecc., prima di comprare la forza-lavoro; poiché, quando quest’ultima passa in suo potere, devono già esserci i mezzi di produzione, per poterla usare come forza-lavoro.

Così si presenta la cosa dalla parte del capitalista.

Dalla parte del lavoratore: l’attivazione produttiva della sua forza-lavoro diventerà possibile solo dal momento in cui, in seguito alla sua vendita, essa verrà messa in collegamento con i mezzi di produzione. Essa esiste dunque prima della vendita separatamente dai mezzi di produzione, dalle condizioni oggettive della sua attivazione. In questo stato di separazione essa non può venire direttamente impiegata per produrre valori d’uso per il suo possessore, né per produrre merci, della cui vendita egli potrebbe vivere. Ma non appena, attraverso la sua vendita, è messa in collegamento con i mezzi di produzione, diventa una parte costitutiva del capitale produttivo del suo compratore tanto quanto i mezzi di produzione.

Perciò, sebbene nell’atto D — L il possessore del denaro e il possessore della forza-lavoro si trovino l’uno verso l’altro soltanto nel rapporto di compratore e venditore, si contrappongano come possessore di denaro e possessore di merci, si trovino perciò sotto questo aspetto l’uno rispetto all’altro in un puro e semplice rapporto monetario, tuttavia fin dall’inizio il compratore si presenta insieme come possessore dei mezzi di produzione, i quali costituiscono le condizioni oggettive per il dispendio produttivo della forza-lavoro da parte del suo possessore. In altre parole: questi mezzi di produzione si contrappongono al possessore della forza-lavoro come proprietà estranea. D’altro lato, il venditore del lavoro sta di contro al compratore di esso come una forza-lavoro estranea, che deve passare in suo potere, essere incorporata al suo capitale, affinché questo agisca realmente come capitale produttivo. Il rapporto di classe tra capitalista e operaio salariato è dunque già presente, già presupposto nel momento in cui entrambi si contrappongono nell’atto D — L (L — D da parte del lavoratore). È compra-vendita, rapporto monetario, ma una compra-vendita nella quale il compratore viene presupposto come capitalista e il venditore come salariato, e questo rapporto è dato dal fatto che le condizioni per la realizzazione della forza-lavoro — mezzi di sussistenza e mezzi di produzione — sono separate dal possessore della forza-lavoro come proprietà estranea.

Come abbia origine questa separazione, qui non ci interessa. Essa esiste quando si compie D — L . Ciò che a noi qui interessa è: se D — L compare come una funzione del capitale monetario, ossia il denaro compare qui come forma di esistenza del capitale, ciò non è affatto soltanto perché il denaro si presenta qui come mezzo di pagamento per un’attività umana che ha un effetto utile, per un servizio; non è affatto, dunque, per la funzione del denaro come mezzo di pagamento. Il denaro può essere speso in questa forma solo perché la forza-lavoro si trova in uno stato di separazione dai suoi mezzi di produzione (compresi i mezzi di sussistenza come mezzi di produzione della stessa forza-lavoro); e perché tale separazione viene superata solo col fatto che la forza-lavoro viene venduta al proprietario dei mezzi di produzione; che quindi anche la mobilitazione della forza-lavoro, i cui limiti non coincidono affatto con i limiti della massa di lavoro necessaria per la riproduzione del suo stesso prezzo, appartiene al compratore. Il rapporto capitalistico durante il processo di produzione si rivela soltanto perché esso in sé esiste nell’atto della circolazione, nelle differenti condizioni economiche fondamentali in cui si contrappongono compra tori e venditori, nel loro rapporto di classe. Non è il denaro a dare con la sua natura il rapporto; è piuttosto l’esistenza di questo rapporto che può trasformare una semplice funzione di denaro in una funzione di capitale.

Nella concezione del capitale monetario (per il momento abbiamo a che fare con esso soltanto nel limite della determinata funzione nella quale esso ci si presenta qui) due errori sono abitualmente correnti, distinti o confusi insieme. Primo: le funzioni che il valore- capitale in quanto capitale monetario assolve e che può assolvere appunto perché si trova in forma di denaro, vengono erroneamente fatte derivare dal suo carattere di capitale, mentre sono da attribuirsi soltanto allo stato di denaro del valore-capitale, alla sua forma fenomenica di denaro. Secondo, viceversa: lo specifico contenuto della funzione di denaro, che ne fa Contemporaneamente una funzione di capitale, viene ricavato dalla natura del denaro (scambiando perciò tra loro denaro e capitale), laddove essa presuppone, come qui nel l’attuazione di D — L, condizioni sociali che in nessun modo sono date nella semplice circolazione delle merci e nella corrispondente circolazione del denaro.

Anche la compra-vendita di schiavi è, per la sua forma, una compra-vendita di merci. Ma senza l’esistenza della schiavitù il denaro non potrebbe compiere questa funzione. Se c’è la schiavitù, il denaro può essere speso nell’acquisto di schiavi. Viceversa, il denaro nelle mani del compratore non basta in nessun modo a rendere possibile la schiavitù.

Che la vendita della propria forza-lavoro (nella forma della vendita del proprio lavoro ossia del salario) non si presenti come fenomeno isolato, ma come premessa socialmente normativa della produzione di merci, che dunque il capitale monetario compia su scala sociale la funzione qui considerata D — M(L + Pm) ciò presuppone dei processi storici attraverso i quali è stata dissolta la combinazione originaria tra mezzi di produzione e forza-lavoro; processi in seguito ai quali la massa del popolo, i lavoratori come non proprie tari, e i non lavoratori come proprietari di questi mezzi di produzione, stanno gli uni di contro agli altri. Né ha importanza se la combinazione, prima di essere disgregata, possedesse una forma tale per cui il lavoratore stesso quale mezzo di produzione facesse parte degli altri mezzi di produzione, ovvero ne fosse egli il proprietario.

Il fatto che sta qui alla base dell’atto D — M(L + Pm) è la divisione; non la divisione nel senso usuale di divisione dei mezzi di consumo, ma la divisione degli elementi stessi della produzione, dei quali i fattori oggettivi sono concentrati da una parte, mentre la forza-lavoro è isolata da essi dall’altra parte.

I mezzi di produzione, la parte oggettiva del capitale produttivo, devono dunque contrapporsi al lavoratore come tali, in quanto capitale, già prima che l’atto D — L possa diventare un atto generalmente sociale.

Abbiamo visto sopra come la produzione capitalistica, una volta stabilita, non solo riproduca nel suo viluppo tale separazione, ma la estenda ad un ambito sempre più ampio, fino a che essa non ‘sia divenuta la condizione sociale generalmente dominante. Ma il fatto presenta anche un altro aspetto. Affinché il capitale possa formarsi e impadronirsi della produzione, è presupposto un determinato grado di sviluppo del commercio, dunque anche della circolazione di merci e perciò della produzione di merci; infatti degli articoli non possono entrare nella circolazione come merci se non vengono prodotti per la vendita, dunque come merci. La produzione di merci compare però come carattere normale, dominante della produzione soltanto sulla base della produzione capitalistica.

I proprietari fondiari russi, i quali, in conseguenza della cosiddetta emancipazione dei contadini, esercitano ora la loro economia agraria con operai salariati anziché con servi della gleba, si lamentano per due motivi. Primo, per la deficienza di capitale monetario. Dicono, ad esempio, che prima di vendere il raccolto devono, pagare operai salariati in misura maggiore, e per far questo manca la prima condizione, il denaro liquido. Deve sempre essere presente capitale nella forma di denaro appunto per il pagamento del salario, per condurre capitalisticamente la produzione. Ma si consolino i proprietari fondiari al riguardo: col tempo maturano le sorbe, ed il capitalista industriale finisce per disporre non solo del suo proprio denaro, ma anche dell’argent des autres.

Ma più caratteristica è l’altra lamentela, cioè che se anche si ha denaro, non si trova disponibile nella quantità sufficiente ed in qualsiasi momento la forza-lavoro da comprare, poiché il lavoratore agricolo russo, data la proprietà comune della terra da parte della comunità del villaggio, non è ancora del tutto separato dai suoi mezzi di produzione, e perciò non è ancora un « libero salariato » nel senso pieno della parola. E tuttavia la esistenza di quest’ultimo su scala sociale è condizione imprescindibile affinché D — M, trasformazione di denaro in merce, si possa presentare come trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo.

Si comprende perciò da sé come la formula per il ciclo del capitale monetario:

D — M... P ... M’ — D’

sia la forma naturale del ciclo capitalistico solo sulla base di una produzione capitalistica già sviluppata, giacché presuppone l’esistenza su una scala sociale della classe degli operai salariati. La produzione capitalistica, come abbiamo visto, non produce soltanto merce e plusvalore; riproduce, e in dimensioni sempre maggiori, la classe degli operai salariati e trasforma in salariati la stragrande maggioranza dei produttori diretti.

D — M ... P... M’ — D’, poiché il primo presupposto per il suo svolgimento è l’esistenza costante della classe degli operai salariati, presuppone perciò già il capitale sotto forma di capitale produttivo, e perciò la forma del ciclo del capitale produttivo.

II - SECONDO STADIO. FUNZIONE DEL CAPITALE PRODUTTIVO.

Il ciclo del capitale qui esaminato ha inizio con l’atto di circolazione D — M, trasformazione del denaro in merce, compera. La circolazione, dunque, deve venire completata dall’opposta metamorfosi M — D, trasformazione di merce in denaro, vendita. Ma il risultato immediato di D — M(L + Pm) l’interruzione della circolazione del valore-capitale anticipato in forma di denaro. Attraverso la trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo, il valore-capitale ha assunto una forma naturale nella quale non può continuare a circolare, ma deve passare nel consumo, e propriamente nel consumo produttivo. L’uso della forza-lavoro, il lavoro, può essere realizzato solo nel processo lavorativo. Il capitalista non può rivendere il lavoratore come merce, perché questi non è il suo schiavo, ed egli inoltre non ha comperato se non l’utilizzazione della sua forza- lavoro per un tempo determinato. D’altra parte, egli può utilizzare la forza-lavoro soltanto facendo utilizzare da essa i mezzi di produzione come creatori di merce. Il risultato del primo stadio è dunque l’ingresso nel secondo, lo stadio produttivo del capitale.

Il movimento si rappresenta come D — M(L + Pm) .... P, in cui i puntini indicano che la circolazione del capitale è interrotta, ma il suo processo ciclico tuttavia continua, in quanto il capitale passa dalla sfera della circolazione delle merci alla sfera della produzione. Il primo stadio, la trasformazione di capitale monetario in capitale produttivo, appare dunque solo come prodromo, come fase introduttiva del secondo stadio, della funzione del capitale produttivo D — M(L + Pm) presuppone che l’individuo che effettua quest’atto non disponga semplicemente di valori in una qualsiasi forma d’uso, bensì che possieda questi valori in forma di denaro, che sia possessore di denaro. Ma l’atto consiste appunto nello spendere questo denaro, ed egli può continuare ad essere possessore di denaro solo in quanto implicite, attraverso l’atto stesso dello spendere, il denaro rifluisce a lui. Ma il denaro può rifluire a lui soltanto attraverso la vendita delle merci. Perciò l’atto presuppone lui come produttore di merci.

D — L. L’operaio salariato vive solo della vendita della forza- lavoro. Il sostentamento di essa — l’autosostentamento del salariato — esige un consumo giornaliero. Perciò il suo pagamento deve venir ripetuto costantemente entro termini brevi, affinché egli possa ripetere per il sostentamento di se stesso gli acquisti necessari, l’atto L — D — M, ovvero M — D — M. Per questo egli deve trovarsi costantemente dinanzi il capitalista come capitalista monetario, ed il suo capitale come capitale monetario.

Ma, d’altra parte, affinché la massa dei produttori diretti, gli operai salariati, possa compiere l’atto L — D — M , essi debbono trovarsi costantemente dinanzi i mezzi di sussistenza necessari in forma acquistabile, cioè in forma di merci. Questo stato dì cose richiede dunque già un grado elevato della circolazione dei prodotti come merci, e dunque anche del volume della produzione di merci. Quando la produzione fondata sul lavoro salariato è generale, la produzione di merci deve essere la forma generale della produzione. Premessa questa come generale, essa condiziona a sua volta una sempre crescente divisione del lavoro sociale, cioè una sempre maggiore specializzazione del prodotto che viene fabbricato come merce da un determinato capitalista, un sempre maggiore scindersi dei processi di produzione complementari in processi resi autonomi. Perciò nello stesso grado in cui si sviluppa D — L, si sviluppa anche D — Pm; cioè nella stessa misura la produzione dei mezzi di produzione si separa da quella della merce, di cui essi sono mezzi di produzione, e questi mezzi di produzione si contrappongono a ogni produttore di merci essi stessi come merci che egli non produce, ma che acquista ad uso del suo determinato processo di produzione. Essi provengono da rami di produzione completamente separati dal suo, esercitati in modo autonomo, ed entrano nel suo ramo di produzione come merci, perciò devono essere comperati. Le condizioni oggettive della produzione delle merci gli stanno di fronte, in misura sempre maggiore, come prodotti di altri produttori di merci, come merci. Nella stessa misura, il capitalista deve presentarsi come capitalista monetario, ossia si estende la scala su cui il suo capitale deve aver funzione di capitale monetario.

D’altro lato, le stesse circostanze che producono la condizione fondamentale della produzione capitalistica — l’esistenza di una classe di operai salariati — sollecitano il trapasso di tutta la produzione di merci in produzione capitalistica di merci. Nella misura in cui questa si sviluppa, essa opera disgregando e dissolvendo ogni altra più antica forma della produzione che, indirizzata di preferenza agli immediati bisogni personali, trasforma in merce soltanto l’eccedenza del prodotto. Della vendita del prodotto essa fa l’interesse principale, dapprima senza apparentemente attaccare il modo stesso della produzione: tale fu, ad esempio, la prima conseguenza del commercio capitalistico mondiale su popoli come quello cinese, indiano, arabo, ecc. Ma in un secondo tempo, là dove essa ha affondato le sue radici, distrugge tutte le forme della produzione di merci fondate o sul lavoro personale del produttore o soltanto sulla vendita del prodotto eccedente come merce. All’inizio essa generalizza la produzione di merci e poi trasforma gradualmente tutta la produzione di merci in produzione capitalistica[3]

Quali che siano le forme sociali della produzione, lavoratori e mezzi di produzione restano sempre i suoi fattori. Ma gli uni e gli altri sono tali soltanto in potenza nel loro stato di reciproca separazione. Perché in generale si possa produrre, essi si devono unire. Il modo particolare nel quale viene realizzata questa unione distingue le varie epoche economiche della struttura della società. Nel caso attuale, la separazione del libero lavoratore dai suoi mezzi di produzione è il punto di partenza dato, ed abbiamo visto come e a quali condizioni entrambi vengano riuniti nelle mani del capitalista, cioè come modo produttivo di esistenza del suo capitale. Il processo reale nel quale insieme confluiscono i fattori personali e i fattori oggettivi della produzione di merci così riuniti, il processo produttivo, diviene perciò esso stesso una funzione del capitale, processo capitalistico di produzione, la cui natura è stata ampiamente spiegata nel primo Libro di quest’opera. Ogni volta che viene esercitata la produzione di merci viene contemporaneamente esercitato lo sfruttamento della forza-lavoro; ma soltanto la produzione capitalistica di merci diviene un modo di sfruttamento che fa epoca, il quale nel suo successivo sviluppo storico, attraverso l’organizzazione del processo lavorativo ed il gigantesco progresso della tecnica, sovverte l’intera struttura economica della società e si lascia enormemente indietro tutte le epoche precedenti.

Per le funzioni differenti che essi assolvono durante Io stesso pro cesso di produzione nella formazione di valore, quindi anche nella produzione di plusvalore, i mezzi di produzione e la forza-lavoro, in quanto sono forme di esistenza del valore-capitale anticipato, si distinguono in capitale costante e capitale variabile. Come parti costitutive differenti del capitale produttivo, si distinguono inoltre per il fatto che i primi, in possesso del capitalista, restano suo capitale anche al di fuori del processo di produzione, mentre soltanto all’interno di quest’ultimo la forza-lavoro diviene forma di esistenza di un capitale individuale. Se la forza-lavoro è merce solo nelle mani del suo venditore, l’operaio salariato, essa diventa viceversa capitale solo nelle mani del suo compratore, al quale tocca il suo uso temporaneo. Gli stessi mezzi di produzione diventano figure oggettive del capitale produttivo, ossia capitale produttivo, soltanto dall’istante in cui la forza-lavoro, in quanto forma personale di esistenza di esso, è diventata ad essi incorporabile. Come la forza-lavoro umana per sua natura non è capitale, così non lo sono i mezzi di produzione. Essi ricevono questo specifico carattere sociale solo in condizioni determinate, storicamente sviluppate, così come soltanto in analoghe condizioni ai metalli nobili viene impresso il carattere del denaro, o, addirittura, al denaro quello del capitale monetario.

Esercitando la sua funzione, il capitale produttivo consuma le parti costitutive sue proprie per convertirle in una massa di prodotti di valore superiore. Poiché la forza-lavoro opera soltanto come uno dei suoi organi, anche l’eccedenza del valore - prodotto, generata mediante il suo pluslavoro oltre il valore dei suoi elementi di formazione, è il frutto del capitale. Il pluslavoro della forza-lavoro è il lavoro gratuito del capitale, e costituisce perciò per il capitalista un plusvalore, un valore che non gli costa alcun equivalente.

Il prodotto è perciò non soltanto merce, ma merce fecondata di plusvalore.

Il suo valore è uguale a P + Pv, uguale al valore del capitale produttivo P consumato nella produzione di essa, più il plusvalore Pv da questo generato.

Supponiamo che tale merce consti di 10.000 q.li di filo, per la cui produzione siano stati consumati mezzi di produzione del valore di 89.280 € e forza-lavoro del valore di 12.000 €. Durante il processo di filatura, i filatori trasferiscono il valore dei mezzi di produzione consumati dal loro lavoro, dell’ammontare di 89.280 €, nel filo, mentre nello stesso tempo essi, in corrispondenza alla loro prestazione di lavoro, rappresentano un neovalore, poniamo di 30.720 €. I 10.000 q.li di filo sono perciò depositari di un valore di 120.000 €.

III - TERZO STADIO. M’—D’.

La merce diviene capitale-merce come forma funzionale di esistenza del valore-capitale già valorizzato, scaturita direttamente dallo stesso processo di produzione. Se la produzione delle merci venisse condotta capitalisticamente in tutta la sua estensione sociale, ogni merce sarebbe fin dall’origine elemento di -un capitale-merce, sia che consistesse in ferro greggio o in pizzi di Bruxelles, in acido solforico o in sigari. Il problema: quali tipi dell’esercito delle merci siano destinati per la loro qualità al rango di capitale, quali altri al comune servizio di merci, è una delle soavi afflizioni che l’economia scolastica si è procurata da se stessa.

Nella sua forma di merce, il capitale deve adempiere funzioni di merce. Gli articoli dei quali esso si compone, fin dall’origine prodotti per il mercato, devono essere venduti, trasformati in denaro, percorrere dunque il movimento M — D.

Supponiamo che la merce del capitalista consti di 10.000 q.li di filo di cotone. Se nel processo di filatura sono stati consumati mezzi di produzione per un valore di 89.280 €., e creato un neovalore di 30.720 €, il filo ha un valore di 120.000 €, che esso esprime nel suo prezzo omonimo.

 

 

Supponiamo che questo prezzo venga realizzato attraverso la vendita M — D. Che cosa è che fa di questo semplice processo di ogni circolazione di merci, contemporaneamente, una funzione di capitale? Non una variazione che avvenga all’interno di esso, né in relazione al carattere d’uso, poiché la merce passa al compratore come oggetto d’uso, né in relazione al suo valore, poiché questo non subisce mutamenti di grandezza, ma solo un mutamento di forma. Prima esisteva in filo, ora esiste in denaro. Emerge così una differenza essenziale tra il primo stadio D — M e l’ultimo stadio M — D. Là il capitale anticipato opera come capitale monetario, poiché mediante la circolazione si converte in merci dallo specifico valore d’uso. Qui la merce può operare come capitale solo in quanto porta con sé interamente questo carattere fin dal processo di produzione, prima che abbia inizio la sua circolazione. Durante il processo della filatura i filatori hanno creato valore in filo per un ammontare di 30.720 €. Di questi, 12.000 € formano per un capitalista soltanto un equivalente per la sua spesa in forza-lavoro, e 18.720 € — ad un grado di sfruttamento della forza-lavoro del 156% — formano plusvalore.

 

 

Il valore delle 10.000 q.li di filo contiene dunque in primo luogo il valore del capitale produttivo consumato P, del quale: la parte costante è pari a 89.280 € e la parte variabile è uguale a 12.000 €., la loro somma che è uguale a 101.280 € equivale a 8.440 q.li di filo.

 

 

Il valore del capitale produttivo P è però M, valore dei suoi elementi di formazione, che nello stadio D — M si trovavano di fronte al capitalista come merci nelle mani dei loro venditori. In secondo luogo, però, il valore del filo contiene un plusvalore di 18.720 € pari a 1.560 q.li di filo. M, come espressione di valore dei 10.000 q.li di filo è dunque = M + ΔM, M più un incremento di M (18.720 €) che chiameremo m, poiché esso esiste nella stessa forma di merce in cui esiste ora il valore originario M. Il valore dei 10.000 q.li di filo che é di 120.000 € è dunque uguale a M + m = M’. Ciò che fa di M, come espressione del valore dei 10.000 q.li di filo, M’, non è quindi la sua grandezza assoluta di valore (120.000 €), giacché essa, come per ogni altra M che sia espressione di valore di una qualsiasi altra somma di merci, è determinata dalla grandezza del lavoro in essa oggettivato; è la sua grandezza di valore relativa, la sua grandezza di valore paragonata con il valore del capitale P consumato per produrla. Essa contiene questo valore, più il plusvalore fornito dal capitale produttivo. Il suo valore è maggiore, eccedente questo valore-capitale, di questo plusvalore m.

 

 

valore monetario

valore espresso in quantità di merci

 

 

q.li

capitale merce prodotta

filo

120.000

10.000

Capitale produttivo consumato

P

101.280

8.440

capitale variabile

v

12.000

 

capitale costante

c

89.280

 

plusvalore

m

18.720

1.560

I 10.000 q.li di filo sono depositari del valore-capitale valorizzato, arricchito di un plusvalore, e sono ciò in quanto prodotto del processo capitalistico di produzione. M’ esprime un rapporto di valore, il rapporto in cui sta il valore del prodotto-merce con il valore del capitale speso per produrlo, dunque la combinazione di valore-capitale e plusvalore, che forma il suo valore. I 10.000 q.li di filo sono capitale-merce, M’, solo come forma trasformata del capitale produttivo P, dunque in un nesso che all’inizio esiste soltanto nel ciclo di questo capitale individuale, ossia per il capitalista che con il suo capitale ha prodotto filo. È, per così dire, solo un rapporto interno, non esterno, che fa dei 10.000 q.li di filo, in quanto depositari di valore, un capitale-merce; essi recano l’impronta capitalistica non nella grandezza assoluta del loro valore, bensì nella grandezza relativa di questo, nella loro grandezza di valore paragonata con quella che possedeva il capitale produttivo in essi contenuto, prima che si fosse trasformato in merce. Perciò se i 10.000 q.li di filo vengono venduti al loro valore di 120.000 €, questo atto della circolazione, considerato per sè, è uguale a  M — D, mera trasformazione di un valore invariato da forma di merce in forma di denaro. Ma come stadio particolare nel ciclo di un capitale individuale, il medesimo atto realizza il valore-capitale di 101.280 € racchiuso nella merce, più il plusvalore di 18.720 € racchiuso in essa, dunque M’ — D’, trasformazione del capitale-merce dalla sua forma di merce in forma di denaro[4].

La funzione di M’ è ora quella di ogni prodotto-merce: tra sformarsi in denaro, essere venduto, compiere la fase della circolazione M — D. Fino a che il capitale ora valorizzato perdura nella forma di capitale-merce, giace fermo sul mercato, il processo di produzione si arresta. Il capitale non opera come creatore di prodotto né come creatore di valore. Secondo il diverso grado di velocità con cui il capitale respinge la sua forma di merce e assume la sua forma di denaro, ossia secondo la rapidità della vendita, lo stesso valore-capitale, in grado assai differente, servirà come creatore di prodotto e di valore, e la scala della riproduzione si estenderà o si restringerà. Nel primo Libro è stato mostrato come il grado di efficacia di un dato capitale sia condizionato da potenze del processo di produzione che in certo grado sono indipendenti dalla grandezza di valore del capitale stesso. Qui si mostra come il processo di circolazione metta in movimento nuove potenze del grado di efficacia del capitale, della sua espansione e della sua contrazione, indipendenti dalla grandezza di valore di quest’ultimo.

La massa di merci M’, in quanto depositaria del capitale valorizzato, deve inoltre compiere in tutta la sua estensione la metamorfosi M’ — D’. La quantità della merce venduta diviene qui una determinazione essenziale. La singola merce figura ancora soltanto come parte integrante della massa totale. I 120.000 € di valore esistono in 10.000 q.li di filo. Se il capitalista riesce a vendere soltanto 7.440 q.li al loro valore di (7.440 : 10.000) ∙120.000 = 89.280 €, egli ha sostituito soltanto il valore del suo capitale costante, il valore dei mezzi di produzione spesi; se vende 8.440 q.li, ha sostituito soltanto la grandezza di valore del capitale complessivo anticipato (8.440 : 10.000) ∙120.000 = 101.280 €. Egli deve vendere di più per realizzare plusvalore, e deve vendere tutti i 10.000 q.li di filo, per realizzare l’intero plusvalore di 18.720 € (pari a 1.560 q.li di filo). Egli dunque ottiene in 120.000 € di denaro solo un valore equivalente alla merce venduta; la sua operazione entro la circolazione è un semplice M — D. Se avesse pagato ai suoi operai 15.360 € di salario anziché 12.000 €, il suo plusvalore sarebbe di solo 15.360 €, anziché di 18.720 €, ed il grado di sfruttamento solo del 100% anziché del 156%; ma il valore del suo filo rimarrebbe come prima invariato; soltanto il rapporto delle sue diverse parti sarebbe un altro; l’atto della circolazione M — D sarebbe, come prima, la vendita di 10.000 q.li di filo per il loro valore di 120.000 €.

M’ = M + m (101.280 € + 18.720 €). M è uguale al valore di P, ossia al capitale produttivo, e questo è uguale al valore di D, che venne anticipato in D — M, acquisto degli elementi di produzione; nel nostro esempio 101.280 €. Se la massa di merci viene venduta al suo valore, allora M = 101.280 € e m = 18.720 €, il valore del plusprodotto di 1.560 q.li di filo. Chiamando d, il plusprodotto m espresso in forma di denaro, allora

M’ — D’ = (M + m) — (D + d),

ed il ciclo

D — M... P... M’ — D’

nella sua forma esplicita è dunque

D — M(L + Pm)...P... (M + m) — (D + d).

Nel primo stadio, il capitalista sottrae articoli d’uso a! mercato delle merci vero e proprio ed al mercato del lavoro; nel terzo stadio egli fa rifluire nuovamente della merce, ma su un solo mercato, il mercato delle merci vero e proprio. Ma se mediante la sua merce egli sottrae nuovamente al mercato più valore di quanto non vi avesse originaria mente immesso, ciò avviene soltanto perché egli vi immette un maggior valore in merci di quello che originariamente sottrasse. Egli vi immise il valore D e ne sottrasse il valore equivalente M; vi immette M + m e ne sottrae l’equivalente D + d.

D nel nostro esempio era pari al valore di 8.440 q.li di filo; ma egli getta sul mercato 10.000 q.li, vi immette dunque un valore maggiore di quello che ne tolse. D’altra parte, egli vi ha immesso questo accresciuto valore unicamente perché nel processo della produzione ha prodotto plusvalore (come parte aliquota del prodotto, espressa in plusprodotto) mediante lo sfruttamento della forza-lavoro. Solo in quanto prodotto di questo processo, la massa delle merci è capitale-merce, depositano di valore-capitale valorizzato. Con il compimento di M’ — D’, viene realizzato tanto il valore-capitale anticipato quanto il plusvalore. Il realizzo di ambedue coincide nella serie di vendite, ovvero anche nella vendita in un so! blocco dell’intera massa di merci, che M’ — D’ esprime. Ma il medesimo processo di circolazione M’ — D’ è differente per il valore-capitale e per il plusvalore, in quanto per ciascuno dei due esprime un differente stadio della loro circolazione, una sezione differente nella serie di metamorfosi che essi devono attraversare all’interno della circolazione. Il plusvalore m è venuto alla luce solo entro il processo di produzione. Esso compare dunque per la prima volta sul mercato delle merci, e precisamente in forma di merce; questa è la sua prima forma di circolazione, perciò anche l’atto m — d è il suo primo atto di circolazione o la sua prima metamorfosi, che resta dunque ancora da completare mediante l’opposto atto della circolazione, ossia la metamorfosi inversa d — m[5]

Diversamente avviene per la circolazione che il valore-capitale M compie nel medesimo atto di circolazione M’ — D’, che per esso è l’atto di circolazione M — D, nel quale M = P, uguale al D originariamente anticipato. Esso ha iniziato il suo primo atto di circolazione come D, come capitale monetario, e attraverso l’atto M — D ritorna alla medesima forma; ha dunque percorso le due opposte fasi della circolazione, 1) D — M e 2) M — D e si trova ancor una volta nella forma da cui può di nuovo incominciare il medesimo processo ciclico. Ciò che per il plusvalore è la prima trasformazione della forma di merce in forma di denaro, per il valore-capitale è ritorno, ossia ritrasformazione nella sua originaria forma di denaro.

Mediante D — M(L + Pm) il capitale monetario è stato convertito in una equivalente somma di merci, L e Pm. Queste merci non funzionano nuovamente da merci, da articoli di vendita. Il loro valore esiste ora nelle mani del loro compratore, il capitalista, come valore del suo capitale produttivo P. E nella funzione di P, del consumo produttivo, essi vengono trasformati in una qualità di merci materialmente differente dai mezzi di produzione, in filo, nel quale il loro valore viene non soltanto mantenuto, ma accresciuto, da 101.280 € a 120.000 €. Attraverso questa reale metamorfosi le merci sottratte al mercato nel primo stadio D — M vengono sostituite da merce differente per materia e valore, che ora deve operare come merce, essere trasformata in denaro e venduta. Il processo di produzione appare perciò solo come interruzione del processo di circolazione del valore-capitale, del quale finora è stata percorsa solo la prima fase D — M. Esso percorre la seconda e conclusiva fase M — D dopo che M si è trasformato per materia e per valore. Considerando però il valore-capitale preso a sé, esso ha subito nel processo di produzione soltanto una trasformazione della sua forma d’uso. Esso esisteva come valore di 101.280 € in L e Pm, esiste ora come valore di 101.280 €. di 8.440 q.li di filo. Se dunque consideriamo solo ambedue le fasi del processo di circolazione del valore-capitale, immaginato separato dal suo plusvalore, esso percorre 1) D — M e 2) M — D, dove la seconda M ha una forma d’uso trasformata, ma lo stesso valore della prima M; dunque D — M — D, una forma di circolazione la quale attraverso il doppio scambio della merce in op posta direzione, trasformazione da denaro in merce, trasformazione da merce in denaro, condiziona necessariamente il ritorno del valore anticipato come denaro alla sua forma di denaro; la sua ritrasformazione in denaro.

Il medesimo atto di circolazione M’ — D’, che è per il valore- capitale anticipato in denaro la seconda conclusiva metamorfosi, ritorno alla forma di denaro, è invece per il plusvalore, assieme a quello racchiuso nel capitale-merce e realizzato mediante la sua conversione in forma di denaro, la prima metamorfosi, trasformazione da forma di merce in forma di denaro, M—D, prima fase della circolazione.

Ci sono dunque qui due cose da osservare.

Primo: la ritrasformazione conclusiva del valore-capitale nella sua originaria forma di denaro è una funzione del capitale-merce.

Secondo: questa funzione comprende la prima trasformazione del plusvalore dalla sua originaria forma di merce in forma di denaro. La forma di denaro sostiene dunque qui una doppia parte: da un lato è la forma ricorrente di un valore originariamente anticipato in denaro, dunque ritorno alla forma di valore che aprì il processo; è, d’altro lato, la prima forma trasformata di un valore che originariamente entra in circolazione in forma di merce. Se le merci, in cui consiste il capitale-merce, vengono vendute al loro valore, come qui si presuppone, allora M + m viene trasformato nel l’equivalente D + d; in questa forma D + d (101.280 € + 18.720 € = 120.000 €) il capitale-merce realizzato esiste ora nelle mani del capitalista. Valore-capitale e plusvalore sono ora presenti come denaro, dunque nella forma generale di equivalente.

Alla fine del processo il valore-capitale si trova dunque di nuovo nella stessa forma con cui era entrato in esso, può dunque nuovamente iniziano e compierlo come capitale monetario. Proprio perché la forma iniziale e finale del processo è quella del capitale monetario (D), questa forma del processo ciclico viene da noi designata come ciclo del capitale monetario. Non la forma, ma unicamente la grandezza del valore anticipato alla fine è mutata.

D + d non sono che una somma di denaro di una determinata grandezza, nel nostro caso 120.000 €. Ma come risultato del ciclo del capitale, come capitale-merce realizzato, questa somma di denaro contiene il valore-capitale e il plusvalore; e precisamente questi ora non sono più cresciuti congiuntamente insieme, come nel filo; essi stanno ora uno accanto all’altro. La loro realizzazione ha dato a ciascuno dei due una forma di denaro autonoma. 211/250 di essa sono il valore-capitale, 101.280 €, e 39/250 il plusvalore di 18.720 €. Questa separazione operata mediante la realizzazione del capitale-merce non ha soltanto il contenuto formale di cui tra breve parleremo; essa diviene importante nel processo di riproduzione del capitale, a seconda che d viene aggiunto per intero, in parte o per nulla a D, dunque a seconda che esso continua o no ad operare come parte costitutiva del valore-capitale anticipato. D e d possono anche compiere una circolazione del tutto differente.

In D’ il capitale è tornato nuovamente alla sua forma originaria D, alla sua forma di denaro; ma in una forma nella quale esso è realizzato come capitale.

Vi è, in primo luogo, una differenza quantitativa. Esso era D, 101.280 €; ora è D’, 120.000 €, e questa differenza è espressa in D... D’, gli estremi quantitativamente differenti del ciclo, il cui movimento stesso è indicato soltanto con i puntini... D’ è > D, D’ — D = Pv, il plusvalore. Ma come risultato di questo processo D... D’ esiste ora unicamente D’; è il prodotto in cui il suo processo di formazione è terminato. D’ esiste ora per sè in modo autonomo, indipendentemente dal movimento che lo ha prodotto. Questo è finito, ed esso è ora al suo posto.

Ma D’ in quanto (D + d), 120.000 € in quanto 101.280 € di .capitale anticipato più un suo incremento di 18.720 €, rappresenta contemporaneamente un rapporto qualitativo, sebbene questo rapporto qualitativo stesso esista soltanto come rapporto delle parti di una somma dello stesso nome, dunque come rapporto quantitativo. D, il capitale anticipato, che è ora nuovamente presente nella sua forma originaria (101.280 €), esiste ora come capitale realizzato. Non soltanto esso è conservato, ma si è anche realizzato come capitale, come tale distinguendosi da d (18.720 €) verso il quale è in rapporto come verso il suo accrescimento, il suo frutto, un incremento da esso stesso generato. Esso è realizzato come capitale, poiché è realizzato come valore che ha generato un valore. D’ esiste come rapporto di capitale; D non appare più come mero denaro, ma è posto espressamente come capitale monetario, espresso come valore che si è valorizzato, dunque possiede anche la proprietà di valorizzarsi, di generare più valore di quel che esso stesso abbia. D è posto come capitale dal suo rapporto con un’altra parte di D’, come con cosa da esso posta, da esso, in quanto origine, attuata, come con la conseguenza di cui esso è la causa. Così D’ appare come somma di valore in sé differenziata, al suo interno funzionalmente (concettualmente) distinta, esprimente il rapporto di capitale.

Ma ciò è espresso soltanto come risultato, senza la mediazione del processo, di cui esso è il risultato.

Parti di valore in quanto tali non si distinguono qualitativamente l’una dall’altra, se non in quanto si presentino come valori di articoli diversi, di cose concrete, dunque in forme d’uso differenti, perciò come valori di differenti corpi-merci, una distinzione che non scaturisce da esse stesse in quanto pure e semplici parti di valore. Nel denaro si dissolve ogni differenza delle merci, perché esso è appunto la forma di equivalente a tutte comune. Una somma di denaro di 120.000 € consta di elementi tutti omonimi di 240 €. Poiché nella semplice esistenza di questa somma di denaro è dissolta la mediazione della sua provenienza, ed è scomparsa ogni traccia della differenza specifica che le diverse parti costitutive del capitale possiedono nel processo di produzione, la distinzione esiste ancora soltanto nella forma concettuale di una somma principale (in inglese principal) uguale al capitale anticipato di 101.280 € e di una somma di valore eccedente di 18.720 €. D’ sia, ad esempio, uguale a 26.400 €, di cui 24.000 € (D), costituiscono la somma principale, e 2.400 € (Pv), costituiscono il plusvalore. Assoluta omogeneità, quindi mancanza di distinzione concettuale, regna tra le due parti costitutive della somma di 26.400 €. 2.400 € prese a piacimento sono sempre 1/11 della somma totale di 26.400 €, siano esse 1/10 della somma principale anticipata di 24.000 € ovvero la sua eccedenza di 2.400 €. Somma principale e somma aggiunta, capitale e plus-somma sono quindi esprimibili come frazioni della somma complessiva; nel nostro esempio 10/11 formano la somma principale ossia il capitale, 1/11 la plus-somma. E’ perciò una espressione empirica del rapporto di capitale, quella in cui qui, alla fine del suo processo, il capitale realizzato appare nella sua espressione monetaria.

Ma ciò vale anche per M’(M + m). Con la distinzione però che M’, nel quale M e m sono pure soltanto parti di valore proporzionali della medesima massa omogenea di merci, rimanda alla sua origine P, di cui esso è prodotto immediato, mentre in D’, forma derivante immediatamente dalla circolazione, è scomparso il rapporto diretto con P.

La distinzione empirica tra somma principale e somma aggiunta, che è contenuta in D’, in quanto questo esprime il risultato del movimento D... D’, scompare immediatamente, non appena D’ opera di nuovo attivamente da capitale monetario, quindi, inversa mente, non viene indicato come espressione monetaria del capitale industriale valorizzato. Il ciclo del capitale monetario non può mai cominciare con D’ (sebbene ora D’ operi da D), ma soltanto con D; cioè mai come espressione del rapporto di capitale, bensì solo come forma di anticipazione del valore-capitale. Non appena le 120.000 € vengono di nuovo anticipate come capitale per valorizzarsi di nuovo, esse sono punto di partenza anziché di ritorno. Invece di un capitale di 101.280 € viene ora anticipato un capitale di 120.000 €, più denaro di prima, più valore-capitale, ma il rapporto tra le due parti costitutive è caduto, proprio come originariamente la somma di 120.000 €, anziché quella di 101.280 €, avrebbe potuto operare come capitale.

Non è funzione attiva del capitale monetario presentarsi come D’; la sua rappresentazione come D’ è piuttosto una funzione di M’. Già nella circolazione semplice delle merci,

1) M1 — D,

2) D — M2,

D ha funzione attiva solo nel secondo atto D — M2 la sua rappresentazione come D è soltanto risultato del primo atto, solo in forza del quale esso si presenta come forma trasformata di M1 Il rapporto di capitale contenuto in D’, la relazione di una delle sue parti, in quanto valore-capitale, con l’altra, in quanto suo incremento di valore, riceve tuttavia un significato funzionale, in quanto nella costante ripetizione del ciclo D... D’, D’ si scinda in due circolazioni, circolazione del capitale e circolazione del plusvalore, e quindi ambedue le parti assolvano funzioni differenti non soltanto quantitativamente ma anche qualitativamente, D funzioni diverse da quelle di d. Ma, in sé considerata, la forma D... D’ non comprende il consumo del capitalista, bensì espressamente solo la autovalorizzazione e la accumulazione, in quanto quest’ultima si esprime in primo luogo in un accrescimento periodico del capitale monetario sempre di nuovo anticipato.

Sebbene forma empirica del capitale, allo stesso tempo soltanto D’ = D + d è il capitale monetario nella sua forma realizzata, in quanto denaro che ha generato denaro. Qui è però da distinguere dalla funzione del capitale monetario nel primo stadio D — M(L + Pm). In questo primo stadio, D circola come denaro. Esso opera come capitale monetario unicamente perché solo nel suo stato di denaro può assolvere una funzione di denaro, può convertirsi negli elementi di P che gli stanno dinanzi come merci, in L e Pm. In questo atto della circolazione esso opera soltanto come denaro; ma poiché questo atto è il primo stadio del valore-capitale che compie il suo processo, esso è contemporaneamente funzione del capitale monetario, grazie alla specifica forma di uso delle merci L e Pm che vengono comperate. D’, viceversa, composto da D, il valore-capitale e d, il plusvalore da questo generato, esprime valore-capitale valorizzato, il fine e il risultato, la funzione dall’intero processo ciclico del capitale. Che esso esprima questo risultato in forma di denaro, come capitale monetario realizzato, non scaturisce dal fatto che esso è forma di denaro del capitale, capitale-denaro, ma al contrario dal fatto che esso è capitale-denaro, capitale in forma di denaro, dal fatto che Sotto tale forma il capitale ha aperto il processo, è stato anticipato in forma di denaro. La ritrasformazione nella forma di denaro, come abbiamo visto, è una funzione del capitale-merce, M’, non del capitale monetario. Ma per quanto concerne la differenza di D’ rispetto a D, essa (d) è soltanto forma di denaro di m, dell’incremento di M; D’ è uguale a D + d, soltanto perché M’ era uguale a M + m. In M’ dunque questa differenza ed il rapporto del valore-capitale con il plusvalore da esso generato sono presenti ed espressi, prima che ambedue siano trasformati in D’, in una somma di denaro nella quale le lue parti di valore si presentano autonome una di fronte all’altra, e perciò si possono anche impiegare per funzioni autonome e differenti le une dalle altre.

D’ è soltanto il risultato della realizzazione di M’. Ambedue, M’ come D’, sono solo forme differenti, forma di merce e forma di denaro, del valore-capitale valorizzato, ambedue hanno questo in comune, che sono valore-capitale valorizzato. Ambedue sono capitale realizzato, poiché qui il valore- come tale esiste unitamente al plusvalore, come ad un frutto da esso differente, ricavato da esso, sebbene questo rapporto sia espresso soltanto nella forma empirica del rapporto di due parti di una somma di denaro o di un valore-merce. Ma in quanto espressioni del capitale in rapporto al plusvalore da esso generato e a differenza di questo, cioè come espressioni di valore valorizzato, D’ ed M’ sono la medesima cosa ed esprimono la medesima cosa, solo in forma differente; essi si distinguono non in quanto capitale monetario e capitale-merce, bensì in quanto denaro e merce. In quanto rappresentano valore valorizzato, capitale reso attivo come capitale, essi esprimono sol tanto il risultato della funzione del capitale produttivo, dell’unica funzione in cui il valore-capitale produca valore. Il loro lato comune è che ambedue, capitale monetario e capitale-merce, sono modi di esistenza del capitale. [La differenza tra di loro consiste nel fatto che essi sono differenti modi di esistenza del capitale]. L’uno è capi tale in forma di denaro, l’altro in forma di merce. Le funzioni specifiche che li distinguono non possono quindi essere altro che distinzioni tra funzione di denaro e funzione di merce. Il capitale-merce, in quanto prodotto diretto del processo capitalistico di produzione, ricorda questa sua origine, e perciò nella sua forma è più razionale, meno empirico del capitale monetario, nel quale qualsiasi traccia di tale processo è scomparsa, come in generale nel denaro scompare ogni particolare forma d’uso della merce. Perciò soltanto là dove D’ stesso opera come capitale-merce, dove esso è prodotto immediato di un processo di produzione e non forma trasformata di tale prodotto, la sua forma bizzarra scompare: cioè nella produzione del materiale stesso del denaro. Per la produzione dell’oro, ad esempio, la formula sarebbe:

D — M(L + Pm) ... P... D’(D + d),

dove D’ figura come prodotto-merce, perché P fornisce più oro di quanto non sia stato anticipato nel primo D, il capitale monetario, per gli elementi di produzione dell’oro. Qui scompare dunque l’irrazionale dell’espressione D... D’(D + d), dove una parte di una somma di denaro compare come madre di un’altra parte della stessa somma di denaro.

IV. IL CICLO COMPLESSIVO.

Abbiamo visto come il processo della circolazione, trascorsa la sua prima fase
D — M
(L + Pm) venga interrotto da P, dove le merci L e Pm comperate sul mercato vengono ora consumate come parti costitutive, materiali e di valore, del capitale produttivo; il prodotto di tale consumo è una nuova merce, M’, modificata nella materia e nel valore. L’interrotto processo della circolazione, D — M, deve essere completato mediante M — D. Ma come depositario di questa seconda e conclusiva fase della circolazione compare M’, una merce differente dal primo M per materia e valore. La serie della circolazione si presenta dunque così:

1) D — M1

2) M’2 — D’;

dove nella seconda fase alla prima merce M1 è sostituita un’altra di valore superiore e di differente forma di uso, M‘2 durante l’interruzione causata dalla funzione di P, cioè durante la produzione di M’ da parte degli elementi di M, forme di esistenza del capitale produttivo P. Viceversa, la prima forma fenomenica in cui ci si presentò il capitale (Libro I, cap. IV, 1), D — M — D’ che risolta in

1) D — M1

2) M1 — D’,

mostra due volte la stessa merce. Ambedue le volte è la stessa merce, nella quale si trasforma il denaro nella prima fase, e la quale nella seconda fase si trasforma nuovamente in più denaro. Nonostante queste differenze essenziali, le due circolazioni hanno questo in comune, che, nella loro prima fase, denaro viene trasformato in merce, e, nella loro seconda fase, merce viene trasformata in denaro, dunque il denaro speso nella prima fase rifluisce nuova mente nella seconda. Da un lato esse hanno in comune questo riflusso del denaro al suo punto di partenza, dall’altro però anche l’eccedenza del denaro rifluente rispetto a quello anticipato. Per questo, D — M... M’ — D’ appare contenuto anche nella formula generale D — M — D’.

Ne deriva qui inoltre che in ambedue le metamorfosi appartenenti alla circolazione D — M e M’ — D’, ogni volta stanno l’un l’altra di fronte e si sostituiscono a vicenda esistenze di valore di uguale grandezza e contemporaneamente presenti. Il cambiamento di valore appartiene unicamente alla metamorfosi P, processo di produzione, che appare così come metamorfosi reale del capitale, di contro alle metamorfosi puramente formali della circolazione.

Esaminiamo ora l’intero movimento

D — M... P... M’ — D’,

ovvero la sua forma sviluppata

D — M(L + Pm)... P... M’(M +m) — D’(D + d).

Il capitale appare qui come un valore che percorre una serie di trasformazioni concatenate, reciprocamente condizionate, una serie di metamorfosi che formano altrettante fasi o stadi di un processo complessivo. Due di queste fasi appartengono alla sfera della circolazione, una alla sfera della produzione. In ciascuna di queste fasi, il valore-capitale si trova in figura differente, cui corrisponde una differente, speciale funzione. Dentro questo movimento, il valore-capitale anticipato non soltanto si conserva, ma cresce, aumenta la sua grandezza. Infine, nello stadio finale, esso ritorna alla stessa forma in cui era apparso all’inizio del processo complessivo. Questo processo complessivo è perciò un processo ciclico.

Le due forme che il valore-capitale assume entro i suoi stadi di circolazione sono quelle del capitale monetario e del capitale- merce; la sua forma appartenente allo stadio di produzione è quella di capitale produttivo. Il capitale che nel corso del suo ciclo complessivo assume e di nuovo abbandona queste forme e in ciascuna assolve la funzione ad essa corrispondente, è capitale industriale, industriale qui nel senso che abbraccia ogni ramo della produzione condotto capitalisticamente.

Capitale monetario, capitale-merce, capitale produttivo non indicano dunque qui specie autonome di capitale, le cui funzioni costituiscano il contenuto di branche parimenti autonome e separate le une dalle altre. Esse indicano qui soltanto particolari forme di funzione del capitale industriale, il quale le assume successivamente tutte e tre.

Il ciclo del capitale procede normalmente solo fino a che le sue differenti fasi trapassano una nell’altra senza ristagno. Se il capitale ristagna nella prima fase D — M, il capitale monetario si irrigidisce in tesoro; se ristagna nella fase della produzione, i mezzi di produzione da una parte rimangono senza funzione, mentre la forza-lavoro, dall’altra, rimane inattiva; se nell’ultima fase M’ — D’, le merci ammucchiate senza poter essere vendute ostruiscono il flusso della circolazione.

D’altro lato, è nella natura della cosa che il ciclo stesso condizioni il fissarsi del capitale, durante determinati periodi, nelle sin gole sezioni del ciclo. In ciascuna delle sue fasi il capitale industriale è legato ad una forma determinata, come capitale monetario, capitale produttivo, capitale-merce. Soltanto dopo aver assolto la funzione corrispondente alla sua forma del momento, esso ottiene la forma in cui può entrare in una nuova fase di trasformazione. Per rendere chiaro questo, abbiamo supposto nel nostro esempio che il valore-capitale della massa di merci prodotta nello stadio della produzione sia uguale alla somma complessiva del valore originariamente anticipato come denaro, in altre parole che l’intero valore- capitale anticipato come denaro passi in una sola volta da uno stadio a quello ogni volta successivo. Ma noi abbiamo visto (Libro I, cap. VI) che una parte del capitale costante, i veri e propri mezzi di lavoro (ad esempio le macchine), servono sempre di nuovo, in un numero più o meno grande di ripetizioni degli stessi processi di produzione, perciò cedono anche soltanto a pezzo a pezzo il loro valore al prodotto. Fino a qual punto questa circostanza modifichi il processo ciclico del capitale, si mostrerà più tardi. Qui è sufficiente dire quanto segue: nel nostro esempio il valore del capitale produttivo che é uguale a 101.280 € comprende unicamente il logorio, calcolato in media, dei fabbricati, macchine ecc., dunque soltanto la parte di valore che essi, nella trasformazione di 10.600 q.li di cotone in 10.000 q.li di filo, trasferiscono su quest’ultimo, sul prodotto di un processo settimanale di filatura di 60 ore. Nei mezzi di produzione nei quali si trasforma il capitale costante anticipato di 89.280 €, figurano perciò anche i mezzi di lavoro, fabbricati, macchinari ecc., come se questi fossero solo presi in affitto sul mercato, con pagamento a rate settimanali. Tuttavia questo non cambia nulla alla sostanza della cosa. Basta che noi moltiplichiamo la quantità di filo di 10.000 q.li prodotta nella settimana con il numero delle settimane calcolate per una determinata serie di anni, perché l’intero valore dei mezzi di lavoro comperati e adoperati in tale periodo si trasferisca in essa. È chiaro allora che il capitale monetario anticipato deve prima essere trasformato in questi mezzi, dev’essere dunque uscito dal primo stadio D — M, prima che possa operare da capitale produttivo P. Altrettanto chiaro nel nostro esempio è che la somma di valore capitale di 101.280 € incorporata al filo durante il processo di produzione, non può entrare come parte costitutiva di valore dei 10.000 q.li di filo nella fase della circolazione M’ — D’, prima che esso sia finito. Il filo non può essere venduto prima di essere filato.

Nella formula generale il prodotto di P viene considerato come una cosa materiale differente dagli elementi del capitale produttivo, come un oggetto, che ha un’esistenza separata dal processo di produzione, una forma d’uso differente da quella degli elementi di produzione. E se il risultato del processo di produzione si presenta come cosa, ciò avviene sempre, anche quando una parte del prodotto rientra come elemento nella nuova produzione. Così i cereali, in quanto semente, servono alla loro propria produzione; ma il pro dotto consta solo di cereali, ha dunque una figura differente dagli elementi insieme impiegati, la forza-lavoro, gli strumenti, il con cime. Ma vi sono branche di industria autonome, nelle quali il prodotto del processo di produzione non è un nuovo prodotto oggettivo, una merce. Tra esse economicamente importante è soltanto l’industria delle comunicazioni, sia essa vera e propria industria dei trasporti per merci e persone o soltanto trasmissione di comunicazioni, lettere telegrammi, ecc.

A. Ciuprov[6] dice al riguardo: «Il fabbricante può dapprima produrre articoli e in seguito cercarne i consumatori» (il suo prodotto, dopo essere espulso finito dal processo di produzione, passa nella circolazione come merce da questo separata). «Produzione e consumo appaiono così come due atti separati nello spazio e nel tempo. Nell’industria dei trasporti, che non crea nuovi prodotti, ma unicamente trasferisce persone e cose, questi due atti coincidono; i servizi» (il cambiamento di luogo) «devono essere consumati nel medesimo istante in cui vengono prodotti. Perciò il raggio entro cui le ferrovie possono cercare la clientela si estende al massimo per 50 verste (53 km) da ambedue i lati».

Il risultato — sia che vengano trasportate persone oppure merci — è il mutamento della loro esistenza nello spazio, ad esempio il filo si trova ora in India anziché in Inghilterra, dove era stato prodotto.

Ma ciò che l’industria dei trasporti vende è appunto il cambia mento di luogo. L’effetto utile prodotto è legato in maniera indissolubile al processo di trasporto, cioè al processo di produzione del l’industria dei trasporti. Persone e merci viaggiano con il mezzo di trasporto, e il suo viaggiare, il suo movimento nello spazio è appunto il processo di produzione da esso operato. L’effetto utile è consumabile unicamente durante il processo di produzione; esso non esiste come un oggetto d’uso differente da questo processo, che solo dopo esser stato prodotto operi come articolo di commercio, circoli come merce. Il valore di scambio di questo effetto utile è però de terminato, come quello di ogni altra merce, dal valore degli elementi di produzione in esso consumati (forza-lavoro e mezzi di produzione) più il plusvalore che il pluslavoro degli operai impiegati nell’industria dei trasporti ha creato. Anche in relazione al suo consumo, questo effetto utile si comporta in tutto come le altre merci. Se viene consumato individualmente, il suo valore scompare con il consumo; se viene consumato produttivamente, in modo che esso stesso sia uno stadio di produzione della merce che viene trasportata, il suo valore viene trasferito alla merce stessa come valore addizionale. La formula per l’industria dei trasporti sarebbe quindi
D —M
(L + Pm)... P — D’, poiché viene pagato e consumato il processo di produzione stesso, non un prodotto da esso separabile. Essa ha dunque quasi esattamente la stessa forma di quella della produzione dei metalli nobili, solo che qui D’ è forma trasformata dell’effetto utile generato durante il processo di produzione, non forma naturale dell’oro o dell’argento generato durante tale processo e da questo espulso.

Il capitale industriale è l’unico modo di essere del capitale in cui funzione del capitale non sia soltanto l’appropriazione di plusvalore, rispettivamente di plusprodotto, ma contemporaneamente la sua creazione. Esso è perciò la condizione del carattere capitalistico della produzione; la sua esistenza implica quella dell’antagonismo di classe tra capitalisti e operai salariati. Nella misura in cui esso si impadronisce della produzione sociale, vengono sovvertite la tecnica e l’organizzazione sociale del processo lavorativo, e con ciò il tipo economico-storico della società. Le altre specie di capitale comparse prima di esso entro condizioni sociali di produzione passa te o declinanti, non solo vengono ad esso subordinate e mutate nel meccanismo delle loro funzioni in maniera ad esso corrispondente, ma si muovono ormai solo sul fondamento di esso, perciò vivono e muoiono, sussistono e cadono con questo loro fondamento. Capitale monetario e capitale-merce, in quanto con le loro funzioni compaiono accanto al capitale industriale come depositari di branche proprie, ormai soltanto per la divisione sociale del lavoro sono modi di esistenza, resi autonomi e sviluppati in senso unilaterale, delle differenti forme di funzione che il. capitale industriale ora assume, ora abbandona entro la sfera della circolazione.

Il ciclo D... D’ si intreccia da un lato con la circolazione generale delle merci, da essa proviene e in essa rientra, e forma una parte di essa. D’altro lato, esso forma per il capitalista individuale un movimento proprio ed autonomo del valore-capitale, un movimento che procede in parte entro la circolazione generale delle merci, in parte fuori di essa, ma che conserva costantemente il suo carattere autonomo. In primo luogo, perché ambedue le sue fasi che procedono nella sfera della circolazione, D — M e M’ — D’, in quanto fasi del movimento del capitale, possiedono caratteri funzionalmente de terminati; in D — M, M è determinato materialmente come forza-lavoro e mezzi di produzione; in M‘— D’ viene realizzato il valore-capitale più il plusvalore. In secondo luogo, P, il processo di produzione include il consumo produttivo. In terzo luogo, il ritorno del denaro al suo punto di partenza rende il movimento D... D’ un movimento ciclico che si conclude in se stesso.

Da un lato, dunque, ogni capitale individuale nelle due parti della sua circolazione, D — M e M’ — D’, costituisce un agente della circolazione generale delle merci, in cui esso opera o è legato come denaro o come merce, e costituisce così esso stesso un anello nella serie generale delle metamorfosi nel mondo delle merci. D’altro lato, entro la circolazione generale esso descrive il suo proprio ciclo autonomo, in cui la sfera della produzione costituisce uno stadio di trapasso, e in cui esso ritorna al suo punto di partenza nel la medesima forma in cui l’aveva lasciato. Entro il suo proprio ciclo, che racchiude la sua reale metamorfosi nel processo di produzione, esso muta contemporaneamente la sua grandezza di valore. Esso ritorna non soltanto come valore monetario, ma come valore monetario aumentato, cresciuto.

Se consideriamo infine D — M... P... M’ — D’ come forma speciale del processo ciclico del capitale accanto alle altre forme da esaminare in seguito, esso si caratterizza per quanto  segue.

1. Esso appare come ciclo del capitale monetario, perché il capitale industriale nella sua forma di denaro, come capitale monetario, costituisce il punto di partenza ed il punto di ritorno del suo processo complessivo. La formula stessa indica che il denaro non viene qui speso in quanto denaro ma soltanto anticipato, dunque è solo forma di denaro del capitale, capitale monetario. Essa indica inoltre che il valore di scambio, non il valore d’uso, è il fine, assoluto determinante del movimento. Proprio perché la figura di denaro del valore è la sua forma fenomenica autonoma, tangibile, la forma della circolazione
D... D’, il cui punto di partenza e punto di arrivo è denaro vero e proprio, esprime nella maniera più tangibile il far denaro, il motivo conduttore della produzione capitalistica. Il processo di produzione appare soltanto come termine medio inevitabile, come male necessario per far denaro. Tutte le nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione.

2. Lo stadio della produzione, la funzione di P, costituisce in questo ciclo l’interruzione delle due fasi della circolazione D — M... M’ — D’, che a sua volta è soltanto la mediazione della circolazione semplice D — M — D’. Il processo di produzione appare nella forma del processo ciclico stesso, formalmente ed espressamente come ciò che esso è nel modo capitalistico di produzione, come puro e semplice mezzo per la valorizzazione del valore-capitale anticipato, dunque l’arricchimento in quanto tale appare come fine assoluto della produzione.

3. Poiché la serie delle fasi viene aperta da D — M, il secondo membro della circolazione è M’ — D’; dunque punto di partenza è D, il capitale monetario da valorizzare, e punto di arrivo D’, il capitale monetario valorizzato D + d, in cui D in quanto capitale realizzato figura accanto al suo rampollo d. Ciò distingue il ciclo D dagli altri due cicli P ed M’, e Io distingue doppiamente. Da un lato, per la forma di denaro dei due estremi; ma il denaro è la forma di esistenza autonoma, tangibile, del valore, il valore del pro dotto nella sua autonoma forma di valore, in cui è scomparsa ogni traccia del valore d’uso delle merci. D’altro lato, la forma P... P non diventa necessariamente P... P’(P + p), e nella forma M’... M’ non è affatto visibile alcuna differenza di valore tra i due estremi. È dunque caratteristico della formula D... D’, da un lato, che il valore-capitale costituisce il punto di partenza e il valore-capitale valorizzato il punto di arrivo, cosicché l’anticipazione del valore-capitale appare come mezzo, il valore-capitale valorizzato come fine dell’intera operazione; dall’altro, che questo rapporto è espresso in forma di denaro, la forma autonoma di valore, perciò il capitale monetario come denaro generatore di denaro. La produzione di plusvalore mediante il valore non è espressa soltanto come alfa e omega del processo bensì esplicitamente nella forma luccicante del denaro.

4. Poiché D’, il capitale monetario realizzato come risultato di M’ — D’, della fase complementare e conclusiva di D — M, si trova assolutamente nella stessa forma in cui ha aperto il suo primo ciclo, esso può, quando ne esce, aprire nuovamente lo stesso ciclo come capitale monetario ingrandito (accumulato): D’ = D + d e comunque nella forma di D... D’ non è espresso che alla ripetizione del ciclo la circolazione di d si separi da quella di D. Esaminato nella sua figura unica, formalmente, il ciclo del capitale monetario esprime perciò soltanto il processo di valorizzazione e di accumulazione. Il consumo vi è espresso solo come consumo produttivo mediante D — M(L + Pm), questo solo è incluso in questo ciclo del capitale individuale. D — L è L — D o M — D da parte del lavoratore; è dunque la prima fase della circolazione che media il suo consumo individuale: L — D — M (mezzi di sussistenza). La seconda fase D — M non cade più nel ciclo del capitale individuale; ma è da esso introdotta, da esso presupposta, perché il lavoratore, per trovarsi sempre sul mercato come materia sfruttabile da parte del capitalista, deve prima di tutto vivere, deve quindi conservarsi mediante il consumo individuale. Ma questo stesso consumo è qui presupposto soltanto come condizione del consumo produttivo della forza-lavoro mediante il capitale, quindi anche soltanto in quanto il lavoratore mediante il suo consumo individuale si conserva e si riproduce come forza-lavoro. Ma i Pm, le vere e proprie merci che entrano nel ciclo, costituiscono soltanto materia di alimentazione del consumo produttivo. L’atto L — D media il consumo individuale del lavoratore, trasformazione dei mezzi di sussistenza in sua carne e sangue. Naturalmente, deve esserci anche il capitalista, cioè anch’egli deve vivere e consumare per operare come capitalista. A tale scopo, in realtà, egli avrebbe bisogno soltanto di consumare come lavoratore, e perciò in questa forma del processo di circolazione non è presupposto di più. Anzi, nemmeno questo è espresso formalmente, poiché la formula termina con D’, cioè con un risultato che può subito avere di nuovo funzione di capitale monetario ingrandito.

In M’ — D’ è direttamente contenuta la vendita di M’; ma M’ — D’ da una parte, vendita, è dall’altra D — M, compera, e in definitiva la merce viene comperata solo a cagione del suo valore d’uso per entrare (prescindendo dalle vendite intermedie) nel processo di consumo, sia questo individuale o produttivo, a seconda della natura dell’articolo comperato. Ma questo consumo non entra nel ciclo del capitale individuale, di cui M’ è il prodotto; questo prodotto viene espulso dal ciclo appunto come merce- da vendere. M’ è destinato espressamente ad un consumo estraneo. Troviamo perciò presso interpreti del sistema mercantile (alla base del quale sta la formula D — M... P... M’ — D’) lunghissime prediche sul fatto che il singolo capitalista deve consumare solo come lavoratore, del pari la nazione capitalista deve rimettere alle altre nazioni più stupide il consumo delle sue merci e in generale il processo del consumo, mentre deve fare del consumo produttivo il proprio compito di vita. Queste prediche ricordano spesso, per forma e contenuto, analoghe ascetiche esortazioni dei Padri della Chiesa.

Il processo ciclico del capitale è dunque unità di circolazione e produzione, esso include ambedue. In quanto le due fasi D — M e M’ — D’ sono processi della circolazione, la circolazione del capi tale fa parte della circolazione generale delle merci. Ma in quanto esse sono sezioni funzionalmente determinate, stadi nel ciclo del capitale, che non appartiene soltanto alla sfera della circolazione ma anche alla sfera della produzione, il capitale compie entro la circolazione generale delle merci un suo proprio ciclo. Nel primo stadio, la circolazione generale delle merci gli serve ad assumere la figura in cui esso può aver funzione di capitale produttivo; nel secondo, a respingere la forma di merce, nella quale non può rinnovare il suo ciclo; e contemporaneamente ad offrirgli la possibilità di separare il  proprio ciclo di capitale dalla circolazione del plusvalore cresciuto con esso.

Il ciclo del capitale monetario è perciò la forma fenomenica più unilaterale, quindi più evidente e caratteristica del ciclo del capitale industriale, il cui scopo e motivo conduttore, la valorizzazione del valore, il far denaro e l’accumulazione, si presenta in modo che balza agli occhi (comprare per rivendere più caro). Poiché la prima fase è D — M, è posto anche in rilievo che le parti costitutive del capitale produttivo provengono dal mercato delle merci, come in generale che il processo capitalistico di produzione è condizionato dalla circolazione, dal commercio. Il ciclo del capitale monetario non è soltanto produzione di merci; esso stesso si effettua sol tanto mediante la circolazione, la presuppone. Ciò è già insito nel fatto che la forma D appartenente alla circolazione appare come prima e pura forma del valore-capitale anticipato, mentre questo non accade nelle altre due forme cicliche.

Il ciclo del capitale monetario in tanto rimane sempre l’espressione generale del capitale industriale, in quanto implica sempre valorizzazione del valore anticipato. In P... P l’espressione monetaria del capitale emerge solo come prezzo degli elementi di produzione, dunque solo come valore espresso in moneta di conto, ed in questa forma è fissato nella contabilità.

D... D’ diventa forma particolare del ciclo del capitale industriale, quando il capitale, che entra in scena ex novo, viene prima anticipato come denaro e nella stessa forma ritirato, sia nel passaggio da una branca ad un’altra sia nel ritiro del capitale industriale dall’impresa. Ciò implica la funzione di capitale del plusvalore inizialmente anticipato in forma di denaro, ed emerge nel modo più evidente quando questo opera in un’impresa diversa da quella da cui proviene. D... D’ può essere il primo ciclo di un capitale: può essere l’ultimo; può valere come forma del capitale sociale complessivo; è la forma del capitale che viene investito ex novo, sia come capitale accumulato ex novo in forma di denaro, sia come capitale vecchio che viene interamente trasformato in denaro per essere trasferito da un ramo all’altro della produzione.

Come forma compresa sempre in tutti i cicli, il capitale monetario compie questo ciclo proprio per la parte di capitale che produce il plusvalore, il capitale variabile. La forma normale dell’anticipo del salario è il pagamento in denaro; questo processo deve essere sempre rinnovato in termini piuttosto brevi, perché l’operaio vive alla giornata. Perciò il capitalista deve sempre contrapporsi all’operaio come capitalista monetario, e il suo capitale come capitale monetario. Qui non può aver luogo, come nella compera dei mezzi di produzione e nella vendita delle merci produttive, una compensazione diretta o indiretta (cosicché la parte maggiore del capitale monetario figuri di fatto solo in forma di merci, il denaro solo nella forma della moneta di conto e infine in contanti solo per il saldo dei conti). D’altro lato, una parte del plusvalore che scaturisce dal capitale variabile viene spesa dal capitalista per il suo consumo privato, che appartiene al commercio al minuto, e che, qualunque sia la strada, viene sempre spesa in contanti nella forma di denaro del plusvalore. Sia questa parte del plusvalore grande o piccola, ciò non cambia nulla. Il capitale variabile riappare continuamente come capitale monetario investito nel salario
(D — L) e d come plusvalore che viene speso per provvedere ai bisogni privati del capitalista. Dunque D, come valore-capitale variabile anticipato, e d come suo incremento, vengono ambedue necessariamente mantenuti in forma di denaro per essere spesi sotto tale forma.

La formula D — M... P... M’ — D’, con il risultato D’ = D + d, racchiude nella sua forma un inganno, reca un carattere illusorio, che scaturisce dalla presenza del valore anticipato e valorizzato nella sua forma di equivalente, il denaro. L’accento non poggia sulla valorizzazione del valore, ma sulla forma di denaro di questo processo, sul fatto che alla fine viene ritirato dalla circolazione più valore in forma di denaro di quanto non fosse in essa originariamente anticipato, dunque sull’aumento della massa di oro e di argento appartenente al capitalista. Il cosiddetto sistema monetario è puramente espressione della forma empirica D — M — D’, di un movimento che avviene esclusivamente nella circolazione e può dunque spiegare i due atti

1) D — M,

2) M — D’,

solo con ciò, che M nel secondo atto viene venduto al di sopra del suo valore, perciò sottrae alla circolazione più denaro di quanto sia stato immesso in essa con il suo acquisto. Viceversa, D — M... P... M’ — D’, fissato come forma esclusiva, sta alla base del sistema mercantile più sviluppato, nel quale non soltanto la circolazione delle merci ma anche la produzione delle merci appare come elemento necessario.

Il carattere illusorio di D — M... P... M’ — D’ e la relativa illusoria interpretazione appaiono non appena questa forma venga fissata come unica, non come forma che si evolve e si rinnova sempre, quindi non appena essa venga considerata non come una delle forme del ciclo, bensì come la sua esclusiva. In verità essa stessa rimanda ad altre forme.

In primo luogo, questo intero ciclo presuppone il carattere capitalistico del processo di produzione stesso, e perciò presuppone come base questo processo di produzione insieme alle specifiche con dizioni della società da esso determinate.
D — M = D — M
(L + Pm); ma D — L presuppone l’operaio salariato, e perciò i mezzi di produzione come parte del capitale produttivo, perciò presuppone il processo di lavoro e di valorizzazione, il processo di produzione, già come funzione del capitale.

In secondo luogo: se D... D’ viene ripetuto, il ritorno alla forma di denaro appare altrettanto transitorio quanto la forma di denaro nel primo stadio. D — M scompare per far posto a P. La continua rianticipazione in denaro, come il suo continuo ritorno come denaro, appaiono essi stessi soltanto come momenti che si dissolvono nel ciclo.

In terzo luogo:

D — M... P... M’ — D’. D — M... P... M’ — D’. D — M... P... ecc.

D — M... P... M’ — D’. D — M... P... M’ — D’. D — M... P... ecc.

D — M... P... M’ — D’. D — M... P... M’ — D’. D — M... P... ecc.

Già alla seconda ripetizione del ciclo, il ciclo P... M’ — D’. D — M... P compare prima che sia compiuto il secondo ciclo di D, e tutti i cicli susseguenti possono così essere considerati sotto la forma P... M’ — D — M... P, cosicché D — M come prima fase del primo ciclo costituisce unicamente la transitoria preparazione del ciclo del capitale produttivo che sempre si ripete, come in realtà avviene per un capitale industriale per la prima volta investito in forma di capitale monetario.

D’altro lato, prima che sia compiuto il secondo ciclo di P, è percorso il primo ciclo M’ — D’. D — M... P... M’ (abbreviato M’... M’), il ciclo del capitale-merce. Così la prima forma contiene già le altre due, e così la forma di denaro, in quanto non è mera espressione di valore ma espressione di valore nella forma di equivalente, in denaro, scompare.

Infine: se prendiamo un singolo capitale che fa la sua prima apparizione, che descrive per la prima volta il ciclo D — M... P... M’ — D’, D — M è la fase di preparazione, precorritrice del primo processo di produzione che questo singolo capitale compie. Per ciò questa fase D — M non è presupposta, ma è piuttosto posta o condizionata dal processo di produzione. Ma ciò vale soltanto per questo singolo capitale. Forma generale del ciclo del capitale industriale è il ciclo del capitale monetario, in quanto è presupposto il modo capitalistico di produzione, dunque entro condizioni della società determinate dalla produzione capitalistica. Il processo capitalistico di produzione è quindi presupposto come un prius, se non nel primo ciclo del capitale monetario di un capitale industriale per la prima volta investito, almeno fuori di esso; la presenza continua di questo processo di produzione presuppone il ciclo continua mente rinnovato dì P... P. Entro il primo stadio
D — M
(L + Pm)  questo stesso presupposto compare già, da una parte, in quanto ciò presuppone l’esistenza della classe degli operai salariati; dall’altra, in quanto ciò che per il compratore dei mezzi di produzione è primo stadio, D — M, è M’ — D’ per il loro venditore, quindi presuppone in M’ il capitale-merce, con ciò la merce stessa come risultato della produzione capitalistica, e perciò la funzione del capitale produttivo.

NOTE


[1] Dal Ms II

[2] Da qui innanzi Ms VII, iniziato il 2 luglio 1878

[3] Fin qui manoscritto VII; di qui innanzi manoscritto VI.

[4] Fin qui manoscritto VI; di qui innanzi manoscritto V.

[5] Ciò vale in qualunque maniera dividiamo valore-capitale e plusvalore. In 10.000 qli di filo ci sono
1.560 q.li = 18.720 € di plusvalore, ma in 1 qle di filo = 12 €, ci sono parimenti 15,6 kg = 1,872 € di plusvalore

[6] CIUPROV, Geleznodoroznoie khoziaistvo, Mosca, 1875, pp. 69-70.