IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE IV

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE RELATIVO

CAPITOLO 13

MACCHINE E GRANDE INDUSTRIA

1. SVILUPPO DEL MACCHINARIO.

John Stuart Mill dice nei suoi  Principi d’economia politica: «È dubbio se tutte le invenzioni meccaniche fatte finora abbiano alleviato la fatica quotidiana d’un qualsiasi essere umano»[86]. Ma questo non è neppure lo scopo del macchinario, quando è usato capitalisticamente. Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, il macchinario ha il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l’operaio usa per se stesso, per prolungare quell’altra parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista e un mezzo per la produzione di plusvalore.

Nella manifattura la rivoluzione del modo di produzione prende come punto di partenza la forza-lavoro; nella grande industria, il mezzo di lavoro. Occorre dunque indagare in primo luogo in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano. Qui si tratta soltanto di grandi tratti caratteristici generali, poichè né le epoche della geologia né quelle della storia della Società possono esser divise da linee divisorie astrattamente rigorose.

I matematici e i meccanici — e qua e là qualche economista inglese ripete la cosa — dichiarano che lo strumento di lavoro è una macchina semplice e che la macchina è uno strumento composto: in ciò non vedono nessuna differenza sostanziale, e chiamano macchine perfino le potenze meccaniche elementari, come la leva, il piano inclinato, la vite, il cuneo, ecc.[87] Di fatto tutte le macchine consistono di quelle potenze elementari, qual ne sia il travestimento e la combinazione. Tuttavia dal punto di vista economico la spiegazione non vale niente, perchè vi manca l’elemento storico. Da un’altra parte, la distinzione fra strumento e macchina viene cercata nel fatto che nello strumento la forza motrice è l’uomo, nella macchina una forza naturale differente dall’uomo: ad esempio, animali, acqua, vento, ecc.[88]. Da questo punto di vista, l’aratro tirato dai buoi, che appartiene alle più differenti epoche della produzione, sarebbe una macchina, e il circular loom (Telaio circolare) del Claussen, che, mosso dalla mano di un solo operaio, esegue novanta- seimila maglie al minuto, sarebbe un semplice strumento. Anzi lo stesso loom sarebbe strumento, se mosso a mano, e macchina, se mosso a vapore. Poichè l’uso della forza animale è una delle più antiche invenzioni dell’umanità, la produzione a macchina precederebbe di fatto quella artigianale. Quando John Wyatt nel 1735 annunciò la sua macchina per filare, e con essa la rivoluzione industriale del secolo XVIII, non accennò neppure con una parola che la macchina non fosse mossa da un uomo ma da un asino; tuttavia questa parte toccò all’asino. Il programma del Wyatt suonava: una macchina « per filare senza dita»[89].

Ogni macchinario sviluppato consiste di tre parti sostanzialmente differenti, macchina motrice, meccanismo di trasmissione, e infine macchina utensile o macchina operatrice. La macchina motrice opera come forza motrice di tutto il meccanismo. Essa o genera la propria forza motrice, come la macchina a vapore, la macchina ad aria calda, la macchina elettromagnetica, ecc., oppure riceve l’impulso da una forza naturale esterna, già esistente, come la ruota ad acqua dalla caduta d’acqua, l’ala d’un mulino a vento dal vento, ecc. Il meccanismo di trasmissione composto di volanti, alberi di trasmissione, ruote dentate, pulegge, assi, corde, cinghie, congegni e apparecchi di ogni genere, regola il movimento, ne cambia, quand’è necessario, la forma, per esempio, da perpendicolare in circolare, lo distribuisce e lo trasmette alle macchine utensili. Queste due parti del meccanismo esistono solo allo scopo di comunicare alla macchina utensile il moto per il quale essa afferra e trasforma come richiesto l’oggetto del lavoro. Da questa parte del macchinario, dalla macchina utensile, prende le mosse la rivoluzione industriale del secolo XVIII; ed essa costituisce ancora sempre di nuovo il punto di partenza tutte le volte che una industria artigianale o manifatturiera trapassa in industria meccanica.

Se ora consideriamo più da vicino la macchina utensile o macchina operatrice vera e propria, vediamo ripresentarsi, tutto sommato, se pure spesso in forma assai modificata, gli apparecchi e gli strumenti coi quali lavorano l’artigiano e l’operaio manifatturiero; ora però non più come strumenti dell’uomo, ma come strumenti d’un meccanismo o strumenti meccanici. O è tutta la macchina che si riduce a una edizione meccanica, più o meno modificata, del vecchio strumento del mestiere artigiano, come nel telaio meccanico[90]; oppure gli organi operanti applicati allo scheletro della macchina operatrice sono vecchie conoscenze, come i fusi nella filatrice meccanica, come gli aghi nel telaio del calzettaio, le lame dentate nella segheria meccanica, i coltelli nella triturazione meccanica, ecc. La differenza fra questi strumenti e il corpo della macchina operatrice in senso proprio risale alla loro nascita. Infatti essi vengono ancor oggi prodotti per la maggior parte da lavoro di tipo artigiano o manifatturiero, e solo in seguito vengono fissati al corpo della macchina operatrice, che è prodotto a macchina[91]. Dunque la macchina utensile è un meccanismo il quale, dopo che gli sia stato comunicato il moto corrispondente, compie con i suoi strumenti le stesse operazioni che prima erano eseguite con analoghi strumenti dall’operaio. Ora, la sostanza della cosa non cambia, sia che la forza motrice provenga dall’uomo, sia che provenga anch’essa a sua volta da una macchina. Dopo che lo strumento in senso proprio è stato trasmesso dall’uomo ad un meccanismo, al puro e semplice strumento subentra una macchina. Anche se l’uomo stesso rimane ancora primo motore, la differenza balza subito agli occhi. Il numero di strumenti di lavoro coi quali l’uomo può operare contemporaneamente è limitato dal numero dei suoi strumenti naturali di produzione, cioè dei suoi organi corporei. In Germania s’era provato, prima a far muovere due filatrici a ruota da un solo filatore, cioè di farlo lavorare contemporaneamente con le due mani e i due piedi: ciò era troppo faticoso; poi s’inventò una filatrice a pedale con due fusi, ma i virtuosi della filatura che riuscissero a filare due fili allo stesso tempo erano rari quasi quanto gli uomini con due teste. Invece la jenny ha filato fin da principio con dodici fino a diciotto fusi, il telaio da calzettaio ammaglia con molte migliaia di aghi per volta, ecc. Da bel principio il numero degli strumenti coi quali la stessa macchina utensile lavora simultaneamente è emancipato dal limite organico che restringe l’uso dello strumento artigiano da parte dell’operaio.

La distinzione fra l’uomo come pura e semplice forza motrice e l’uomo come operaio che manovra il vero e proprio operatore, possiede una esistenza tangibilmente particolare in molti strumenti artigiani. Per esempio, nel filatoio a mulinello il piede opera soltanto come forza motrice, mentre la mano che lavora al fuso, trae e torce, compie la vera e propria operazione della filatura. La rivoluzione industriale s’impadronisce per prima proprio di quest’ultima parte dello strumento artigiano lasciando all’uomo, oltre al nuovo lavoro consistente nel sorvegliare con l’occhio la macchina e nel correggerne con la mano gli errori, ancora in un primo momento, la funzione puramente meccanica di forza motrice. Invece gli strumenti pei quali l’uomo agisce fin da principio soltanto come semplice forza motrice, come per esempio nel girare il manubrio d’una macina[92], nel pompare, nell’alzare ed abbassare le braccia d’un mantice, nel pestare in un mortaio, provocano certo per primi l’uso di animali, dell’acqua e del vento[93] come forze che danno movimento. In parte entro il periodo manifatturiero, e sporadicamente già molto prima di esso, questi strumenti si stirano fino a diventare macchine, ma non rivoluzionano il modo di produzione. Nel periodo della grande industria si vede che anche nella loro forma di tipo artigianale essi sono già macchine. Per esempio le pompe, con le quali gli olandesi prosciugarono nel 1836-37 il lago di Hariem, erano costruite secondo il principio delle pompe comuni; solo che, invece di braccia umane, erano ciclopiche macchine a vapore a muovere i pistoni. In Inghilterra il mantice comune e molto imperfetto del magnano viene ancora a volte trasformato in pompa pneumatica meccanica per mezzo del semplice collegamento del suo braccio con una macchina a vapore. La stessa macchina a vapore, come è stata inventata alla fine del secolo XVII durante il periodo della mani fattura e come ha continuato ad esistere fino al principio del decennio 1780-1790[94], non, ha provocato nessuna rivoluzione industriale. È stato piuttosto il fenomeno inverso, la creazione delle macchine utensili, che ha reso necessario rivoluzionare la macchina a vapore. Appena l’uomo agisce ormai soltanto come forza motrice di una macchina utensile invece di agire con il suo strumento sull’oggetto del lavoro, il travestimento della forza motrice in muscoli umani diventa un fatto casuale, e al suo posto può subentrare il vento, l’acqua, il vapore, ecc.

Ciò non esclude naturalmente che tale cambiamento non richieda spesso grandi modificazioni tecniche del meccanismo originariamente costruito per la sola forza motrice umana. Oggi tutte le macchine che debbono ancora cominciare a farsi strada, come le macchine per cucire, le macchine per impastare il pane, ecc., vengono costruite contemporaneamente per forza motrice umana e per forza motrice puramente meccanica quando non escludano fin da principio, per la loro stessa destinazione, d’esser costruite su piccola scala.

La macchina, dalla quale prende ‘e mosse la rivoluzione industriale, sostituisce l’operaio che maneggia un singolo strumento con un meccanismo che opera in un sol tratto con una massa degli stessi strumenti o di strumenti analoghi, e che viene mosso da una forza motrice unica, qualsiasi possa esserne la forma[95]. Ecco la macchina, ma per il momento solo come elemento semplice della produzione di tipo meccanico.

L’ampliamento del volume della macchina operatrice e del numero dei suoi strumenti che operano contemporaneamente, richiede una macchina motrice più massiccia, e questa richiede a sua volta, per vincere la propria resistenza, una forza motrice più potente di quella umana, astraendo dal fatto che l’uomo è un imperfettissimo strumento di produzione di moto uniforme e continuo. Presupponendo che l’uomo agisca ormai soltanto come semplice forza motrice, e che quindi al posto del suo strumento sia subentrata una macchina utensile, ci sono forze naturali che lo possono sostituire anche come forza motrice. Di tutte le grandi forze motrici tramandate dal periodo della manifattura la peggiore era quella del cavallo, in parte perchè il cavallo ha la testa, a modo suo, in parte perchè è caro e può essere usato nelle fabbriche solo in misura limitata[96]. Tuttavia il cavallo è stato spesso usato durante l’infanzia della grande industria, come ci attesta già, oltre le lamentele degli agronomi di quell’epoca, l’uso tramandato fino a noi di esprimere la forza meccanica in « cavalli ». Il vento era troppo incostante e incontrollabile; inoltre l’applicazione della forza idraulica predominava già durante il periodo della manifattura in Inghilterra, paese di nascita della grande industria.

Già nel secolo XVII s’era tentato di mettere in movimento due cilindri e con essi due macine con una sola ruota a pale, ma allora l’accresciuto volume del meccanismo di trasmissione entrò in conflitto con l’insufficiente forza dell’acqua: e questa è una delle circostanze che spinsero a una indagine più precisa sulle leggi dell’attrito. Così pure l’azione irregolare della forza motrice nei mulini che venivano messi in moto per percussione e trazione di batacchi ha condotto alla teoria e all’applicazione del volano[97] che in seguito avrà una funzione così importante nella grande industria. A questo modo il periodo della manifattura ha sviluppato i primi elementi scientifici e tecnici della grande industria. La filatrice throstle dell’Arkwright è stata mossa ad acqua fin da principio. Però anche l’uso della forza idrica come forza motrice dominante era legato a circostanze che Io rendevano difficile: la forza idrica non poteva essere aumentata a piacere, non si poteva rimediare alla sua insufficienza, a volte veniva a mancare, e soprattutto era di natura prettamente locale[98]. Soltanto con la seconda macchina a vapore del Watt, quella detta a doppio effetto, era stato trovato un primo motore che generasse da sè la propria forza motrice alimentandosi di acqua e carbone, la cui potenzialità fosse completamente sotto controllo umano, che fosse insieme mobile e mezzo di locomozione, urbano e non rurale come la ruota ad acqua, che permettesse quindi di concentrare la produzione nelle città, invece di disseminarla per le campagne come avviene con la ruota ad acqua[99]; universale nella sua applicazione tecnologica, e relativamente poco vincolato da circostanze locali nella scelta della sede. Il gran genio del Watt si rivela nella specificazione della patente che prese nell’aprile del 1784, dove la sua macchina a vapore non viene descritta come una invenzione a scopi particolari, ma come agente generale della grande industria. Egli vi accenna a varie applicazioni, parecchie delle quali, come per esempio il maglio a vapore, furono introdotte soltanto più di mezzo secolo dopo. Tuttavia egli dubitava dell’applicabilità della macchina a vapore alla navigazione marittima. I suoi successori, Boulton & Watt, esposero alla Esposizione industriale di Londra del 1851 la più colossale macchina a vapore per Ocean steamers (Vapori transoceanici).

Dunque, appena gli strumenti furono trasformati da strumenti dell’organismo umano in strumenti di un congegno meccanico, cioè della macchina utensile, anche la macchina motrice ricevette una forma indipendente, completamente emancipata dai limiti della forza umana. Così la singola macchina utensile che finora abbiamo preso in considerazione, s’abbassa a semplice elemento della produzione meccanica. Ormai una sola macchina, motrice può far muovere contemporaneamente molte macchine operatrici. Col crescere del numero delle macchine operatrici mosse contemporaneamente da essa, cresce anche la macchina motrice, e il meccanismo di trasmissione s’estende anch’esso, diventando un vasto apparecchio.

Ora occorre far distinzione fra due cose: la cooperazione di molte macchine omogenee e il sistema di macchine.

Nel primo caso l’intero manufatto è eseguito dalla stessa macchina operatrice, la quale . compie tutte le differenti operazioni che prima eseguiva un artigiano col suo strumento, per es. il tessitore col suo telaio, o che eseguivano vari artigiani, l’uno dopo l’altro, con differenti strumenti, sia in maniera indipendente sia come membra di una manifattura[100]. Per esempio, nella manifattura moderna delle buste da lettera, un operaio piegava la carta con la stecca, un altro dava la gomma, un altro spiegava il risvolto sul quale viene impressa la marca, un quarto imprimeva la marca a rilievo, ecc.; e ad ognuna di queste operazioni la busta doveva cambiar di mano. Una sola macchina da buste esegue d’un colpo solo tutte queste operazioni e fa. tremila e più buste all’ora. Una macchina americana per la fabbricazione di sacchetti di carta esposta alla Esposizione industriale di Londra del 1862 taglia la carta, ingomma, piega e finisce trecento pezzi al minuto. Il processo complessivo che nella manifattura era diviso ed eseguito da una serie di operazioni successive, qui viene compiuto da una sola macchina operatrice, che agisce mediante la combinazione di strumenti differenti. Ora, che una di queste macchine operatrici sia soltanto la rinascita meccanica di un solo strumento artigiano piuttosto complicato, o che sia combinazione di strumenti semplici differenti che abbiano acquistato nella manifattura carattere particolare, nella fabbrica, cioè nell’officina fondata sull’uso delle macchine, si ripresenta ogni volta la cooperazione semplice, e precisamente in un primo momento (qui prescindiamo dall’operaio) come agglomeramento di macchine operatrici omogenee e operanti insieme contemporaneamente in un solo luogo. Così una fabbrica di tessuti è costituita dalla giustapposizione di molti telai meccanici, una fabbrica di cuciti dalla giustapposizione di molte macchine per cucire nello stesso edificio da lavoro. Ma qui esiste una unità tecnica in quanto le molte macchine operatrici omogenee ricevono il moto contemporaneamente e uniformemente dal pulsare del primo motore a tutte comune, trasmesso loro dal meccanismo di trasmissione, che è anch’esso comune a tutte in parte, poichè da esso si distaccano solo diramazioni particolari per ciascuna singola macchina utensile. Proprio come molti strumenti costituiscono gli organi di una sola macchina operatrice, ormai molte macchine operatrici costituiscono soltanto organi omogenei dello stesso meccanismo motore.

Tuttavia un vero e proprio sistema di macchine subentra alla singola macchina indipendente solo laddove l’oggetto del lavoro percorre una serie continua di processi graduali differenti, eseguiti da una catena di macchine utensili eterogenee, ma che si integrano reciprocamente. Qui si ripresenta la cooperazione mediante divisione del lavoro, peculiare della manifattura: ma ora si presenta come combinazione di macchine operatrici parziali. Gli strumenti specifici dei differenti operai parziali, per esempio nella manifattura della lana, del battilana, del pettinatore, del tosatore, del filatore ecc., si trasformano qui in strumenti di macchine operatrici specificate, ognuna delle quali costituisce un organo parti colare d’una funzione particolare nel sistema del macchinario utensile combinato. Tutto sommato, è la manifattura stessa a fornire al sistema delle macchine il fondamento spontaneo e naturale della divisione e quindi della organizzazione del processo di produzione, in quelle branche che per prime vedono l’introduzione del sistema delle macchine[101]. Ma subentra subito una differenza sostanziale. Nella mani fattura sono operai, isolati o a gruppi, che devono eseguire col loro strumento ogni particolare processo parziale. L’operaio viene appropriato al processo, ma prima il processo era stato adattato all’operaio. Questo principio soggettivo della divisione del lavoro scompare nella produzione meccanica. Qui il processo complessivo viene considerato oggettivamente in sè e per sè, viene analizzato nelle sue fasi costitutive, e il problema di eseguire ciascun processo parziale e di collegare i diversi processi parziali viene risolto per mezzo dell’applicazione tecnica della meccanica, della chimica, ecc.[102]; anche qui è ovvio che la concezione teorica dev’essere come sempre perfezionata con l’esperienza pratica accumulata su grande scala. Ogni macchina parziale fornisce la materia prima alla prima macchina che segue nella serie; e poichè operano tutte contemporaneamente, il prodotto si trova sempre nei diversi gradi del suo processo di formazione, come è costantemente in transizione da una fase all’altra della produzione. Come nella manifattura la cooperazione immediata degli operai parziali crea determinate proporzioni numeriche fra i particolari gruppi di operai, cosi nel sistema organico delle macchine, il fatto che le macchine parziali si tengono occupate costantemente e reciprocamente, crea una determinata proporzione fra il loro numero, il loro volume e la loro velocità. La macchina operatrice combinata che ora è un sistema articolato di singole macchine operatrici eterogenee e di gruppi di esse, è tanto più perfetta quanto più è continuativo il suo processo complessivo, cioè quanto meno interruzioni si hanno nel passaggio della materia prima dalla prima all’ultima fase, e dunque quanto più è il meccanismo, invece della mano dell’uomo, a mo! trarla da una fase all’altra della produzione. Nella manifattura l’isola mento dei processi particolari è un principio che vien dato dalla stessa divisione del lavoro; invece nella fabbrica sviluppata domina la continuità dei processi particolari.

Un sistema di macchine, sia che poggi sulla semplice cooperazione di macchine operatrici omogenee, come nella tessitura, sia che poggi su una combinazione di macchine eterogenee, come nella filatura, costituisce, in sè e per sè, un solo grande automa, appena venga mosso da un primo motore semovente Pero può darsi che il sistema complessivo sia mosso, per esempio, dalla macchina a vapore, sebbene, o singole macchine utensili abbisognino ancora dell’operaio per certi movimenti, — come il movimento necessario per avviare la mule, prima dell’introduzione della selfacting mule (mule automatica), e ancor sempre nella filatura fine — o invece determinate parti della macchina debbono essere dirette, come uno strumento, dall’operaio, affinché la macchina possa compiere il suo lavoro, come avveniva nella fabbricazione delle macchine, prima che lo slide-rest (un congegno del tornio - portautensili scorrevole a sdrucciolo; slitta) divenisse automatico. Appena la macchina operatrice compie senza assistenza umana tutti i movimenti necessari per la lavorazione della materia prima, ed ha ormai bisogno soltanto dell’uomo a cose fatte, abbiamo un sistema automatico di macchine, che però è sempre suscettibile di elaborazione nei particolari. Così sono invenzioni modernissime l’apparecchio che ferma da solo la fìlatrice meccanica appena si spezza un solo filo, e il self-acting stop che ferma il telaio a vapore perfezionato appena al rocchetto della spola manca il filo della trama. La fabbrica moderna di carta può valere come esempio tanto per la continuità della produzione quanto per l’attuazione del principio della automaticità. In genere nella produzione della carta si può studiare vantaggiosamente e nei particolari la distinzione fra i differenti modi di produzione che si hanno in base ai differenti mezzi di produzione, come pure il nesso fra i rapporti sociali di produzione e quei modi di produzione: infatti la più antica arte cartaria tedesca ci fornisce i campioni della produzione di tipo artigianale in questa branca; l’Olanda del secolo XVII e la Francia del XVIII, ci danno i campioni della manifattura in senso proprio, e l’Inghilterra moderna ci dà campioni della fabbricazione automatica: inoltre in Cina e in India esistono ancora due antiche forme asiatiche, differenti, della stessa industria.

Un sistema articolato di macchine operatrici che ricevono il movimento da un meccanismo automatico centrale soltanto mediante il macchinario di trasmissione, costituisce la forma più sviluppata della produzione a macchina. Quivi alla singola macchina subentra un mostro meccanico, che riempie del suo corpo interi edifici di fabbriche, e la cui forza demoniaca, dapprima nascosta dal movimento quasi solennemente misurato delle sue membra gigantesche, esplode poi nella folle e febbrile danza turbinosa dei suoi innumerevoli organi di lai in senso proprio.

Le mules, le macchine a vapore, ecc., ci sono state prima che ci fossero operai la cui occupazione esclusiva fosse quella di fare macchine a vapore, mules, ecc., proprio come l’uomo ha portato vesti prima che ci fossero i sarti. Tuttavia le invenzioni del Vaucanson, dell’Arkwright, del Watt, ecc., poterono essere effettuate soltanto perchè quegli inventori trovarono una notevole quantità di abili operai meccanici fornita bell’e pronta dal periodo manifatturiero. Una parte di questi operai consisteva di artigiani indipendenti di professioni differenti, un’altra parte era riunita in manifatture dove, com’è stato accennato prima, la divisione del lavoro imperava con particolare rigore. Con l’aumentare delle invenzioni e con la crescente richiesta di macchine di nuova invenzione, s’è sviluppata sempre più, da una parte, la suddivisione della fabbricazione delle macchine in molteplici branche indipendenti, dall’altra, la divisione del lavoro all’interno delle mani fatture di macchine. Dunque qui nella manifattura vediamo il fonda mento tecnico immediato della grande industria. La manifattura ha prodotto il macchinario per mezzo del quale la grande industria ha eliminato la conduzione di tipo artigianale e manifatturiero nelle prime sfere della produzione delle quali s’è impadronita. Così l’industria meccanica è sorta naturalmente e spontaneamente su una base materiale inadeguata; ad un certo grado di sviluppo ha dovuto rovesciare questa sua base che da principio s’era trovata bell’e fatta e che poi aveva continuato ad elaborare nell’antica forma, e s’è dovuta creare una nuova base, corrispondente al proprio modo di produzione. La sin gola macchina è rimasta minuscola finché è stata mossa solo da uomini; il sistema delle macchine non si è potuto sviluppare liberamente prima che la macchina a vapore subentrasse alle forze motrici presenti in natura, animali, vento, e anche acqua: allo stesso modo la grande industria è rimasta paralizzata in tutto il suo sviluppo finché il suo caratteristico mezzo di produzione, la macchina stessa, è rimasta debitrice della propria esistenza a forze personali e ad abilità personali, dipendendo dunque dallo sviluppo muscolare, dall’acutezza dell’occhio e dal virtuosismo della mano del lavoratore parziale nella manifattura e dell’artigiano fuori di essa, nel manovrare il loro minuscolo strumento. Prescindiamo dal fatto che a causa di questa origine le macchine costavano più care, — circostanza che domina il capitale come motivo consapevole, —: ma a quel modo l’espansione dell’industria che già funzionava meccanicamente e la penetrazione delle macchine in nuovi rami di produzione rimanevano legate assoluta mente alla condizione che crescesse una categoria di operai, la quale però poteva essere accresciuta solo gradualmente e non d’un balzo, a causa della natura semiartistica del suo lavoro. Ma a un certo grado del suo sviluppo la grande industria entrò, anche tecnicamente, in conflitto con il suo sostrato artigianale e manifatturiero. L’estensione del volume delle macchine motrici, del meccanismo di trasmissione e delle macchine utensili; una maggior complessità e varietà e una più rigorosa regolarità delle sue parti costitutive, a misura che la macchina utensile si emancipava dal modello artigianale che originariamente ne domina la struttura, e riceveva una forma libèra, determinata soltanto dal suo compitò meccanico[103] la elaborazione del sistema automatico e il fatto che divenisse sempre più inevitabile l’uso di materiale di difficile lavorazione — per esempio ferro invece di legno —: la soluzione di tutti questi problemi che sorgevano spontaneamente urtava dappertutto contro i limiti delle persone, limiti che perfino il personale operaio combinato nella manifattura infrange solo per il grado, non per la sostanza. Per esempio, macchine come la pressa tipografica moderna, il telaio moderno a vapore, e la cardatrice meccanica moderna, non potevano essere fornite dalla manifattura.

La rivoluzione del modo di produzione in una sfera dell’industria porta con sè la rivoluzione del modo di produzione nelle altre sfere. Questo vale in primo luogo per quelle branche dell’industria che sono sì isolate a causa della divisione sociale del lavoro, cosicchè ognuna di esse produce una merce indipendente, ma tuttavia s’intrecciano l’una con l’altra come fasi d’un processo complessivo. Così la filatura meccanica rese necessaria la tessitura meccanica, e l’una e l’altra insieme resero necessaria la rivoluzione chimico-meccanica della candeggiatura, della tintura e della stampatura dei tessuti. Così d’altra parte la rivoluzione nella filatura del cotone rese necessaria l’invenzione del gin (congegno del cotone, ossia battitoio mondatore; sgranatrice del cotone) per la separazione delle fibre del cotone dal seme, con il che divenne possibile finalmente la produzione su larga scala com’è ora richiesta[104]. La rivoluzione nel modo di produzione dell’industria e dell’agricoltura rese necessaria, in ispecie, anche una rivoluzione nelle condizioni generali del processo sociale di produzione, cioè nei mezzi di comunicazione e di trasporto. Come i mezzi di comunicazione e di trasporto di una società il cui pivot, per servirmi d’una espressione del Fourier, erano la piccola agricoltura con la sua industria domestica ausiliaria e l’artigianato urbano, non potevano più soddisfare affatto le necessità produttive del periodo manifatturiero con la sua divisione allargata del lavoro sociale, la sua concentrazione di mezzi di lavoro e operai, e i suoi mercati coloniali, e quindi vennero di fatto rovesciati; così i mezzi di comunicazione e di trasporto tra mandati dal periodo della manifattura si trasformarono presto in impacci insopportabili per la grande industria, con la sua febbrile velocità di produzione, con la sua produzione su vastissima scala, con il costante lancio di grandi masse di capitale e di operai da una sfera all’altra della produzione e coi nuovi nessi da essa creati sul mercato mondiale. Prescindiamo dalla costruzione delle navi a vela, messa del tutto sottosopra: il sistema delle comunicazioni e dei tra sporti è stato quindi adattato a poco a poco, con un sistema di battelli a vapore fluviali, ferrovie, battelli a vapore transoceanici e tele grafi, al modo di produzione della grande industria. Ma le terribili masse di ferro che ora si trattava di fucinare, saldare, tagliare, forare, modellare, esigevano a loro volta macchine ciclopiche che la fabbricazione manifatturiera delle macchine non era in grado di creare.

Quindi la grande industria dovette impadronirsi del proprio caratteristico mezzo di produzione, la macchina stessa e produrre macchine mediante macchine. Solo a questo modo essa creò il proprio sostrato tecnico adeguato e cominciò a muoversi da sola. Di fatto, col crescere della industria meccanica nei primi decenni del secolo XIX, le macchine s’impadronirono a poco a poco della fabbricazione delle macchine utensili. Tuttavia soltanto durante gli ultimi decenni le enormi costruzioni di ferrovie e la navigazione a vapore transoceanica hanno dato vita alle ciclopiche macchine adoperate per la costruzione dei primi motori.

La condizione di produzione più importante per la fabbricazione di macchine mediante macchine era una macchina motrice capace di ogni potenzialità di forza, eppure allo stesso tempo completamente controllabile. Questa macchina esisteva già; era la macchina a vapore. Ma si trattava anche di produrre meccanicamente le rigorose forme geometriche necessarie per le singole parti delle macchine, retta, piano, circolo, cilindro, cono e sfera. Questo problema fu risolto da Henry Maudsley nel primo decennio del secolo XIX, con l’invenzione dello slide-rest, che presto fu reso automatico e in forma modificata fu trasferito dal tornio, al quale era stato prima destinato, ad altre macchine da costruzione. Questo congegno meccanico non sostituisce un qualunque strumento particolare, ma la stessa mano umana, la quale produce una forma determinata tenendo, adattando, dirigendo il filo di strumenti da taglio ecc, contro o sopra il materiale da lavoro, Come per esempio ferro. Così si riuscì a produrre le forme geometriche delle singole parti delle macchine « con un grado di facilità, precisione e rapidità che nessuna esperienza accumulata avrebbe potuto dare alla mano del più abile operaio»[105].

Se ora consideriamo quella parte del macchinario adoprata nella costruzione delle macchine, che costituisce la vera e propria macchina utensile, vediamo riapparire lo strumento artigiano, ma di volume ciclopico. L’operatore del trapano meccanico, per esempio, è un immane succhiello mosso da una macchina a vapore, senza il quale non potrebbero essere prodotti, viceversa, i cilindri delle grandi macchine a vapore e quelli delle grandi presse idrauliche. Il tornio meccanico è la rinascita ciclopica del comune tornio a pedale; la piallatrice meccanica è un falegname di ferro che lavora sul ferro con gli stessi strumenti del falegname che lavora sul legno; lo strumento che nei cantieri navali di Londra taglia le lastre che ricoprono l’ossatura delle navi, è un rasoio gigantesco; lo strumento della trancia che taglia il ferro come le forbici del sarto tagliano il panno, è una cesoia mostruosa; il maglio a vapore opera come una comune testa di martello, ma di tal peso che lo stesso Thor non potrebbe brandirlo[106]. Per esempio, uno di questi magli a vapore, che sono una invenzione del Nasmyth, pesa più di sei tonnellate e precipita con una caduta perpendicolare di sette piedi su una incudine del peso di trentasei tonnellate: polverizza un blocco di granito come per giuoco, ed è anche capace di piantare un chiodo in un pezzo di legno dolce con una successione di colpi lievissimi[107].

Come macchinario, il mezzo di lavoro viene ad avere un modo di esistenza materiale che porta con sè la sostituzione della forza dell’uomo con forze naturali e della routine derivata dall’esperienza con la applicazione consapevole delle scienze della natura. Nella manifattura l’articolazione del processo lavorativo sociale è puramente soggettiva, è una combinazione di operai parziali; nel sistema delle macchine la grande industria possiede un organismo di produzione del tutto oggettivo, che l’operaio trova davanti a sè, come condizione materiale di produzione già pronta. Nella cooperazione semplice e anche in quella specificata mediante la divisione del lavoro, la soppressione dell’operaio isolato da parte dell’operaio socializzato appare ancor sempre più o meno casuale. Il macchinario, con alcune eccezioni che ricorderemo più avanti, funziona soltanto in mano al lavoro immediatamente socializzato, ossia al lavoro in comune. Ora il carattere cooperativo del processo lavorativo diviene dunque necessità tecnica imposta dalla natura del mezzo di lavoro stesso.

2. TRASMISSIONE DI VALORE DALLE MACCHINE AL PRODOTTO.

S’è visto che le forze produttive derivanti dalla cooperazione e dalla divisione del lavoro non costano nulla al capitale. Sono forze naturali del lavoro sociale. Neppure le forze naturali, le quali, come il vapore, come l’acqua, ecc. vengono appropriate ai processi produttivi, costano nulla. Ma l’uomo, abbisogna d’una «fattura di mano umana» ( F. SCHILLER, La campana) per poter consumare produttivamente le forze naturali allo stesso modo che abbisogna d’un polmone per respirare. Per sfruttare la forza motrice dell’acqua è necessaria una ruota a pale; . necessaria una macchina a vapore per sfruttare i elasticità del vapore Come avviene per le forze naturali, cosi per la scienza Una volta scoperta, la legge della deviazione dell’ago magnetico nel campo d’una corrente elettrica, o quella della magnetizzazione del ferro attorno al quale circoli una corrente elettrica, non costa un quattrino[108]. Ma per sfruttare tali leggi per la telegrafia, ecc, occorre un apparecchio di grandi dimensioni e costosissimo. Lo strumento non viene soppiantato dalla macchina, come abbiamo visto, da minuscolo strumento dell’organismo umano, lo strumento si estende, in volume e in numero, a strumento d’un meccanismo creato dall’uomo. Ora il capitale fa lavorare l’operaio non più con uno strumento artigiano, ma con una macchina che maneggia essa stessa i suoi strumenti. Se quindi è evidente a prima vista che la grande industria deve aumentare straordinariamente la produttività del lavoro incorporando nel pro cesso produttivo enormi forze naturali e le scienze fisiche, non è affatto altrettanto evidente che la produttività così accresciuta non viene acquistata con un aumentato dispendio di lavoro dall’altro lato. Come ogni altra parte costitutiva del capitale costante, le macchi ne non creano valore, ma cedono il loro proprio valore al prodotto, alla produzione del quale esse servono. In quanto hanno valore e quindi trasferiscono valore nel prodotto, esse formano una parte costitutiva del valore del prodotto stesso. Invece di ridurlo più buon a mercato, lo rincarano in proporzione del proprio valore. Ed è un fatto tangibile che la macchina e il macchinario sistematicamente sviluppato, che sono il mezzo di lavoro caratteristico della grande industria, si gonfiano sproporzionatamente di valore in confronto ai mezzi di lavoro dell’industria artigiana e manifatturiera.

Dobbiamo ora cominciare osservando che le macchine entrano sempre interamente nel processo di lavoro ed entrano sempre solo parzialmente nel processo di valorizzazione. Non aggiungono mai più valore di quanto non perdano in media per il loro logorio. Si verifica quindi una grande differenza fra il valore della macchina e la parte di valore da essa periodicamente trasferita nel prodotto: si verifica una gran differenza fra la macchina come elemento costitutivo del valore e la macchina come elemento costitutivo del prodotto. Quanto più grande è il periodo durante il quale le stesse macchine tornano a servire ripetutamente nello stesso processo lavorativo, tanto più grande è quella differenza. Certo, abbiamo visto che ciascun mezzo di lavoro in senso proprio, ossia strumento di produzione, trapassa sempre interamente nel processo lavorativo, e sempre solo parzialmente nel processo di valorizzazione, in proporzione al suo logorio giornaliero medio. Tuttavia tale differenza fra uso e logora- mento è molto maggiore nelle macchine che nello strumento, perchè le macchine, costruite di materiale più durevole, vivono più a lungo; perché il loro uso, regolato da leggi rigorosamente scientifiche, rende possibile maggiore economia nello spendere le loro parti costitutive e i loro mezzi di consumo; ed infine perché il loro campo di produzione è, senza alcuna proporzione, maggiore di quello dello strumento. Se deduciamo dalle une e dall’altro, dalle macchine e dallo strumento, i loro costi medi giornalieri, ossia quella parte costitutiva del valore ch’essi aggiungono al prodotto con l’usura media giornaliera e con il consumo di materie ausiliarie come olio, carbone, ecc., dobbiamo dire ch’esse operano gratuitamente proprio come forze naturali esistenti senza intervento di lavoro umano. Quanto maggiore è il volume dell’effetto produttivo delle macchine di fronte a quello dello strumento, tanto maggiore è il volume del loro servizio gratuito in confronto a quello dello strumento. Solo nella grande industria l’uomo impara a fare operare su larga scala, come una forza naturale, gratuitamente, il prodotto del suo lavoro passato e già oggettivato[109].

Quando abbiamo esaminato la cooperazione e la manifattura è risultato che determinate condizioni generali della produzione, come edifici, ecc., vengono economizzate per mezzo del consumo in comune, in confronto con la dispersione delle condizioni della produzione di operai isolati, e che quindi rincarano meno il prodotto. Nel caso delle macchine, non è soltanto il corpo d’una sola macchina operatrice a esser usato dai suoi molti strumenti; ma è anche la stessa macchina motrice assieme a una parte del meccanismo di trasmissione ad esser consumata in comune da molte macchine operatrici.

Data la differenza fra il valore delle macchine e la parte di valore trasmessa nel loro prodotto giornaliero, il grado del rincaro apportato al prodotto da questa parte di valore, dipende in primo luogo dal volume del prodotto, quasi di potrebbe dire, dalla sua superficie. Il signor Baynes di Blackburn, in una conferenza pubblicata nel 1857, stima che « ogni forza cavallo meccanica reale109a muove quattrocentocinquanta fusi di mule automatica assieme ai congegni preparatori oppure, duecento fusi di throstle o quindici telai per 40 inch cloth (panno alto quaranta pollici) assieme ai congegni per tirar l’ordito, per lisciare, ecc. ». I costi giornalieri di un cavallo vapore e il logorio delle macchine ch’esso mette in movimento si distribuiscono, dunque, nel primo caso sul prodotto giornaliero di quattrocentocinquanta fusi di mule, nel secondo caso su quello di duecento fusi di throstle, nel terzo su quello di quindici telai meccanici: cosicchè qui con questa distribuzione su un’oncia di refe o su un braccio di tessuto vien trasmessa solo una minuscola parte di valore. Lo stesso vale per l’esempio sopra ricordato del maglio a vapore. Poichè il suo logorio giornaliero, il consumo di carbone, ecc., si distribuiscono sulle enormi masse di ferro ch’esso martella giornalmente, ogni quintale di ferro si porta via solo una parte esigua di valore; parte che sarebbe grandissima se quello strumento ciclopico dovesse piantare dei chiodini.

Data la sfera d’azione della macchina operatrice, ossia il numero dei suoi utensili, o, quando si tratti di forza, il volume di questa, la massa dei prodotti dipenderà dalla velocità con la quale la opera, dunque, per esempio dalla velocità con la quale gira il fuso, o dal numero di colpi che il martello distribuisce in un minuto. Parecchi di quei magli colossali danno settanta colpi al minuto; la fucinatrice patentata del Ryder, che applica martelli a vapore di dimensioni minori per fucinare fusi, ne dà settecento al minuto.

Data la proporzione nella quale le macchine trasferiscono valore nel prodotto, la grandezza di questa parte del valore dipende dalla grandezza di valore delle macchine stesse[110]. Tanto meno lavoro esse contengono, tanto minor valore aggiungono al prodotto; tanto meno valore esse cedono, tanto più sono produttive e tanto più il servizio che fanno s’avvicina a quello delle forze naturali. Ma la produzione di macchine per mezzo di macchine ne diminuisce il valore proporzionalmente alla loro estensione ed efficacia.

Una analisi comparativa dei prezzi di alcune merci prodotte artigianalmente o con lavoro di tipo manifatturiero coi prezzi delle Stesse merci come prodotto delle macchine dà in generale il risultato che nel prodotto delle macchine la parte costitutiva del valore dovuta al mezzo di lavoro cresce relativamente, ma diminuisce in assoluto. Vale a dire: la sua grandezza assoluta diminuisce, ma cresce la sua grandezza in rapporto al valore complessivo del prodotto, per esempio di una libbra di refe[111].

È evidente che quando la produzione di una macchina costa tanto lavoro, quanto il suo uso ne risparmia, ha luogo un semplice spostamento del lavoro, e che dunque la somma complessiva del lavoro richiesto per la produzione d’una merce non è diminuita, ossia è evidente che la forza produttiva del lavoro non è aumentata. Tuttavia la differenza fra il lavoro che una macchina costa e il lavoro ch’essa fa risparmiare, ossia il grado della sua produttività, non dipende, evidentemente, dalla differenza fra il valore proprio della macchina stessa e il valore dello strumento da essa sostituito. La differenza permane finché i costi di lavorazione della macchina e quindi la parte costitutiva del valore da essa aggiunta al prodotto rimangono inferiori al valore che l’operaio aggiungerebbe col suo strumento all’oggetto del lavoro. La produttività della macchina si misura quindi con il grado nel quale la macchina sostituisce la forza- lavoro umana. Secondo il signor Baynes, si hanno due operai e mezzo per quattrocentocinquanta fusi di mule, con tutto il loro macchinario, mossi dalla forza di un cavallo vapore[112]; e con ogni self-acting mule spindle vengono filate in una giornata lavorativa di dieci ore tredici once di refe (di numero medio), dunque trecentosessantacinque libbre di refe e cinque ottavi alla settimana, da due operai e mezzo. Circa trecentosessantasei libbre di cotone (per semplicità prescindiamo dal cascame) assorbono dunque nella trasformazione in refe, soltanto centocinquanta ore lavorative, ossia quindici giornate lavorative di dieci ore, mentre con la filatrice a pedale, se il filatore a mano fornisce tredici once di refe in sessanta ore, la stessa quantità di cotone assorbirebbe duemilasettecento giornate lavorative di dieci ore, ossia ventisettemila ore di lavoro[113]. Dove il vecchio metodo del blockprinting ossia della stampatura a mano delle cotonine è stato sostituito con la stampatura a macchina, una sola macchina assistita da un uomo o da un ragazzo dà in un’ora tanta cotonina stampata a vari colori quanta prima ne davano duecento uomini[114]. Prima che Eli Whitney inventasse nel 1793 il cotton gin, la separazione d’una libbra di cotone dai semi costava una giornata lavorativa media. In seguito alla sua invenzione, si sono potute ottenere giornalmente cento libbre di cotone col lavoro d’una sola negra; più tardi, l’efficacia del gin è stata ancor molto aumentata. Una libbra di fibre di cotone, che prima era prodotta a cinquanta cents, viene dopo l’invenzione venduta a dieci cents, e con profitto maggiore, cioè inclusa maggior quantità di lavoro non pagato. Per la separazione del seme dalle fibre in India si adopera uno strumento semimeccanico, la churka, col quale un uomo e una donna puliscono ventotto libbre al giorno. Con la churka inventata alcuni anni fa dal dott. Forbes un uomo e un ragazzo producono duecentocinquanta libbre al giorno; dove il bue, il vapore o l’acqua vengono usati come forze motrici, si richiedono soltanto pochi ragazzi e ragazze come feeders (che alimentano la macchina con la materia prima). Sedici di queste macchine, mosse da buoi, compiono al giorno quel che prima era l’opera giornaliera media di settecentocinquanta persone[115].

Come s’è già ricordato, la macchina a vapore, nell’aratro a vapore compie in un’ora e per tre pence, ossia per un quarto di scellino, il lavoro di sessantasei uomini a quindici scellini l’ora. Ritorno su questo esempio per correggere un’idea erronea. Infatti i quindici scellini non sono affatto l’espressione del lavoro aggiunto durante un’ora dai sessantasei uomini. Se la proporzione fra pluslavoro e lavoro necessario era del cento per cento, questi sessantasei operai producevano un valore di trenta scellini all’ora benché per gli operai stessi soltanto trentatre ore si rappresentassero. in un equivalente per essi, cioè nel salario lavorativo di quindici scellini. Posto dunque che una macchina costi quanto il salario annuo di centocinquanta operai da essa soppiantati, diciamo tremila lire sterline, queste tremila lire sterline non sono affatto l’espressione in denaro del lavoro fornito da centocinquanta operai e aggiunto all’oggetto del lavoro, ma sono soltanto l’espressione di quella parte del loro lavoro annuale che si rappresenta in salario lavorativo per gli operai stessi. Invece, il valore in denaro della macchina da tremila sterline esprime tutto il lavoro speso durante la sua produzione, qualunque sia la proporzione in cui quel lavoro costituisca per l’operaio salario e plusvalore per il capitalista. Se dunque la macchina costa quanto la forza-lavoro da essa sostituita, il lavoro in essa macchina oggettivato è sempre molto minore del lavoro vivente da essa sostituito[116].

Considerata la macchina esclusivamente mezzo per ridurre più a buon mercato il prodotto, il limite dell’uso delle macchine è dato dal fatto che la loro produzione costi meno lavoro di quanto il loro uso ne sostituisca. Ma per il capitale questo limite trova un’espressione ancora più ristretta. Poichè il capitale non paga il lavoro adoperato, ma il valore della forza-lavoro usata, per esso l’uso delle macchine è limitato dalla differenza fra il valore della macchina e il valore della forza-lavoro da essa sostituita. Poichè la suddivisione della giornata lavorativa in lavoro necessario e in pluslavoro è differente a seconda dei paesi, ed è anche differente nello stesso paese in periodi differenti o durante lo stesso periodo in differenti rami d’industria, poichè inoltre il salario reale dell’operaio ora scende al di sotto ora sale al di sopra del valore della sua forza-lavoro, la differenza fra il prezzo delle macchine e il prezzo della forza-lavoro che da esse deve essere sostituita può variare molto, anche identica rimanendo la differenza fra la quantità di lavoro necessaria per la produzione della macchina, e la quantità complessiva del lavoro da essa sostituito116a. Però, per il capitalista stesso, è solo la prima differenza quella che determina i costi di produzione della merce, e che influisce su di lui mediante le leggi coercitive della concorrenza. Quindi si inventano oggi in Inghilterra macchine che vengono adoperate solo nell’America del Nord, come la Germania inventava nei secoli XVI e XVII macchine che solo l’Olanda adoperava, e come parecchie invenzioni francesi del secolo XVIII vennero sfruttate solo in Inghilterra. Nei paesi di più antico sviluppo la macchina stessa produce, per il suo uso in alcune branche d’industria, tale sovrabbondanza di lavoro (redundancy of labour, dice il Ricardo) in altre branche che la caduta dei salario al disotto del valore della forza- lavoro impedisce l’uso delle macchine, e lo rende superfluo e spesso impossibile dal punto di vista del capitale, il guadagno del quale proviene di per sè dalla diminuzione non del lavoro adoprato ma da quella del lavoro pagato. Durante gli ultimi anni il lavoro dei fanciulli è molto diminuito in alcune branche della manifattura laniera inglese, e qua e là è stato quasi soppiantato. Perchè? L’Atto sulle fabbriche rendeva necessarie due squadre di fanciulli una delle quali doveva lavorare sei ore, l’altra quattro, oppure ognuna solo cinque. Ma i genitori non volevano vendere gli half-timers (lavoratori a mezza giornata) più a buon mercato dei full-timers (lavoratori a piena giornata) di prima. Quindi si ebbe la sostituzione degli haif-fimers con le macchine[117]. Prima del divieto del lavoro delle donne e dei fanciulli (al di sotto dei dieci anni) nelle miniere, il capi tale trovava che il metodo di utilizzare donne e ragazze nude, spesso legate con uomini, nelle miniere di carbone ed altre miniere, concordava così bene con il suo codice morale e in specie col suo libro mastro, che si rifece alle macchine soltanto dopo quel divieto. Gli yankees hanno inventato macchine spaccapietre. Gli inglesi non le adoperano, perchè al miserabile (“wretch” è termine tecnico dell’economia politica inglese per il lavoratore agricolo) che compie questo lavoro vien pagata una parte così piccola del suo lavoro, che le macchine rincarerebbero la produzione per il capitalista[118]. In qualche occasione in Inghilterra vengono ancora impiegate donne invece di cavalli per rimorchiare ecc. le barche dei canali[119], perchè il lavoro richiesto per la produzione dei cavalli e delle macchine è una quantità matematica data, e invece quello per il mantenimento delle donne della sovrappopolazione è al disotto di ogni calcolo. Quindi in nessun’altra parte del mondo si trova una prodigalità di forza umana per bagattelle, più svergognata di quella che si trova per l’appunto in Inghilterra, il paese delle macchine.

3. EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA SULL’OPERAIO.

La rivoluzione del mezzo di lavoro costituisce, come si è visto, il punto dal quale prende le mosse la grande industria; e il mezzo di lavoro rivoluzionato viene ad avere la sua figura più sviluppata nel sistema organizzato delle macchine nella fabbrica. Prima di vedere da vicino come a questo organismo obiettivo venga incorporato materiale umano, esaminiamo alcuni effetti generali coi quali quella rivoluzione reagisce sull’operaio stesso.

a) Appropriazione di forze-lavoro addizionali da parte del capitale. Lavoro delle donne e dei fanciulli.

In quanto le macchine permettono di fare a meno della forza muscolare, esse diventano il mezzo per adoperare operai senza forza muscolare o di sviluppo fisico immaturo, ma di membra più flessibili.

Quindi lavoro delle donne e dei fanciulli è stata la prima parola dell’uso capitalistico delle macchine!

Questo potente surrogato del lavoro e degli operai si è così trasformato subito in un mezzo per aumentare il numero degli operai salariati irreggimentando sotto l’imperio immediato del capitale tutti i membri della famiglia operaia, senza differenza di sesso e di età. Il lavoro coatto a vantaggio del capitalista ha usurpato non solo il posto dei giuochi fanciulleschi, ma anche quello del libero lavoro nella cerchia domestica, entro limiti morali, a vantaggio della famiglia stessa[120].

Il valore della forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto individuale, ma anche da quello necessario per il mantenimento della famiglia dell’operaio. Le macchine, gettando sul mercato del lavoro tutti i membri della famiglia operaia, distribuiscono su tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo, e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto della famiglia frazionata per esempio in quattro forze-lavoro costa forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora quattro giornate lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma plus lavoro. Così le macchine allargano fin dal principio anche il grado di sfruttamento, assieme al materiale umano da sfruttamento che è il più proprio campo di sfruttamento del capitale[121].

Le macchine rivoluzionano dalle fondamenta la mediazione formale del rapporto capitalistico, cioè il contratto fra operaio e capitalista.

Finché si rimase sul fondamento dello scambio di merci, il primo presupposto era che il capitalista e l’operaio stessero di fronte l’uno all’altro come persone libere, come possessori di merci, indipendenti, l’uno possessore di denaro e di mezzi di produzione, l’altro possessore di forza-lavoro. Ma ora il capitale acquista dei minorenni o dei semimaggiorenni. Prima l’operaio vendeva la propria forza - lavoro della quale disponeva come persona libera formalmente. Ora vende moglie e figli. Diventa mercante di schiavi[122]. La richiesta di lavoro infantile rassomiglia spesso anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era avvezzi a leggerla nelle inserzioni dei giornali americani. Un ispettore di fabbrica inglese racconta per esempio: « La mia attenzione fu richiamata su un annuncio del giornale locale d’una delle più importanti città industriali del mio di stretto; ed eccone la trascrizione: «“Abbisognasi di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare per tredici anni. Salario, quattro scellini alla settimana. Rivolgersi ecc..”»[123]. La frase « di quel che può passare per tredici anni » si riferisce al fatto che, secondo il Factory Act, fanciulli al di sotto dei tredici anni possono lavorare soltanto sei ore. Un medico ufficialmente qualificato (certifying surgeon) deve attestare l’età. Dunque il fabbricante pretende dei ragazzi che abbiano l’aspetto di esser già tredicenni. Quella diminuzione talvolta saltuaria del numero dei fanciulli al di sotto dei tredici anni impiegati dai fabbricanti, che sorprende nelle statistiche inglesi degli ultimi venti anni, è stata in gran parte, a detta degli stessi ispettori di fabbrica, opera di certifying surgeons i quali spostavano l’età dei fanciulli in conformità della brama di sfruttamento dei capitalisti e del bisogno di sordido traffico dei genitori. Nel famigerato distretto londinese di Bethnal Green si tiene ogni lunedì e martedì mattina pubblico mercato dove i fanciulli di ambo i sessi, dai nove anni in su, si danno in affitto alle manifatture londinesi di seta. « Le condizioni abituali sono uno scellino e otto pence alla settimana (che appartengono ai genitori), e due pence per me, oltre il tè ». I contratti valgono solo per una settimana. Le scene e il linguaggio, mentre si svolge questo mercato, sono veramente rivoltanti[124]. In Inghilterra accade sempre ancora che delle donne prendano « dei ragazzi dalla workhouse (Casa di lavoro) e li affittino poi al primo acquirente che capita per due scellini e sei pence alla settimana»[125]. Nonostante la legislazione, ci sono ancora per lo meno duemila ragazzi in Gran Bretagna che sono venduti dai propri genitori come macchine viventi per spazzare i camini (benché esistano macchine per sostituirli)[126]. La rivoluzione operata dalle macchine nel rapporto giuridico fra compratore e venditore della forza-lavoro, tale che l’intera transazione perde perfino la parvenza di un contratto fra persone libere, offrì in seguito al parlamento inglese il pretesto giuridico per l’intervento dello Stato nelle fabbriche. Tutte le volte che la legge sulle fabbriche limita a sei ore il lavoro dei fanciulli in branche d’industria fino ad allora lasciate tranquille tornano a risuonare le lamentose grida dei fabbricanti: una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la «libertà del lavoro», ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono costretti a lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo più caro. Ma poichè il capitale è per natura un leveller ( Livellatore. Allusione al movimento puritano integrale con tendenze di Comunismo agrario nella rivoluzione di Cromwell), cioè pretende come proprio innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della produzione, la limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria diventa causa della stessa limitazione nell’altra.

Abbiamo già accennato in precedenza al deterioramento fisico dei fanciulli e degli adolescenti, come pure delle operaie, che le macchine assoggettano allo sfruttamento del capitale, prima direttamente nelle fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente, e poi indirettamente in tutte le altre branche dell’industria. Qui ci fermeremo quindi su un punto solo: la enorme mortalità tra i figli degli operai nei loro primi anni di vita. In Inghilterra si hanno sedici distretti di stato civile pei quali, come media annua, su centomila bambini viventi al di sotto di un anno si verificano solo novemila ottantacinque decessi (in un distretto solo settemila e quarantasette), in ventiquattro distretti, più di diecimila, ma meno di undicimila; in trentanove distretti, più di undicimila, ma meno di dodicimila, in quarantotto distretti più di dodicimila e meno di tredicimila, in ventidue distretti più di ventimila, in venticinque più di ventunmila, in diciassette più di ventiduemila, in undici più di ventitremila, a Hoo, Wolverhampton, Ashton-under-Lyne e Preston più di ventiquattromila, a Nottingham, Stockport e Bradford più di venticinquemila, a Wisbeach ventiseimila, e a Manchester ventiseimila e centoventicinque[127]. Come ha dimostrato un’inchiesta medica ufficiale nel 1861, gli alti indici di mortalità si devono, prescindendo dalle condizioni locali, prevalentemente all’occupazione extra domestica delle madri, donde deriva che i bambini sono trascurati, maltrattati, fra l’altro sono nutriti in modo inadatto, mancano di nutrizione, vengono riempiti di oppiacei, ecc.; al che si aggiunge l’innaturale estraneamento delle madri nei riguardi dei loro figli, con la conseguenza dell’affamamento e dell’avvelenamento intenzionale[128]. « Invece » in quei distretti agricoli « dove l’occupazione delle donne è minima, l’indice della mortalità è minimo»[129]. Però la commissione d’inchiesta del 1861 dette l’inatteso risultato che in alcuni distretti puramente agricoli sulle coste del Mare del Nord, l’indice della mortalità per bambini al di sotto di un anno raggiungeva quasi i più famigerati distretti industriali. Quindi il dott. Julian Hunter venne incaricato di indagare questo fenomeno direttamente sul luogo. La sua relazione è incorporata nel VI report on Public Health [130]. Fino ad allora si era supposto che fossero la malaria ed altre malattie peculiari dei distretti bassi e paludosi a decimare i bambini. L’inchiesta dette come risultato proprio il contrario, cioè che « la stessa causa che aveva cacciato la malaria, cioè la trasformazione del suolo, che prima era palude d’inverno e landa arida d’estate, in terreno fertile da frumento, aveva dato origine a quell’indice straordinario di mortalità dei lattanti»[131]. I settanta medici che esercitavano la professione in quei distretti e che furono interrogati dal dott. Hunter, erano «mirabilmente unanimi» su questo punto. Vale a dire, con la rivoluzione apportata nella coltivazione del terreno era stato introdotto il sistema industriale. « Donne sposate, che lavorano in bande assieme ad adolescenti e ragazze, vengono messe a disposizione del fittavolo, in cambio di una certa somma, da un uomo che è chiamato il “capobanda“, che affitta la banda in blocco. Queste bande vanno spesso lontano dai loro villaggi per molte miglia, e si possono incontrare la mattina e la sera sulle strade maestre, le donne vestite di corte sottovesti e sottane e stivali corrispondenti, talvolta in calzoni, molto robuste e sane d’aspetto, ma rovinate dalla scostumatezza abituale, e senza preoccupazioni per le conseguenze disastrose che la loro preferenza per questa vita attiva e indipendente porta ai loro rampolli che deperiscono a casa»[132]. Qui si ripetono tutti i fenomeni dei distretti industriali; l’infanticidio dissimulato e il trattamento dei bambini con gli oppiacei in grado anche più elevato[133].

Il dott. Simon, funzionario medico del Privy Council inglese e rédacteur en chef delle relazioni sulla « Public Health » dice: « La mia cognizione dei mali che essa genera deve spiegare il profondo orrore con cui considero ogni occupazione industriale su ampia scala delle donne adulte»[134]. E l’ispettore di fabbrica R. Baker esclama in una relazione ufficiale: «Sarà di fatto un giorno felice per i distretti manifatturieri d’Inghilterra quello in cui sarà vietato lavorare in qualsiasi fabbrica ad ogni donna sposata che abbia famiglia»[135].

L’atrofia morale che deriva dallo sfruttamento capitalistico del lavoro delle donne e dei fanciulli è stata esposta in maniera così esauriente da F. Engels nella sua Situazione della classe operaia in Inghilterra e da altri scrittori che qui basta farne menzione. Ma la desolazione intellettuale, prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, da tenersi ben distinta da quella ignoranza naturale e spontanea che tiene a maggese senza corromperne la capacità di sviluppo, cioè la stessa fecondità naturale, ha finito per costringere perfino il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare condizione obbligatoria per legge del consumo    « produttivo » di fanciulli al di sotto dei quattordici anni di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche. Lo spirito della produzione capitalistica traluce splendidamente dalla sciatta formulazione delle cosiddette clausole sull’istruzione delle leggi sulle fabbriche, dalla mancanza di un meccanismo amministrativo, la quale rende a sua volta in gran parte illusoria questa istruzione obbligatoria, dalla opposizione dei fabbricanti perfino contro quella legge sull’istruzione, e dai loro trucchi e sotterfugi pratici per eluderla. « Il biasimo va esclusivamente alla legislazione perchè ha emanato una legge illusoria (delusive law), la quale, sotto l’apparenza di curare l’educazione dei fanciulli, non contiene neppure una disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo che professa di avere. Non dispone nient’altro che questo: i fanciulli debbono venir chiusi per un determinato numero di ore (tre ore) al giorno fra le quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e colui che impiega il fanciullo deve ricevere ogni settimana un certificato attestante questo fatto da una persona che come maestro o maestra sottoscrive con il proprio nome»[136]. Prima che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non erano rari certificati di frequenza scolastica firmati con una croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere. «Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat (Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi. Tutto quel che riuscirono a ottenere fu che dopo il 1844 « le cifre del certificato scolastico dovevano essere scritte di mano del maestro, idem che il suo nome e cognome dovevano essere sottoscritti da lui stesso»[137]. Sir John Kincaid, ispettore di fabbrica per la Scozia, riferisce esperienze ufficiali analoghe: «La prima scuola che visitammo era tenuta da una certa Mrs. Ann Killin. Alla mia richiesta di compitare il suo nome, ella fece subito uno strafalcione, cominciando con la lettera C; ma si corresse subito dicendo che il suo nome cominciava per K. Però, esaminando la sua firma nei registri dei certificati scolastici, osservai che lo compitava ora in un modo ora in un altro, mentre la scrittura non lasciava dubbi sulla sua incapacità di insegnare; ammise inoltre essa stessa di non saper tenere il registro... In un’altra scuola trovai che l’aula era di quindici piedi per dieci, e vi contai settantacinque ragazzi, che cinguettavano qualcosa di incomprensibile»[138]. Tuttavia non sono soltanto questi miserabili luoghi a fornire ai bambini certificati di frequenza ma non istruzione, poichè in molte scuole dove c’è un maestro competente, i suoi sforzi falliscono quasi del tutto di fronte all’accozzaglia conturbante di fanciulli di ogni età, dai tre anni in su. Le sue entrate, che sono mi sere nel migliore dei casi, dipendono completamente dai pence ricevuti dal maggior numero di fanciulli che è possibile pigiare dentro una stanza. Si aggiunga lo scarso mobilio scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated) nella statistica ufficiale»[139]. In Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole sull’istruzione»[140]. Questo si vede in maniera orribile e grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i sei mesi che precedono immediata mente il primo giorno del suo impiego... Anche durante il suo impiego nella stamperia deve frequentare la scuola, sempre per un periodo di trenta giorni e di centocinquanta ore per ogni periodo di sei mesi... La scuola dev’essere frequentata fra le otto di mattina e le sei del pomeriggio. Nessun periodo di frequenza di meno di due ore e mezza o di più di cinque ore nello stesso giorno deve essere calcolato come parte delle centocinquanta ore. In circostanze ordinarie i fanciulli frequentano la scuola mattina e pomeriggio, cinque ore al giorno per trenta giorni; trascorsi i trenta giorni, quando è stata raggiunta la somma complessiva regolamentare di centocinquanta ore, quando, per dirla nel loro linguaggio, i ragazzi hanno sbrigato il registro, ritornano alla stamperia, dove rimangono per altri sei mesi, finché scade un’altra rata dell’obbligo scolastico, e poi rimangono di nuovo nella scuola finché non hanno di nuovo sbrigato il registro... Moltissimi ragazzi che hanno frequentato la scuola durante le prescritte centocinquanta ore, al ritorno dopo il soggiorno semestrale nella stamperia sono allo stesso punto di partenza di quando entrarono nella scuola... Hanno naturalmente perduto di nuovo tutto quel che avevano guadagnato nel primo periodo di scuola. In altre stamperie di cotone la frequenza scolastica viene fatta dipendere completamente dalle esigenze di lavoro della fabbrica Il numero di ore richiesto viene sbrigato, durante ogni semestre, con pagamenti rateali da tre a cinque ore per volta, disperse eventualmente per, sei mesi. Per esempio un giorno la scuola viene frequentata dalle otto alle undici di mattina, un altro giorno dall’una alle quattro del pomeriggio, e poi, dopo essere stato assente per una serie di giorni, il ragazzo ritorna all’improvviso dalle tre alle sei del pomeriggio; poi si presenta eventualmente per tre o quattro giorni di seguito, o per una settimana; torna a scomparire per tre settimane o per un mese intero e ritorna a Scuola in qualche giorno di scarto per qualche oretta libera, quando i suoi principali non hanno per caso bisogno di lui; e così il ragazzo vieti per così dire rimbalzato (buffeted) dalla scuola alla fabbrica, dalla fabbrica alla scuola, fino a che è stata raggiunta la somma di centocinquanta ore»[141]. Infine, con l’aggiunta di una quantità preponderante di fanciulli e di donne al personale di lavoro combinato, le macchine spezzano la resistenza che l’operaio maschio ancora Opponeva al dispotismo del capitale nella manifattura[142].

b) Prolungamento della giornata lavorativa.

Se le macchine sono il mezzo più potente per aumentare la produttività del lavoro ossia per accorciare il tempo di lavoro necessario alla produzione di una merce, in quanto depositarie del capitale esse diventano, da principio nelle industrie di cui si impadroniscono direttamente, il mezzo più potente per prolungare la giornata lavorativa al di là di ogni limite naturale. Esse creano da un lato condizioni nuove che mettono il capitale in grado di lasciar briglia sciolta a questa sua tendenza costante, dall’altro creano motivi nuovi per istigare la sua brama di lavoro altrui.

In un primo tempo nelle macchine il movimento e l’attività del mezzo di lavoro si rendono indipendenti di fronte all’operaio. In sè e per sè il mezzo di lavoro diventa un perpetuum mobile industriale che continuerebbe ininterrottamente a produrre, se non si imbattesse in determinati limiti naturali dei suoi aiutami umani: la loro debolezza fisica e la loro volontà a sè. Come capitale e in quanto tale la macchina automatica ha consapevolezza e volontà nel capitalista; il mezzo di lavoro è quindi animato dall’istinto di costringere al minimo di resistenza il limite naturale dell’uomo, riluttante ma elastico[143]. La resistenza è già di per sè diminuita dall’apparente facilità del lavoro alla macchina e dall’elemento femminile e infantile più docile e più malleabile[144].

La produttività delle macchine, come abbiamo visto, è inversamente proporzionale alla grandezza dell’elemento costitutivo del valore da esse trasmesso al manufatto. Quanto più è lungo il periodo durante il quale esse funzionano, tanto maggiore è la massa di prodotti su cui si distribuisce il valore da esse aggiunto, e tanto minore è la parte di valore che esse aggiungono alla merce singola. Ma il periodo attivo di vita delle macchine è determinato evidentemente dalla durata della giornata lavorativa, ossia dalla durata del processo lavorativo giornaliero moltiplicata per il numero delle giornate in cui esso si ripete.

Il logorio delle macchine non corrisponde affatto con esattezza matematica al tempo della loro utilizzazione. E anche con questo presupposto, una macchina che durante 7 anni e mezzo serve 16 ore al giorno, comprende un periodo di produzione della medesima grandezza e aggiunge al prodotto complessivo un valore non maggiore di quello aggiunto dalla stessa macchina che serve durante 15 anni solo 8 ore giornalmente. Nel primo caso però il valore della macchina sarebbe riprodotto con rapidità due volte maggiore che non nel secondo caso, e il capitalista avrebbe ingoiato per mezzo della macchina nel corso di 7 anni e mezzo la stessa quantità di pluslavoro che altrimenti in 15.

L’usura materiale della macchina è di duplice natura. C’è una usura che nasce dall’uso della macchina allo stesso modo che le monete si deteriorano con la circolazione; e un’altra che deriva dal rimanere la macchina inadoperata allo stesso modo che una spada inoperosa arrugginisce nella guaina. Questa è l’usura da parte degli elementi; quella della prima specie è più o meno in proporzione diretta dell’uso della macchina, la seconda è fino a un certo punto in proporzione inversa[145].

Ma oltre all’usura materiale la macchina sottostà anche a un’usura per così dire morale. Essa perde valore di scambio nella misura in cui macchine della stessa costruzione possono essere riprodotte più a buon mercato oppure nella misura in cui le arrivano accanto, facendole concorrenza, macchine migliori[146]. In entrambi i casi il suo valore, per quanto giovane e vitale essa possa essere ancora per il resto, non è più determinato dal tempo di lavoro realmente oggettivato in essa, ma dal tempo di lavoro necessario alla sua propria riproduzione o alla riproduzione della macchina migliore. Essa quindi è più o meno svalutata. Quanto più è breve il periodo entro il quale viene riprodotto il suo valore complessivo, tanto minore è il pericolo dell’usura morale, e quanto più lunga è la giornata lavorativa tanto più breve è quel periodo. Alla prima introduzione delle macchine in una branca qualsiasi della produzione, si susseguono uno all’altro metodi nuovi per la loro riproduzione più a buon mercato[147] e perfezionamenti che non s’impadroniscono solo di parti o apparecchi singoli ma di tutta la loro costruzione. Nel loro primo periodo di vita quindi questo motivo particolare di prolungare la giornata lavorativa agisce in modo acutissimo[148].

In circostanze per il resto invariate e con una giornata lavorativa data lo sfruttamento di un numero raddoppiato di operai richiede anche il raddoppiamento della parte del capitale costante spesa in macchine e in edifici come anche di quella spesa in materie prime, materie ausiliarie, ecc. Con il prolungamento della giornata lavorativa la scala della produzione si estende, mentre la parte di capitale spesa in macchine e in edifici rimane invariata[149]. Quindi non soltanto il plusvalore aumenta, ma diminuiscono le spese necessarie al suo sfruttamento. È vero che questo avviene più o meno anche in tutti i casi quando si prolunghi la giornata lavorativa, ma qui il fatto ha un peso più decisivo perchè la parte di capitale trasformata in mezzi di lavoro ha in genere qui maggior peso[150]. Infatti lo sviluppo dell’industria meccanica vincola una parte costitutiva del capitale sempre maggiore in una forma in cui da un lato è sempre valorizzabile, e dall’altro perde valore d’uso e valore di scambio non appena il suo contatto con il lavoro vivente venga interrotto. «Se», insegnava il signor Ashworth, magnate inglese del cotone, gi professore Nassau W. Senior, «se un lavorante agricolo depone la sua vanga, egli rende infruttifero per questo periodo, un capitale di 18 pence. Se uno dei nostri uomini (cioè degli operai della fabbrica) lascia la fabbrica, egli rende infruttifero un capitale che è costato 100.000 lire sterline»[151]. Si pensi! Un capitale che è costato 100.000 lire sterline, renderlo «infruttifero», foss’anche per un solo istante! Effettivamente è cosa che grida al cielo, che uno dei nostri uomini lasci mai in generale la fabbrica! L’aumento della diffusione delle macchine rende «desiderabile», come capisce il Senior ammaestrato dall’Ashworth, un prolungamento sempre crescente della giornata lavorativa[152].

La macchina produce plusvalore relativo non solo svalutando direttamente la forza-lavoro e riducendola più a buon mercato indirettamente, in quanto riduce più a buon mercato le merci che entrano nella sua riproduzione, ma anche trasformando, al momento della sua prima introduzione sporadica, il lavoro impiegato dal possessore della macchina in lavoro potenziato, aumentando il valore sociale del prodotto della macchina al di sopra del suo valore individuale e mettendo in tal modo il capitalista in grado di reintegrare il valore giornaliero della forza-lavoro con una parte minore di valore del pro dotto giornaliero. Durante questo periodo di transizione, in cui l’industria meccanica rimane una specie di monopolio, i profitti sono quindi straordinari, e il capitalista cerca di sfruttare più a fondo possibile « questo primo periodo del giovane amore» (F. SCHILLER, La campana.), prolungando il più possibile la giornata lavorativa. La mole del profitto istiga la brama di un profitto anche maggiore.

Con l’introduzione generale delle macchine in uno stesso ramo della produzione il valore sociale del prodotto delle macchine scende al suo valore individuale, e entra in azione la legge per la quale il plusvalore non deriva dalle forze-lavoro - sostituite dal capitalista con le macchine, bensì, viceversa, dalle forze-lavoro che egli impiega per il loro funzionamento. Il plusvalore nasce dalla parte variabile del capitale soltanto, e abbiamo visto che la massa del plusvalore è determinata da due fattori ossia dal saggio del plusvalore e dal numero degli operai impiegati simultaneamente Data la durata della giornata lavorativa, il saggio del plusvalore è determinato dalla proporzione in cui la giornata lavorativa si scinde in lavoro necessario e in plus lavoro. Il numero degli operai impiegati simultaneamente dipende a sua volta dalla proporzione in cui si trovano la parte variabile del capitale e quella costante. Ora è chiaro che l’industria meccanica, qualunque sia la misura in cui essa, mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro, estenda il pluslavoro a spese del lavoro necessario, raggiunge questo risultato solo diminuendo il numero degli operai impiegati da un dato capitale. Essa trasforma una parte del capitale, che prima era variabile ossia si trasformava in forza-lavoro viva, in macchinario, vale a dire in capitale costante che non produce plusvalore. È impossibile per esempio. spremere da due operai il plusvalore che si spreme da ventiquattro. Se ognuno dei ventiquattro operai fornisce su dodici ore solo un’ora di pluslavoro, insieme forniranno ventiquattro ore di pluslavoro, mentre il lavoro complessivo, dei due operai ammonta a sole ventiquattro ore. Nell’uso del macchinario per la produzione di plusvalore vi è quindi una contraddizione immanente, giacchè quest’uso ingrandisce uno dei due fattori del plusvalore che fornisce un capitale di una grandezza data ossia il saggio del plusvalore, soltanto diminuendo l’altro fattore, il numero degli operai. Questa contraddizione immanente si manifesta chiaramente non appena con l’introduzione generale del macchinario in un ramo dell’industria il valore della merce prodotta con le macchine diventa il valore sociale normativo di tutte le merci dello stesso genere, ed è questa contraddizione che spinge a sua volta il capitale, senza che esso ne sia cosciente[153], al più violento prolungamento della giornata lavorativa per compensare la diminuzione del numero relativo degli operai sfruttati mediante l’aumento non soltanto del pluslavoro relativo ma anche di quello assoluto.

Se quindi l’uso capitalistico del macchinario crea da un lato nuovi potenti motivi di un prolungamento smisurato della giornata lavorativa e rivoluziona il modo stesso di lavorare e anche il carattere del corpo lavorativo sociale in maniera tale da spezzare la resistenza a questa tendenza, dall’altro lato quest’uso produce anche, in parte con la assunzione al capitale di strati di lavoratori in passato inaccessibili, in parte con il disimpegno degli operai soppiantati dalla macchina, una popolazione operaia sovrabbondante[154], la quale è costretta a lasciarsi dettar legge dal capitale. Da ciò quello strano fenomeno della storia dell’industria moderna, che la macchina butta all’aria tutti i limiti morali e naturali della giornata lavorativa. Da ciò il paradosso economico che il mezzo più potente per l’accorcia- mento del tempo di lavoro si trasforma nel mezzo più infallibile per trasformare tutto il tempo della vita dell’operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale. «Se», sognava Aristotele, il più grande pensatore dell’antichità, «se ogni strumento potesse compiere su comando o anche per previsione l’opera ad esso spettante, allo stesso modo che gli artifici di Dedalo si muovevano da sè o i tripodi di Efesto di proprio impulso intraprendevano il loro sacro lavoro, se in questo stesso modo le spole dei tessitori tessessero da sè, il maestro d’arte non avrebbe bisogno dei suoi aiutanti e il padrone non avrebbe bisogno dei suoi schiavi»[155]. E Antipatro, poeta greco dell’epoca di Cicerone, salutò nell’invenzione del mulino ad acqua per la macinazione del grano, che è la forma elementare di ogni macchinario produttivo, la liberatrice delle schiave e la iniziatrice dell’età aurea[156]! «I pagani, già, i pagani»! Essi non capivano nulla né dell’economia politica né del cristianesimo, come ha scoperto il bravo Bastiat e ancor prima di lui aveva scoperto l’ancor più intelligente MacCulloch. Fra l’altro non capivano che la macchina è il mezzo più sicuro per prolungare la giornata lavorativa. Giustificavano, per esempio, la schiavitù dell’uno come mezzo per il pieno sviluppo umano dell’altro. Ma per predicare la schiavitù delle masse, per fare di alcuni parvenus rozzi o semi- colti degli «eminent spinners», «extensive sausage-makers» e «influential shoe-black dealers» (Eminenti filandieri, grandi fabbricanti di salsicce, influenti commercianti in lucido da scarpe ), mancava loro il bernoccolo specifico del cristianesimo.

c) Intensificazione del lavoro.

Il prolungamento smisurato della giornata lavorativa prodotto dal macchinario nelle mani del capitale, porta con sè in un secondo tempo, come abbiamo visto, una reazione della società minacciata nelle sue radici vitali e con ciò una giornata lavorativa normale limitata legalmente. Sulla base di quest’ultima giunge a uno sviluppo d’importanza decisiva un fenomeno da noi già prima incontrato: il fenomeno della intensificazione del lavoro. Nell’analisi del plusvalore assoluto si è trattato in un primo tempo della grandezza estensiva del lavoro, mentre il grado della sua intensità era presupposto come dato. Dobbiamo ora considerare la trasformazione della grandezza estensiva in grandezza di grado, ossia grandezza intensiva.

È ovvio che con il progresso del sistema meccanico e con la esperienza accumulata da una classe particolare di operai meccanici aumenti spontaneamente la velocità e con essa l’intensità del lavoro. In tal modo durante mezzo secolo il prolungamento della giornata lavorativa procede in Inghilterra di pari passo con la crescente intensità del lavoro di fabbrica. Ma si capisce che in un lavoro in cui non si tratta di parossismi passeggeri, ma di una uniformità regolare, ripetuta giorno per giorno, si deve giungere a un punto cruciale in cui l’estensione della giornata lavorativa e l’intensità del lavoro si escludano a vicenda cosicchè il prolungamento della giornata lavorativa resta compatibile solo con un grado più debole d’intensità del lavoro e, viceversa, un grado accresciuto di intensità resta compatibile solo con un accorciamento della giornata lavorativa. Appena la ribellione della classe operaia, a mano a mano più ampia, ebbe costretto lo Stato ad abbreviare con la forza il tempo di lavoro e a imporre anzitutto una giornata lavorativa normale alla fabbrica propriamente detta, da quel momento dunque in cui un aumento della produzione di plusvalore mediante il prolungamento della giornata lavorativa fu precluso una volta per tutte, il capitale si gettò a tutta forza e con piena consapevolezza sulla produzione di plusvalore relativo mediante un accelerato sviluppo del sistema delle macchine Allo stesso tempo subentra un cambiamento nel carattere del plus valore relativo. Generalmente il metodo di produzione del plusvalore relativo consiste nel mettere l’operaio in grado di produrre di più con lo stesso dispendio di lavoro e nello stesso tempo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro. Lo stesso tempo di lavoro aggiunge al prodotto complessivo lo stesso valore di prima, benché questo valore di scambio inalterato si rappresenti ora in più valori d’uso e benché quindi cali il valore della merce singola. Diversamente stanno però le cose non appena l’accorciamento forzato della giornata lavorativa, con l’enorme impulso che dà allo sviluppo della forza Produttiva e all’economizzazione delle condizioni di produzione, impone all’operaio un maggiore dispendio di lavoro in un tempo invariato, una tensione più alta della forza-lavoro, un più fitto riempimento dei pori del tempo di lavoro, cioè una condensazione del lavoro a un grado che si può raggiungere solo entro i limiti della giornata lavorativa accorciata. Questo comprimere una massa maggiore di lavoro entro un dato periodo di tempo conta ora per quello che è, cioè per una maggiore quantità di lavoro. A fianco della misura del tempo di lavoro quale «grandezza estesa» si presenta ora la misura del suo grado di condensazione[157]. Adesso, l’ora più intensa della giornata lavorativa di dieci ore contiene tanto lavoro ossia forza-lavoro spesa quanto l’ora più porosa della giornata lavorativa di dodici ore, o anche di più. Il suo prodotto ha quindi lo stesso valore o un valore maggiore di quello dell’ora e un quinto più porosi. Astraendo dall’accrescimento del plusvalore relativo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro, ora per esempio tre ore e un terzo di pluslavoro su sei e due terzi di lavoro necessario forniscono al capitalista la stessa massa di valore che fornivano prima quattro ore di pluslavoro su otto di lavoro necessario.

Resta a vedersi ora in che modo il lavoro venga intensificato.

Il primo effetto della giornata lavorativa accorciata poggia sulla legge ovvia che la capacità di azione della forza-lavoro è in proporzione inversa del tempo della sua azione. Entro certi limiti si guadagna quindi di grado nell’esplicazione di quella forza quel che va perduto nella sua durata. Ma a che l’operaio renda realmente liquida una maggiore forza-lavoro, provvede il capitale mediante il metodo del pagamento[158]. Nelle manifatture, nella ceramica ad esempio, in cui il macchinario non ha alcuna funzione o ha una funzione solo minima, l’introduzione della legge sulle fabbriche ha dimostrato in maniera lampante che il semplice accorciamento della giornata lavorativa aumenta in modo mirabile la regolarità, l’uniformità, l’ordine, la continuità e l’energia del lavoro[159]. Questo effetto sembrava tuttavia dubbio nella fabbrica vera e propria perchè quivi la dipendenza del l’operaio dal movimento continuato e uniforme della macchina aveva creato da lungo tempo una disciplina rigorosissima. Perciò, quando nel 1844 si discusse la riduzione della giornata lavorativa al di sotto delle 12 ore, i fabbricanti dichiararono quasi all’unanimità che «i loro sorveglianti controllavano nei diversi locali da lavoro a che le braccia non perdessero tempo», che ((il grado di vigilanza e di attenzione degli operai (the extent of vigilance and attention on the part of the workmen) era difficilmente suscettibile di aumento», e che invariate presupponendo tutte le altre circostanze come la velocità del macchinario, ecc., «era quindi un’assurdità nelle fabbriche condotte a dovere aspettarsi da un aumento dell’attenzione ecc. degli operai un qualsiasi risultato degno di nota»[160]. Questa affermazione fu confutata da esperimenti. Il signor R. Gardner fece lavorare dal 20 aprile 1844 in poi nelle sue due grandi fabbriche invece di dodici ore solo 11 al giorno. Dopo un anno circa si ebbe il risultato che ((la stessa quantità di prodotti era ottenuta agli stessi costi, e che tutti gli operai guadagnavano in 11 ore lo stesso salario guadagnato prima in 12»[161].

Tralascio qui gli esperimenti fatti nei locali dei filatori e dei cardatori, perchè furono legati ‘a un aumento nella velocità del macchinario (del 2%). Nel reparto tessitura invece, in cui per giunta venivano tessuti generi diversissimi di articoli di fantasia, leggeri, a figure, non si verificò alcun mutamento nelle condizioni obiettive di produzione. Il risultato fu: «Dal 6 gennaio al 20 aprile 1844, con una giornata lavorativa di dodici ore, salario settimanale medio di ogni operaio dieci scellini, un penny e mezzo, dal 20 aprile al 29 giugno 1844, con una giornata lavorativa di undici ore, salario settimanale medio dieci scellini e tre pence e mezzo»[162]. In questo caso in undici ore si produce- va più che prima in dodici ed esclusivamente per una maggiore applicazione uniforme degli operai e per l’economia del loro tempo. Mentre essi ricevevano lo stesso salario e guadagnavano un’ora di tempo libero, il capitalista riceveva la stessa massa di prodotti e risparmiava sulla spesa del carbone, gas, ecc. per la durata di un’ora. Esperimenti simili furono fatti col medesimo successo nelle fabbriche dei signori Horrocks e Jacson [163].

Appena l’accorciamento della giornata lavorativa, il quale in un primo tempo crea la condizione soggettiva della condensazione del lavoro, ossia la capacità dell’operaio di rendere liquida in un dato tempo una quantità maggiore di forza, diventa obbligatorio per legge, la macchina diventa nelle mani del capitale il mezzo obiettivo e sistematicamente applicato per estorcere una quantità maggiore di lavoro nel medesimo tempo. E questo avviene in duplice maniera: mediante l’aumento della velocità delle macchine e mediante l’ampliamento del volume di macchinario da sorvegliare da uno stesso operaio, ossia mediante l’ampliamento del suo campo di lavoro. Il perfezionamento nella costruzione del macchinario in parte è necessario per esercitare una pressione maggiore sugli operai, in parte accompagna spontaneamente l’intensificazione del lavoro, perchè il limite della giornata lavorativa costringe il capitalista all’economia più rigorosa nei costi di produzione. Il perfezionamento della macchina a vapore aumenta il numero dei colpi di stantuffo al minuto e consente insieme, mediante un maggiore risparmio di energia, di far funzionare con lo stesso motore un meccanismo più ampio, restando invariato o addirittura diminuendo il consumo di carbone. Il perfezionamento del meccanismo di trasmissione diminuisce la frizione e — ed è proprio questo che distingue con tanta evidenza il macchinario moderno da quello più vecchio — riduce il diametro e il peso degli alberi grandi e piccoli a un minimo sempre decrescente. I perfezionamenti delle macchine operatrici diminuiscono infine, data la maggiore velocità e l’azione più ampia, il volume del macchinario come nel caso del telaio a vapore moderno, oppure ingrandiscono insieme col corpo del macchinario l’ampiezza e il numero degli strumenti azionati da esso, come nel caso della filatrice meccanica, oppure aumentano la mobilità di questi strumenti mediante quasi impercettibili mutamenti particolari come, nel caso della self-acting mule, intorno al 1855 la velocità dei fusi venne aumentata di un quinto.

La riduzione della giornata lavorativa a dodici ore risale in Inghilterra al 1832. Fin dal 1836 un fabbricante inglese dichiarava: «A paragone di prima il lavoro da compiersi nelle fabbriche è cresciuto molto a causa della maggiore attenzione ed attività richieste all’operaio dal notevole aumento della velocità dei macchinario»[164]. Nel l’anno 1844 Lord Ashley, ora Conte Shaftesbury, fece alla Camera dei Comuni la seguente esposizione documentata:

«Il lavoro che le persone impiegate nei processi di fabbricazione devono compiere ora è tre volte maggiore di quello che era al momento dell’introduzione di tali operazioni. Il macchinario ha compiuto indubbiamente un’opera che sostituisce i tendini e i muscoli di milioni di uomini, ma esso ha anche aumentato in maniera stupefacente (prodigiously) il lavoro degli uomini dominati dal suo terribile movimento... Il lavoro necessario per seguire in su e giù una coppia di mules durante dodici ore per la filatura del filo n. 40, comprendeva nell’anno 1815 il percorso di una distanza di otto miglia. Nell’anno 1832 la distanza da percorrersi al seguito di una coppia di mules per la filatura dello stesso numero entro dodici ore era di venti miglia e spesso più. Nell’anno 1825 il filatore doveva nelle dodici ore compiere ottocentoventi distacchi per ogni mule, il che dava una somma complessiva di milleseicentoquaranta per dodici ore. Nell’anno 1832 il filatore, durante la sua giornata lavorativa di dodici ore, doveva compiere duemiladuecento distacchi per ogni mule, somma complessiva quattromilaquattrocento, nell’anno 1844 duemilaquattrocento per ogni mule, somma complessiva quattromilaottocento: e in alcuni Casi la massa di lavoro richiesta (amount of labour) è anche maggiore... Ho qui in mano un altro documento del 1842 in cui si dimostra che il lavoro aumenta progressivamente non soltanto perchè si deve percorrere una distanza maggiore, ma perchè aumenta la quantità delle merci prodotte, mentre il numero delle braccia diminuisce in proporzione; e inoltre, perchè spesso ora si fila del cotone peggiore che richiede più lavoro... Nella stanza della cardatura è subentrato a Sua volta un grande aumento di lavoro. Una persona compie ora il lavoro suddiviso prima su due... Nella tessitura in cui lavora un grande numero di persone, per lo più di sesso femminile, il lavoro è aumentato negli ultimi anni di ben dieci per cento a causa dell’aumento della velocità del macchinario. Nell’anno 1838 il numero degli hanks (matasse di filo.) che veniva filato settimanalmente era di 18.000, nell’anno 1843 ammontava a 21.000. Nell’anno 1819 il numero dei picks (colpi che spingono la spola.) era nel telaio a vapore di sessanta al minuto, nell’anno 1842 ammontava a centoquaranta, il che indica un grande aumento di lavoro»[165].

Dinanzi a questa notevole intensità raggiunta dal lavoro sotto il dominio della legge delle dodici ore fin dal 1844, sembrava in quel momento giustificata la dichiarazione dei fabbricanti inglesi che ogni ulteriore progresso in quella direzione era impossibile e che quindi ogni ulteriore diminuzione del tempo di lavoro era sinonimo di diminuzione della produzione. L’apparente esattezza del loro ragionamento viene comprovata nel modo migliore dalla contemporanea dichiarazione qui riportata del loro infaticabile censore, l’ispettore di fabbrica Leonard Horner:

«Siccome la quantità prodotta viene regolata principalmente dalla velocità del macchinario, dev’essere interesse del fabbricante di farlo funzionare con il maggior grado di velocità possibile, compatibile con le seguenti condizioni: preservazione del macchinario da troppo rapido logoramento, conservazione della qualità dell’articolo fabbricato, e capacità dell’operaio di seguire il movimento senza una fatica superiore a quella a cui egli possa sottostare in via continuativa: Accade spesso che il fabbricante nella sua fretta affannosa acceleri troppo il movimento; allora le rotture e i manufatti cattivi compensano ad usura la velocità, ed egli è costretto a moderare l’andamento del macchinario. Siccome un fabbricante attivo e avveduto riesce a trovare il massimo raggiungibile, io ritenevo logicamente che fosse impossibile produrre in undici ore quanto si produceva in dodici. Supponevo inoltre che l’operaio pagato a cottimo compisse uno sforzo estremo fino al limi te in cui poteva sopportare continuativamente lo stesso grado di lavoro»[166]. Horner ne deduceva quindi, malgrado gli esperimenti di Gardner, ecc. che una riduzione ulteriore della giornata lavorativa al di sotto delle dodici ore dovesse diminuire la quantità del prodotto[167]. Egli stesso cita, dieci anni dopo, i suoi dubbi del 1845 per dimostrare quanto poco egli allora avesse compreso l’elasticità del macchinario e della forza-lavoro umana, che vengono tese al massimo l’una e l’altra in egual misura dall’accorciamento coattivo della giornata lavorativa.

Esaminiamo ora il periodo successivo al 1847, cioè all’introduzione della legge delle dieci ore, nelle fabbriche inglesi del cotone, della lana, della seta e del lino.

«La velocità dei fusi è aumentata sui throstles di cinquecento giri, sulle mules di mille giri al minuto, vale a dire la velocità dei fusi di throstle che nel 1839 ammontava a quattromilacinquecento giri al minuto, ammonta ora (1862) a cinquemila, e quella dei fusi di mule che ammontava a cinquemila, ammonta ora a seimila al minuto, il che comporta nel primo caso una velocità addizionale di un decimo, nel secondo di un sesto»[168]. James Nasmyth, il celebre ingegnere civile di Patricroft presso Manchester, illustrò nel 1852 in una lettera a Leonard Horner i perfezionamenti apportati alla macchina a vapore nel periodo 1848-1852. Dopo aver osservato che la forza in cavalli vapore che nelle statistiche di fabbrica ufficiali è sempre valutata secondo la sua azione nell’anno 1828[169], è ormai soltanto nominale e può servire solo come indice della forza effettiva, egli dice fra l’altro:

«Non v’è dubbio che un macchinario a vapore dello stesso peso, che spesso le stesse identiche macchine munite però dei perfezionamenti moderni, compiono in media il cinquanta per cento di più dell’opera che compivano prima, e che in molti casi quelle stesse identiche macchine a vapore che ai tempi della velocità limitata di duecentoventi piedi al minuto fornivano cinquanta cavalli vapore, forniscono oggi, con un consumo di carbone diminuito, più di cento cavalli vapore... La macchina a vapore moderna dello stesso numero nominale di cavalli vapore viene azionata con maggiore forza di prima a causa dei perfezionamenti apportati alla sua costruzione, a causa del volume ridotto e della costruzione della caldaia, ecc... Benché quindi venga impiegato lo stesso numero di braccia di prima in rapporto ai cavalli vapore nominali, vengono impiegate meno braccia in rapporto alle macchine operatrici»[170]. Nell’anno 1850 le fabbriche del Regno Unito impiegavano 134.217 cavalli vapore nominali per il funzionamento di 25.638.716 fusi e 301.445 telai. Nell’anno 1856 il numero dei fusi e dei telai ammontava rispettivamente a 33.503.580 e a 369.205. Se i cavalli vapore richiesti fossero rimasti gli stessi dell’anno 1850, nel 1856 sarebbero stati necessari 175.000 cavalli vapore. Ma secondo i dati ufficiali ammontavano a soli 161.435, quindi a 10.000 cavalli vapore in meno di quanti sarebbero risultati calcolando in base al 1850[171]. «I dati di fatto constatati dall’ultimo return del 1856 (statistica ufficiale) sono che il sistema delle fabbriche si diffonde con travolgente rapidità, che diminuisce il numero delle braccia in rapporto al macchinario, che la macchina a vapore aziona macchine più pesanti in seguito a economia di energia e ad altri metodi, e che si ottiene un aumento nella quantità dei manufatti a causa dei perfezionamenti delle macchine operatrici, a causa dei metodi modificati di fabbricazione, di un aumento della velocità del macchinario e di molti altri motivi»[172]. «I grandi perfezionamenti apportati a macchine di ogni specie hanno aumentato molto la forza produttiva delle macchine stesse. Indubbia mente l’incitamento a tali perfezionamenti... è venuto dall’accorcia- mento della giornata lavorativa. Tali perfezionamenti e lo sforzo più intenso dell’operaio hanno fatto sì che nella giornata lavorativa accorciata» (accorciata di due ore, ossia di un sesto) «viene fornito prodotto per lo meno nella medesima quantità fornita prima, durante la giornata lavorativa più lunga»[173].

L’arricchimento dei fabbricanti in virtù dello sfruttamento più intensivo della forza-lavoro è dimostrato già dal fatto che l’aumento medio delle fabbriche inglesi di cotone, ecc, ammontava nel periodo 1838-1850 al trentadue, nel periodo 1850-1856 invece all’ottantasei per cento all’anno.

Per quanto fosse grande il progresso compiuto dall’industria inglese negli otto anni dal 1848 fino aI 1856 sotto il dominio della giornata lavorativa di dieci ore, esso fu a sua volta superato di gran lunga nel periodo dei sei anni successivi, 1856-1862. Nella  fabbrica di seta ad esempio si hanno,

anno

N° fusi

N° telai

N° operai

1856

1.093.799

9.260

56.137

1862

1.388.544

10.709

52.429

Ne risulta un aumento del numero dei fusi del ventisei e nove per cento e dei telai del quindici e sei per cento, accompagnato da una simultanea diminuzione del numero degli operai del sette per cento. Nell’anno 1850 nella fabbrica di tessuti worsted ( Pettinati) venivano usati 875.830 fusi, nel 1856: 1.324.549 (aumento del cinquantuno e due per cento) e nel 1862: 1.289.172 (diminuzione del due e sette per cento). Diffalcando i fusi della torcitura che figurano nel computo dell’anno 1856 ma non in quello del 1862, il numero dei fusi è rimasto piuttosto stazionario a partire dal 1856. All’incontro a partire d 1850 è stata raddoppiata in molti casi la velocità dei fusi e dei telai. Il numero dei telai a vapore ammontava nella fabbrica dei tessuti worst

anno

N° telai

N° persone impiegate

1850

32.617

79.737

1856

38.956

87.794

1862

43.048

86.063

ma fra queste fanciulli al di sotto dei 14 anni

anno

N° telai

N° fanciulli sotto i 14 anni

1850

32.617

9.956

1856

38.956

11.228

1862

43.048

13.178

Quindi, malgrado il forte aumento del numero dei telai nel 1862 a paragone del 1856, il numero complessivo degli operai impiegati era diminuito e quello dei fanciulli sfruttati era aumentato[174].

Il giorno 27 aprile 1863 il deputato Ferrand ebbe a dichiarare alla Camera dei Comuni: « Delegati operai di sedici distretti del Lancashire e del Cheshire per incarico dei quali io parlo, mi hanno comunicato che a causa dei perfezionamenti del macchinario il lavoro è in continuo aumento nelle fabbriche. Prima una persona aiutata da altri serviva due telai, ora, invece, una persona senza aiuto di altri ne serve tre, e non è affatto cosa straordinaria che ne serva quattro, ecc. In meno di dieci ore lavorative si comprimono ora dodici ore di lavoro. È ovvio quindi che le fatiche degli operai di fabbrica siano aumentate in questi ultimi anni in una misura enorme»[175].

Quindi, benché gli ispettori di fabbrica elogino instancabilmente e a buon diritto i risultati favorevoli delle leggi sulle fabbriche del 1844 e 1850, ammettono tuttavia che l’accorciamento della giornata lavorativa ha già provocato un’intensità del lavoro che distrugge la salute degli operai, ossia la forza-lavoro stessa. «Nella maggior parte delle fabbriche di cotone, di worsted e di seta, quello stato di eccita mento spossante, necessario per il lavoro alle macchine il cui moto è stato tanto straordinariamente accelerato in questi ultimi anni, è una delle cause dell’eccedenza della mortalità per malattie polmonari, comprovata dal dott. Greenhow nel suo ultimo ammirevole rapporto»[176]. Non v’è il minimo dubbio che la tendenza del capitale, appena la legge gli preclude una volta per tutte il prolungamento della giornata lavorativa, a ripagarsi con un aumento sistematico del grado di intensità del lavoro e a stravolgere ogni perfezionamento del macchinario in un mezzo di succhiar più forza-lavoro, dovrà presto portare di nuovo a una svolta in cui si renderà inevitabile una nuova diminuzione delle ore lavorative[177]. D’altra parte la grande corsa compiuta dall’industria inglese dal 1848 sino ai giorni nostri, Ossia durante il periodo della giornata lavorativa di dieci ore, supera di gran lunga l’epoca dal 1833 al 1847, ossia il periodo della giornata lavorativa di dodici ore, più di quanto quest’ultima non superi il mezzo secolo trascorso dopo l’introduzione del sistema di fabbrica ossia il periodo della giornata lavorativa illimitata[178].

4. LA FABBRICA.

All’inizio di questo capitolo abbiamo considerato il corpo della fabbrica, l’articolazione del sistema meccanico. Abbiamo visto poi come il macchinario aumenti il materiale umano sottoposto allo sfruttamento del capitale mediante l’appropriazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, come esso confischi tutto il periodo di vita dell’operaio mediante una estensione smisurata della giornata lavorativa, e come il suo progresso, il quale consente di fornire in un tempo sempre più breve un prodotto in enorme aumento, serva infine da mezzo sistematico per rendere liquida una maggiore quantità di lavoro in ogni momento, ossia per sfruttare sempre più intensamente la forza-lavoro. Passiamo ora a considerare l’insieme della fabbrica e precisamente nel suo aspetto più perfezionato.

Il dott. Ure, che è il Pindaro della fabbrica automatica, la descrive da un lato come «cooperazione di classi diverse di operai, adulti e non adulti, i quali sorvegliano con abilità e diligenza un sistema di meccanismi produttivi, ininterrottamente mosso da una forza centrale» (il primo motore), dall’altro come «un automa enorme, composto di innumerevoli organi meccanici e autocoscienti, i quali agiscono in vicendevole accordo e senza interruzione per produrre uno stesso oggetto, cosicchè tutti questi organi sono subordinati a una sola forza motrice semovente». Queste due espressioni non sono affatto identiche. Nell’una l’operaio complessivo combinato ossia il corpo lavorativo sociale appare come soggetto dominante, e l’automa meccanico appare come oggetto; nell’altra l’automa stesso è il soggetto, e gli operai sono soltanto coordinati ai suoi organi incoscienti quali organi coscienti e insieme a quelli sono subordinati alla forza motrice centrale. La prima espressione vale per qualsiasi applicazione del macchinario su larga scala, l’altra caratterizza la sua applicazione capitalistica e quindi il moderno sistema di fabbrica. All’Ure piace quindi anche rappresentare la macchina centrale da cui parte il movimento, non solo come automa ma come autocrate. «In queste grandi officine la benefica potenza del vapore raccoglie intorno a sè le miriadi dei suoi sudditi»[179].

Insieme allo strumento da lavoro anche il virtuosismo nell’usarlo trapassa dall’operaio alla macchina. La capacità d’azione dell’utensile è emancipata dai limiti personali della forza-lavoro umana. Con ciò è soppressa la base tecnica su cui si fonda la divisione del lavoro nella manifattura. Alla gerarchia di operai specializzati che caratterizza quest’ultima, subentra quindi nella fabbrica automatica la tendenza dell’eguaglianza ossia del livellamento dei lavori da compiersi dagli addetti al macchinario[180], alle differenze prodotte ad arte fra gli operai addetti a singole parti subentrano in prevalenza le differenze naturali dell’ètà e del sesso.

In quanto la divisione del lavoro nella fabbrica automatica riappare, essa è in primo luogo distribuzione degli operai fra le macchine specializzate e distribuzione di masse operaie le quali tuttavia non costituiscono gruppi articolati, fra i vari reparti della fabbrica dove esse lavorano a macchine utensili omogenee giustapposte, dove quindi si ha soltanto una cooperazione semplice fra gli operai. Il gruppo articolato della mani fattura è sostituito dal nesso fra operaio capo e alcuni pochi aiutanti. La distinzione sostanziale è quella fra gli operai i quali sono realmente occupati alle macchine utensili (si aggiungono ad essi alcuni operai per la sorveglianza, rispettivamente per l’alimentazione della macchina motrice) e i semplici manovali (quasi esclusivamente fanciulli) di questi operai addetti alle macchine. Fra i manovali sono da contarsi più o meno tutti i «feeders» (che porgono alle macchine semplicemente il materiale da lavoro). Oltre a queste classi principali si ha un personale numericamente insignificante che si occupa del controllo del macchinario nel suo insieme e della sua costante riparazione, come ad es. ingegneri, meccanici, falegnami, ecc. Si tratta di una classe operaia superiore, in parte scientificamente istruita, in parte di tipo artigiano, che e al di fuori della sfera degli operai di fabbrica ed e soltanto aggregata ad essi[181]. Questa divisione del lavoro è puramente tecnica. Ogni lavoro alla macchina richiede che l’operaio sia addestrato molto presto affinché impari ad adattare il proprio movimento al movimento uniforme e continuativo di una macchina automatica. In quanto il macchinario complessivo costituisce esso stesso un sistema di molteplici macchine che operano simultaneamente e combinate, anche la cooperazione basata su di esso richiede una distribuzione di differenti gruppi operai fra le differenti macchine. Ma il funzionamento a macchina elimina la necessità di consolidare questa distribuzione come accadeva per la manifattura, mediante l’appropriazione permanente dello stesso operaio alla stessa funzione[182]. Siccome il movimento complessivo della fabbrica non parte dall’operaio ma dalla macchina, può aver luogo un continuo cambiamento delle persone senza che ne derivi un’interruzione del processo lavorativo. La prova più lampante di questo è data dal sistema a relais introdotto durante la rivolta dei fabbricanti inglesi nel periodo 1848-1850. Infine, la velocità con la quale il lavoro alla macchina viene appreso nell’età giovanile, elimina anche la necessità di preparare una particolare classe di operai esclusivamente al lavoro delle macchine[183]. Ma i servizi dei semplici manovali nella fabbrica sono a loro volta in parte sostituibili con macchine[184], in parte consentono a causa della loro assoluta semplicità un rapido e costante cambiamento delle persone caricate di questo tedioso lavoro.

Ora, benché il macchinario butti tecnicamente per aria il vecchio sistema della divisione del lavoro, in un primo tempo questo sistema si trascina nella fabbrica per consuetudine come tradizione della manifattura, per essere poi riprodotto e consolidato sistematicamente dal capitale quale mezzo di sfruttamento della forza-lavoro in una forma ancor più schifosa. Dalla specialità di tutt’una vita, consistente nel maneggiare uno strumento parziale, si genera la specialità di tutt’una vita, consistente nel servire una macchina parziale. Del macchinario si abusa per trasformare l’operaio stesso, fin dall’infanzia, nella parte di una macchina parziale[185]. Così, non solo si diminuiscono notevolmente le spese necessarie alla riproduzione dell’operaio, ma allo stesso tempo si Completa la sua assoluta dipendenza dall’insieme della fabbrica, quindi dal capitalista. Qui, come dappertutto, si deve distinguere fra maggiore produttività dovuta allo sviluppo del processo sociale di produzione e la maggiore produttività dovuta al suo sfruttamento capitalistico.

Nella manifattura e nell’artigianato l’operaio si serve dello strumento, nella fabbrica è l’operaio che serve la macchina. Là dall’operaio parte il movimento del mezzo di lavoro, il cui movimento qui egli deve seguire. Nella manifattura gli operai costituiscono le articolazioni di un meccanismo vivente. Nella fabbrica esiste un meccanismo morto indipendente da essi, e gli operai gli sono incorporati come appendici umane. «La malinconica svogliatezza di un tormento di lavoro senza fine, per cui si torna sempre a ripercorrere lo stesso processo meccanico, assomiglia al lavoro di Sisifo; la mole del lavoro, come la roccia, torna sempre a cadere sull’operaio spossato»[186]. Il lavoro alla macchina intacca in misura estrema il sistema nervoso, sopprime l’azione molteplice dei muscoli e confisca ogni libera attività fisica e mentale[187]. La stessa facilitazione del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l’operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. È fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in  quanto non sia soltanto processo lavorativo ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l’operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma, viceversa, la condizione del lavoro ad adoprare l’operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica, il mezzo di lavoro si contrappone all’operaio durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia fino all’ultima goccia la forza - lavoro vivente. La scissione fra le potenze mentali del processo di produzione e il lavoro manuale, la trasformazione di quelle in poteri del capitale sul lavoro, si compie, come è già stato accennato prima, nella grande industria edificata sulla base delle macchine. L’abilità parziale dell’operaio meccanico individuale svuotato, scompare come un infimo accessorio dinanzi alla scienza, alle immani forze naturali e al lavoro sociale di massa, che sono incarnati nel sistema delle macchine e che con esso costituiscono il potere del «padrone» (master). Perciò questo padrone, nel cui cervello il macchinario e il suo monopolio del medesimo sono inseparabilmente uniti, grida sprezzantemente alle «braccia» in caso di conflitto: «Farebbe bene agli operai delle fabbriche ricordarsi che il loro lavoro è in realtà una specie molto inferiore di abilità lavorativa; che non vi è altra abilità che sia più facile far propria, e che, tenuto conto della sua qualità, sia meglio compensata, che non vi è altro lavoro che con un breve addestramento della persona meno esperta possa essere fornito in tanta abbondanza e in così breve tempo. Le macchine del padrone hanno di fatto in tutta la produzione una funzione molto più importante dél lavoro e dell’abilità dell’operaio che può essere insegnata in sei mesi, e che ogni servo agricolo può imparare»[188].

La subordinazione tecnica dell’operaio all’andamento uniforme del mezzo di lavoro e la peculiare composizione del corpo lavorativo, fatto di individui d’ambo i sessi e di diversissimi gradi d’età, creano una disciplina da caserma che si perfeziona e diviene un regime di fabbrica completo e porta al suo pieno sviluppo il lavoro di sorveglianza già prima accennato, quindi insieme ad esso la divisione degli operai in operai manovali e sorveglianti del lavoro, in soldati semplici del l’industria e in sottufficiali dell’industria. «La difficoltà principale nella fabbrica automatica... consisteva.., nella disciplina necessaria a far rinunciare gli uomini alle loro abitudini irregolari di lavoro e identificarli con la regolarità immutabile del grande automa. Ma inventare e applicare con successo un codice disciplinare rispondente alle esigenze e alla velocità del sistema automatico costituiva un’impresa degna di Ercole; e questa è stata la nobile opera di Arkwright! Perfino oggi che il sistema è organizzato in tutta la sua perfezione, è cosa quasi impossibile trovare fra gli operai in età virile.., utili ausiliari del sistema automatico»[189], Il codice della fabbrica in cui il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia sugli operai, prescindendo da quella divisione dei poteri tanto cara alla borghesia e da quel sistema rappresentativo che le è ancor più caro, non è che la caricatura capitalistica della regolazione sociale del processo lavorativo; regolazione che diventa necessaria con la cooperazione su grande scala e con l’uso dei mezzi di lavoro comuni, specialmente delle macchine. Alla frusta del sorvegliante di schiavi subentra il registro delle punizioni del sorvegliante. Tutte le punizioni si risolvono naturalmente in multe e in ritenute sul salario, e l’acume legislativo di questi Licurghi di fabbrica rende loro l’infrazione delle proprie leggi anche, se mai possibile, più redditizia della loro osservanza[190].

Il nostro non è che un semplice accenno alle condizioni materiali in cui viene compiuto il lavoro di fabbrica. Tutti i sensi sono lesi egualmente dalla temperatura aumentata artificiosamente, dall’atmosfera impregnata delle scorie delle materie prime, dal chiasso assordante, ecc., fatta astrazione dal pericolo di morte che si cela nell’ammucchiamento di macchine una vicinissima all’altra, il quale produce, con la regolarità del susseguirsi delle stagioni, i propri bollettini industriali di battaglia190a. L’economizzazione dei mezzi sociali di produzione, che giunge a maturazione come in una serra soltanto nel sistema di fabbrica, diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica delle condizioni di vita dell’operaio durante il lavoro, dello spazio, dell’aria, della luce e dei mezzi personali di difesa contro le circostanze implicanti il pericolo di morte o antigieniche del processo di produzione, per non parlare dei provvedimenti miranti alla comodità dell’operaio[191]. Ha torto il Fourier a chiamare le fabbriche «ergastoli mitigati»?[192]

5. LOTTA FRA OPERAIO E MACCHINA.

La lotta fra capitalista e operaio salariato comincia con il rapporto capitalistico stesso e continua a infuriare durante tutto il periodo manifatturiero[193]. Ma soltanto dopo l’introduzione delle macchine l’operaio combatte proprio il mezzo di lavoro stesso, ossia il modo materiale di esistenza del capitale. Si rivolta contro questa forma determinata del mezzo di produzione come fondamento materiale del modo capitalistico di produzione.

Durante il secolo XVII quasi tutta l’Europa vide rivolte operaie contro la cosiddetta Bandmühle (detta anche Schnurmühle o Mühlen stuhl), una macchina per tessere nastri e galloni[194]. Alla fine del primo terzo del secolo XVII, una segatrice meccanica a vento, impiantata da un olandese nelle vicinanze di Londra, soccombette agli eccessi della plebaglia. Ancora agli inizi del secolo XVIII in Inghilterra le segatrici meccaniche mosse ad acqua vinsero solo a fatica la resistenza popolare appoggiata dal parlamento. Quando nel 1758 l’Everet ebbe costruito la prima macchina ad acqua per cimare la lana, centomila uomini rimasti senza lavoro la incendiarono. Contro gli scribbling mills (spelazzatura e prima pettinatura) e le cardatrici meccaniche dell’Arkwright si ebbe una petizione al parlamento di cinquantamila operai che fino allora avevano vissuto della cardatura della lana. La distruzione in massa di macchine nei distretti manifatturieri inglesi durante i primi quindici anni del se colo XIX dovuta in particolare allo sfruttamento del telaio a vapore offrì, sotto il nome di movimenti dei Ludditi, il pretesto per violenze ultrareazionarie al governo antigiacobino d’un Sidmouth, Castlereagh, ecc. Ci vogliono tempo ed esperienza affinché l’operaio apprenda a distinguere le macchine dal loro uso capitalistico, e quindi a trasferire i suoi attacchi dal mezzo materiale di produzione stesso alla forma sociale di sfruttamento di esso[195].

Le lotte per il salario lavorativo entro la manifattura presuppongono la manifattura e non sono affatto dirette contro la sua esistenza. Quando vien combattuta la formazione delle manifatture, la cosa avviene da parte dei maestri delle corporazioni e delle città privilegiate, non da parte dei salariati. Quindi negli scrittori del periodo manifatturiero la divisione del lavoro viene per lo più concepita come mezzo di sostituzione virtuale ma non di eliminazione reale degli operai. Questa differenza è ovvia. Se si dice per esempio che in Inghilterra sarebbero richiesti cento milioni di uomini per filare con il vecchio filatoio tutto il cotone che oggi viene filato a macchina da mezzo milione, questo naturalmente non significa che la macchina abbia preso il posto di quei milioni che non sono mai esistiti. Significa soltanto che per sostituire le macchine da filare occorrerebbero molti milioni di operai. Se invece diciamo che in Inghilterra il telaio a vapore ha gettato sul lastrico ottocentomila tessitori, non si parla di macchinario esistente che dovrebbe essere sostituito da un dato numero di operai, ma si parla d’un dato numero, esistente, di operai, che di fatto è stato sostituito ossia soppiantato dalle macchine. Durante il periodo della manifattura, la lavorazione di tipo artigianale era rimasta, sia pure scomposta, il fondamento della manifattura. I nuovi mercati coloniali non potevano venir soddisfatti con il numero relativamente piccolo degli operai urbani della tradizione medievale, e allo stesso tempo le manifatture in senso proprio aprivano nuovi campi di produzione alla popolazione rurale cacciata dalla terra con il dissolversi del feudalesimo. Perciò allora nella divisione del lavoro e nella cooperazione entro le officine risaltò di più l’aspetto positivo: il fatto che esse rendono più produttivi gli operai occupati[196]. La cooperazione e la combinazione dei mezzi di lavoro in mano di poche persone provocano certo, se applicate all’agricoltura, rivoluzioni grandi, improvvise e violente del modo di produzione, e quindi delle condizioni di vita e dei mezzi di occupazione della popolazione rurale, in molti paesi molto prima del periodo della grande industria. Ma originariamente questa lotta si svolge più fra proprietari rurali grandi e piccoli che fra capitale e lavoro salariato; dall’altra parte, quando gli operai vengono soppiantati da mezzi di lavoro, pecore, cavalli, ecc., in tal caso atti di violenza diretta costituiscono in prima istanza il presupposto della rivoluzione industriale. Prima vengono scacciati dalla terra gli operai, e poi arri vano le pecore. Solo il furto di terra su grande scala, come in Inghilterra, crea alla grande agricoltura il suo campo di attuazione196a Quindi questo rivolgimento dell’agricoltura ha agli inizi più l’apparenza di una rivoluzione politica.

Come macchina, il mezzo di lavoro diviene subito concorrente dell’operaio stesso[197]. La autovalorizzazione del capitale mediante la macchina sta in rapporto diretto col numero degli operai dei quali la macchina distrugge le condizioni di esistenza. Tutto il sistema della produzione capitalistica poggia sul fatto che l’operaio vende la sua forza-lavoro come merce. La divisione del lavoro rende unilaterale questa forza-lavoro, facendone una abilità del tutto particolarizzata di maneggiare uno strumento parziale. Appena il maneggio dello strumento è affidato alla macchina, si estingue il valore d’uso e con esso il valore di scambio della forza-lavoro. L’operaio diventa invendibile, come certo denaro fuori corso. Quella parte della classe operaia che viene così trasformata dalle macchine in popolazione superflua, cioè non più immediatamente necessaria per la autovalorizzazione del capitale, per una parte soccombe nella lotta ineguale della vecchia industria di tipo artigianale e manifatturiero contro l’industria meccanica, per l’altra inonda tutti i rami dell’industria più facilmente accessibili, fa traboccare il mercato del lavoro e fa scendere quindi il prezzo della forza-lavoro al di sotto del suo valore. Gran consolazione per gli operai pauperizzati dovrebbe essere in parte che i loro dolori sono solo «temporanei» («a temporary inconvenience»), in parte che le macchine s’impadroniscono solo a poco per volta di un intero campo di produzione, con il che verrebbero diminuiti il volume e l’intensità del loro effetto deleterio. Sono consolazioni che l’una scaccia l’altra. Dove avviene che la macchina prenda a poco per volta un campo di produzione, essa produce la miseria cronica negli strati operai che sono in concorrenza con essa. Dove il trapasso è rapido, l’effetto è di massa e acuto. La storia universale non offre spettacolo più orrendo della estinzione dei tessitori artigiani di cotone inglesi, graduale, trascinata per decenni, e infine sigillata nel 1838. Molti morirono di fame, molti vegetarono a lungo, assieme alle loro famiglie, con due pence e mezzo al giorno[198]. Invece acuto fu l’effetto delle macchine inglesi per la lavorazione del cotone nelle Indie Orientali, il cui governatore generale constatava nel 1834-35:

«La miseria difficilmente trova paralleli nella storia del commercio. Le ossa dei tessitori di cotone imbiancano le pianure indiane». Certo, in quanto quei tessitori lasciavano questo mondo temporale, le macchine creavano loro solo «inconvenienti temporanei». Del resto, l’effetto «temporaneo» delle macchine è permanente, in quanto s’impadronisce di sempre nuovi campi di produzione. Quella figura indipendente ed estraniata che il modo di produzione capitalistico conferisce in genere alle condizioni di lavoro e al prodotto del lavoro nei riguardi dell’operaio, si evolve perciò con le macchine in un antagonismo completo[199]. Quindi con esse si ha per la prima volta la rivolta brutale dell’operaio contro il mezzo di lavoro.

Il mezzo di lavoro schiaccia l’operaio. Certo questo antagonismo diretto si presenta in maniera più tangibile tutte le volte che macchine introdotte per la prima volta si trovano in concorrenza con l’industria tradizionale artigiana o manifatturiera. Ma anche all’interno della grande industria stessa il continuo perfezionamento delle macchine e lo sviluppo del sistema automatico hanno effetti analoghi. «Il fine costante del macchinario perfezionato è quello di diminuire il lavoro manuale, ossia di chiudere un anello nella catena produttiva della fabbrica, sostituendo apparecchi di ferro agli apparecchi umani»[200]. «L’applicazione della forza del vapore e della forza idrica a macchine che finora venivano mosse a mano è avvenimento di ogni giorno... I piccoli perfezionamenti del macchinario che hanno per fine di economizzare la forza motrice, di migliorare il manufatto, di aumentare la produzione entro lo stesso tempo, oppure di soppiantare un ragazzo, una donna o un uomo, sono costanti, e benché in apparenza non siano di gran peso, hanno tuttavia risultati importanti»[201]. «Dovunque un’operazione richieda molta abilità e mano sicura, la si sottrae al più presto possibile alle mani dell’operaio, troppo abile e spesso incline a irregolarità di ogni tipo, per affidarla a un meccanismo particolare, così ben regolato che un bambino può sorvegliarlo»[202]. «Nel sistema automatico il talento dell’operaio viene progressivamente soppiantato»[203]. «Il perfezionamento delle macchine non solo esige la diminuzione del numero degli operai adulti occupati per raggiungere un determinato risultato, ma sostituisce a una classe d’individui un’altra classe, una classe meno abile a una più abile, bambini agli adulti, donne agli uomini. Tutti questi cambiamenti causano fluttuazioni costanti nel saggio del salario lavorativo»[204]. «Le macchine scacciano incessantemente gli adulti dalla fabbrica»[205]. La marcia a passo di carica compiuta dal sistema delle macchine sotto la pressione dell’abbreviamento della giornata lavorativa ci ha mostrato la straordinaria elasticità del sistema delle macchine, dovuta alla esperienza pratica accumulata, al volume dei mezzi meccanici che già si hanno a disposizione e al costante progresso della tecnica. Ma nel 1860, che fu l’anno dello zenit dell’industria cotoniera inglese, chi avrebbe potuto presentire i perfezionamenti galoppanti delle macchine e la corrispondente soppressione del lavoro manuale provocati dal triennio successivo, sotto il pungolo della guerra civile americana? Dalle dichiarazioni ufficiali degli ispettori di fabbrica inglesi su questo punto basterà citare un paio di esempi. Un fabbricante di Manchester dichiara: «Invece di settantacinque cardatrici meccaniche ora ne impieghiamo solo dodici che forniscono la stessa quantità di materiale, di qualità altrettanto buona se non migliore... Il risparmio di salari ammonta a dieci sterline alla settimana, quello di cascame di cotone al dieci per cento». In una filanda di filati fini di Manchester, «si è eliminato in un reparto un quarto, in un altro più della metà del personale operaio, mediante l’acceleramento del movimento e l’introduzione di diversi procedimenti self-acting, mentre la pettinatrice meccanica introdotta al posto della seconda cardatrice meccanica ha diminuito di molto il numero delle braccia prima occupate nella stanza della cardatura». Un’altra filanda a macchina valuta al dieci per cento il suo risparmio generale di «braccia». I signori Gilmore, proprietari di una filanda a Manchester, dichiarano:

«Nel nostro blowing department (reparto dei mantici.)  valutiamo il risparmio di braccia e di salario fatto col nuovo macchinario a un terzo abbondante.., nella jack-frame e nella drawing-frame room (sala delle macchine per l’innaspatura e per stendere il filo) a circa un terzo in meno di spesa e di braccia; nel reparto filatura a circa un terzo in meno di spesa. Ma questo non è tutto; adesso, quando il nostro filo va ai tessitori, è tanto migliorato per l’uso del nuovo macchinario, che essi producono tessuto più abbondante e migliore che col filo delle macchine vecchie»[206], L’ispettore di fabbrica A. Redgrave aggiunge la seguente osservazione: «La diminuzione degli operai avanza rapidamente mentre aumenta la produzione; nelle fabbriche di lana è cominciata poco tempo fa una nuova riduzione delle braccia, che ancora continua; pochi giorni fa un maestro di scuola che abita presso Rochdale mi ha detto che la gran diminuzione nelle scuole femminili non si deve soltanto alla pressione della crisi, ma anche ai cambia menti del macchinario dei lanifici, in seguito ai quali ha avuto luogo una riduzione media di settanta operai a mezzo orario»[207].

L’unita tabella ci mostra il risultato complessivo dei perfeziona menti meccanici dovuti alla guerra civile americana nell’industria cotoniera inglese:

Numero delle fabbriche

 

1856

1861

1868

Inghilterra e Galles

2.046

2.715

2.405

Scozia

152

163

131

Irlanda

12

9

13

Regno Unito

2.210

2.887

2.549

Numero dei telai a vapore

 

1856

1861

1868

Inghilterra e Galles

275.590

368.125

344.719

Scozia

21.624

30.110

31.864

Irlanda

1.633

1.757

2.746

Regno Unito

298.847

399.992

379.329

Numero dei fusi

 

1856

1861

1868

Inghilterra e Galles

25.818.576

28.352.125

30.478.228

Scozia

2.041.129

1.915.398

1.397.546

Irlanda

150.512

119.944

124.240

Regno Unito

28.010.217

30.387.467

32.000.014

Numero delle persone occupate

 

1856

1861

1868

Inghilterra e Galles

341.170

407.598

357.052

Scozia

34.698

41.237

39.809

Irlanda

3.345

2.734

4.203

Regno Unito

379.213

451.569

401.064

Dunque dal 1861 al 1868 sono scomparse 338 fabbriche di cotone; cioè un macchinario più produttivo e più grandioso si .è concentrato nelle mani di un numero minore di capitalisti. Il numero dei telai a vapore è diminuito di 20.663 unità, ma contemporaneamente il loro prodotto è aumentato, cosicchè un telaio perfezionato viene ora a fornire più lavoro di uno vecchio. Infine il numero dei fusi è cresciuto di 1.612.547, mentre il numero degli operai occupati è diminuito di 50.505 unità.

La miseria «temporanea» con la quale la crisi del cotone ha schiacciato gli operai, è stata dunque aumentata e consolidata da un rapido e costante progresso della macchina.

Tuttavia la macchina non agisce soltanto come concorrente strapotente, sempre pronto a rendere «superfluo» l’operaio salariato. Il capitale la proclama apertamente e consapevolmente potenza ostile all’operaio e come tale la maneggia. Essa diventa l’arma più potente per reprimere le insurrezioni periodiche degli operai, gli scioperi, ecc. contro la autocrazia del capitale[208]. Secondo il Gaskell la macchina a vapore è stata subito un antagonista della « forza umana », il quale ha messo il capitalista in grado di stroncare radicalmente le crescenti rivendicazioni degli operai, che minacciavano di spingere alla crisi il sistema delle fabbriche al suo inizio[209]. Si potrebbe scrivere tutta una storia delle invenzioni che dopo il 1830 sono nate soltanto come armi del capitale contro le sommosse operaie. Ricordiamo anzitutto la self-acting mule, perchè apre una nuova epoca del sistema automatico[210].

Nella sua deposizione davanti alla Trades Unions Commission il Nasmyth, che è l’inventore del maglio a vapore, riferisce come segue sui perfezionamenti del macchinario da lui introdotti in seguito al grande e lungo sciopero degli operai meccanici del 1851: «Il tratto caratteristico dei nostri perfezionamenti meccanici moderni è la introduzione di macchine utensili automatiche. Quel che ora ha da fare un operaio meccanico, e che ogni ragazzo può fare, non è di lavorare egli stesso, ma di sorvegliare il bel lavoro della macchina. Adesso è eliminata tutta quella classe di operai che dipendevano esclusivamente dalla propria abilità. Prima occupavo quattro ragazzi per ogni meccanico. Grazie a queste nuove combinazioni meccaniche, ho ridotto da millecinquecento a settecentocinquanta il numero dei maschi adulti. La conseguenza è stata un aumento notevole del mio profitto».

L’ Ure dice, parlando di una macchina per la stampatura a colori nelle stamperie di cotonina: «Finalmente i capitalisti cercarono di liberarsi di questa insopportabile schiavitù (cioè delle condizioni del contratto di lavoro che davano loro fastidio), invocando le risorse della scienza, e presto furono reintegrati nei loro legittimi diritti, che sono quelli della testa nei confronti delle altre parti del corpo». A proposito di un ritrovato per imbozzimare l’ordito, la cui causa immediata fu uno sciopero, dice: «L’orda degli insoddisfatti, che s’illudeva di essere invincibile trincerandosi dietro le vecchie linee della divisione del lavoro, si vide così attaccata di fianco e vide le sue di fese distrutte dalla tattica meccanica moderna. Dovettero arrendersi a discrezione». Sulla invenzione della self-acting mule dice: «Era destinata a restaurare l’ordine fra le classi industriali... Questa invenzione conferma la dottrina già da noi sviluppata che il capitale, forzando la scienza a servirlo, costringe sempre alla docilità la mano ribelle del lavoro»[211]. Benché lo scritto dell’Ure sia apparso nel 1835 e quindi in un’epoca in cui il sistema delle fabbriche era ancora poco sviluppato, esso rimane l’espressione classica dello spirito della fabbrica, non solo per il suo schietto cinismo, ma anche per l’ingenuità con la quale divulga le sciocche contraddizioni del cervello del capitale. Per esempio, dopo avere sviluppato la «dottrina» che il capitale «costringe sempre alla docilità la mano ribelle del lavoro», con l’aiuto della scienza da esso assoldata, l’Ure s’indigna «che da certe parti la si accusi (la scienza fisico - meccanica) di prestarsi al dispotismo del ricco capitalista, e di concedersi come mezzo per opprimere le classi povere». Dopo avere predicato in lungo e in largo sul come sia vantaggioso agli operai un rapido sviluppo delle macchine, li ammonisce che con la loro resistenza, con gli scioperi, ecc. essi accelerano lo sviluppo delle macchine. «Tali rivolte violente», egli dice, «mostrano la miopia umana nel suo aspetto più spregevole, quello di un uomo che si fa boia di se stesso». Poche pagine prima è detto viceversa:

«Senza le violente collisioni e interruzioni causate dalle erronee opinioni degli operai, il sistema della fabbrica si sarebbe sviluppato ancor molto più rapidamente e ancor molto più utilmente per tutte le parti interessate». Poi torna ad esclamare: «Per la fortuna della popolazione dei distretti industriali della Gran Bretagna i perfeziona menti nella meccanica hanno luogo solo a poco a poco». «Le macchine vengono ingiustamente accusate di diminuire il salario lavorativo degli adulti soppiantando una parte di essi, con il che il loro numero supera il fabbisogno di lavoro. Invece esse aumentano la richiesta di lavoro infantile e ne aumentano quindi il saggio del salario». Sempre questo stesso elargitore di consolazione difende da un’altra parte il basso livello dei salari dei fanciulli con l’osservazione che «quei salari trattengono i genitori dal mandare troppo presto i loro figli in fabbrica». Tutto il suo libro è un’apologia della giornata lavorativa illimitata, e quando la legislazione vieta di strapazzare fanciulli di tredici anni per più di dodici ore al giorno la sua anima liberale si ricorda dei tempi più oscuri del medioevo. Questo non lo trattiene dall’incitare gli operai di fabbrica a un rendi mento di grazie alla provvidenza, che «ha procurato loro» con le macchine «l’agio di riflettere sui loro interessi immortali»[212].

6. LA TEORIA DELLA COMPENSAZIONE RISPETTO AGLI OPERAI SOPPIANTATI DALLE MACCHINE.

Tutta una serie di economisti borghesi, come James Mill, il MacCulloch, il Torrens, il Senior, J. St. Mill, ecc., afferma che tutte le macchine che soppiantano degli operai liberano sempre, contemporaneamente e necessariamente, un capitale adeguato a occupare gli stessi identici operai[213].

Si supponga che un capitalista impieghi cento operai, per esempio in una manifattura di carte per parati, a trenta lire sterline all’anno per uomo. Dunque il capitale variabile che egli sborsa annualmente ammonta a tremila lire sterline. Si supponga ora che licenzi cinquanta operai e faccia lavorare i cinquanta che restano con un macchinario che gli costi millecinquecento sterline. Per semplificare si fa astrazione da edifici, carbone, ecc. Si supponga ancora che la materia prima consumata ogni anno costi, come prima, tremila lire sterline[214]. Viene «liberato» un qualsiasi capitale mediante questa metamorfosi? Nel vecchio modo di conduzione la somma totale sborsata di seimila lire sterline consisteva per metà di capitale costante, per metà di capitale variabile. Ora consiste di quattromila e cinquecento lire sterline (tremila per la materia prima e millecinquecento per il macchinario) di capitale costante, e di millecinquecento di capitale variabile. La parte del capitale che è variabile, ossia convertita in forza-lavoro vivente, Costituisce ormai, invece della metà, soltanto un quarto del capitale totale. Qui invece di una liberazione di capitale si ha un vincolo di capitale, e in forma tale che il capitale cessa di scambiarsi con forza-lavoro; cioè si ha trasformazione di capitale variabile in capitale costante. Invariate rimanendo le altre circostanze, ormai il capitale di seimila sterline non può più occupare più di cinquanta operai. E ad ogni perfezionamento delle macchine ne occupa di meno. Se il nuovo macchinario introdotto costasse meno della somma della forza-lavoro e degli strumenti di lavoro da esso soppiantati, e dunque per esempio costasse invece di millecinquecento soltanto mille lire sterline, allora un capitale variabile di mille sterline verrebbe trasformato in capitale costante, cioè verrebbe vincolato, mentre sarebbe stato liberato un capitale di cinquecento lire sterline. Quest’ultimo, supponendo che il salario annuo rimanga lo stesso, costituisce un fondo di occupazione per circa sedici operai, mentre cinquanta sono licenziati; anzi, per molto meno di sedici operai, poichè le cinquecento sterline debbono a loro volta esser trasformate in parte in capitale costante affinché possa avvenire la loro trasformazione in capitale; e quindi possono solo in parte esser convertite in forza-lavoro.

Ma, anche supposto che la fabbricazione del nuovo macchinario occupi un numero maggiore di meccanici, questo fatto dovrebbe essere una compensazione per i lavoranti in carte da parati che sono stati gettati sul lastrico? Nel migliore dei casi, la costruzione delle macchine occupa meno lavoratori di quanti ne scacci il loro uso. La somma di millecinquecento lire sterline che rappresentava soltanto il salario lavorativo dei lavoranti in carte da parati licenziati, ora rappresenta sotto forma di macchinario:

1. il valore dei mezzi di produzione occorrenti per la sua fabbricazione;

2. il salario lavorativo dei meccanici che lo fabbricano;

3. il plusvalore che tocca al suo « padrone ».

Inoltre: una volta finita, la macchina non ha bisogno di essere rinnovata se non dopo la sua morte. Quindi, per occupare durevolmente il numero addizionale di meccanici, un fabbricante di carte da parati dopo l’altro dovrà soppiantare operai con macchine.

In realtà quegli apologeti non intendono neanche questo tipo di liberazione di capitale. Essi pensano ai mezzi di sussistenza degli operai messi in libertà. Non si può negare che, nel caso che abbiamo fatto sopra, non solo il macchinario mette in libertà cinquanta operai e con ciò li rende « disponibili », ma allo stesso tempo elimina il loro flesso con mezzi di sussistenza per il valore di millecinquecento lire sterline, e così « mette in libertà » questi mezzi di sussistenza. Il semplice dato di fatto, per nulla nuovo, che le macchine liberano l’operaio dei suoi mezzi di sussistenza suona dunque in linguaggio economico che le macchine liberano mezzi di sussistenza per l’operaio, ossia li trasformano in capitale per occupare l’operaio. Si vede che tutto si riduce al modo di esprimersi. Nominibus mollire licet mala (È permesso mitigare i mali dando loro altri nomi.).

Secondo questa teoria i mezzi di sussistenza per il valore di millecinquecento sterline erano un capitale valorizzato mediante il lavoro dei cinquanta lavoranti in carte da parati licenziati. Questo capitale perde di conseguenza il suo impiego appena quei cinquanta hanno vacanza, e non ha né requie né posa finché non ha trovato un nuovo «investimento» nel quale quei suddetti cinquanta operai possano tornare a consumarlo produttivamente. Prima o poi capitale e operaio devono quindi ritrovarsi insieme e allora si ha la compensazione. Le sofferenze degli operai soppiantati dalle macchine sono dunque transeunti come le. ricchezze di questo mondo.

I mezzi di sussistenza per l’ammontare di millecinquecento sterline non si sono mai contrapposti agli operai licenziati come capitale. Quel che si contrapponeva agli operai come capitale, erano le millecinquecento lire sterline ora trasformate in macchinario. Considerate più da vicino, queste millecinquecento lire sterline rappresentavano solo una parte delle carte da parati prodotte ogni anno ad opera dei cinquanta operai licenziati, parte che essi ricevevano per salario in denaro invece che in natura da chi li impiegava. Con le carte da parati trasformate in millecinquecento sterline essi comperavano mezzi di sussistenza per lo stesso ammontare. I mezzi di sussistenza dunque esistevano per gli operai non come capitale, ma come merci, ed essi stessi per quelle merci esistevano non come operai salariati, ma come compratori. La circostanza che le macchine li hanno «liberati» di mezzi d’acquisto, li trasforma da compratori in non-compratori. Quindi, diminuita domanda di quelle merci. Voilà tout. Se questa domanda diminuita non viene compensata da una domanda aumentata da un’altra parte, il prezzo di mercato delle merci cala. Se ciò dura piuttosto a lungo e in una sfera piuttosto ampia, si ha uno spostamento degli operai occupati nella produzione di quelle merci. Una parte del capitale che prima produceva mezzi di sostentamento necessari, viene riprodotta in altra forma. Durante la caduta dei prezzi di mercato e lo spostamento di capitale, anche gli operai occupati nella produzione dei mezzi di sussistenza necessari vengono « liberati » di una parte del loro salario. Dunque, invece di dimostrare che le macchine, liberando gli operai dei mezzi di sussistenza, trasformano contemporaneamente questi ultimi in capitale per potere impiegare i primi, il signor apologeta dimostra viceversa, con la sperimentata legge della domanda e dell’offerta, che le macchine gettano operai sul lastrico non soltanto nella branca di produzione dove vengono introdotte, ma anche nelle branche di produzione dove non vengono introdotte.

I dati di fatto reali, che erano stati travestiti dall’ottimismo economico, sono questi: gli operai soppiantati dal macchinario vengono gettati fuori dell’officina, sul mercato del lavoro, e quivi accrescono il numero delle forze-lavoro già disponibili per lo sfruttamento capitalistico. Nella settima sezione si vedrà che quest’effetto delle macchine che ora qui ci viene presentato come una compensazione per la classe operaia, colpisce al contrario l’operaio come il più terribile dei flagelli. Qui diciamo solo questo: certamente, gli operai scacciati da una branca dell’industria possono cercare occupazione in un’altra qualsiasi. Se la trovano, e se si riannoda così il vincolo fra loro e i mezzi di sussistenza insieme ad essi messi in liberta, ciò avviene per mezzo di un capitale nuovo, addizionale, che preme per essere investito, ma mai per mezzo del capitale che funzionava già prima e che ora è trasformato in macchinario. E anche allora, che meschine prospettive sono le loro! Storpiati dalla divisione del lavoro, questi poveri diavoli valgono così poco fuori della loro vecchia sfera di lavoro che trovano accesso soltanto in alcune poche branche di lavoro, basse e quindi costantemente sovraccariche e sottopagate[215]. Inoltre, ogni branca dell’industria attrae ogni anno una nuova fiumana di uomini, che le forniscono il suo contingente per la reintegrazione e la crescita regolari. Appena le macchine mettono in libertà una parte degli operai fino a quel momento occupati in una data branca dell’industria, anche la truppa di riserva viene ridistribuita e assorbita in altre branche di lavoro, mentre le prime vittime deperiscono e intristiscono per la maggior parte durante il periodo del trapasso.

É un dato di fatto indubbio che le macchine in sè non sono responsabili di questa «liberazione» degli operai dai mezzi di sussistenza. Le macchine riducono più a buon mercato e aumentano il prodotto nella branca che conquistano e in un primo momento lasciano inalterata la massa di mezzi di sussistenza prodotta in altre branche dell’industria. Dunque la società possiede, prima e dopo la loro introduzione, altrettanti mezzi di sussistenza, o anche di più, per gli operai soppiantati, fatta completamente astrazione dalla enorme parte del prodotto annuo che viene sperperata da non-operai. E qui sta il punto culminante dell’apologetica degli economisti! Le contraddizioni e gli antagonismi inseparabili dall’uso capitalistico delle macchine non esistono perchè non provengono dalle macchine stesse, ma dal loro uso capitalistico! Poichè dunque le macchine, considerate in sè, abbreviano il tempo di lavoro mentre, adoprate capitalisticamente, prolungano la giornata lavorativa, poichè le macchine in sè alleviano il lavoro e adoprate capitalisticamente ne aumentano l’intensità, poichè. in sè sono una vittoria dell’uomo sulla forza della natura e adoprate capitalisticamente soggiogano l’uomo mediante la forza della natura, poichè in sè aumentano la ricchezza del produttore e usate capitalisticamente lo pauperizzano, ecc., l’economista borghese dichiara semplicemente che la considerazione delle macchine in sè dimostra con la massima precisione che tutte quelle tangibili contraddizioni sono una pura e semplice parvenza della ordinaria realtà, ma che in sè, e quindi anche nella teoria, non ci sono affatto. Così risparmia di doversi ulteriormente stillare il cervello, e per giunta addossa al suo avversario la sciocchezza di combattere non l’uso capitalistico delle macchine, ma le macchine stesse.

L’economista borghese non nega affatto che dall’uso capitalistico delle macchine provengano anche inconvenienti temporanei: ma dov’è la medaglia senza rovescio? Per lui è impossibile adoprare le macchine in modo differente da quello capitalistico. Dunque per lui sfruttamento dell’operaio mediante la macchina è identico a sfruttamento della macchina mediante l’operaio. Dunque, chi rivela come stanno in realtà le cose quanto all’uso capitalistico delle macchine, non vuole addirittura che le macchine siano adoprate in genere, è un avversario del progresso sociale![216] Proprio l’argomentazione del celebre scannatore Bili Sikes: «Signori giurati, è vero che a questo commesso viaggiatore è stata tagliata la gola. Ma questo fatto non è colpa mia; è colpa del coltello. E per via di questi inconvenienti temporanei dovremo abolire l’uso del coltello? Pensateci bene! Dove andrebbero a finire agricoltura e artigianato senza coltello? Il coltello non è forse salutare in chirurgia quanto dotto in anatomia? E inoltre non è ausilio volenteroso nei lieti desinari? Se abolite il coltello ci ributterete nella barbarie più profonda»2I6a

Benché le macchine soppiantino di necessità gli operai nelle branche di lavoro dove vengono introdotte, possono tuttavia provo care un aumento di occupazione in altre branche di lavoro. Ma questo effetto non ha niente a che fare con la cosiddetta teoria della compensazione. Poichè ogni prodotto delle macchine, per esempio un braccio di tessuto a macchina, è più a buon mercato del prodotto a mano similare da esso soppiantato, ne segue questa legge assoluta: se la quantità complessiva dell’articolo prodotto a macchina rimane eguale alla quantità complessiva dell’articolo prodotto dalla manifattura o artigianalmente, che esso sostituisce, allora diminuisce la somma totale del lavoro che viene adoprato. L’aumento di lavoro richiesto, ad esempio, per la produzione dei mezzi di lavoro stessi, delle macchine, del carbone ecc. dev’essere minore della diminuzione di lavoro effettuata dall’uso delle macchine. Altrimenti il prodotto fatto a macchina sarebbe altrettanto caro, o più caro ancora, del prodotto a mano. Ma invece di rimanere eguale, la massa complessiva dell’articolo fatto a macchina da un numero diminuito di operai supera di fatto di molto la massa complessiva dell’articolo artigiano da esso soppiantato. Poniamo che quattrocentomila braccia di tessuto a macchina siano prodotte da meno operai che centomila braccia di tessuto a mano. Nel prodotto quadruplicato si ha una quantità quadrupla di materia prima. Dunque dev’essere quadruplicata la produzione della materia prima. Ma per quanto riguarda i mezzi di lavoro che vengono consumati, come edifici, carbone, macchine, ecc., il limite, entro il quale può crescere il lavoro addizionale richiesto per la loro produzione, varia con la differenza fra la massa del prodotto a macchina e la massa del prodotto a mano che può esser fornito dallo stesso numero di operai.

Dunque, con l’estendersi dell’uso delle macchine in una branca dell’industria, cresce in primo luogo la produzione nelle altre branche che le forniscono i suoi mezzi di produzione. Quanto cresca per questo fatto la massa degli operai occupati dipende, se sono date la lunghezza della giornata lavorativa e l’intensità del lavoro, dalla composizione dei capitali impiegati, cioè dalla proporzione fra le loro parti costitutive costante e variabile. A sua volta questa pro porzione varia molto, a seconda della ampiezza con cui le macchine si sono già impadronite o si stanno impadronendo di quelle stesse industrie. Il numero degli uomini condannati alle miniere di carbone o di metalli s’è ingrossato enormemente col progresso delle macchine in Inghilterra, benché il suo aumento sia rallentato negli ultimi decenni per via dell’uso di nuovo macchinario per le miniere[217]. Con le macchine nasce d’un tratto un nuovo tipo di operaio, il produttore di macchine. Sappiamo già che l’industria meccanica si impadronisce anche di questa branca di produzione su scala sempre più voluminosa[218]. Inoltre, per quanto riguarda la materia prima[219], non c’è per esempio nessun dubbio che la marcia forzata della filatura del cotone ha accelerato come in una serra la crescita della coltivazione del cotone negli Stati Uniti, e con essa non soltanto la tratta degli schiavi africani, ma anche, e insieme, l’allevamento di negri come impresa principale dei cosiddetti Stati schiavisti di confine. Quando nel 1790 si fece negli Stati Uniti il primo censimento degli schiavi, il loro numero ammontava a 697.000, nel 1861 invece si aggirava sui quattro milioni. D’altra parte non è meno certo che il fiorire della lavorazione meccanica della lana ha provocato, con la trasformazione progressiva del terreno arabile in pascolo per le pecore, la cacciata in massa dei lavoratori agricoli, divenuti un «sovrappiù». Ancora in questo momento l’Irlanda sta percorrendo il processo di un’ulteriore riduzione della sua popolazione, già diminuita della metà quasi dopo il 1845, alla misura esattamente corrispondente ai bisogni i suoi landlords e dei signori fabbricanti di lana inglesi.

Se le macchine di impadroniscono dei gradi preliminari o intermedi che un oggetto di lavoro deve percorrere fino alla sua forma definitiva, aumenta il materiale del lavoro e con esso aumenta la domanda di lavoro nelle officine esercite ancora su base artigianale o manifatturiera, alle quali affluisce il materiale fabbricato a macchina. Per esempio la filatura a macchina ha fornito refe così a buon mercato e così abbondante che in un primo momento i tessitori a mano potevano lavorare a giornata piena senza aumento di spesa. Così aumentarono le loro entrate[220]. Di qui si ebbe un afflusso di uomini nella tessitura del cotone, finché gli ottocentomila tessitori fatti sorgere per esempio in Inghilterra dalla jenny, dalla throstle e dalla mule, tornarono ad essere schiacciati dal telaio a vapore. Così, con la sovrabbondanza delle stoffe da vestiario prodotte a macchina aumenta il numero dei sarti, delle sartine, delle cucitrici, ecc., finché appare la macchina per cucire.

In corrispondenza della massa crescente di materie prime, semilavorati, strumenti da lavoro, ecc. che le macchine forniscono con un numero relativamente piccolo di operai, la lavorazione di quelle materie prime e di quei semilavorati si scinde in innumerevoli sotto specie, e quindi cresce la molteplicità dei rami della produzione sociale. L’uso delle macchine spinge la divisione sociale del lavoro incomparabilmente più in là di quanto non faccia la manifattura, perchè aumenta in grado incomparabilmente più alto la forza produttiva delle industrie che esso conquista.

Il primo risultato delle macchine è di ingrandire il plusvalore e insieme la massa di prodotti nella quale esso si presenta, e dunque di ingrandire, assieme alla sostanza di cui si nutrono la classe dei capitalisti e le sue appendici, questi stessi strati della società. La crescente loro ricchezza e la diminuzione relativamente costante del numero degli operai richiesti per la produzione dei mezzi di sussistenza di prima necessità, generano un nuovo bisogno di lusso e insieme nuovi mezzi per soddisfano. Una parte maggiore del prodotto sociale si trasforma in plusprodotto, e una parte maggiore del plusprodotto viene riprodotta e consumata in forme raffinate e variate. in altre parole: cresce la produzione di lusso[221]. La raffinatezza e la varietà dei prodotti deriva anche e nella stessa misura dalle nuove relazioni col mercato mondiale create dalla grande industria. Ormai non solo si scambiano mezzi di consumo esteri con il prodotto domestico, ma inoltre nella industria domestica affluisce una massa maggiore di materie prime, di ingredienti, di semilavorati, ecc. stranieri come mezzi di produzione. Assieme a queste relazioni col mercato mondiale cresce la richiesta di lavoro nella industria dei trasporti, che a sua volta si scinde in numerose nuove sottospecie[222].

L’aumento dei mezzi di produzione e di sussistenza, mentre il numero degli operai relativamente diminuisce, spinge alla estensione del lavoro a branche di industria i cui prodotti, come canali, docks di merci, tunnel ponti, ecc. portano frutti solo in un lontano futuro. Si formano, o direttamente sulla base delle macchine, o ad ogni modo della generale rivoluzione industriale che corrisponde alle macchine, branche della produzione del tutto nuove, e quindi nuovi campi di lavoro. Tuttavia lo spazio che questi nuovi campi di lavoro prendono nella produzione complessiva non è affatto considerevole, neppure nei paesi più progrediti. Il numero degli operai occupati in essi cresce in proporzione diretta del riprodursi della necessità di lavoro manuale del tipo più rozzo. Come industrie principali di questo tipo si possono oggi considerare officine del gas, telegrafo, fotografia, navigazione a vapore e ferrovie. Il censimento del 1861 (per l’Inghilterra e il Galles) dà per l’industria del gas (officine del gas, produzione degli apparecchi meccanici, agenti delle compagnie del gas, ecc.) 15.211 persone, per la telegrafia 2.399, per la fotografia 2.366, per la navigazione a vapore 3.570 e per le ferrovie 70.599, delle quali circa 28.000 sono terrazzieri «non esperti» occupati più o meno permanentemente, oltre tutto il personale amministrativo e commerciale. Così in queste cinque nuove industrie il numero complessivo degli individui occupati è di 94.145.

Infine, lo straordinario aumento raggiunto dalla forza produttiva nelle sfere della grande industria, accompagnato com’è da un aumento, tanto in estensione che in intensità, dello sfruttamento della forza-lavoro in tutte le restanti sfere della produzione, permette di adoprare improduttivamente una parte sempre maggiore della classe operaia, e quindi di riprodurre specialmente gli antichi schiavi domestici sotto il nome di «classe dei servitori», come domestici, serve, lacché, ecc. sempre più in massa. Secondo il censimento del 1861 la popolazione complessiva dell’Inghilterra e del Galles ammontava a 20.066.224 persone, delle quali 9.776. 259 erano uomini, 10.289.965 donne. Dedotte le persone troppo vecchie o troppo giovani per lavorare, tutte le donne, gli adolescenti di ambo i sessi, i fanciulli «improduttivi», e poi i ceti «ideologici» come governo, preti, giuristi, militari, ecc., e ancora tutti coloro la cui unica occupazione è il consumo di lavoro altrui in forma di rendita fondiaria, interesse, ecc., e infine poveri, vagabondi, delinquenti, ecc., rimangono, in cifra tonda, otto milioni d’ambo i sessi e delle età più disparate, inclusi tutti i capitalisti che in un modo o nell’altro hanno una funzione nella produzione, nel commercio, nella finanza, ecc. Di questi otto milioni, sono:

 

numero persone

Lavoratori agricoli (inclusi i pastori e i servi agricoli e le serve di fattoria che abitano presso i fittavoli

1.098.261

Tutti coloro che sono occupati nelle fabbriche di cotone, lana, worsted, lino, canapa, seta, iuta e nella calzetteria e nella merletteria meccanica

642.607[223]

Tutti coloro che sono occupati nelle miniere di carbone e di metallo

565.835

Coloro che sono occupati in tutte le officine metallurgiche (alti forni, laminatoi, ecc.) e manifatture del metallo di ogni specie

396.998 224[224]

Classe dei servitori

1.208.648 222[225]

Se sommiamo coloro che sono occupati in tutte le fabbriche tessili col personale delle miniere di carbone e di metallo, abbiamo 1.208.442; se li sommiamo col personale di tutte le officine e le manifatture metallurgiche, la somma è di 1.039.605: tutte due le volte la somma è minore del numero degli schiavi domestici moderni. Che edificante risultato dello sfruttamento capitalistico delle macchine!

7. REPULSIONE ED ATTRAZIONE DI OPERAI MAN MANO CHE SI SVILUPPA L’INDUSTRIA MECCANICA. CRISI DELL’INDUSTRIA COTONIERA.

Tutti i rappresentanti dell’economia politica dotati di senso di responsabilità ammettono che la prima introduzione delle macchine ha in certo modo l’effetto della peste sugli operai dei mestieri e delle manifatture tradizionali con i quali le macchine dapprima si trovano in concorrenza. Quasi tutti gemono sulla schiavitù dell’operaio di fabbrica. E qual è l’asso pigliatutto che tutti giocano? Che le macchine, dopo gli orrori del periodo della loro introduzione e del loro sviluppo, in ultima istanza aumentano gli schiavi del lavoro invece di finire per diminuirli! L’economia politica gavazza addirittura nell’or ribile teorema — orribile per ogni «filantropo» che creda all’eterna necessità naturale del modo capitalistico di produzione — per il quale anche la fabbrica già fondata sul sistema delle macchine, dopo un periodo determinato di crescita, e dopo un «tempo di transizione» più o meno breve o più o meno lungo, ammazza di lavoro più operai di quanti ne abbia gettati sul lastrico da principio![226]

Certo, si è già visto in alcuni esempi, per esempio nelle fabbriche inglesi di worsted e di seta, che a un certo grado di sviluppo una estensione straordinaria di branche di fabbrica può essere collegata a una diminuzione non soltanto relativa, ma anche assoluta del numero degli operai occupati. Nel 1860, quando per ordine del parlamento fu fatto un censimento speciale di tutte le fabbriche del Regno Unito, la sezione che comprendeva i distretti industriali del Lancashire, Cheshire e Yorkshire, affidate all’ispettore di fabbrica R. Baker, contava 652 fabbriche: 570 di queste contenevano: telai a vapore, 85.622; fusi (eccettuati i fusi per il ritorto), 6.819.146; cavalli vapore in macchine a vapore, 27.439, in ruote ad acqua, 1.390; persone occupate, 94.119. Invece nel 1865 le stesse fabbriche contenevano: telai, 95.163; fusi, 7.025.031; cavalli vapore in macchine a vapore, 28.925, in ruote ad acqua, 1.445; persone occupate, 88.913. Dunque l’aumento di queste fabbriche dal 1860 aI 1865 era: in telai a vapore dell’undici per cento, in fusi del tre per cento, in cavalli vapore del cinque per cento, mentre contemporaneamente il numero delle persone occupate diminuiva del cinque e mezzo per cento[227]. Fra il 1852 e il 1862 si è avuto un considerevole aumento della fabbricazione della lana in Inghilterra, mentre il numero degli operai occupati rimaneva quasi stazionario. «Questo ci mostra in che grande misura il macchinario di nuova introduzione aveva soppiantato il lavoro dei periodi precedenti»[228]. Spesso, in dati casi empirici, l’aumento degli operai di fabbrica occupati è solo apparente, cioè non è dovuto all’ampliamento della fabbrica già organizzata meccanicamente, ma all’annessione graduale di branche secondarie. Per esempio, «nel 1838-1858 l’aumento dei telai meccanici e degli operai di fabbrica da essi occupati fu semplicemente dovuto nei cotonifici (in Inghilterra) all’ampliamento di questa branca dell’industria invece nelle altre fabbriche fu dovuto all’applicazione della forza del vapore, per la prima volta, ai telai da tappeti, da nastri, da tela di lino, ecc., che prima erano mossi dalla forza muscolare umana»[229]. L’aumento di questi ultimi operai di fabbrica era dunque soltanto espressione di una diminuzione del numero complessivo degli operai occupati. Infine, qui si astrae completamente dal fatto che operai giovani (al di sotto dei diciotto anni), donne e fanciulli costituiscono dappertutto, ad eccezione delle fabbriche metallurgiche, l’elemento di gran lunga preponderante nel personale di fabbrica.

Tuttavia è comprensibile come, nonostante la massa di operai di fatto soppiantata e virtualmente sostituita dalle macchine, alla fine gli operai di fabbrica, col crescere delle macchine stesse, espresso in aumento del numero delle fabbriche dello stesso tipo o in aumento delle dimensioni di fabbriche esistenti, possano essere più numerosi degli operai manifatturieri o artigiani da essi soppiantati. Per esempio supponiamo che il capitale di cinquecento sterline adoprato in una settimana consista, nell’antico sistema, per due quinti di parte Costitutiva costante e per tre quinti di parte costitutiva variabile, e cioè duecento sterline siano spese in mezzi di produzione, trecento in forza-lavoro, diciamo una sterlina per operaio. Con il sistema delle macchine cambia la composizione del capitale complessivo, che ora si dividerà per esempio, in quattro quinti di capitale costante e un quinto di capitale variabile; ossia vengono ormai spese in forza-lavoro soltanto cento lire sterline. Dunque vengono licenziati due terzi degli operai che prima venivano occupati. Se questa fabbrica si estende, e, eguali rimanendo le altre condizioni della produzione, il capitale complessivo adoprato cresce da cinquecento a millecinquecento, ora verranno occupati trecento operai, quanti ne erano occupati prima della rivoluzione industriale. Se il capitale adoprato cresce ancora, fino a duemila, verranno occupati quattrocento operai, cioè un terzo in più di quelli occupati col vecchio sistema. In assoluto, il numero degli operai occupati è cresciuto di cento; relativamente, cioè in rapporto al capitale complessivo anticipato, è calato di ottocento, perchè col vecchio sistema il capitale di duemila sterline avrebbe occupato milleduecento, non quattrocento, operai. Dunque la diminuzione relativa del numero degli operai occupati è compatibile con il suo aumento assoluto. Sopra abbiamo supposto che la composizione del capitale complessivo rimanga costante quando esso aumenta, perchè rimangono costanti le condizioni di produzione. Ma sappiamo già che la parte costante del capitale, consistente di macchinario, materie prime, ecc., cresce ad ogni progresso delle macchine, mentre quella varia bile, spesa in forza-lavoro, cala, e sappiamo allo stesso tempo che in nessun altro sistema i perfezionamenti sono così costanti e quindi così variabile la composizione del capitale complessivo. Questa variazione costante è però interrotta in modo altrettanto costante da momenti di riposo e dall’espansione puramente quantitativa su base tecnica data. Con questa espansione cresce il numero degli operai occupati. Così, il numero di tutti gli operai nelle fabbriche di cotone, di lana, di worsted, di lino e di seta del Regno Unito ammontava nel 1835 solo a 354.684, mentre nel 1861 il numero dei soli operai delle tessiture a vapore (d’ambo i sessi, e di età disparatissime, dagli otto anni in su) ammontava a 230.654. Certo questo aumento appare meno grande se si riflette che nel 1838 i tessitori di cotonina a mano ammontavano ancora, assieme alle loro famiglie, da essi stessi impiegate, a 800.000[230] astraendo completamente da quelli soppiantati in Asia e sul continente europeo.

Nelle poche osservazioni che abbiamo ancora da fare su questo punto, toccheremo in parte mere situazioni di fatto, alle quali non ci aveva ancora condotto, di per sè, la nostra esposizione teorica.

Finché il sistema delle macchine si espande. in un ramo d’industria a spese dell’artigianato tradizionale o della manifattura, i suoi successi sono certi, come sarebbe certo ad esempio il successo di un esercito armato di fucili ad ago contro un esercito di arcieri. Questo primo periodo, nel quale la macchina conquista per prima cosa la sua sfera d’azione, ha un’importanza decisiva a causa dei profitti straordinari che essa aiuta a produrre. Questi profitti non solo costituiscono in sè e per sè una fonte di accumulazioni accelerata, ma attirano nella sfera di produzione favorita gran parte del nuovo capitale sociale addizionale che costantemente si forma e che preme per nuovi investimenti. I vantaggi particolari del primo periodo di slancio e di impeto si ripetono costantemente nelle branche di produzione nelle quali le macchine vengono introdotte per la prima volta. Ma appena il sistema della fabbrica ha raggiunto un certo agio d’esistenza e un certo grado di maturità, cioè appena la stessa base tecnica della fabbrica, il macchinario, viene a sua volta prodotto a macchina, appena la estrazione del carbone e del ferro come pure la lavorazione dei metalli e i trasporti sono rivoluzionati, e in genere appena sono prodotte le condizioni generali di produzione corrispondenti alla grande industria, questo sistema acquista una elasticità, una improvvisa capacità di espansione a grandi balzi che trova limiti solo nella materia prima e nel mercato di smercio. Da una parte le macchine operano un aumento diretto della materia prima, come per esempio il cotton gin ha aumentato la produzione del cotone[231]. Dall’altra parte il buon mercato del prodotto delle macchine e il sistema dei trasporti e delle comunicazioni rivoluzionato sono armi per la conquista di mercati stranieri. L’industria meccanica, rovinando il loro prodotto di tipo artigianale, trasforma con la forza quei mercati in campi di produzione delle sue materie prime.

Così le Indie Orientali vennero costrette a produrre cotone, lana, canapa, iuta, indaco, ecc. per la Gran Bretagna[232]. Il costante «mettere in soprannumero» gli operai nei paesi della grande industria promuove una emigrazione intensa e artificiale e la colonizzazione di paesi stranieri che si trasformano in vivai di materia prima per la madre patria, come per esempio l’Australia è stata trasformata in un vivaio di lana[233]. Si crea una nuova divisione internazionale del lavoro in corrispondenza alle sedi principali del sistema delle macchine, ed essa tra sforma una parte del globo terrestre in campo di produzione prevalentemente agricolo per l’altra parte quale campo di produzione prevalentemente industriale. Questa rivoluzione è connessa a rivolgimenti nell’agricoltura che qui non abbiamo da esaminare oltre[234]. La Camera dei comuni ordinò il 18 febbraio 1867, per iniziativa del signor Gladstone, una statistica di tutte le granaglie, cereali e farine di ogni tipo importati nel Regno Unito durante il 1831-1866 e da esso esportati. Da qui il risultato riassuntivo. La farina è ridotta a quarters di grano (vedi tabella).

 

Media annua Importazioni quarters

Media annua Esportazioni quarters

Eccedenza delle importazioni sulle esportazioni negli anni medi

Popolazione Media annua di ciascun periodo

Quantità media di grano ecc, in quarters, annualmente consumata a persona, data eguale distribuzione fra la popolazione, in eccedenza sulla produzione interna

1831-35

1.096.373

225.263

871.110

24.621.107

0,036

1836-40

2.389.729

251.770

2.137.959

25.929.507

0,082

1841-45

2.843.865

139.056

2.704.809

27.262.569

0,099

1846-50

8.776.552

155.461

8.621.091

27.797.598

0,31

1851-55

8.345.237

307.491

8.037.746

27.572.923

0,291

1856-60

10.913.612

341.150

10.572.462

28.391.544

0,372

1861-65

15.009.871

302.754

14.707.117

29.381.760

0,501

1866

16.457.340

216.218

16.241.122

29.935.404

0,543

L’enorme capacità che il sistema della fabbrica possiede di espandersi a balzi e la sua dipendenza dal mercato mondiale, generano di necessità una produzione febbrile e un conseguente sovraccarico dei mercati, con la contrazione dei quali sopravviene una paralisi. La vita dell’industria si trasforma in una serie di periodi di vitalità media, prosperità, sovrapproduzione, crisi e stagnazione. L’incertezza e l’instabilità alle quali la industria meccanica sottopone l’occupazione e con ciò le condizioni d’esistenza dell’operaio, diventano normali con questa variazione periodica del ciclo industriale. Detratti i tempi di prosperità, infuria fra i capitalisti una lotta accanita per la loro individuale parte di spazio sul mercato. Questa parte sta in proporzione diretta del basso prezzo del prodotto. Oltre alla rivalità generata da questo fatto nell’uso di macchinario perfezionato, atto a sostituire forza-lavoro e nell’uso di nuovi metodi di produzione, sopravviene ogni volta un momento nel quale si tende a ridurre la merce più a buon mercato mediante una forzata depressione del salario lavorativo al di sotto del valore della forza-lavoro[235].

Esportazione di cotone dagli Stati Uniti in Gran Bretagna:

anno

libbre

1846

401.949.393

1852

765.630.544

1859

961.707.264

1860

1.115.890.608

Esportazione di cereali dagli Stati Uniti in Gran Bretagna (1850 e 1862)

 

anno

q.li

anno

q.li

Frumento

1850

16.202.312

1862

41.033.503

Orzo

1850

3.669.653

1862

6.624.800

Avena

1850

3.174.801

1862

4.426.994

Segala

1850

388.749

1862

7.108

Farina di grano

1850

3.819.440

1862

7.207.113

Grano saraceno

1850

1.054

1862

19.571

Granturco

1850

5.473.161

1862

11.694.818

Bere o bigg (una specie particolare di orzo)

1850

2.039

1862

7.675

Piselli

1850

811.620

1862

1.024.722

Fagioli

1850

1.822.972

1862

2.037.137

Importazione totale

1850

35.365.801

1862

74.083.441

Dunque l’aumento del numero degli operai di fabbrica ha la sua condizione nell’aumento, proporzionalmente molto più rapido, dei capitale complessivo investito nelle fabbriche. Ma questo processo si compie soltanto entro i periodi di flusso e riflusso del ciclo industriale. Inoltre viene sempre interrotto dal progresso tecnico che ora sostituisce virtualmente, ora soppianta di fatto gli operai. Questa variazione qualitativa nell’industria meccanica allontana continuamente operai dalla fabbrica, oppure ne chiude la porta alla fiumana delle nuove reclute, mentre la espansione puramente quantitativa delle fabbriche inghiotte contingenti freschi oltre quelli gettati fuori. Così gli operai vengono continuamente respinti e continuamente attratti, vengono gettati continuamente da una parte e dall’altra, e questo avviene in una costante variazione di sesso, età e abilità di quelli che vengono arruolati.

La migliore illustrazione delle sorti dell’operaio di fabbrica è una rapida occhiata alle sorti della industria cotoniera inglese.

Dal 1770 al 1815

industria cotoniera depressa o stagnante per cinque anni. Durante questo primo periodo di quarantacinque anni i fabbricanti inglesi possedevano il monopolio delle macchine e del mercato mondiale.

Dal 1815 al 1821

l’industria fu depressa

Nel 1822 e 1823;

prosperò

1824

furono abolite le leggi contro le coalizioni operaie e si ebbe una grande estensione generale delle fabbriche

1825,

crisi;

1826

gran miseria e rivolte fra gli operai cotonieri

1827

leggero miglioramento

1828

grande aumento dei telai meccanici e dell’esportazione

1829

l’esportazione, specie in India, giunge al culmine, superando tutte le annate precedenti;

Dal 1830

mercati sovraccarichi, gran miseria

1831 al 1833

depressione continua; il commercio con l’Asia orientale (India e Cina) viene sottratto al monopolio della Compagnia delle Indie Orientali

1834

grande aumento di fabbriche e di macchinario, mancanza di braccia. La nuova legge sui poveri promuove la migrazione degli operai agricoli nei distretti industriali. I fanciulli vengono spazzati via dalle contee agricole. Tratta degli schiavi bianchi.

1835

grande prosperità; contemporanea riduzione alla fame dei tessitori a mano di cotone

1836

grande prosperità

1837 e 1838

situazione depressa e crisi

1839

ripresa

1840

grande depressione, rivolte, intervento dell’esercito

1841 e 1842

terribili sofferenze degli operai di fabbrica. Nel 1842 i fabbricanti chiudono le fabbriche lasciando fuori gli operai, per imporre la revoca delle leggi sul grano. Gli operai affluiscono a molte migliaia nello Yorkshire, sono respinti dall’esercito, i loro capi sono condotti da vanti al tribunale di Lancaster.

1843

grande miseria.

1844

ripresa.

1845

grande prosperità.

1846

prima perdura lo slancio, poi sintomi di reazione. Revoca delle leggi sul grano.

1847

crisi. Riduzione generale dei salari del dieci e più per cento per festeggiare la «big loaf» (pagnotta grande) .

1848

perdura la depressione; Manchester sotto protezione militare.

1849

ripresa.

1850

prosperità.

1851

discesa dei prezzi delle merci, salari bassi, scioperi frequenti.

1852

comincia un miglioramento, continuano gli scioperi, i fabbricanti minacciano d’importare operai stranieri.

1853

cresce l’esportazione. Sciopero di otto mesi e grande miseria a Preston.

1854

prosperità mercati sovraccarichi.

1855

affluiscono notizie di fallimenti dagli Stati Uniti dal Canada dai mercati dell’Asia orientale.

1856

grande prosperità;

1857

crisi;

1858

miglioramento;

1859

grande prosperità, aumento delle fabbriche;

1860

siamo allo zenit dell’industria cotoniera inglese. I mercati indiani e australiani e altri mercati sono così sovraccarichi che ancora nel 1863 non han finito di assorbire tutta la roba. Trattato commerciale con la Francia. Enorme aumento delle fabbriche e del macchinario.

1861

lo slancio dura per un po’, reazione, guerra civile americana, carestia del cotone.

Dal 1862 al 1863

crollo completo.

La storia della carestia del cotone è troppo caratteristica per non indugiarvi un po’. Dalle indicazioni sulla situazione del mercato mondiale per il 1860-1861 si vede che la carestia del cotone venne a proposito per i fabbricanti e che in parte fu vantaggiosa per loro: dato di fatto riconosciuto in relazioni della Camera di commercio di Manchester, proclamato al parlamento dal Palmerston e dal Derby, confermato dagli avvenimenti[236]. Certo, nel 1861 fra i 2.887 cotonifici del Regno Unito ce n’erano molti piccoli. Secondo la relazione dell’ispettore di fabbrica A. Redgrave, — nella cui circoscrizione amministrativa sono compresi 2.109 di quei 2.887 cotonifici, — 392 ossia il diciannove per cento di quelle 2.109 fabbriche adopravano vapore solo al di sotto dei dieci cavalli; 345, cioè il se dici per cento, adopravano da dieci cavalli vapore in su, ma sotto ai venti; invece 1.372 adopravano da venti cavalli vapore in su[237]. La maggioranza delle piccole fabbriche erano tessiture impiantate durante il periodo della prosperità dal 1858 in poi, per lo più da speculatori, uno dei quali forniva il filo, l’altro il macchinario, un terzo gli edifici, ed erano esercite da antichi overlookers (sorveglianti) o altre persone senza mezzi. Questi piccoli fabbricanti andarono per lo più in rovina. La stessa sorte sarebbe stata preparata ad essi dalla crisi commerciale che fu impedita dalla carestia del cotone. Benché essi costituissero un terzo del numero dei fabbricanti, le loro fabbriche assorbivano una parte sproporzionatamente minore del capitale in vestito nella industria Cotoniera. Per quel che riguarda l’estensione della paralisi, secondo valutazioni autentiche nell’ottobre 1862 erano fermi il 60,3 per cento dei fusi e il 58 per cento dei telai. Questo si riferisce alla branca industriale nel suo complesso, e subiva naturalmente molte modificazioni nei singoli distretti. Solo pochissime fabbriche lavoravano a tempo intero (sessanta ore alla settimana); le altre lavoravano con interruzioni. Anche pei pochi operai che lavoravano a tempo intero e con l’abituale salario a cottimo, necessaria mente si assottigliò il salario settimanale in seguito alla sostituzione del cotone di qualità migliore con quello peggiore, del cotone Sea Island con quello egiziano (nelle filature fini), di quello americano e egiziano col surat delle Indie Orientali, e del cotone puro con miscele di cascame di cotone e surat. La fibra più corta del cotone surat, la sua sporcizia, la maggiore fragilità dei fili, la sostituzione di ogni specie di ingredienti pesanti alla farina nel dar la bozzima al filo dell’ordito, ecc., diminuivano la velocità del macchinario oppure il numero dei telai che potevano essere sorvegliati da un tessitore, accrescevano il lavoro per gli errori delle macchine, e limitavano la massa del prodotto e con essa il salario a cottimo. La perdita dell’operaio ammontava al venti, trenta per cento e più quando si usava il surat, benché fosse occupato in pieno. Ma la maggior parte dei fabbricanti ridusse anche il saggio del salario a cottimo del cinque, sette e mezzo, e anche dieci per cento. Si comprende quindi quale fosse la situazione di coloro che erano occupati solo tre giorni, tre e mezzo o quattro alla settimana, o solo sei ore al giorno. Nel 1863 per tessitori, filatori, ecc. c’erano salari settimanali di tre scellini e quattro pence, tre scellini e dieci pence, quattro scellini e sei pence, cinque scellini e un penny, ed era già cominciato un miglioramento relativo[238]. Neppure in questa situazione tormentosa lo spirito inventivo del fabbricante nel trovare detrazioni di salario se ne stava in ozio. Le detrazioni erano in parte inflitte come punizioni per i difetti del manufatto dovuti al cotone cattivo, al macchinario inadatto, ecc., da lui forniti. Dove poi il fabbricante era proprietario dei cottages degli operai si risarciva da se stesso per l’affitto della casa, mediante detrazioni dal salario lavorativo nominale. L’ispettore di fabbrica Redgrave racconta di self-acting minders (sorveglianti di una coppia di mules automatiche) i quali «alla fine di due settimane di lavoro a giornata piena avevano guadagnato otto scellini e undici pence; e da questa somma veniva detratto l’affitto della casa, del quale però il fabbricante restituiva la metà come regalo, cosicchè i minders portavano a casa ben sei scellini e undici pence. Il salario settimanale dei tessitori, durante il periodo finale del 1862, andava da due scellini e sei pence in su»[239]. L’affitto della casa veniva spesso detratto dai salari anche quando gli operai lavoravano per un tempo breve[240]. Non c’è da meravigliarsi che in alcune parti del Lancashire scoppiasse una specie di peste da fame! Ma ancora più caratteristico fu il modo con il quale il rivoluzionamento del processo di produzione avvenne a spese dell’operaio. Erano veri e propri experimenta in corpore vili, come quelli degli anatomisti sulle rane. L’ispettore di fabbrica Redgrave dice: «Benché io abbia indicato le entrate reali degli operai in molte fabbriche, non se ne deve concludere che gli operai riscuotano ogni settimana lo stesso importo. Gli operai sono soggetti a oscillazioni grandissime a causa del continuo sperimentare («experimentalizing») dei fabbricanti... le loro entrate salgono e cadono a seconda della qualità della miscela del cotone; a volte si avvicinano ai loro precedenti introiti, diminuendo solo del quindici per cento, e dopo una settimana o due cadono del cinquanta e sessanta per cento»[241]. Questi esperimenti non venivano fatti solo a spese dei mezzi di sussistenza degli operai. Gli operai dovevano pagani con tutti e cinque i sensi: «Coloro che sono occupati nell’aprire le balle del cotone mi informano che il puzzo insopportabile li fa star male... A quelli che vengono impiegati nei locali della mischiatura, dello scribbling (Spelazzatura e prima pettinatura) e della cardatura, la polvere e il sudiciume sollevati irritano tutti gli orifizi della testa provocando tosse e difficoltà di respiro... Per via della piccolezza delle fibre si aggiunge al filo, nell’imbozzimatura, una gran quantità di materia, e precisamente surrogati di ogni genere invece della farina come veniva usata prima. Di qui nausea e dispepsia dei tessitori. Predomina la bronchite a causa della polvere, come pure l’infiammazione della gola, e inoltre una malattia della pelle a causa della irritazione prodotta dal sudiciume del cotone surat». Dall’altra parte i surrogati della farina furono una vera borsa magica per i signori fabbricanti, a causa dell’aumento del peso del filo. A tessitura finita, facevano «pesare venti libbre quindici libbre di materiale»[242]. Nella relazione degli ispettori di fabbrica del 30 aprile 1864 si legge: «Ora l’industria si vale di questa fonte ausiliaria in misura veramente sconveniente. So da buona fonte che un tessuto di otto libbre è fatto di cinque libbre e un quarto di cotone, e due e tre quarti di bozzima. Un altro tessuto, da cinque libbre e in quarto, conteneva due libbre di bozzima. E questi erano shirtings (tele da camicie) ordinari per l’esportazione. Per altri tipi di tessuti si aggiungeva talvolta il cinquanta per cento di bozzima, cosicchè qualche fabbricante si può vantare, e si vanta davvero, di diventare ricco vendendo i tessuti per meno denaro di quanto gli costi il filo contenuto nominalmente nei tessuti stessi»[243]. Ma gli operai non dovevano soffrire soltanto sotto gli esperimenti dei fabbricanti nelle fabbriche e delle municipalità fuori delle fabbriche, né soltanto per la diminuzione dei salari e per la disoccupazione, per il bisogno e per le elemosine, e per gli elogi dei lords e dei membri della Camera dei comuni. «Donne infelici, disoccupate in seguito alla carestia del cotone, divennero rifiuti della società, e tali restarono... Il numero delle prostitute giovani è aumentato più che durante gli ultimi venticinque anni»[244].

Dunque nei primi quarantacinque anni dell’industria cotoniera inglese, dal 1770 al 1815, si trovano solo cinque anni di crisi e di stagnazione; ma questo è stato il periodo del suo monopolio mondiale. 11 secondo periodo, di quarantotto anni, dal 1815 al 1863, conta soltanto venti anni di ripresa e di prosperità su ventotto anni di depressione e stagnazione. Dal 1815 al 1830 comincia la concorrenza con l’Europa continentale e con gli Stati Uniti. Dal 1833 la espansione dei mercati asiatici viene imposta mediante la «distruzione della stirpe umana». Dopo la revoca delle leggi sul grano, dal 1846 al 1863, a otto anni di vivacità e prosperità medie seguono nove anni di depressione e stagnazione. La situazione degli operai cotonieri maschi adulti, anche durante il periodo della prosperità, può essere giudicata dalla nota qui aggiunta[245].

8. RIVOLUZIONE COMPIUTA DALLA GRANDE INDUSTRIA NELLA MANIFATTURA, NEL MESTIERE ARTIGIANO E NEL LAVORO A DOMICILIO.

a) Eliminazione della cooperazione fondata sul mestiere artigiano e sulla divisione del lavoro.

Si è visto come le macchine eliminino la cooperazione fondata sul mestiere artigiano e la manifattura fondata sulla divisione del lavoro di tipo artigianale. Un esempio del primo tipo è la mietitrice meccanica che sostituisce la cooperazione dei mietitori. Un esempio evidentissimo del secondo tipo è la macchina per la fabbricazione degli aghi. Secondo Adam Smith, al suo tempo, dieci uomini fornivano più di quarantottomila aghi al giorno per effetto della divisione del lavoro. Invece una sola macchina ne fornisce centoquarantacinquemila, in una giornata lavorativa di undici ore. Una sola donna o una sola ragazza sorveglia in media quattro di tali macchine, e quindi produce col suo macchinario circa seicentomila aghi al giorno, e più di tre milioni alla settimana[246]. Finché una singola macchina operatrice subentra alla cooperazione o alla manifattura essa può anche diventare a sua volta base di un’industria a tipo artigianale. Però tale produzione dell’industria artigianale, fondata sul macchinario, costituisce solo la transizione alla fabbrica, la quale ultima di regola subentra appena la forza motrice meccanica, vapore o acqua, sostituisce i muscoli umani nel dare il moto alla macchina. Sporadicamente, e anche qui solo transitoriamente, la piccola industria può collegarsi con la forza motrice meccanica prendendo in affitto il vapore, come accade in alcune manifatture di Birmingham, o mediante l’uso di piccole macchine termiche, come certe branche della tessitura, ecc.[247]. Nella tessitura di seta di Coventry si sviluppò spontaneamente e naturalmente l’esperimento delle «fabbriche a cottage». Al centro di alcune file di cottages disposte in quadrato, si costruiva una cosiddetta engine house (Casa delle macchine.) per le macchine a vapore, che era collegata coi telai dei cottages per mezzo di alberi. Il vapore era in tutti i casi preso in affitto, per esempio a due scellini e mezzo per telaio. Questo fitto del vapore doveva essere pagato settimanalmente, lavorassero o no i telai. Ogni cottage conteneva da due a sei telai, appartenenti agli operai, o comprati a credito, o affittati. La lotta fra la fabbrica a cottage e la fabbrica vera e propria durò più di dodici anni, ed è finita con la rovina completa delle trecento cottage factories[248]. Dove la natura del processo non poneva come condizione fin da principio la produzione su grande scala, le industrie che stavano sorgendo negli ultimi decenni, come per esempio quella delle buste per carta da lettera, dei pennini di acciaio, ecc., hanno percorso di regola prima lo stadio artigianale e poi quello manifatturiero come brevi fasi di transizione per giungere alla fabbrica. Questa metamorfosi rimane più difficile dove la produzione di tipo manifatturiero non include una serie graduata di processi di sviluppo, ma una molteplicità di processi disparati. Questo fatto ha costituito per esempio un grosso ostacolo per la fabbrica di pennini di acciaio. Tuttavia, circa tre lustri or sono, è stato inventato un meccanismo automatico che compie d’un sol colpo sei processi disparati. Nel 1820 il mestiere artigiano fornì le prime dodici dozzine di pennini di acciaio per sette sterline e quattro scellini, nel 1830 la manifattura ha fornito la stessa quantità per Otto scellini, ed oggi la fabbrica la fornisce al commercio all’ingrosso per un prezzo da due a sei pence[249].

b) Reazione del sistema delle fabbriche sulla manifattura e sul lavoro a domicilio.

Con lo sviluppo del sistema delle fabbriche e con il rivoluzionamento dell’agricoltura che l’accompagna non solo si ha un allargamento della scala della produzione in tutte le altre branche d’industria, ma si ha anche un cambiamento del carattere di quelle branche d’industria. Il principio del sistema delle macchine, che è di analizzare il processo di produzione nelle sue fasi costitutive e di risolvere i problemi che così risultano mediante l’applicazione della meccanica, della chimica, ecc., in breve, delle scienze naturali, diventa ora principio determinante in ogni campo. Quindi il macchinario s’impone alle manifatture, ora per l’uno ora per l’altro processo parziale; con ciò si dissolve quella solida cristallizzazione che è la loro struttura derivante dalla vecchia divisione del lavoro, e le subentra un cambiamento continuo. Fatta  astrazione da ciò, la composizione dell’operaio complessivo, ossia del personale lavorante combinato, viene sovvertita da cima a fondo. Ora il piano della divisione del lavoro si fonda, in contrapposizione al periodo della manifattura, sull’uso del lavoro femminile, del lavoro di fanciulli di ogni età, del lavoro di operai inesperti tutte le volte che ciò sia fattibile, in breve sull’uso del «cheap labour», lavoro a buon mercato, come lo chiamano caratteristicamente gli inglesi. Questo non vale soltanto per ogni tipo di produzione combinata su grande scala, che adoperi macchinario o meno, ma anche la cosiddetta industria domestica, sia che venga praticata nelle abitazioni private degli operai, sia in piccole officine. Questa cosiddetta industria domestica moderna non ha nulla in comune, fuor che il nome, con quella all’antica, la quale presuppone un artigianato urbano indipendente, un’economia rurale autonoma, e soprattutto una casa della famiglia operaia. Ora l’industria domestica è trasformata nel reparto esterno della fabbrica, della manifattura o del fondaco. Accanto agli operai delle fabbriche e delle manifatture e agli artigiani che il capitale concentra in grandi masse in un dato luogo e comanda direttamente, esso muove con fila invisibili un altro esercito di operai a domicilio, disseminato nelle grandi città e per le campagne. Esempio: la fabbrica di camicie del signor Tillie di Londonderry in Irlanda, che impiega mille operai nella fabbrica e novemila operai a domicilio disseminati per la campagna[250].

Nella manifattura moderna lo sfruttamento di forze-lavoro immature e a buon mercato diventa più spudorato che nella fabbrica vera e propria, perchè nella manifattura viene a mancare in gran parte la base tecnica che vi è nella fabbrica, cioè la sostituzione della forza muscolare con le macchine e la facilità del lavoro, e allo stesso tempo il corpo femminile oppure ancora immaturo viene lasciato in balia degli influssi di sostanze velenose, ecc., senza il minimo scrupolo di coscienza. Nel cosiddetto lavoro a domicilio questo sfruttamento diventa più spudorato che nella manifattura, perchè la capacità di resistenza degli operai diminuisce quando sono dispersi, perchè tutta una serie di rapaci parassiti s’infiltra fra il datore di lavoro vero e proprio e l’operaio, perchè il lavoro a domicilio lotta dappertutto con l’industria meccanica o per lo meno manifatturiera della stessa branca di produzione, perchè la povertà ruba all’operaio le condizioni di lavoro più necessarie, spazio, luce, ventilazione, ecc., perchè cresce la irregolarità dell’occupazione e infine perchè la concorrenza fra operai arriva di necessità al massimo in questi ultimi rifugi di coloro che sono stati messi in « soprannumero » dalla grande industria e dalla grande agricoltura. L’economizzazione dei mezzi di produzione, elaborata sistematicamente per la prima volta dalla industria meccanica e che fin dal principio è stata insieme lo sperpero più sfrenato della forza-lavoro e il furto dei presupposti normali del funzionamento del lavoro, mostra ora questo suo lato antagonistico e omicida tanto più chiaramente, quanto meno sono sviluppate in una branca dell’industria la forza produttiva sociale del lavoro e la base tecnica dei processi di lavoro combinati.

c) La manifattura moderna.

Voglio ora illustrare con qualche esempio le proposizioni che ho avanzato sopra. In realtà, il lettore conosce già una massa di prove, date nella sezione sulla giornata lavorativa. Le manifatture metallurgiche di Birmingham e dintorni adoprano, in gran parte per lavoro pesantissimo, trentamila fra fanciulli e adolescenti, e diecimila donne, che troviamo qui impiegati nelle antigieniche fonderie di ottone e fabbriche di bottoni, nei lavori di smaltatura, galvanizzazione e laccatura[251]. Il lavoro eccessivo degli adulti e dei non-adulti ha procurato a varie tipografie londinesi che stampano libri e giornali il glorioso nome di «mattatoi»251a. Altrettanto nella legatoria, dove del lavoro eccessivo soffrono specialmente donne, ragazze e bambini. Lavoro pesante per adolescenti nelle corderie, lavoro notturno nelle miniere di salgemma, nelle manifatture di candele e di altri prodotti chimici; consumo omicida di ragazzi messi a far muovere i telai nelle tessiture di seta non meccanizzate[252]. Uno dei lavori più infami, più sudici e peggio pagati, per il quale vengono adoprate di preferenza ragazze giovani e donne, è quello di assortire gli stracci. È noto che la Gran Bretagna, fatta astrazione dagli innumerevoli cenci propri, è l’emporio del commercio dei cenci del mondo intero. Vi affluiscono dal Giappone, dagli Stati più lontani dell’America del Sud e dalle Isole Canarie. Ma le sue fonti principali di importazione sono la Germania, la Francia, la Russia, l’Italia, l’Egitto, la Turchia, il Belgio e l’Olanda. Servono per la concimazione, per la fabbricazione di fiocchi (per materassi) e di shoddy (lana artificiale) e come materia prima per la carta. Le cernitrici di stracci servono da veicoli per la diffusione del vaiolo e di altre malattie contagiose, delle quali esse sono le prime vittime[253]. Esempio classico di eccesso di lavoro, di lavoro pesante e non appropriato, e quindi dell’abbrutimento che ne consegue degli operai ivi consumati fin dall’infanzia, può essere considerata, accanto alle miniere e alla estrazione del carbone, la fabbricazione di mattoni e di tegole, per la quale in Inghilterra si adopra ancor solo sporadicamente la apposita macchina, inventata di recente (1866). Da maggio a settembre il lavoro dura dalle cinque di mattina alle otto di sera e, dove la stagionatura ha luogo all’aria aperta, spesso dalle quattro di mattina alle nove di sera. La giornata lavorativa dalle cinque di mattina alle sette di sera è considerata «ridotta», «moderata». Vengono adoprati bambini dì ambo i sessi, dal sesto e perfino dal quarto anno di età in su: e lavorano per lo stesso numero di ore, e spesso più, degli adulti; il lavoro è duro, e il calore estivo li rende ancora più esausti. In una fornace di mattoni a Mosley per esempio una ragazza di ventiquattro anni faceva duemila mattoni al giorno, assistita da due ragazze adolescenti come aiuti, che portavano l’argilla e ammucchiavano i mattoni. Queste ragazze trascinavano ogni giorno dieci tonnellate di argilla su per i fianchi scivolosi del bazzo, da una profondità di trenta piedi e per una distanza di duecentodieci piedi. «È impossibile per un bambino passare attraverso il purgatorio d’una fornace di mattoni senza grave degradazione morale... L’indegno linguaggio che i bambini debbono ascoltare fin dalla più tenera età, le abitudini sudice, indecenti e svergognate fra le quali essi crescono ignoranti e semiselvaggi, li rendono eslegi, abbietti, dissoluti per il resto della vita... Fonte terribile di immoralità è il tipo dell’alloggiamento. Ogni moulder (formatore) (che è l’operaio propriamente esperto e capo di un gruppo di operai) fornisce alla sua squadra di sette persone vitto e alloggio nella propria capanna, cioè nel suo cottage. Nella stessa capanna dormono insieme, appartengano o no alla famiglia, uomini, ragazzi, ragazze. La capanna consiste abitualmente di due stanze, solo eccezionalmente di tre, tutte a pianterreno, con poca ventilazione. I corpi sono così esausti per la grande traspirazione durante la giornata che non vengono osservate in nessun modo né norme igieniche, né pulizia, né decenza. Molte di queste capanne sono veri modelli di disordine, sporcizia e polvere... Il maggior danno del sistema che adopra ragazze giovani per questo tipo di lavoro consiste nel l’incatenarle di regola fin dalla fanciullezza e per tutto il resto della vita alla gentaglia più abbietta. Diventano ragazzacci rozzi e sboccati (rough, foulmouthed boys) prima che la natura abbia loro insegnato che sono donne. Vestite di pochi stracci sporchi, con le gambe nude molto al di sopra del ginocchio, con i capelli e la faccia imbrattati di fango, apprendono a trattare con disprezzo tutti i sentimenti di costumatezza e pudore. Durante il periodo del pasto stanno sdraiate nei campi o stanno a guardare i ragazzi che fanno il bagno in un canale vicino. Quando la loro pesante opera quotidiana è finalmente compiuta, indossano vestiti migliori e accompagnano i maschi nelle birrerie». È naturale che in tutta questa classe domini fin dall’età infantile la massima ubriachezza. «Il peggio è che i fornaciai disperano di se stessi. Uno dei migliori disse al cappellano di Southallfield: Tanto vale tentare di migliorare e di elevare il diavolo quanto un mattonaio, signor mio!» (You might as well try to raise and improve the dcvil as a brickie, Sir!)[254].

Per quanto riguarda l’economizzazione capitalistica delle condizioni di lavoro nella manifattura moderna (per manifattura moderna qui intendo le officine su grande scala, eccettuate le fabbriche vere e proprie), si trova materiale ufficiale e abbondantissimo nel IV (1861) e nel VI (1864) Public Health report. La descrizione dei work shops (locali da lavoro), specialmente quelli dei tipografi e dei sarti di Londra, supera le immaginazioni più nauseabonde dei nostri romanzieri. Ovvio ne è l’effetto sullo stato di salute dell’operaio. Il dott. Simon, ufficiale medico superiore del Privy Council, editore ufficiale dei Public Health reports, dice fra l’altro: «Nella mia quarta relazione (1861) ho mostrato come per gli operai sia praticamente impossibile insistere su quello che è il loro primo diritto sanitario, il diritto che, qualunque sia l’opera per la quale il padrone li raduni, il lavoro debba essere liberato da tutte le circostanze anti igieniche evitabili, per quanto dipende da lui. Ho dimostrato che, mentre gli operai sono praticamente incapaci di procurarsi da soli questa giustizia sanitaria, non possono ottenere nessuna assistenza efficace dagli amministratori della polizia sanitaria, istituiti per questo... La vita di miriadi di operai e di operaie viene ora inutilmente torturata e abbreviata dalle infinite sofferenze fisiche generate dal modo di occupazione come tale»[255]. A illustrazione dell’influenza dei locali da lavoro sullo stato di salute, il dottor Simon dà la seguente lista della mortalità:

industrie ed occupati

Quoziente della mortalità per ogni centomila uomini nelle rispettive industrie all’età indicata

Industrie comparate per quanto riguarda la salute

Numero delle persone di ogni età adoperate nelle rispettive industrie

Dai 25 ai 35anni

 

Dai 35 ai 45 anni

 

Dai 45 ai 55 anni

 

agricoltura in Inghilterra e nel Galles

958.265

743

805

1.145

sarti di Londra

22.301 maschi

12.377 femmine

958

1.262

2.093

tipografi di Londra

13.803

894

1.747

    2.367[256]

d) Il lavoro a domicilio moderno.

Passiamo ora al cosiddetto lavoro domestico. Per farci un’idea di questa sfera di sfruttamento capitalistico costruita sullo sfondo della grande industria e un’idea delle sue mostruosità, si consideri ad esempio l’industria della fabbricazione dei chiodi che sembra del tutto idilliaca, esercitata in alcuni remoti villaggi d’Inghilterra[257]. Qui bastano alcuni esempi delle branche della merletteria e della treccia di paglia, che o non sono ancor affatto meccanizzate o sono in concorrenza con la industria meccanica e manifatturiera.

Delle centocinquantamila persone che sono occupate nella produzione dei merletti in Inghilterra, diecimila all’incirca rientrano nella sfera dell’Atto sulle fabbriche del 1861. L’enorme maggioranza delle centoquarantamila che restano sono donne, adolescenti e bambini d’ambo i sessi, ma il sesso maschile è rappresentato solo debolmente. Lo stato di salute di questo materiale da sfruttamento « a buon mercato » risulta dalla seguente tabella del dott. Trueman, medico del General dispensary (Policlinico generale.) di Nottingham. Su ogni gruppo di 686 pazienti, che erano merlettaie, per lo più fra i diciassette e i ventiquattro anni, erano tisiche:

nel 1852

1 su 45

nel 1853

1 su 28

nel 1854

1 su 17

nel 1855

1 su 18

nel 1856

1 su 15

nel 1857

1 su 13

nel 1858

1 su 15

nel 1859

1 su 9

nel 1860

1 su 8

nel 1861

    1 su 8 [258]

Questo progredire del quoziente della tisi deve bastare ai progressisti più ottimisti e ai più menzogneri ciarlatani, rivenditori ambulanti tedeschi del libero scambio tipo Faucher.

L’Atto sulle fabbriche del 1861 regola la lavorazione dei merletti in senso proprio, in quanto è compiuta per mezzo di macchine; e questa in Inghilterra è la regola. Le branche che noi qui terremo brevemente presenti, e non in quanto gli operai sono concentrati in manifatture o presso magazzini, ecc., ma soltanto in quanto gli operai sono cosiddetti operai d’industria domestica, si dividono in:

1) finishing (ultima rifinitura dei merletti fabbricati a macchina; è una categoria che include a sua volta numerose suddivisioni);

2) lavorazione dei merletti a tombolo.

Il lace finishing (Rifinitura dei merletti),viene eseguito come lavoro a domicilio, o in cosiddette « Mistresses houses » (case delle maestre) o da donne che lavorano isolate o coi loro bambini nelle loro abitazioni private. Le donne che tengono le « Mistresses houses » sono povere anch’esse. Il locale da lavoro costituisce una parte della loro abitazione privata.. Ricevono ordinazioni da fabbricanti, proprietari di grandi magazzini, ecc, e adoprano donne, ragazze e bambini, a seconda della capacità della loro stanza e della fluttuante richiesta del commercio. Il numero delle operaie impiegate varia da venti a quaranta in alcuni di questi locali, da dieci a venti in altri. L’età minima media alla quale cominciano i bambini è di sei anni, ma taluni cominciano al di sotto dei cinque anni. Il periodo lavorativo abituale dura dalle otto di mattina alle otto di sera, con un’ora e mezza per i pasti che sono irregolari e spesso vengono presi negli stessi puzzolenti buchi dove lavorano. Quando gli affari sono buoni, il lavoro dura dalle otto (spesso dalle sei) di mattina fino alle dieci, undici o dodici di notte. Nelle caserme inglesi la cubatura di prescrizione è di cinque o seicento piedi cubi per ogni soldato, nei lazzaretti militari è di mille duecento. In quei buchi da lavoro a ogni persona toccano fra sessantasette e cento piedi cubi. E allo stesso tempo la luce a gas consuma l’ossigeno dell’aria. Per mantener puliti i merletti, spesso i bambini debbono togliersi le scarpe, anche d’inverno, benché il pavimento sia di mattoni o di lastre di pietra. « A Nottingham non è fuor del comune trovare da quindici a venti bambini stipati in una stanzetta di forse non più di dodici piedi quadri, occupati per quindici ore su venti quattro in un lavoro che di per se stesso esaurisce con la noia e la monotonia, e che per giunta è compiuto in tutte le possibili circo stanze nocive alla salute... Anche i bambini più piccoli lavorano con attenzione e velocità intense e stupefacenti, senza concedere quasi mai requie alle dita, e senza rallentare il movimento. Se si rivolge loro una domanda, non alzano l’occhio dal lavoro per timore di perdere un momento ». Il « bastone lungo » serve alle «mistresses» per stimolarli man mano che si allunga il periodo di lavoro. « I bambini a poco a poco si stancano e diventano irrequieti come uccelli verso la fine del loro lungo incatenamento a una occupazione monotona, affaticante per gli occhi e che esaurisce per la uniformità della posizione del corpo. È vero lavoro da schiavi («their work is like slavery»)»[259]. Quando le donne lavorano coi loro figli a casa, cioè nel senso moderno, in una stanza d’affitto, spesso in una soffitta, la situazione è ancor peggiore, se possibile. Questa specie di lavoro viene data da fare per un raggio di ottanta miglia da Nottingham. Quando il bambino impiegato presso un magazzino lo lascia alle nove o alle dieci di sera, gli si dà spesso un altro mazzo di merletti da portarsi a casa e rifinirlo là. Il fariseo capitalista, rappresentato da uno dei suoi servi salariati, fa ciò naturalmente con la frase piena di unzione: « È per la mamma », ma sa benissimo che il povero bambino deve stare alzato e aiutare[260].

L’industria dei merletti a tombolo viene praticata principalmente in due distretti agricoli inglesi, il distretto dei merletti di Honiton, per venti-trenta miglia lungo la costa meridionale del Devonshire, incluse poche località del North Devon; e un altro distretto che comprende gran parte delle contee di Buckingham, Bedford, Northampton e le parti viciniori dell’Oxfordshire e dello Huntingdonshire. Locali da lavoro sono abitualmente i cottages degli operai agricoli giornalieri. Parecchi padroni di manifattura adoprano ciascuno più di tremila di questi operai a domicilio, per lo più bambini e adolescenti, esclusivamente di sesso femminile. E si ripetono le condizioni descritte per il lace finishing, solo che al posto delle «Mistresses houses» subentrano le cosiddette «lace schools» (scuole di merletto) tenute da povere donne nelle loro capanne. Dai cinque anni, e a volte meno, fino ai dodici o ai quindici, le bambine lavorano in queste scuole, le più piccole durante il primo anno dalle quattro alle otto ore, e poi dalle sei di mattina fino alle otto e le dieci di sera. « Le stanze sono in genere le comuni stanze di abitazione dei piccoli cottages, col caminetto tappato per evitare correnti d’aria; la gente che vi sta è riscaldata solo dal proprio calore animale, spesso anche d’inverno. In altri casi queste cosiddette aule scolastiche sono locali assomiglianti a piccoli ripostigli, senza caminetto... L’affollamento in questi buchi e l’appestamento dell’aria che ne consegue giungono spesso all’estremo. A questo si aggiunge l’effetto deleterio degli scoli, dei cessi, delle sostanze in decomposizione e d’altra sporcizia che si trovano d’abitudine negli accessi ai cottages più piccoli». Quanto allo spazio: «In una scuola di merletti, diciotto ragazze con la maestra, trentatré piedi cubi per ogni persona; in un’altra, dal puzzo insopportabile, diciotto persone, ventiquattro piedi cubi e mezzo per ogni persona. In questa industria si trovano adoprati bambini di due anni e di due anni e mezzo»[261]. Nelle contee rurali di Buckingham e di Bedford, dove finisce il lavoro dei merletti, comincia quello della treccia di paglia che si estende su gran parte dello Hertfordshire e sulle parti occidentali e settentrionali dell’Essex. Nel 1861 erano occupate alla treccia di paglia e alla confezione di cappelli di paglia quarantottomila e quarantatre persone, delle quali tremilaottocentoquindici maschi di ogni età e il resto di sesso femminile e cioè quattordicimila e novecentotredici al di sotto dei vent’anni, e di queste circa settemila bambine.

Al posto delle scuole di merletto subentrano qui le straw plait schools (scuole d’intrecciatura della paglia). Qui i bambini cominciano abitualmente a imparare a fare la treccia di paglia dal quarto anno d’età e talvolta fra il terzo e il quarto anno. Naturalmente non ricevono nessuna istruzione. Le stesse bambine chiamano «natural schools» (scuole naturali) le scuole elementari a differenza di queste istituzioni per succhiare il sangue, nelle quali sono tenute al lavoro per finire il compito loro prescritto dalle loro madri semiaffamate, che è per lo più di trenta yards al giorno. Poi le madri le fanno spesso. lavorare a casa, fino alle dieci, alle undici, alle dodici di notte. La paglia taglia le dita e la bocca alle bambine, perchè continuamente inumidiscono la paglia con la bocca. Secondo le opinioni complessive dei funzionari medici di Londra, riassunte dal dott Ballard, trecento piedi cubi costituiscono lo spazio per ogni persona in una stanza da letto o da lavoro. Ma nelle scuole delle trecciaiole lo spazio è misurato con economia ancor maggiore che nelle scuole delle merlettaie: dodici piedi cubi e due terzi, diciassette, diciotto e mezzo e meno di ventidue per ogni persona. «Le cifre più piccole, dice il commissario White, rappresentano meno della metà dello spazio che prenderebbe un bambino se fosse impacchettato in una scatola di tre piedi per lato»... Così si godono la vita i fanciulli fino ai dodici o ai quattordici anni. I genitori miserabili e degenerati pensano soltanto a spremere quanto è possibile dai loro figli. Quando sono cresciuti, naturalmente i figli non si preoccupano affatto dei genitori e li abbandonano. «Non c’è da meravigliarsi che in una popolazione allevata a questo modo la ignoranza e il vizio siano strabocchevoli... La loro morale è del livello più basso... Un gran numero delle donne ha figli illegittimi, e molte li hanno in età così acerba che ne stupiscono perfino coloro che hanno familiarità con la statistica criminale»[262]. E la patria di queste famiglie esemplari è, lo dice il conte Montalembert, che certo in cristianesimo è un competente, il paese cristiano modello d’Europa!

Il salario che è in genere miserevole nei rami d’industria or ora trattati (il salario massimo eccezionale dei bambini nelle scuole d’intrecciatura di paglia è di tre scellini) viene abbassato ancora molto al di sotto del suo ammontare nominale per mezzo del truck-system (sistema di pagamento degli operai in merci) che domina dappertutto, specialmente nei distretti delle merletterie[263].

e) Trapasso della manifattura e del lavoro a domicilio moderni alla grande industria. Acceleramento di questa rivoluzione attraverso l’applicazione delle leggi sulle fabbriche a quei tipi d’industria.

Il deprezzamento della forza-lavoro mediante il mero abuso di forze-lavoro femminili e immature, il mero furto di tutte le condizioni di lavoro e di sussistenza normali e il mero e brutale sovraccarico di lavoro e lavoro notturno, urta alla fine contro certi limiti naturali non più sormontabili e con esso si arrestano anche la riduzione a più buon mercato delle merci e lo sfruttamento capitalistico in generale, che poggiano sulle stesse fondamenta. Quando finalmente si è arrivati a questo punto, suona l’ora dell’introduzione del macchinario e della trasformazione ormai rapida del disperso lavoro a domicilio (o anche della manifattura) in industria di fabbrica.

L’esempio più colossale di questo movimento è fornito dalla produzione di «wearing apparel» (articoli di abbigliamento). Secondo la classificazione della Child. Empl. Comm., quest’industria abbraccia fabbricanti di cappelli di paglia, di cappelli da donna, di berretti, sarti, milliners e dressmakers [264], camiciai, cucitrici, bustai, guantai, calzolai, oltre molte branche minori come la fabbricazione di cravatte, colletti, ecc. Il personale femminile occupato in questa industria in Inghilterra e nel Galles ammontava nel 1861 a 586.298 persone, delle quali per lo meno 115.242 erano al di sotto dei vent’anni e 16.560 al di sotto dei quindici. Numero di queste operaie per il Regno Unito (1861): 750.334. Il numero degli operai maschi occupati nello stesso anno nella cappelleria, nelle fabbriche di guanti, nella calzoleria e nella sartoria era, per l’Inghilterra e il Galles, di 437.969, dei quali 14.964 al di sotto dei quindici anni, 89.285 dai quindici ai venti anni, 333.117 al di sopra dei vent’anni. In queste indicazioni mancano molte branche minori che rientrerebbero qui. Ma se prendiamo le cifre come sono, solo per l’Inghilterra e il Galles si ha, secondo il censimento del 1861, una somma di 1.024.267 persone, dunque quasi altrettante di quelle che vengono assorbite dall’agricoltura e dall’allevamento del bestiame. Così si comincia a capire in che cosa consiste l’aiuto dato dalle macchine nel far sorgere come per incanto masse così enormi di prodotti e nel «mettere in libertà» masse così enormi di operai.

La produzione di «wearing apparel» viene compiuta da manifatture le quali all’interno non hanno fatto che riprodurre la divisione del lavoro di cui avevano trovato bell’e pronte le membra disjecta; da piccoli maestri artigiani che però non lavorano più come prima per consumatori individuali ma per manifatture e per fondachi, cosicchè spesso si hanno intere città e interi distretti che esercitano come specialità tali branche, come la calzoleria, ecc.; e infine, in una estensione maggiore di tutte, da cosiddetti operai a domicilio che costituiscono il dipartimento esterno delle manifatture, dei fondachi e perfino dei piccoli maestri artigiani[265]. Le masse del materiale da lavoro, delle materie prime, dei semifabbricati ecc, sono fornite dalla grande industria; la massa del materiale umano a buon mercato (taillable à merci et miséricorde) consiste degli uomini «messi in libertà» dalla grande industria e dalla grande agricoltura. Le manifatture di questa sfera dovevano la loro origine principalmente al bisogno del capitalista di avere sottomano un esercito pronto e preparato in corrispondenza di ogni movimento della richiesta[266]. Tuttavia, queste manifatture lasciavano perdurare accanto a sè le industrie sparpagliate di tipo artigiano e domestico come loro ampia base. La gran produzione di plusvalore in queste branche di lavoro assieme al progressivo deprezzamento degli articoli da esse prodotti erano e sono dovuti principalmente al collegamento del minimo di salario necessario per vegetare stentatamente con il massimo di tempo di lavoro umanamente possibile. È stato ed è proprio il buon mercato del sudore e del sangue umano tramutati in merce ad ampliare costantemente nel passato e ad ampliare ancora di giorno in giorno il mercato di smercio, e per l’Inghilterra poi anche il mercato coloniale, nel quale per di più predominano le abitudini e i gusti inglesi. Si giunse infine a un punto cruciale. La base del vecchio metodo, cioè il semplice sfruttamento brutale del materiale operaio, più o meno accompagnato da uno sviluppo sistematico della divisione del lavoro, non era più sufficiente per il mercato che cresceva e per la concorrenza dei capitalisti che cresceva ancor più rapidamente. Suonava l’ora delle macchine. La macchina rivoluzionaria decisiva che si è impadronita di tutte le innumerevoli branche di questa sfera di produzione, come modisteria, sartoria, calzoleria, cucitura, cappelleria, ecc., è la macchina per cucire.

L’effetto immediato di questa macchina sugli operai è all’incirca quello di tutte le macchine che conquistano nuove branche d’attività nel periodo della grande industria. I bambini nell’età più acerba vengono allontanati; il salario degli operai meccanici, sale in confronto a quello degli operai a domicilio, molti dei quali sono «poverissimi fra i poveri» («the poorest of the poor»). Cala il salario degli artigiani meglio situati, ai quali la- macchina fa concorrenza. I nuovi operai meccanici sono esclusivamente ragazze e giovani donne. Con l’ausilio della forza meccanica esse distruggono il monopolio del lavoro maschile nelle operazioni più pesanti e scacciano da quelle più leggere masse di vecchierelle e di bambini immaturi. La concorrenza strapotente schiaccia gli artigiani più deboli. L’atroce aumento della morte per fame (death from starvation) a Londra durante l’ultimo decennio è parallelo alla diffusione della cucitura a macchina[267]. Le nuove operaie della macchina per cucire muovono la macchina con la mano e col piede, o solo con la mano, sedute o in piedi, a seconda della pesantezza, della grandezza e della specialità della macchina; e compiono un grande dispendio di forza-lavoro. La loro occupazione diventa antigienica per via della durata del processo, benché per lo più questo sia meno lungo che col sistema vecchio. Dovunque la macchina per cucire cade in laboratori già per conto loro ristretti e sovraffollati, come nella calzoleria, nella cappelleria, nei laboratori delle bustaie, ecc. essa ne aumenta gli effetti antigienici. Il commissario Lord dice: «L’effetto che si prova entrando in locali da lavoro dal soffitto basso, dove lavorano insieme da trenta a quaranta addetti alle macchine, è insopportabile... Il calore, dovuto in parte alle stufe a gas per il riscaldamento dei ferri da stiro, è terribile... Anche quando in tali locali prevalgono le cosiddette ore lavorative moderate, cioè le ore dalle otto di mattina alle sei di sera, vi svengono tuttavia ogni giorno regolarmente tre o quattro persone»[268].

La rivoluzione del modo sociale di esercitare un’attività industriale, rivoluzione che è prodotto necessario della trasformazione del mezzo di produzione, si compie in una policroma confusione di forme di transizione. Queste variano a seconda della estensione e del periodo di tempo in cui la macchina per cucire si è già- impadronita di questa o quella branca d’industria, a seconda della situazione precedente degli operai, a seconda che sia preponderante il sistema della mani fattura, quello artigianale o quello del lavoro domestico, a seconda delle pigioni dei locali da lavoro[269], ecc. Per esempio per la modisteria, dove il lavoro era già per lo più organizzato, principalmente per cooperazione semplice, la macchina per cucire costituisce da principio soltanto un fattore nuovo del sistema manifatturiero. Nella sartoria, nella camiceria, nella calzoleria, ecc. tutte le forme s’incrociano. Qua troviamo il sistema della fabbricazione in senso proprio, là ci sono intermediari che ricevono la materia prima dal capitalista en chef e raggruppano in « camere » o «soffitte», intorno alle macchine per cucire a cinquanta e anche più salariati. Infine, come per tutti i tipi di macchinario che non costituisce un sistema articolato e si può adoprare in formato minimo, artigiani o operai a domicilio, con la propria famiglia, oppure chiamando alcuni pochi operai estranei, si servono anche di macchine per cucire delle quali essi stessi sono proprietari[270]. In realtà oggi in Inghilterra prevale il sistema per il quale il capitalista concentra nei propri edifici un numero di macchine piuttosto rilevante e poi distribuisce il prodotto. delle macchine all’esercito degli operai a domicilio per la ulteriore lavorazione[271]. Tuttavia, la varietà delle forme transitorie non riesce a nascondere la tendenza alla trasmutazione in sistema di fabbrica nel senso proprio. Questa tendenza è alimentata dal carattere della macchina per cucire stessa, le cui molteplici possibilità di applicazione spingono a riunire nello stesso edificio e sotto il comando dello stesso capitale branche di attività industriale che prima erano separate; è alimentata dalla circostanza che i lavori preparatori di cucito ed alcune altre operazioni possono essere eseguiti nella maniera più acconcia dove hanno sede le macchine, e infine dall’inevitabile espropriazione degli artigiani e degli operai a domicilio che producono con macchine di loro proprietà. In parte, questo destino li ha raggiunti già ora. La massa sempre crescente di capitale investito in macchine per cucire[272] sprona la produzione e genera così ristagni del mercato, che danno il segnale della vendita delle macchine per cucire da parte degli operai a domicilio. La stessa sovrapproduzione di tali macchine costringe i loro produttori, bisognosi di smercio, a darle in affitto settimana per settimana, creando così una concorrenza mortale per il piccolo proprietario di macchine[273]. Intanto continuano sempre le variazioni nella costruzione e la riduzione dei prezzi delle macchine, il che ne deprezza costantemente i vecchi esemplari e fa sì che esse possano venire adoprate con profitto soltanto in grandi masse, comprate a prezzi irrisori, in mano a grandi capitalisti. Infine, qui come in tutti gli altri analoghi processi di rivoluzionamento, la sostituzione della macchina a vapore all’uomo dà il colpo finale. In principio l’applicazione della forza vapore urta contro ostacoli puramente tecnici come lo scuotimento delle macchine, la difficoltà di dominarne la velocità, il rapido deterioramento delle macchine più leggere, ecc.: tutti ostacoli che l’esperienza insegna presto a superare[274]. Se da una parte la concentrazione di molte macchine operatrici in mani fatture d’una certa ampiezza spinge alla applicazione della forza del vapore, dall’altra parte la concorrenza del vapore coi muscoli dell’uomo accelera la concentrazione di operai e di macchine operatrici in grandi fabbriche. Così l’Inghilterra sperimenta ora, nella colossale sfera di produzione del «wearing apparel» come pure nella maggior parte delle altre industrie, il convertirsi della manifattura, dell’artigianato e del lavoro a domicilio in sistema di fabbrica, dopo che sotto l’influsso della grande industria tutte quelle forme si erano integralmente modificate, si erano disfatte, deformate, ed avevano già da lungo tempo riprodotto e perfino sorpassato tutte le mostruosità d sistema di fabbrica senza riprodurre i momenti positivi del suo sviluppo [275].

Questa rivoluzione industriale, che avviene spontaneamente, viene accelerata artificialmente dalla estensione delle leggi sulle fabbriche a tutti i rami d’industria dove lavorino donne, adolescenti e fanciulli. La regolamentazione obbligatoria della giornata lavorativa per la durata, le pause, l’inizio e la fine, per il sistema dei turni per i fanciulli, l’esclusione di tutti i fanciulli al di sotto di una certa età, ecc., hanno reso necessario, da una parte, l’aumento delle macchine[276] e la sostituzione dei muscoli col vapore come forza motrice[277]; dall’altra parte ha luogo, per guadagnare in spazio quel che va perduto in tempo, una dilatazione dei mezzi di produzione consumati in comune, forni, edifici, ecc.: dunque, in una parola, maggior concentrazione dei mezzi di produzione e corrispondente maggiore conglomerazione di operai. Infatti la obiezione principale, che viene appassionatamente ripetuta da ogni manifattura minacciata dall’applicazione della legge sulle fabbriche, è che realmente, per continuare a mandare I avanti l’impresa nella sua vecchia estensione, è necessario un maggiore esborso di capitale. Ma, per quel che riguarda le forme intermedie fra manifattura e lavoro a domicilio e per quanto riguarda quest’ultimo, viene a mancare loro il terreno sotto i piedi quando si pone un limite alla giornata lavorativa e al lavoro dei fanciulli.

L’unico fondamento della loro capacità di resistere alla concorrenza è costituito dall’illimitato sfruttamento di forze-lavoro a buon mercato.

Condizione essenziale del sistema di fabbrica, specialmente appena esso viene sottoposto alla regolamentazione della giornata lavorativa, è una certezza normale del risultato, cioè la produzione di una determinata quantità di merce oppure di un effetto utile posto come scopo entro un periodo dato. Le pause legali della giornata lavorativa regolamentata presuppongono inoltre che sia possibile la cessazione subitanea e periodica del lavoro senza che ne venga danno al manufatto che si trova in un processo di produzione. Questa certezza del risultato e questa possibilità d’interrompere il lavoro si possono naturalmente raggiungere con più facilità nelle industrie esclusivamente meccaniche che in quelle dove entrano in funzione processi chimici e fisici come per esempio nella ceramica, nel candeggio, nella tintoria, nel panificio, e nella maggior parte delle lavorazioni metalliche. Per l’andazzo abitudinario della giornata lavorativa, del lavoro notturno e della libera distruzione di uomini, ogni ostacolo naturale fa presto a esser considerato «limite naturale» eterno della produzione. Non c’è veleno che distrugga i parassiti più sicuramente di quanto la Legge sulle fabbriche distrugga quei «limiti naturali». Nessuno ha urlato sulle «impossibilità» più forte dei signori della ceramica. Nel 1864 fu imposta loro la Legge sulle fabbriche; e già dopo sedici mesi tutte le impossibilità erano scomparse. Le innovazioni provocate dalla Legge sulle fabbriche, «il metodo perfezionato di preparare il piallaccio (slip) per pressione invece che per evaporazione, i forni di nuova costruzione per essiccare il lavoro crudo, ecc. sono avvenimenti di grande importanza nell’arte della ceramica e segnano in quest’arte un progresso come non se ne possono additare nel secolo scorso... La temperatura dei forni è considerevolmente diminuita, con notevole diminuzione del Consumo di carbone e con effetto più rapido sul vasellame»[278]. Nonostante tutte le profezie il prezzo di costo delle terraglie non è cresciuto, ma è cresciuta invece la massa dei prodotti, cosicchè l’esportazione dei dodici mesi dal dicembre 1864 ai dicembre 1865 ha dato un’eccedenza di valore di 138.628 lire sterline sulla media dei tre anni precedenti. Nella fabbricazione dei fiammiferi valeva come legge di natura che, anche mentre trangugiavano il loro pasto meridiano, i ragazzi intingessero le asticciuole in un composto caldo di fosforo, il cui vapore velenoso saliva loro al viso. Insieme alla necessità di fare economia di tempo, l’Atto sulle fabbriche (1864) impose una               «dipping machine» (macchina da immersione) i cui vapori non possono raggiungere l’operaio[279]. Così ora nelle branche della manifattura dei merletti che ancora non sono soggette alla Legge sulle fabbriche, si suole affermare che i pasti non possono essere regolari per via del tempo differente del quale abbisognano per prosciugarsi i differenti materiali dei merletti, e che varia da tre minuti a un’ora e più. A ciò i commissari della Children’s Employment Commission rispondono: « Le circostanze sono le stesse che nella stamperia di carta da parati. Alcuni dei principali fabbricanti di questa branca facevano valere con vivacità che la natura dei materiali adoprati e la varietà dei processi percorsi dai materiali non permettono senza grandi perdite di cessare d’un colpo il lavoro all’ora dei pasti... Per la sesta clausola della sesta sezione del Factory Acts Extension Act (1864) fu loro accordata una proroga di diciotto mesi, a datare dal giorno dell’approvazione dell’Atto, scaduta la quale essi si dovevano piegare alle pause di ristoro specificate dall’Atto sulle fabbriche[280]» La legge aveva appena ricevuto la sanzione del parlamento, che i signori fabbricanti fecero infatti la scoperta: «Gli inconvenienti che ci aspettavamo dalla introduzione della Legge sulle fabbriche non si sono verificati. Non troviamo che la produzione sia in alcun modo paralizzata; in realtà, produciamo di più nello stesso tempo»[281]. Si vede che il parlamento inglese, al quale certo nessuno muoverà il rimprovero di essere geniale, è arrivato attraverso l’esperienza a capire che una legge coercitiva può senz’altro eliminare con i suoi ordini tutti i cosiddetti osta coli naturali della produzione che si frappongono alla limitazione e alla regolamentazione della giornata lavorativa. Perciò quando l’Atto sulle fabbriche viene introdotto in una branca dell’industria si suoi porre un termine da sei a diciotto mesi, entro il quale è affare del fabbricante rimuovere gli ostacoli tecnici. Il detto di Mirabeau: «Impossible? Ne me dites jamais ce bête de mot!» vale in modo speciale per la tecnologia moderna. Ma se la Legge sulle fabbriche fa così maturare in una serra gli elementi materiali per la trasformazione del sistema della manifattura in sistema della fabbrica, essa accelera contemporaneamente, attraverso la necessità di un maggiore esborso di capitale, la rovina dei piccoli maestri artigiani e la concentrazione del capitale[282].

Fatta astrazione dagli ostacoli puramente tecnici e tecnicamente eliminabili, la regolamentazione della giornata lavorativa urta contro alcune abitudini irregolari dell’operaio stesso, in specie dove predomina il salario a cottimo e dove il tempo perduto in una giornata o in una parte della settimana può essere compensato in seguito con sopralavoro o con lavoro notturno, metodo che abbrutisce l’operaio adulto e rovina i suoi compagni non giunti a maturità o di sesso femminile[283]. Benché questa mancanza di regola nel dispendio della forza-lavoro sia anche una reazione spontanea e rozza alla noia di un monotono sgobbare sul lavoro, tuttavia, e in misura incomparabilmente maggiore, essa deriva proprio dall’anarchia della produzione, anarchia che a sua volta presuppone uno sfruttamento sfrenato della forza-lavoro da parte del capitale. Accanto alle alterne vicende periodiche e generali del ciclo industriale e accanto alle oscillazioni particolari del mercato in ciascuna branca di produzione, intervengono in ispecie e la cosiddetta stagione, sia che essa dipenda dalla periodicità delle stagioni favorevoli alla navigazione sia dalla moda, e le grandi ordinazioni improvvise da eseguirsi alla più breve scadenza. L’abitudine delle grandi ordinazioni improvvise a breve scadenza si estende con le ferrovie e con il telegrafo. Un fabbricante londinese dice per esempio: «L’estensione del sistema delle comunicazioni ferroviarie per tutto il paese ha favorito molto l’abitudine delle ordinazioni a breve scadenza. Ora i compratori vengono da Glasgow, Manchester ed Edimburgo una volta ogni quindici giorni, oppure vanno per gli acquisti all’ingrosso nei magazzini della City ai quali noi forniamo le merci. Invece di acquistare dai depositi, come era abitudine prima, essi fanno ordinazioni da eseguirsi immediatamente. Negli anni passati eravamo sempre in grado di lavorare in anticipo, durante i periodi di calma, per il fabbisogno della prossima stagione; ma ora nessuno può predire che cosa sarà richiesto in quel momento»[284].

Nelle fabbriche e manifatture non ancora soggette alla Legge sulle fabbriche regna periodicamente, durante la cosiddetta stagione, il sopralavoro più spaventoso, a sbalzi, per via di ordinazioni improvvise. Il reparto esterno della fabbrica, della manifattura e del fondaco, la sfera del lavoro a domicilio, è già per conto suo irregolarissimo e dipende in tutto e per tutto, per la materia prima come per le ordinazioni, dagli umori del capitalista, il quale qui non è vinco lato da nessuna considerazione per la svalorizzazione di edifici, macchine, ecc., e non rischia nient’altro che la pelle dell’operaio stesso; così vi viene allevato sistematicamente un esercito industriale di riserva, sempre disponibile, decimato durante una parte dell’anno da un lavoro coatto estremamente disumano, reso miserabile durante l’altra dalla mancanza di lavoro. «I padroni», dice la Children’s Employment Commission, «sfruttano la irregolarità abituale del lavoro a domicilio, per sforzarlo, nei periodi in cui c’è bisogno di lavoro in più, fino alle undici, alle dodici, alle due di notte: di fatto, come suona la frase corrente, a tutte le ore, e in locali dove basta il fetore a buttarvi a terra (the stench is enough to knock you down). Arrivate forse fino alla porta e l’aprite, ma non osate, per l’orrore, andare avanti»[285]. «Sono gente curiosa quelli che ci impiegano», dice uno dei testimoni interrogati, un calzolaio, «credono che non faccia male a un ragazzo sgobbare a morte per metà dell’anno ed esser quasi costretto a vagabondare per l’altra metà»[286].

Come per gli ostacoli tecnici, capitalisti interessati affermavano ed affermano ancora che queste cosiddette « abitudini industriali» («usages which have grown with the growth of trade») sono  «limiti naturali» della produzione: era questo un grido prediletto dei lords  cotonieri al tempo delle prime minacce rivolte loro dalla Legge sulle fabbriche. Benché la loro industria dipenda, più di tutte le altre, dal mercato mondiale e quindi dalla navigazione, la esperienza li ha smentiti. Da allora in poi ogni preteso «ostacolo industriale» viene trattato come vuota fandonia dagli ispettori di fabbrica inglesi[287]. Difatti le ricerche coscienziose e approfondite della Children’s Employment Commission dimostrano che in alcune industrie la massa di lavoro già adoprata fino a quel momento sarebbe semplicemente distribuita più omogeneamente per tutto l’anno mediante la regolamentazione della giornata lavorativa[288]; che tale regolamentazione era il primo. imbrigliamento razionale dei capricci della moda, volubili[289], omicidi, senza sostanza e in sè incongrui con il sistema della grande industria; che lo sviluppo della navigazione oceanica e dei mezzi di comunicazione in genere ha eliminato la ragione propriamente tecnica del lavoro stagionale[290], e che tutte le altre circostanze cosiddette incontrollabili vengono eliminate da edifici più vasti, macchinario supplementare, aumento del numero degli operai impiegati allo stesso tempo[291] e dal contraccolpo che ne viene automaticamente al sistema del commercio all’ingrosso[292]. Tuttavia il capitale si adatta a tale rivoluzione, come ha dichiarato ripetutamente per bocca dei suoi rappresentanti, «soltanto sotto la pressione di un Atto generale del parlamento»[293] che regola coercitivamente la giornata lavorativa.

9. LEGISLAZIONE SULLE FABBRICHE (CLAUSOLE SANITARIE E SULLA EDUCAZIONE). SUA ESTENSIONE GENERALE IN INGHILTERRA.

La legislazione sulle fabbriche, prima reazione consapevole e pianificata della società alla figura spontaneamente assunta dal suo processo di produzione sociale, è, come abbiamo visto, prodotto necessario della grande industria, quanto il filo di cotone, i self actors (macchine automatiche) e il telegrafo elettrico. Prima di passare alla sua estensione generale in Inghilterra, dobbiamo ancora ricordare in breve alcune clausole dell’Atto inglese sulle fabbriche che non si riferiscono al numero delle ore della giornata lavorativa.

A prescindere dal modo come sono redatte, che rende facile al capitalista evaderle, le clausole sanitarie sono estremamente scarne; di fatto si limitano a prescrizioni sulla imbiancatura delle pareti e ad alcune altre norme di pulizia, ventilazione e protezione contro le macchine pericolose. Nel libro terzo ritorneremo a parlare della fanatica lotta dei fabbricanti contro la clausola che impone loro una piccola spesa per proteggere le membra delle loro « braccia» Qui torna a fare splendida prova il dogma liberoscambista che in una società a interessi antagonistici ciascuno promuove il bene comune perseguendo il proprio utile particolare. Basterà un esempio. È noto che durante il periodo ventennale or ora trascorso è aumentata di molto in Irlanda l’industria del lino e con essa gli scutching mills (officine per la battitura e la sfibratura del lino). Nel 1864 vi erano circa milleottocento di questi mills. Tutte le volte che ritorna il periodo autunnale e invernale, vengono strappati al lavoro dei campi, per alimentare col lino le schiacciatrici a cilindro degli scutching mills, soprattutto adolescenti e donne, cioè i figli, le figlie, le mogli dei piccoli fittavoli del vicinato: tutta gente che non ha nessuna confidenza con le macchine. Per gravità e per frequenza, gli infortuni sono del tutto senza precedenti nella storia delle macchine. Un solo scutching mill, a Kildinan (presso Cork), contò dal 1852 al 1856 sei casi di morte e sessanta mutilazioni gravi, che tutti potevano esser prevenuti con dispositivi semplicissimi, al prezzo di qualche scellino. Il dott. W. White, il certzifyng surgeon (Ufficiale medico) delle fabbriche di Downpatrick, dichiara in una relazione ufficiale del 16 dicembre 1865: «Gli infortuni negli scutching mills sono della natura più terribile. In molti casi un quarto del corpo viene strappato dal tronco. Conseguenze abituali delle ferite sono la morte o un avvenire di miserabile impotenza e di sofferenze. L’aumento delle fabbriche in questo paese diffonderà, com’è ovvio, questi spaventosi risultati. Sono convinto che con una sorveglianza appropriata degli scutching mills da parte dello Stato si potranno evitare grandi sacrifici di vite e di integrità fisica»[294]. Che cosa potrebbe meglio mostrare il carattere del modo di produzione capitalistico che questa necessità di imporgli per mezzo del l’autorità dello Stato e di leggi coercitive, le misure sanitarie e di pulizia più semplici?   «Nelle fabbriche di vasellame l’Atto sulle fabbriche del 1864 ha imbiancato e pulito più di duecento locali da lavoro, dopo che da venti anni o da sempre ci si era astenuti da qualsiasi operazione del genere (ecco «l’astinenza» del capitale!), in luoghi dove sono occupati 27.878 operai che finora, durante un eccessivo lavoro diurno e spesso notturno, respiravano un’aria mefitica, che impregnava di morbo e di morte un’occupazione altrimenti relativamente innocua. L’Atto ha aumentato di molto i mezzi di ventilazione»[295]. Questa sezione dell’Atto sulle fabbriche mostra però anche all’evidenza come, al di là di un certo punto, il modo di produzione capitalistico escluda per propria natura ogni perfezionamento razionale. Abbiamo osservato ripetutamente che i medici inglesi dichiarano all’unanimità che cinquecento piedi cubi di aria a persona sono il minimo appena sufficiente quando si compie un lavoro continuato. Ebbene: se l’Atto sulle fabbriche ha accelerato indirettamente con tutte le sue norme obbligatorie la trasformazione delle piccole officine in fabbrica, e quindi è intervenuto indirettamente nel diritto di proprietà del piccolo capitalista, ed ha assicurato il monopolio al grande capitalista, l’imposizione legale della cubatura d’aria necessaria per ogni operaio in tutti i locali da lavoro esproprierebbe direttamente di un sol colpo migliaia di piccoli capitalisti! Attaccherebbe il modo di produzione capitalistico alla radice, cioè nella autovalorizzazione del capitale, grande o piccolo, mediante la «libera» compera e il «libero» consumo della forza- lavoro. Quindi davanti a questi cinquecento piedi cubi d’aria la legislazione sulle fabbriche perde il respiro. Le autorità sanitarie, le commissioni d’inchiesta sulle industrie, gli ispettori di fabbrica tornano sempre a ripetere la necessità dei cinquecento piedi cubi e l’impossibilità di imporli al capitale. Dunque in realtà dichiarano che la tisi e altre malattie polmonari degli operai sono una condizione dell’esistenza del capitale[296].

Per quanto nel complesso appaiano misere, le clausole sull’educazione dell’Atto sulle fabbriche proclamavano che l’istruzione elementare è una condizione obbligatoria del lavoro[297]. Il loro successo dimostrò per la prima volta la possibilità di collegare l’istruzione e la ginnastica[298] col lavoro manuale, e quindi anche il lavoro manuale con l’istruzione e la ginnastica. Presto gli ispettori di fabbrica scoprirono dalle deposizioni dei maestri di scuola che i ragazzi di fabbrica, benché usufruiscano solo di metà delle lezioni ricevute dagli scolari regolari delle scuole diurne, imparano quanto loro, e spesso di più «La cosa è semplice. Quelli che stanno a scuola solo mezza giornata sono sempre freschi e quasi sempre sono atti e ben disposti a ricevere l’istruzione loro impartita. Il sistema metà lavoro e metà scuola fa sì che ognuna delle due occupazioni sia riposo e ristoro dall’altra, ed è quindi molto più adatto per il bambino che l’ininterrotta continuazione dell’uno o dell’altro lavoro. É impossibile che un ragazzo che sta seduto a scuola fin dal primo mattino, e specialmente poi nella stagione calda, possa gareggiare con un altro che se ne viene dal suo lavoro fresco e sveglio»[299]. Altre prove si trovano nel discorso del Senior al Congresso sociologico di Edimburgo del 1863. In questo discorso il Senior dimostra fra l’altro anche come la giornata scolastica unilaterale, improduttiva e prolungata dei bambini appartenenti alle classi superiori e alle classi medie aumenta inutilmente il lavoro degli insegnanti, «mentre sperpera il tempo, rovina la salute e la energia dei bambini non solo senza frutto, ma anche, assolutamente, con grave danno»[300]. Dal sistema della fabbrica, come si può seguire nei particolari negli scritti di Robert Owen, è nato il germe della educazione dell’avvenire, che collegherà, per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l’istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo.

S’è visto che la grande industria elimina tecnicamente la divisione del lavoro di tipo manifatturiero con la sua annessione d’un uomo intero ad una operazione parziale vita natural durante, mentre, allo stesso tempo, la forma capitalistica della grande industria riproduce in maniera anche più mostruosa quella divisione del lavoro, nella fabbrica vera e propria, mediante la trasformazione dell’operaio in accessorio consapevole e cosciente d’una macchina parziale; e dappertutto per il resto, in parte mediante l’uso sporadico delle macchine e del lavoro meccanico[301] in parte mediante l’introduzione del lavoro femminile, infantile e non addestrato come nuova base della divisione del lavoro. La contraddizione fra la divisione del lavoro di tipo manifatturiero e la natura della grande industria si fa valere con la forza. Compare fra l’altro nel fatto terribile che una gran parte dei fanciulli occupati nelle fabbriche e nelle mani fatture moderne, saldati fin dalla più tenera età alle manipolazioni più semplici, vengono sfruttati per anni e anni senza che apprendano un qualsiasi lavoro che li renda utili più tardi anche soltanto nella stessa manifattura o nella stessa fabbrica. Per esempio nelle tipografie inglesi si aveva prima un passaggio degli apprendisti da lavori più facili a lavori più importanti, che corrispondeva al sistema del l’antica manifattura e dell’artigianato. Gli apprendisti percorrevano un corso di istruzione fino a diventare tipografi finiti. Saper leggere e scrivere era per tutti un requisito del mestiere. Tutto ciò è cambiato con la macchina tipografica. Essa adopera due specie di operai: un operaio adulto, il sorvegliante della macchina, e ragazzi da macchina, per lo più dagli undici ai diciassette anni, la cui occupazione consiste esclusivamente nello stendere il foglio di carta sotto la macchina o nel tirarne fuori il foglio stampato. Essi tribolano in questa operazione, specialmente a Londra, per quattordici, quindici, sedici ore ininterrottamente durante alcuni giorni della settimana, e spesso per trentasei ore di seguito con sole due ore di requie per i pasti e il sonno![302] Una grande parte di questi ragazzi non sa leggere; e sono di regola creature del tutto inselvatichite e anormali. «Per renderli atti al loro lavoro non è necessaria nessuna preparazione intellettuale di nessun genere; hanno poche occasioni per esercitare un’abilità e ancor meno per esercitare il giudizio; il loro salario, benché relativamente alto per dei ragazzi, non cresce proporzionalmente alla loro crescita, e la grande maggioranza non ha nessuna prospettiva di arrivare al posto più lucroso e più responsabile di sorvegliante della macchina, perché per una macchina si ha solo un sorvegliante e spesso invece quattro ragazzi»[303]. Appena diventano troppo vecchi per continuare nel loro puerile lavoro, cioè al più tardi a diciassette anni, vengono licenziati dalla tipografia. Diventano reclute del delitto. Alcuni tentativi di procurare loro un’occupazione altrove fallirono per la loro ignoranza, la loro rozzezza e per la loro degradazione fisica e morale.

Quel che vale per la divisione del lavoro di tipo manifatturiero entro l’officina, vale per la divisione del lavoro entro la società. Finché l’artigianato e la manifattura costituiscono il fondamento generale della produzione sociale, la subordinazione del produttore a un ramo esclusivo della produzione, cioè la distruzione della molteplicità originaria della sua occupazione[304], è un momento necessario dello sviluppo. Su quella base ogni branca particolare della produzione trova empiricamente la configurazione tecnica che le si confà, la perfeziona lentamente e la cristallizza rapidamente appena è raggiunto un dato grado di maturazione. Quel che provoca qua e là dei cambiamenti è, oltre qualche nuovo materiale di lavoro fornito dal commercio, la graduale modificazione dello strumento da lavoro. Una volta raggiunta la forma confacente secondo l’esperienza, anche lo strumento da lavoro si irrigidisce, come dimostra il suo passare, spesso per millenni, dalle mani di una generazione in quelle della seguente.

È caratteristico che i mestieri particolari si chiamassero fino al secolo XVIII inoltrato mysteries (mystères)[305], nella cui oscurità poteva penetrare soltanto chi era iniziato con la esperienza e con la professione. La grande industria lacerò il velo che celava agli uomini il loro proprio processo di produzione sociale e rendeva misteriose le une per le altre le differenti branche di produzione che si erano spontaneamente separate, e le rendeva tali anche per chi era iniziato in ciascuna branca. Il principio della grande industria di risolvere nei suoi elementi costitutivi ciascun processo di produzione, in sè e per sè considerato e senza tener nessun conto della mano dell’uomo, ha creato la modernissima scienza della tecnologia. Le policrome configurazioni del processo di produzione sociale apparentemente prive di nesso reciproco e stereotipe, si scomposero in applicazioni delle scienze naturali, consapevolmente pianificate e sistematicamente scompartite a seconda dell’effetto utile che si aveva di mira. La tecnologia ha scoperto anche le poche grandi forme fondamentali del movimento nelle quali si svolge di necessità ogni azione produttiva del corpo umano, nonostante la molteplicità degli strumenti adoprati: proprio come la meccanica sa che nelle macchine si ha una costante riproduzione delle potenze meccaniche elementari, e non si lascia ingannare dalla massima complicazione del macchinario. La industria moderna non considera e non tratta mai come definitiva la forma di un processo di produzione. Quindi la sua base tecnica è rivoluzionaria, mentre la base di tutti gli altri modi di produzione passata era sostanzialmente conservatrice[306]. Con le macchine, con i processi chimici e con altri metodi essa sovverte costantemente, assieme alla base tecnica della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo. Così essa rivoluziona con altrettanta costanza la divisione del lavoro entro la società e getta incessantemente masse di capitale e masse di operai da una branca della produzione nell’altra. Quindi la natura della grande industria porta con sè variazione del lavoro, fluidità delle funzioni, mobilità dell’operaio in tutti i sensi. Dall’altra parte essa riproduce la antica divisione del lavoro con le sue particolarità ossificate, ma nella sua forma capitalistica. Si è visto come questa contraddizione assoluta elimini ogni tranquillità, solidità e sicurezza delle condizioni di vita dell’operaio, e minacci sempre di fargli saltare di mano col mezzo di lavoro il mezzo di sussistenza[307] e di render superfluo l’operaio stesso rendendo superflua la sua funzione parziale; e come questa contraddizione si sfoghi nell’olocausto ininterrotto della classe operaia, nello sperpero più sfrenato delle energie lavorative e nelle devastazioni derivanti dall’anarchia sociale. Questo è l’aspetto negativo. Però, se ora la variazione del lavoro si impone soltanto come prepotente legge naturale e con l’effetto ciecamente distruttivo di una legge naturale che incontri ostacoli dappertutto[308], la grande industria, con le sue stesse catastrofi, fa sì che il riconoscimento della variazione dei lavori e quindi della maggior versatilità possibile dell’operaio come legge sociale generale della produzione e l’adattamento delle circostanze alla attuazione normale di tale legge, diventino una questione di vita o di morte. Per essa diventa questione di vita o di morte sostituire a quella mostruosità che è una miserabile popolazione operaia disponibile, tenuta in riserva per il variabile bisogno di sfruttamento del capitale, la disponibilità assoluta dell’uomo per il variare delle esigenze del lavoro; sostituire all’individuo parziale, mero veicolo di una funzione sociale di dettaglio, l’individuo totalmente sviluppato, per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si danno il cambio l’uno con l’altro. Un elemento di questo processo di sovvertimento, sviluppatosi spontaneamente sulla base della grande industria, sono le scuole politecniche e agronomiche, un altro elemento sono le «écoles d’enseignement professionnel» nelle quali i figli degli operai ricevono qualche istruzione in tecnologia e nel maneggio pratico dei differenti strumenti di produzione. Se la legislazione sulle fabbriche, che è la prima concessione strappata a gran fatica al capitale, combina col lavoro di fabbrica soltanto l’istruzione elementare, non c’è dubbio che l’inevitabile conquista del potere politico da parte della classe operaia conquisterà anche all’istruzione tecnologica teorica e pratica il suo posto nelle scuole degli operai. Non c’è dubbio neppure che la forma capitalistica della produzione e la situazione economica degli operai che le corrisponde siano diametralmente antitetiche a questi fermenti rivoluzionari e alla loro meta, che è l’abolizione della vecchia divisione del lavoro. Lo svolgimento delle contraddizioni di una forma storica della produzione è tuttavia l’unica via storica per la sua dissoluzione e la sua trasformazione. Ne sutor ultra crepidam (Non vada il calzolaio oltre la scarpa): questo nec plus ultra della sapienza artigiana è diventato terribile follia dal momento nel quale l’orologiaio Watt ha inventato la macchina a vapore, il barbiere Arkwright ha inventato il telaio continuo, e l’operaio orefice Fulton il battello a vapore[309]. In quanto la legislazione sulle fabbriche regola il lavoro nelle fabbriche, nelle manifatture, ecc., la cosa si presenta in un primo momento soltanto come intervento nei diritti di sfruttamento del capitale. Invece ogni regolamentazione del cosiddetto lavoro domestico[310] si presenta subito come intervento diretto contro la patria potestas, cioè, traducendo in linguaggio moderno, contro l’autorità dei genitori: passo di fronte al quale il delicato parlamento inglese ha per lungo tempo affettato reverenziale timore. Tuttavia la forza dei fatti ha costretto finalmente a riconoscere che la grande industria, dissolvendo il fondamento economico della vecchia famiglia e del lavoro familiare che ad esso corrispondeva, dissolve anche i vecchi rapporti familiari. È stato necessario proclamare il diritto dei figli. Nella relazione conclusiva della Child. Empl. Comm. del 1866 è detto: «Disgraziatamente, dal complesso delle deposizioni dei testimoni risulta che i bambini d’ambo i sessi non hanno bisogno di protezione contro nessuno tanto quanto contro i propri genitori». Il sistema dello sfruttamento illimitato del lavoro infantile in generale e del lavoro a domicilio in particolare viene conservato per il fatto «che i genitori esercitano sui loro giovani e teneri rampolli un’autorità arbitraria e dannosa, senza freno e senza controllo... I genitori non debbono avere il potere assoluto di fare dei loro figli delle pure e semplici macchine per spremerne un tanto di salario settimanale... Ragazzi e adolescenti hanno diritto ad essere protetti dalla legislazione contro l’abuso della autorità paterna, che spezza prematuramente la loro forza fisica, e li degrada nella scala degli esseri morali e intellettuali»[311]. Tuttavia non è stato l’abuso di autorità paterna a creare lo sfruttamento diretto o indiretto di forze - lavoro immature da parte del capitale; ma è stato viceversa il modo capitalistico dello sfruttamento a far diventare abuso l’autorità dei genitori, eliminando il fondamento economico che le corrispondeva. Dunque, per quanto terribile e repellente appaia la dissoluzione della vecchia famiglia entro il sistema capitalistico, ciò nondimeno la grande industria crea il nuovo fondamento economico per una forma superiore della famiglia e del rapporto fra i due sessi, con la parte decisiva che essa assegna alle donne, agli adolescenti e ai bambini d’ambo i sessi nei processi di produzione socialmente organizzati al di là della sfera domestica. Naturalmente è altrettanto sciocco ritenere assoluta la forma cristiano-germanica della famiglia, quanto ritenere assoluta la forma romana antica o la greca antica, oppure quella orientale, che del resto formano fra di loro una serie storica progressiva. È altrettanto evidente che la composizione del personale operaio combinato con individui d’ambo i sessi e delle età più differenti, benché nella sua forma spontanea e brutale cioè capitalistica, dove l’operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l’operaio, che è pesti fera fonte di corruzione e schiavitù, non potrà viceversa non rovesciarsi, in circostanze corrispondenti, in fonte di sviluppo di qualità umane[312].

La necessità di generalizzare la Legge sulle fabbriche facendola diventare da legge eccezionale per le filande e le tessiture, prime creature dell’industria meccanica, legge della produzione sociale, deriva, come si è visto, dall’andamento storico dello sviluppo della grande industria; infatti sullo sfondo della grande industria viene completamente rivoluzionata la configurazione tradizionale della manifattura, dell’artigianato e del lavoro domestico: la manifattura si converte costantemente nella fabbrica, l’artigianato si converte costantemente nella manifattura, e infine le sfere dell’artigianato e del lavoro domestico assumono in tempo relativamente e mirabilmente breve l’aspetto di antri di dolore dove le più folli mostruosità dello sfruttamento capitalistico si sfogano a loro agio. Due sono infine le circostanze determinanti delle leggi sulle fabbriche: primo, l’esperienza, sempre ripetuta, che il capitale, appena soggiace al controllo dello Stato soltanto in alcuni singoli punti della periferia della società, si rifà tanto più smodatamente negli altri punti[313]; secondo, l’invocazione dei capitalisti stessi per avere eguaglianza nelle condizioni della concorrenza, cioè limiti eguali allo sfruttamento del lavoro[314]. Sentiamo su questo argomento due sospiri dal profondo del cuore. I signori W. Cooksley (fabbricanti di chiodi, catene, ecc., a Bristol) introdussero volontariamente la regolamentazione nella loro industria. «Poichè l’antico sistema irregolare perdura nelle officine vicine, essi sono esposti all’ingiustizia di vedere i loro ragazzi da lavoro adescati (enticed) altrove dopo le sei di sera. E questo, essi dicono naturalmente, è un’ingiustizia nei nostri riguardi e una perdita per noi, perchè esaurisce una parte della forza dei ragazzi, il cui pieno beneficio spetta a noi»[315]. Il signor J. Simpson (paperbox and bag-maker, Londra - Fabbricante di scatole e sacchetti di carta) dichiara ai commissari della Children’s Empl. Comm.: «che avrebbe firmato ogni petizione per la introduzione delle leggi sulle fabbriche. Così come le cose stavano allora, egli si sentiva sempre inquieto di notte (he always felt restless ai night) dopo aver chiuso la sua officina, al pensiero che altri facevano lavorare più a lungo, sottraendogli le ordinazioni sotto il naso»[316]. La Child. Empl. Comm. dice riassumendo: «Sarebbe fare un torto agli imprenditori più grossi sottoporre alla regolamentazione le loro fabbriche mentre le piccole imprese della loro stessa branca di attività non sono soggette a nessuna limitazione legale del tempo di lavoro. Alla ingiustizia di condizioni della concorrenza disuguali per le ore di lavoro, che si avrebbe eccettuando le officine minori, si aggiungerebbe per i grandi fabbricanti anche l’altro svantaggio, cioè che il loro rifornimento di lavoro giovanile e femminile verrebbe deviato verso le officine risparmiate dalla legge. Infine questo darebbe un impulso all’aumento delle officine minori che sono, quasi senza eccezione, le meno favorevoli per la salute, il comfort, l’istruzione e il miglioramento generale del popolo»[317].

Nella sua relazione finale, la Children’s Employment Commission propone di far rientrare nell’Atto sulle fabbriche oltre un milione e quattrocentomila fanciulli, adolescenti e donne, metà dei quali all’incirca viene sfruttata dalle piccole imprese e dal lavoro a domicilio[318]. «Se il parlamento», dice la commissione, « approvasse la nostra proposta in tutta la sua portata, è indubbio che questa legislazione eserciterebbe il più benefico influsso, non solo sui giovani e deboli, dei quali essa si occupa in primo luogo, ma anche sulla massa ancor più grande degli operai adulti che rientrano direttamente (donne) e indirettamente (uomini) nella sua sfera d’azione. Li costringerebbe ad ore di lavoro regolari e moderate; farebbe loro risparmiare ed accumulare quella riserva di forza fisica dalla quale tanto dipende il benessere loro e quello del paese; proteggerebbe la generazione che cresce dallo sforzo eccessivo in età precoce, che ne mina la costituzione e la conduce a una decadenza precoce; e infine offrirebbe la possibilità dell’istruzione elementare per lo meno fino al tredicesimo anno d’età, e quindi porrebbe fine all’inaudita ignoranza che è così fedelmente esposta nelle relazioni della commissione e non può venire considerata senza acutissimo dolore e senza un profondo senso di umiliazione nazionale»[319]. Il ministero tory annunciò nel discorso della corona del 5 febbraio 1867 di aver formulato in bills le proposte319a  della commissione d’inchiesta sull’industria. Per far ciò c’era voluto un nuovo esperimento ventennale in corpore vili. Una commissione parlamentare d’inchiesta sul lavoro infantile era stata nominata fin dal 1840. La sua relazione del 1842 dispiegava, come dice N. W. Senior, «il quadro più terribile dell’avidità, dell’egoismo e della crudeltà dei capitalisti e dei genitori, della miseria, degradazione e distruzione dei fanciulli e degli adolescenti, che mai abbia colpito gli occhi del mondo... Ci si può forse immaginare che questa relazione descriva gli orrori di un’età trascorsa. Purtroppo abbiamo relazioni che attestano come questi orrori perdurano, e intensamente come sempre. Un opuscolo dello Hardwicke, pubblicato due anni fa, dichiara che gli abusi biasimati nel 1842 sono oggi (1863) in pieno rigoglio... Questa relazione (del 1842) è rimasta inosservata per vent’anni, durante i quali a quei ragazzi, cresciuti senza la minima idea né di quello che noi chiamiamo morale, né di una istruzione scolastica, né di religione, né di affetti familiari naturali, si è permesso di diventare i genitori della gene razione attuale»[320].

Intanto la situazione della società era cambiata. Il parlamento non osò respingere le rivendicazioni della commissione del 1863, come aveva fatto a suo tempo per quelle del 1842. Quindi già nel 1864, quando la commissione aveva appena pubblicato una parte delle sue relazioni, vennero poste sotto le leggi già in vigore per l’industria tessile: l’industria della terraglia (quella del vasellame compresa), fabbricazione delle carte da parati, dei fiammiferi, delle cartucce e delle capsule, come pure la tagliatura del fustagno. Nel discorso della corona del 5 febbraio 1867 quel gabinetto tory annunciò ulteriori bills, fondati sulle proposte conclusive della commissione, che frattanto aveva completato nel 1866 la sua opera.

Il 15 agosto 1867 il Factory Acts Extension Act e il 21 agosto il Workshops’ Regulation Act ebbero la conferma regia; il primo Atto regola le grandi branche industriali, il secondo le piccole.

Il Factory Acts Extension Act regola gli alti forni, le ferriere, le officine del rame, le fonderie, le fabbriche di macchine, i laboratori metallurgici, le fabbriche di guttaperca, carta, vetro, tabacco; inoltre le tipografie e le legatorie e in genere tutte le officine industriali di questo tipo che occupino cinquanta o più persone contemporanea mente durante cento giorni all’anno per lo meno.

Per dare un’idea della estensione del sett9re compreso da questa legge, ecco alcune definizioni che vi sono stabilite:

«M e s t i e r e significherà (in questa legge): qualunque lavoro manuale, compiuto professionalmente ossia per guadagno, nella o in occasione della lavorazione, trasformazione, decorazione, riparazione o rifinitura per la vendita di qualsiasi articolo o di una parte di esso;

«L a b o r a t o r i o significherà: ogni e qualsiasi stanza o ambiente, coperto o all’aria aperta, dove venga esercitato un «mestiere» da qualsiasi fanciullo, operaio adolescente o donna, e dove colui che occupa quel ragazzo, quel giovane operaio o quella donna ha diritto di accesso e di controllo;

«O c c u p a t o significherà: agire in un «mestiere» o per salario o meno, sotto un maestro o uno dei genitori, come viene determinato nei particolari più avanti;

«G e n i t o r i significherà: padre, madre, tutore o altra persona che eserciti la tutela o il controllo su qualsiasi... fanciullo o operaio adolescente».

La clausola settima che è quella della penalità per chi occupa fanciulli, operai adolescenti e donne in modo contrario alle disposizioni di questa legge, stabilisce pene pecuniarie non soltanto per il proprietario del laboratorio, sia egli uno dei genitori o meno, ma anche per «quei genitori o altre persone che abbiano custodia del fanciullo, dell’operaio adolescente o della donna, o che traggano vantaggio diretto dal lavoro di questi».

Il Factory Acts Extension Act, che colpisce i grandi stabilimenti, rimane indietro all’Atto sulle fabbriche per una quantità di miserabili disposizioni eccezionali e vili compromessi coi capitalisti.

Il Workshops’ Regulation Act, che fa pietà nonostante tutti i suoi particolari, rimase lettera morta in mano alle autorità cittadine e locali incaricate di dargli esecuzione. Quando il parlamento tolse nel 1871 tali pieni poteri a quelle autorità per trasmetterli agli ispettori di fabbrica, aumentando così d’un colpo la circoscrizione sotto posta al loro controllo di più di centomila laboratori e di trecento sole fabbriche di mattoni, il personale degli ispettori venne provvidamente accresciuto di soli otto assistenti, mentre già prima era di gran lunga troppo scarso[321].

Dunque quello che fa impressione in questa legislazione inglese del 1867 è da una parte la necessità imposta al parlamento delle classi dominanti di adottare in via di principio misure così straordinarie ed estese contro gli eccessi dello sfruttamento capitalistico; dall’altra parte la esitazione, la contrarietà e la mala fides con le quali in realtà il parlamento ha poi attuato quelle disposizioni.

La commissione d’inchiesta del 1862 propose anche una nuova regolamentazione dell’industria mineraria, industria che si distingue da tutte le altre per il fatto che in essa procedono di pari passo gli interessi dei proprietari fondiari e dei capitalisti industriali. Il contrasto fra questi due interessi aveva favorito la legislazione sulle fabbriche; l’assenza di contrasto è sufficiente a spiegare il traccheggio e i cavilli avutisi nella legislazione sulle miniere.

La commissione d’inchiesta del 1840 aveva fatto rivelazioni così orrende e così rivoltanti ed aveva provocato tale scandalo davanti a tutta l’Europa, che il parlamento dovette mettere in pace la sua coscienza con il Mining Act del 1842, dove si limitò a vietare il lavoro sotterraneo delle donne e dei fanciulli al di sotto dei dieci anni.

Poi venne nel 1860 il Mines’ Inspection Act, per il quale le miniere debbono essere ispezionate da funzionari pubblici specialmente nominati allo scopo, e non debbono venire occupati nelle miniere ragazzi fra i dieci e i dodici anni, a meno che non siano in possesso di un certificato scolastico o frequentino la scuola per un certo numero di ore. Questo Atto rimase del tutto lettera morta, per il numero ridicolmente scarso degli ispettori nominati, per la esiguità dei loro poteri e per altre cause che vedremo più da vicino nel corso della trattazione.

Uno degli ultimi libri azzurri sulle miniere e il Report from the Select Cominittee on Mines, together with... Evidence, 23rd July 1866. È opera di un comitato di membri della Camera bassa che avevano potere di citare e interrogare testimoni; un grosso volume in folio, dove la « relazione » vera e propria comprende solo cinque righe, per dire: che il comitato non sa dir nulla e che debbono venire interrogati ancor più testimoni!

Il tipo degli interrogatori ricorda gli esami in contradditorio davanti ai tribunali inglesi, dove l’avvocato cerca di far confondere e di intimidire il teste con domande provocanti, imbrogliate, inattese ed equivoche, e di stravolgergli le parole in bocca. Qui gli avvocati sono gli esaminatori parlamentari, in persona, fra i quali si trovano proprietari di miniere e sfruttatori di miniere, mentre i testimoni sono operai di miniera, per lo più in miniere di carbone. È tutta una farsa troppo caratteristica dello spirito del capitale per non darne qui alcuni estratti. Per maggior chiarezza do i risultati dell’inchiesta ecc. ordinati in rubriche. Ricordo che nei blue books inglesi le domande con le loro risposte obbligate sono numerate e che i testimoni le cui dichiarazioni vengono ivi citate, sono operai di miniere di carbone.

1. Occupazione degli adolescenti dai dieci anni in su nelle miniere.

Il lavoro, compresa l’andata e il ritorno obbligato da casa alla miniera e viceversa, dura di regola dalle quattordici alle quindici ore, e, in casi eccezionali, di più, dalle tre, quattro, cinque di mattina fino alle quattro o cinque di sera (nn. 6, 452, 83). Gli operai adulti lavorano in due turni, cioè otto ore per turno, ma non c’è avvicendamento del genere per i ragazzi, per risparmiare le spese (nn. 80, 203, 204). I ragazzi più giovani sono adoprati principalmente per aprire e chiudere i portelli di ventilazione nei diversi reparti della miniera, i meno giovani per lavoro più pesante, trasporto di carbone, ecc. (nn. 122, 739, 740). Le lunghe ore di lavoro sottoterra durano fino ai diciotto o ventidue anni, quando ha luogo il passaggio al vero e proprio lavoro del minatore (n. 161). Oggigiorno i ragazzi e gli adolescenti vengono fatti sgobbare più duramente che in qualunque altro periodo precedente (nn. 1663-67). I minatori richiedono quasi al l’unanimità un Atto del parlamento che proibisca il lavoro di miniera fino ai quattordici anni. Ed ecco che Hussey Vivian (che è appaltatore di miniere) domanda: « Questa richiesta non dipende della maggiore o minore miseria dei genitori?» E Mr. Bruce: «Non sarebbe duro sottrarre alla famiglia questa risorsa, quando il padre è morto o mutilato, ecc.? E poi deve pur esserci una regola generale. Volete proibire in tutti i casi l’occupazione sotto terra dei ragazzi fino ai quattordici anni?» Risposta: «In tutti i casi» (nn. 107-110). Vivian:

«Se il lavoro nelle miniere fosse proibito prima dei quattordici anni, i genitori non manderebbero i figli nelle fabbriche, ecc.? »«Di regola, no » (n. 174). Operaio: « L’aprire e chiudere i portelli sembra facile. È un lavoro tormentosissimo. Per non parlare della continua corrente d’aria, il ragazzo è prigioniero, proprio come in una buia cella carceraria». Il borghese Vivian: « Mentre fa la guardia alla porta, il ragazzo non potrebbe leggere, se avesse un lume?» « In primo luogo, dovrebbe comprarsi le candele. Ma inoltre non gli sarebbe permesso. Sta là per fare attenzione al suo lavoro, ha un dovere da compiere. Non ho mai visto un ragazzo leggere nel pozzo » (nn. 139, 141-60).

2. Educazione.

Gli operai minatori chiedono una legge per l’istruzione obbligatoria dei fanciulli, come per le fabbriche. Dichiarano semplicemente illusoria la clausola dell’Atto del 1860, con la quale è richiesto un certificato d’istruzione per poter adoprare i ragazzi di dieci-dodici anni. Qui il procedimento inquisitorio da parte del giudice istruttore capitalistico diventa davvero buffonesco (n.115). «L’Atto è necessario più contro il padrone o contro i genitori?» «Contro gli uni e contro gli altri» (n. 116). «Più contro gli uni che contro gli altri? » «Come devo rispondere a ciò?» (n. 137). «I padroni mostrano qualche desiderio di adattare le ore di lavoro all’istruzione scolastica?» «Mai» (n. 211). «I minatori migliorano la loro educazione in seguito?» « In generale peggiorano; prendono cattive abitudini; si buttano a bere e a giocare e simili e naufragano del tutto » (n. 109). «Perchè non mandare i bambini a scuole serali?» «Nella maggior parte dei distretti carboniferi non ne esistono. Ma la cosa principale è che i bambini sono così esausti per il lungo sovraccarico di lavoro, che gli occhi gli si chiudono dalla stanchezza». «Dunque», conclude il borghese, «voi siete contro l’educazione? » «Niente affatto, ma ecc.» (n. 443). «I proprietari di miniere ecc., non sono obbligati dall’Atto del 1860 a chiedere certificati scolastici, quando adoprano bambini fra i dieci e i dodici anni?» «Secondo la legge sì, ma i padroni non lo fanno» (n. 444). «Secondo la vostra opinione questa clausola della legge non è attuata dappertutto?» «Non viene attuata affatto» (n. 717). «Gli operai delle miniere si interessano molto alla questione dell’educazione?» «La gran maggioranza sì» (n. 718). «Sono ansiosi di vedere attuata la legge?» «La gran maggioranza sì» (n. 720). «E allora perchè non ne impongono l’attuazione? » «Più di un operaio desidera di rifiutare i ragazzi privi di certificato scolastico, ma diventerebbe un uomo segnato (a marked man)» (n. 721). «Segnato da chi? » «Dal suo padrone» (n. 722). «Ma non crederete che i padroni perseguiterebbero un uomo perchè ubbidisce alla legge?» «Credo che lo farebbero» (n. 723). «Perché gli operai non rifiutano di adoprare i ragazzi senza certificato?» «Non possono scegliere» (n. 1634). «Voi chiedete l’intervento del parlamento?» «Se si deve fare qualcosa di efficace per l’educazione dei figli dei minatori, deve essere fatto obbligatoriamente per Atto del parlamento» (n. 1636). «Questo dovrebbe valere per i figli di tutti gli operai della Gran Bretagna o soltanto per i minatori?  «Io sono qui per parlare a nome dei minatori» (n. 1638). «Perché distinguere i ragazzi delle miniere dagli altri?» «Perchè costituiscono una eccezione alla regola» (n.1639). «Da che punto di vista?» «Fisico» (n. 1640). «Perché per essi la educazione dovrebbe aver più pregio che per i ragazzi di altre classi?» «Non dico che per essi abbia più pregio, ma per il sovraccarico di lavoro nelle miniere essi hanno meno possibilità di educazione nelle scuole diurne e domenicali» (n. 1644). «Non è vero che è impossibile trattare in assoluto questioni di questo genere?» (n. 1646). «Ci sono abbastanza scuole nei distretti?» «No» (n. 1647). «Se lo Stato esigesse che ogni bambino fosse mandato a scuola, di dove dovrebbero saltar fuori le scuole per tutti questi bambini?» «Credo che appena le circostanze lo imponessero, le scuole nascerebbero da sole. La gran maggioranza, non solo dei ragazzi, ma anche dei minatori adulti, non sa né leggere né scrivere» (nn. 705, 726).

3. Lavoro femminile.

Dal 1842 le operaie non vengono più usate sotto la terra, ma sono sempre usate sopra la terra per caricare il carbone, ecc., per trascinare le secchie ai canali e ai carri ferroviari, per assortire le varie specie di carbone, ecc. L’impiego di donne è molto aumentato negli ultimi tre-quattro anni (n. 1727). Sono per lo più mogli, figlie e vedove di minatori, dai dodici ai cinquanta e sessant’anni (nn. 647, 1779, 1781). (n. 648). «Che cosa pensano i minatori dell’impiego di donne nelle miniere?» «Lo condannano in generale » (n. 649). «Perchè?» «Lo considerano avvilente per il sesso... Portano una specie di vestito da uomo. In molti casi ogni pudore è soppresso. Parecchie donne fumano. Il lavoro è sudicio quanto quello dei pozzi. Fra di esse ci sono molte donne sposate che non riescono ad adempiere i loro doveri domestici » (n. 651 sgg., 701). (n. 709). «Le vedove possono trovare altrove un lavoro così rimunerativo (8-10 scellini alla settimana)?» «Non sono in grado di dirlo» (numero 710). « E tuttavia (che cuori di pietra!) siete decisi a toglier loro questo sostentamento?» «Certo» (n. 1715). «Di dove viene questa disposizione d’animo?» «Noi minatori abbiamo troppo rispetto per il bel sesso, per vederlo condannato alle miniere di carbone... Questo lavoro è in gran parte pesantissimo. Molte di queste ragazze sollevano dieci tonnellate al giorno» (n. 1732). «Credete che le operaie occupate nelle miniere siano più immorali di quelle occupate nelle fabbriche?» « La percentuale delle cattive è più alta che fra le ragazze delle fabbriche» (n. 1733). « Ma non siete soddisfatti neppure dello stato della moralità nelle fabbriche?» «No » (n. 1734). «Dunque volete proibire il lavoro femminile anche nelle fabbriche?» «No, non voglio»  (n. 1735). «Perché no?» «È più onorevole e più adatto per il sesso femminile» (n. 1736). «Tuttavia è dannoso per la loro moralità, pensate voi?» «No, di gran lunga non tanto quanto il lavoro ai pozzi. Del resto io non parlo solo per ragioni morali, ma anche per ragioni fisiche e sociali. La degradazione sociale delle ragazze è pietosa ed estrema. Quando queste ragazze diventano le mogli degli operai minatori, gli uomini soffrono profondamente di tale degradazione e si sentono spinti fuori di casa a bere» (n. 1737). «Ma questo non vale anche per le donne occupate nelle ferriere?» « Non sono in grado di parlare per altre branche di lavoro» (n. 1740). «Ma che differenza c’è fra le donne occupate nelle ferriere e quelle occupate nelle miniere?» «Non mi sono occupato di questo problema» (n. 1741). «Potete vedere una differenza fra le due classi?» «Non ho accertato nulla a questo proposito, ma conosco il vergognoso stato delle cose nel nostro distretto, dopo aver visitato una casa dopo l’altra» (n. 1750). «Non avreste un gran desiderio di abolire il lavoro femminile dappertutto dove sia degradante?»  «Sì... I migliori sentimenti dei bambini debbono venire dalla educazione materna » (n. 1751). «Ma questo si applica anche al lavoro agricolo delle donne ?» «Questo lavoro dura solo due stagioni, invece da noi continuano a lavorare per tutte e quattro le stagioni, spesso giorno e notte, bagnate fino alla pelle, con la loro costituzione indebolita, la salute spezzata» (n. 1753). «Non avete studiato in generale la questione (del lavoro femminile)?» «Mi sono guardato attorno, e posso dirvi questo: non ho trovato in nessun posto qualcosa di parallelo al lavoro delle donne nelle miniere di carbone. E lavoro da uomini, e da uomini robusti. La classe migliore degli operai minatori, che cerca di elevarsi e di rendersi più umana, viene trascinata in basso dalle mogli invece di trovare un qualche appoggio presso di loro». E dopo che il borghese ha ancora fatto altre domande per dritto e per rovescio, viene finalmente svelato il mistero della sua « compassione »  per vedove, famiglie povere, ecc.: « Il proprietario del carbone nomina certi gentlemen per la sorveglianza dei lavori, e la politica di questi, per mietere il plauso del padrone, consiste nel mettere tutto sulla base più economica possibile; e le ragazze che vengono occupate ricevono da uno scellini a uno scellino e sei pence al giorno, mentre un uomo dovrebbe ricevere due scellini e sei pence» (n. 1816).

4. Giurie per la indagine delle cause del decesso (n. 360).

«Riguardo alle coroner’s inquests (Inchiesta del funzionario giudiziario in caso di morte non naturale.) nei vostri distretti, sono soddisfatti gli operai del procedimento giudiziario quando si verificano infortuni? - No, non lo sono» (n. 361-375). «Perchè non lo sono? - Particolarmente perchè le giurie sono formate di gente che non sa assolutamente niente delle miniere. Gli operai non sono mai chiamati se non come testimoni. In complesso si prendono bottegai del vicinato, i quali risentono l’influenza dei proprietari delle miniere, loro clienti, e non capiscono nemmeno le espressioni tecniche dei testimoni. Noi chiediamo che una parte della giuria sia costituita da minatori. In media la sentenza è in contraddizione con le deposizioni dei testimoni» (n. 378). « Non dovrebbero essere imparziali le giurie? - Sì » (n. 379). « Lo sarebbero gli operai? - Non vedo alcun motivo perchè non dovrebbero esserlo. Hanno cognizione di causa» (n. 380). «Ma non avrebbero la tendenza ad emettere sentenze ingiustamente dure nell’interesse degli operai? - No, non credo ».

5. Misure e pesi falsi, ecc.

Gli operai chiedono di essere pagati settimanalmente invece che ogni quindici giorni, chiedono la misura a peso invece che secondo la cubatura delle secchie, e una difesa contro l’applicazione di pesi falsi, ecc. (n. 1071). «Se le secchie vengono ingrandite in maniera fraudolenta, un uomo può ben lasciare la miniera dopo una disdetta di quindici giorni? - Ma se va in un altro posto, trova lo stesso stato di cose » (n. 1072). «Ma può ben abbandonare il posto in cui viene compiuto questo torto? - È diffuso ovunque» (n. 1073). «Ma l’uomo può lasciare il posto che occupa volta per volta dopo una disdetta di quindici giorni? - S ». E mettiamoci una pietra sopra!

6. Ispezione delle miniere.

Gli operai non soffrono soltanto a causa di incidenti dovuti a gas esplosivi (n. 234 sgg.).    «Altrettanto dobbiamo lagnarci della cattiva ventilazione delle miniere di carbone, tale che la gente a mala pena può respirare; ed è questo che la rende incapace di qualsiasi genere di occupazione. Così ad es. proprio adesso in quella parte della miniera dove lavoro io, l’aria appestata ha fatto ammalare per settimane molte persone. Le gallerie principali per lo più sono abbastanza aerate, ma non lo sono per l’appunto i posti dove lavoriamo. Se un uomo inoltra, all’ispettore le lagnanze sulla ventilazione, viene licenziato ed è un uomo      «segnato» che non trova più occupazione neanche altrove. Il Mining inspecting Act del 1860 è un semplice pezzo di carta. L’ispettore, e il numero di Costoro è di gran lunga troppo esiguo, fa una visita formale una volta ogni sette anni, forse. Il nostro ispettore è un uomo settantenne, del tutto incapace, che presiede a più di centotrenta miniere di carbone. Oltre che un maggior numero di ispettori ci occorrono viceispettori» (n; 280).       «Allora, il governo dovrebbe tenere in piedi un esercito tale di ispettori che questi possano fare tutto quello che chiedete senza ricorrere alle informazioni degli operai stessi? - Questo è impossibile, ma essi dovrebbero venir in persona nelle miniere a prendersi le informazioni» (n. 285). «Non credete che in tal modo si avrebbe l’effetto che la responsabilità (!) della ventilazione ecc. verrebbe spostata dal proprietario di miniera ai funzionari del governo? - Niente affatto; Compito loro dev’essere quello di imporre l’osservanza delle leggi esistenti» (n. 294). « Parlando di viceispettori, intendete gente con uno stipendio minore e di rango inferiore a quello che hanno gli attuali ispettori? - Non desidero affatto che siano inferiori, se voi potete averli migliori» (n. 295). « Volete più ispettori o una classe di gente inferiore agli ispettori? - Noi abbiamo bisogno di gente che giri nelle miniere stesse, gente che non abbia paura per la propria pelle » (n. 296). « Se il vostro desiderio di ispettori di genere inferiore venisse esaudito, la loro mancanza di abilità non produrrebbe pericoli ecc.? - No; è compito del governo di impiegare soggetti adatti ». Alla fine, questa specie di interrogatorio diventa troppo perfino per il presidente del comitato d’inchiesta. «Voi volete», interrompe, « gente pratica che si guardi attorno nelle miniere stesse e riferisca all’ispettore, il quale poi potrà applicare la sua scienza superiore» (n. 531). «La ventilazione di tutte queste vecchie miniere, non causerebbe - forti spese? - Si, ne potrebbero venire spese, ma molte vite umane verrebbero protette» (n. 581). Un minatore protesta contro la sezione XVII dell’Atto del 1860: «Attualmente, se l’ispettore della miniera trova che una parte qualsiasi della miniera non è in uno stato atto alla lavorazione, egli deve riferirne al proprietario della miniera e al ministro degli interni. Dopo di che il proprietario ha un termine di venti giorni per pensarci; scaduti questi venti giorni egli può rifiutare qualsiasi modifica. Ma se rifiuta, deve scrivere al ministro degli interni e proporgli cinque ingegneri minerari tra i quali il ministro dovrà nominare gli arbitri. Noi sosteniamo che in questo caso il proprietario della miniera nomina virtualmente egli stesso i propri giudici» (n. 586). L’inquirente borghese, egli stesso proprietario di miniera: «Questa è un’obiezione puramente congetturale» (n. 588). «Voi avete dunque un’opinione molto povera del l’onestà degli ingegneri minerari? - Io dico che la cosa è molto iniqua e ingiusta» (n. 589). « Non rivestono gli ingegneri minerari una specie di rango pubblico che innalza le loro deliberazioni al di sopra della parzialità da voi temuta? - Mi rifiuto di rispondere a domande circa il carattere personale di questa gente. Sono convinto che in molti casi agiscono con grande parzialità e che questo potere dovrebbe esser sottratto loro là dove sono in giuoco vite umane ». Quello stesso borghese ha la spudoratezza di domandare: «Non credete che anche i proprietari di miniere abbiano delle perdite in caso di esplosioni? ». Infine (n. 1042): « Voi operai, non potete curare i vostri interessi da voi stessi, senza invocare l’aiuto del governo? - No». Nell’anno 1865 vi erano in Gran Bretagna 3.217 miniere di carbone e... 12 ispettori. Un proprietario di miniera dello Yorkshire (Times, 26 gennaio 1867) calcola egli stesso che, astraendo dai lavori puramente burocratici degli ispettori che assorbono tutto il loro tempo, ogni miniera possa essere ispezionata solo una volta ogni dieci anni. Nessuna meraviglia, che negli ultimi anni (specialmente anche nel 1866 e 1867) le catastrofi siano aumentate progressivamente sia per numero che per estensione (talvolta con un sacrificio di 200- 300 operai). Queste sono le bellezze della « libera » produzione capitalistica!

Comunque, l’Atto del 1872, per quanto insufficiente, è il primo che regoli le ore lavorative dei fanciulli occupati in miniere, e rende in certa misura gli sfruttatori e i proprietari di miniere responsabili dei cosiddetti infortuni.

La commissione reale del 1867 per l’inchiesta sull’impiego di fanciulli adolescenti e donne nell’agricoltura ha pubblicato alcune .relazioni importanti. Sono stati fatti diversi tentativi di applicare all’agricoltura i principi della legislazione sulle fabbriche in forma modificata, ma finora tutti questi tentativi sono completamente falliti. Quello su cui però vorrei richiamare l’attenzione è il fatto che esiste una irresistibile tendenza all’applicazione generale di quei principi.

Se la generalizzazione della legislazione sulle fabbriche quale mezzo di difesa fisico e intellettuale della classe operaia è diventata inevitabile, essa, d’altra parte, generalizza e accelera, come già è stato accennato, la trasformazione di processi lavorativi dispersi, compiuti su scala minima, in processi lavorativi combinati su scala larga, sociale, e con ciò la concentrazione del capitale e il dominio esclusivo del regime di fabbrica. Essa distrugge tutte le forme antiquate e transitorie, dietro le quali si nasconde ancora in parte il dominio del capitale, e le sostituisce con il suo dominio diretto, senza maschera. Essa rende così generale anche la lotta diretta contro questo dominio. Mentre nelle officine individuali la legislazione sulle fabbriche impone l’uniformità, la regolarità, l’ordine e l’economia, essa aumenta, con l’enorme assillo imposto alla tecnica dai limiti e dalla regola della giornata lavorativa, l’anarchia e le catastrofi della produzione capitalistica nel suo insieme, l’intensità del lavoro e la concorrenza fra macchine e operai. Insieme colle sfere della piccola industria e del lavoro a domicilio essa distrugge gli ultimi asili di coloro che sono in « soprannumero » e con ciò la valvola di sicurezza di cui finora era munito tutto il meccanismo sociale. Con le condizioni materiali e con la combinazione sociale del processo di produzione essa matura le contraddizioni e gli antagonismi della forma capitalistica del processo di produzione, e quindi contemporaneamente gli elementi di formazione di una società nuova e gli elementi di rivoluzionamento della Società vecchia[322].

10. GRANDE INDUSTRIA E AGRICOLTURA.

La rivoluzione provocata dalla grande industria nell’agricoltura e nei rapporti di produzione sociali fra i suoi agenti di produzione potrà essere esposta solo più avanti. Qui basti un breve accenno ad alcuni risultati che anticipiamo. Se l’uso del macchinario nell’agricoltura è in gran parte esente dai danni fisici che reca all’operaio di fabbrica[323], però il macchinario agisce nell’agricoltura con intensità ancor maggiore e senza contraccolpo sulla «messa in soprannumero» degli operai, come vedremo più avanti nei particolari. Nelle contee di Cambridge e Suffolk, per esempio, l’area del terreno coltivato si è molto estesa a partire dagli ultimi vent’anni, mentre la popolazione rurale è diminuita, nello stesso periodo, non solo relativamente, ma in assoluto.

Negli Stati Uniti dell’America del Nord le macchine agricole sostituiscono l’operaio per il momento solo virtualmente, Cioè permettono al produttore la coltivazione di una superficie più estesa, ma non cacciano gli operai realmente occupati. In Inghilterra e nel Galles, nel 1861, il numero delle persone occupate nella fabbricazione di macchine agricole ammontava a milletrentaquattro, mentre il numero degli operai agricoli occupati nel funzionamento di macchine a vapore e operatrici era solo di milleduecento e cinque.

Nella sfera dell’agricoltura l’effetto più rivoluzionario della grande industria sta nell’abbattere il baluardo della vecchia società, il « contadino », e nell’inserire al suo posto l’operaio salariato. I bisogni sociali di rivolgimento e gli antagonismi sociali della campagna vengono in tal modo resi eguali a quelli della città. Al posto della conduzione più pigramente ligia alla consuetudine e più irrazionale subentra l’applicazione cosciente, tecnologica della scienza. Il modo di produzione capitalistico porta a compimento la rottura dell’originario vincolo di parentela che legava agricoltura e manifattura nella loro forma infantile e non sviluppata. Ma esso crea allo stesso tempo le premesse materiali di una sintesi nuova, superiore, cioè dell’unione fra agricoltura e industria, sulla base delle loro forme antagonisticamente elaborate. Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società, dall’altro turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario, turba dunque l’eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale[324]. Ma insieme essa costringe mediante la distruzione delle circostanze di quel ricambio organico, sorte per semplice spontaneità naturale, a produrre tale ricambio in via sistematica, come legge regolatrice della produzione sociale, in una forma adeguata al pieno sviluppo dell’uomo. Nell’agricoltura come nella manifattura la trasformazione capitalistica del processo di produzione si presenta insieme come martirologio dei produttori, il mezzo di lavoro si presenta come mezzo di soggiogamento, mezzo di sfruttamento e mezzo di impoverimento dell’operaio, la combinazione sociale dei processi lavorativi si presenta come soffocamento organizzato della sua vivacità, libertà e autonomia individuali. La dispersione degli operai rurali su estensioni d’una certa vastità spezza allo stesso tempo la loro forza di resistenza, mentre la concentrazione accresce la forza di resistenza degli operai urbani. Come nell’industria urbana, così nell’agricoltura moderna, l’aumento della forza produttiva e la maggiore quantità di lavoro resa liquida vengono pagate con la deva stazione e l’ammorbamento della stessa forza-lavoro. E ogni progresso dell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell’arte di rapinare l’operaio, ma anche nell’arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell’accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità. Quanto più un paese, per esempio gli Stati Uniti dell’America del Nord, parte dalla grande industria come sfondo del proprio sviluppo, tanto più rapido è questo processo di distruzione[325]. La produzione capitalistica sviluppa quindi la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio.

NOTE


[86] «It is questionable, if all the mechanical inventions yet made have lightened the day’s toil of any human being.» Il Mill avrebbe dovuto dire «of any human being not fed by other people’s labour» [d’un qualsiasi essere umano che non sia nutrito dal lavoro altrui], perchè le macchine hanno indiscutibilmente aumentato il numero dei distinti fannulloni.

[87] Si veda per esempio il Course of Mathematics dello HUTT0N.

[88] «Da questo punto di vista si può tracciare una netta linea divisoria fra strumenti e macchine: vanga, martello, scalpello, ecc., combinazioni di leve e di viti, per le quali, anche se altrimenti artificiosissime, la forza motrice è data dall’uomo... Tutto questo rientra nel concetto di strumento; mentre l’aratro con la forza animale che lo muove, mulini a vento ecc., sono da annoverare fra le macchine». (WILHELM SCHULZ, Die Bewegung der Produktion, Zurigo, 1843, p. 38). Opera lodevole sotto parecchi aspetti.

[89]  Già prima di lui venivano adoprate, probabilmente in Italia per la prima volta, macchine, sia pure imperfettissime, per la filatura. Una storia critica della tecnologia dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parte d’un singolo individuo in un’invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera non esiste. Il Darwin ha diretto l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E non sarebbe più facile da fare, poichè, come dice il Vico, la storia dell’umanità si distingue dalla storia naturale per il fatto che noi abbiamo fatto l’una e non abbiamo fatto l’altra? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee del l’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storia delle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale, è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, che esclude il processo storico, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce appena s’arrischiano al di là della loro specialità.

[90]  Specialmente nella forma originaria del telaio meccanico si riconosce a prima vista l’antico telaio. Nella forma moderna appare sostanzialmente cambiato.

[91]  Solo dal 1850 circa una parte sempre crescente degli strumenti delle macchine operatrici viene fabbricata a macchina in Inghilterra, benché non dagli stessi fabbricanti che fanno le macchine stesse. Macchine per la fabbricazione di tali strumenti meccanici sono per esempio la automatic bobbin-making engine [ macchina da fuselli ], card-setting engine [ macchina fissacardatrice ], le macchine per la fabbricazione delle spole, quelle per fucinare fusi da mule e da throstle [ filatrice e telaio continuo ].

[92]  Mosè d’Egitto dice:« Non metter la museruola al bue mentre trebbia.» [ deuteronomio, 25, 4, trad. Diodati ]. Invece i filantropi cristiano-germanici mettevano un gran disco di legno al collo del servo della gleba che adoperavano come forza motrice per macinare affinché non potesse portarsi alla bocca con la mano un po di farina.

[93]  In parte la mancanza di cascate, in parte la lotta contro l’acqua altrimenti sovrabbondante, costrinsero gli olandesi a usare il vento come forza motrice. Il mulino a vento vero e proprio venne loro dalla Germania, dove questa invenzione provocò una graziosa lotta fra nobiltà, preti e imperatore sulla questione a chi dei tre « appartenesse il vento. » L’aria fa servi, si diceva in Germania, mentre il vento faceva libera l’Olanda. Quivi il vento asservì non l’olandese, ma la terra e il suolo per l’olandese. Ancora nel 1836 vennero adoprati in Olanda dodicimila mulini a vento della forza di seimila cavalli, per salvare due terzi del paese dalla ritrasformazione in palude.

[94]  Certo, essa fu già molto perfezionata dalla prima macchina a vapore di Watt, quella cosiddetta a effetto semplice; ma in questa forma essa è rimasta sempre una Pura e semplice macchina per sollevare acqua e acque salmastre.

[95]  «L’unione di tutti questi strumenti semplici, messi in movimento da un singolo motore, costituisce una macchina » (BABBAGE, On the Economy of Machinery, [ 136 ]).

[96]  John C. Morton lesse alla Society of Arts, nel dicembre del 1859, un saggio sulle « forze usate nell’agricoltura.» Fra l’altro vi è detto: « Ogni miglioramento che favorisca l’uniformità del terreno rende più applicabile la macchina a vapore per la produzione di forza puramente meccanica... La forza dei cavalli si richiede dove le siepi tortuose ed altri ostacoli impediscono un’azione uniforme. Questi ostacoli scompaiono sempre più di giorno in giorno. Nelle operazioni che esigono più esercizio della volontà che forza reale, è applicabile soltanto la forza guidata di minuto in minuto dalla mente umana, cioè la forza umana ». Poi il signor Morton riduce forza vapore, forza cavallo e forza umana, all’unità di misura abituale per le macchine a vapore, cioè la forza necessaria per sollevare di un piede in un minuto trentatremila libbre; e calcola il costo di un cavallo vapore a tre pence all’ora nella macchina a vapore, a cinque pence e mezzo nel cavallo. Inoltre, il cavallo può essere adoperato solo otto ore al giorno, se lo si vuole mantenere in stato di piena salute. Con la forza del vapore si possono risparmiare, per tutto l’anno, per lo meno tre su sette cavalli per l’aratura, a un prezzo non maggiore di quello che sarebbero costati i cavalli ai quali s’è rinunciato, durante i tre o quattro mesi nei quali soltanto vengono realmente usati. Nelle operazioni agricole, nelle quali può venire usata la forza vapore, essa finisce col migliorare la qualità del lavoro compiuto, in confronto con la forza dei cavalli. Per compiere il lavoro della macchina a vapore, dovrebbero essere adoperati sessantasei operai all’ora, per quindici scellini complessivi, e per compiere quello del cavallo, trentadue uomini per otto scellini complessivi all’ora.

[97]  FAULHABER, 1625: DE CAUS, 1688

[98]  L’invenzione moderna delle turbine libera lo sfruttamento industriale della forza idrica da molti degli ostacoli precedenti.

[99]  «Ai primi tempi della manifattura tessile, la località della fabbrica dipendeva dall’esistenza d’un corso d’acqua fornito d’un dislivello sufficiente per mettere in moto una ruota a pale; e benché allora l’introduzione dei mulini ad acqua significasse il principio della dissoluzione del sistema dell’industria domestica, quei mulini, che necessariamente dovevano stare presso corsi d’acqua e spesso si trovavano a notevole distanza l’uno dall’altro, facevano parte d’un sistema rurale piuttosto che urbano; soltanto con l’introduzione della forza del vapore come surrogato della forza della corrente d’acqua le fabbriche si addensarono nelle città e nei luoghi dove fossero presenti in quantità sufficienti il carbone e l’acqua necessari alla produzione del vapore. La macchina a vapore è la madre delle città industriali»  (A. REDGRAVE in Reports of the Insp. of Fact. 3Oth April 1860, p. 36).

[100] Dal punto di vista della divisione del lavoro manifatturiera la tessitura non era un lavoro semplice, ma piuttosto un lavoro complesso artigianale, e il telaio meccanico è così una macchina che opera cose molto varie. È in genere un idea sbagliata quella secondo cui il macchinario moderno s’impadronisce alle origini di operazioni che la divisione del lavoro manifatturiera aveva semplificato. Filatura e tessitura furono separate in nuove specie durante il periodo della manifattura, i loro strumenti furono perfezionati e variati, ma il processo lavorativo stesso, per nulla diviso, rimase artigianale. Non è dal lavoro che parte la macchina, ma dal mezzo di lavoro.

[101]   Prima dell’età della grande industria la manifattura della lana era la manifattura inglese dominante. Quindi in essa furono fatti il maggior numero di esperimenti durante la prima metà del secolo XVIII. Le esperienze fatte sulla lana tornarono a vantaggio del cotone, la cui lavorazione meccanica esige una preparazione meno faticosa, allo stesso modo che più tardi, viceversa, l’industria laniera meccanica si è sviluppata sulla base della filatura e tessitura meccanica del cotone. Alcuni elementi singoli della manifattura laniera sono stati incorporati nel sistema di fabbrica solo a partire da questi ultimi decenni, come per esempio la pettinatura della lana.  «L’applicazione della forza meccanica al processo della pettinatura della lana... estensiva dopo l’introduzione della “pettinatrice meccanica” e in ispecie di quella del Lister... ha avuto indubbiamente l’effetto di buttar fuori dal lavoro un gran numero di operai. Prima la lana veniva pettinata a mano, per lo più nella capanna del pettinatore. Ora viene pettinata generalmente nella fabbrica, e il lavoro manuale è diventato superfluo, eccetto che per alcune particolari specie di lavoro, per le quali si preferisce ancora la lana pettinata a mano. Molti pettinatori a mano han trovato lavoro nelle fabbriche, ma la produzione del pettinatore a mano è così piccola in proporzione a quella della macchina, che è scomparsa la possibilità di impiego per un grandissimo numero di pettinatori». (Rep. of Insp. of Fact. for 31st Oct.1856, p. 16).

[102]  «Il principio del sistema di fabbrica consiste dunque nel sostituire.., la partizione di un processo nei suoi elementi costitutivi essenziali alla divisione o graduazione del lavoro fra singoli artigiani».  (URE, Philosophy of Manufactures, p. 20).

[103]   Il telaio meccanico nella sua prima forma e fatto principalmente di legno; quello perfezionato, moderno, di ferro. Quanto all’inizio la vecchia forma dei mezzi di produzione domini la loro forma nuova si vede per esempio anche dal confronto più superficiale fra il telaio a vapore moderno e quello vecchio, fra gli strumenti moderni per l’aerazione del minerale nelle fonderie di ferro e la prima goffa rinascita meccanica del mantice comune; e nel modo più lampante si vede nel tentativo di una locomotiva fatto prima dell’invenzione della locomotiva attuale; essa aveva di fatto due piedi che alzava alternativamente, come un cavallo. Soltanto dopo un ulteriore sviluppo della meccanica e a esperienza pratica accumulata la forma delle macchine viene determinata interamente dal principio meccanico e quindi viene interamente emancipata dalla forma corporea tradizionale dello strumento che si trasforma in macchina.

[104]   Il cotton gin dello yankee Eli Whitney era stato sostanzialmente meno cambiato, fino a tempi recentissimi, di ogni altra macchina del secolo XVIII. Solo negli ultimi decenni (prima del 1867) un altro americano, il signor Emery di Albany, New York, ha reso antiquata la macchina del Whitney, con un perfezionamento tanto semplice guanto efficace.

[105]   The Industry of Nations, Londra, 1855, parte II, p. 239. Ivi si dice:«Semplice esteriormente insignificante come può apparire questo accessorio del tornio, non è affermar troppo, noi crediamo, se dichiariamo che la sua influenza nel migliorare ed estendere l’uso delle macchine è stata tanto grande quanto quella prodotta dai perfezionamenti apportati alla macchina a vapore stessa dal Watt. La sua introduzione condusse subito a perfezionare tutte le macchine, a renderle più a buon mercato, e fu d’incitamento a invenzioni e a perfezionamenti».

[106]   Una di queste macchine londinesi che serve per fucinare paddlewheel shafts [ alberi delle ruote a pala ] ha il nome Thor». Essa fucina un albero del peso di 16 tonnellate e mezza con la stessa facilità del fabbro che fucina un ferro da cavallo.

[107]   Le macchine che lavorano il legno e che possono essere adoperate anche su piccola scala sono per lo più invenzioni americane.

[108]   La scienza non costa in genere «niente» al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza  «altrui» e viene incorporata al capitale, come il lavoro altrui. Ma appropriazione «capitalistica» e appropriazione «personale» sia di scienza, sia di ricchezza materiale, sono cose del tutto disparate. Lo stesso dott. Ure deplorava la grossolana ignoranza di meccanica dei suoi cari fabbricanti sfruttatori di macchine, e sull’ignoranza dei fabbricanti inglesi di prodotti chimici, il Liebig sa raccontare cose da far rizzare i capelli.

[109]   Il Ricardo tiene d’occhio questo effetto delle macchine — ch’egli del resto non svolge come non svolge la differenza generale fra processo di lavoro e processo di valorizzazione — spesso con tanta preferenza da dimenticare occasionalmente la parte costitutiva del valore che le macchine cedono al prodotto, e da metterlo addirittura nello stesso sacco delle forze naturali. Così per esempio «Adam Smith non sottovaluta mai i servizi che le forze naturali e le macchine compiono per noi ma distingue giustissimamente la natura del valore che esse aggiungono alle merci... poichè esse compiono il loro lavoro (work) gratuitamente, l’aiuto che esse ci danno non aggiunge nulla al valore di scambio». (RICARDO, Principles ecc., pp. 336, 337). Naturalmente, l’osservazione del Ricardo è giusta contro J. B. Say, il quale vaneggia che le macchine fanno il «servizio» di crear valore, il quale costituirebbe una parte del «profitto».

109a (Nota alla terza edizione). Una «forza cavallo» è eguale alla forza di 33.000 libbre-piede al minuto, cioè alla forza che in un minuto solleva 33.000 libbre di un piede (inglese) o una libbra di 33.000 piedi. Questa è la forza cavallo che si intende qui sopra. Nel linguaggio commerciale corrente ed anche qua e là nelle citazioni di questo libro, si fa però distinzione fra forze cavallo «nominali» e «commerciali» o «indicate» in una stessa macchina; l’antica forza cavallo nominale vien calcolata esclusivamente dal percorso del pistone e dal diametro del cilindro, e prescinde completamente dalla pressione del vapore e dalla velocità del pistone. Cioè, di fatto essa dice: questa macchina a vapore avrebbe per esempio la forza di cinquanta cavalli quando fosse mossa dalla stessa debole pressione del vapore, e con la medesima bassa velocità del pistone in uso ai tempi del Boulton e del Watt. Ma da allora in poi, questi ultimi due fattori sono cresciuti enormemente. Per misurare la forza meccanica oggi realmente fornita da una macchina, fu inventato il manometro, che indica la pressione del vapore. La velocità del pistone si stabilisce facilmente. Così la misura della forza cavallo «indicata» o «commerciale» di una macchina è una formula matematica che tien conto simultaneamente del diametro del cilindro, del percorso del pistone, della velocità del pistone e della pressione del vapore, e indica con ciò quale multiplo di trentatremila libbre-piede la macchina fornisce realmente al minuto. Una forza cavallo nominale può dunque dare in realtà tre, quattro, anche cinque forze cavallo indicate o reali. Questo per spiegare diverse citazioni delle pagine seguenti. F. E.).

[110]   Il lettore impigliato nelle idee capitalistiche lamenterà naturalmente che qui non si parla dell’ «interesse » che la macchina aggiunge al prodotto pro rata del suo valore di capitale. Ma è facile vedere che la macchina non può aggiungere nuovo valore sotto il nome di « interesse», perchè essa non genera affatto nuovo valore come non ne genera nessun’altra parte costitutiva del capitale costante. È chiaro inoltre che qui, dove si tratta della produzione del plusvalore, non si può dare come presupposta una parte di esso a priori, sotto il nome di «interesse». Il sistema di calcolo capitalistico che prima facie [ prima vista ] appare assurdo e in contraddizione con le leggi della formazione del valore, avrà la sua spiegazione nel libro terzo di quest’opera.

[111] Questa parte costitutiva del valore aggiunta dalla macchina cala tanto assolutamente che relativamente dove la macchina soppianta cavalli e in genere animali da lavoro che vengono adoperati soltanto come forza motrice e non come macchine da ricambio organico. Osserviamo di passaggio che Cartesio, nella sua definizione degli animali come macchine pure e semplici, vede con gli occhi del periodo manifatturiero, ben diversi da quelli del Medioevo, quando l’animale era considerato come ausiliare dell’uomo, come tornerà ad apparire al signor von Haller nella sua Restaurazione delle scienze politiche. Tanto Bacone che Cartesio consideravano il cambiamento della forma della produzione e il dominio pratico dell’uomo sulla natura come risultato del cambiamento del metodo del pensiero, come mostra il Discours de la méthode, dove è detto fra l’altro: è possibile (con il metodo da lui introdotto nella filosofia) giungere a cognizioni che siano utilissime alla vita, e che invece di quella filosofia speculativa che si insegna nelle scuole, se ne possa trovare una pratica, per la quale, conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell’acqua, dell’ aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, con la medesima chiarezza e distinzione con cui conosciamo i diversi mestieri dei nostri artigiani, possiamo impiegarle allo stesso modo per tutti gli usi ai quali sono adatti, e renderci così padroni e possessori della natura e così «contribuire al perfezionamento della vota umana». Nella prefazione ai Discourses upon Trade (1691) di Sir Dudley North è detto che il metodo di Cartesio, applicato all’economia politica, ha cominciato a liberare quest’ultima dalle vecchie favole e dalle idee superstiziose sul denaro, commercio, ecc. Tuttavia, in media gli economisti inglesi più antichi si riallaciano a Bacone e a Hobbes considerando questi i loro filosofi, mentre più tardi il Locke divenne  «il filosofo» per eccellenza dell’economia politica in Inghilterra, Francia e Italia.

[112]   Secondo il rapporto annuale della Camera di commercio di Essen (ottobre 1863) le Fonderie di acciaio Krupp producevano nel 1862 tredici milioni di libbre di acciaio fuso, mediante: 161 fra forni fusori, fornaci d’arroventamento e fornaci a cemento; 32 macchine a vapore (nell’anno 1800 questo era all’incirca il totale delle macchine a vapore in uso a Manchester), e 14 magli a vapore, che insieme rappresentano 1236 cavalli vapore; 49 fucine, 203 macchine utensili e circa 2400 operai. Qui non si hanno ancora due operai per un cavallo vapore.

[113]   Babbage calcola che a Giava si aggiunga il centodiciassette per cento al valore del cotone quasi soltanto col lavoro di filatura. Allo stesso tempo (nel 1832) in Inghilterra il valore complessivo che le macchine e il lavoro aggiungevano al cotone nella filatura fine, ammontava al trentatre per cento circa del valore della materia prima (On the Economy of Machinery, p. 214).

[114]   Inoltre con la stampatura a macchina si risparmia nel colore.

[115]  Cfr. Paper read by Dr. Watson, Reporter on Products to the Government of India, before the Society of Arts, 17 aprile 1860.

[116]   «Queste forze mute (le macchine) sono sempre il prodotto d’un lavoro molto minore di quello che esse soppiantano, anche quando hanno lo stesso valore in denaro». (RICARDO, Principles ecc., p. 40).

116a  Nota alla seconda edizione. Quindi in una società comunista le macchine avrebbero ben più largo campo d’azione che non nella società borghese.

[117]  «Coloro che impiegavano i lavoratori non volevano tenere senza necessità due squadre di fanciulli al di sotto dei tredici anni... Di fatto una classe di fabbricanti, proprietari di filande di lana, oggi impiega di rado ragazzi al di sotto dei tredici anni di età, cioè half-timers. Hanno introdotto macchine di vari tipi, perfezionate e nuove, per le quali è diventato del tutto superfluo l’impiego di fanciulli (cioè al di sotto dei tredici anni). Per illustrare questa diminuzione del numero dei fanciulli, ricorderò un processo per il quale, coll’aggiunta alle macchine esistenti di un apparecchio chiamato attaccafili, il lavoro di sei o quattro half-timers, a seconda dei particolari di ogni macchina, può essere compiuto da un solo adolescente» (al di sopra dei tredici anni)... Il sistema dello half-time ha stimolato «l’invenzione della macchina attaccafili». (Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1858).

[118]  «Le macchine... possono spesso non essere usate finché il lavoro (intende dire il salario) non sale di prezzo» (RICARDO, Principles ecc., p. 479).

[119]    V. Report of the Social Science Congress at Edinburgh, Oct. 1863.

[120]   Il dott. Edward Smith venne inviato dal governo inglese nel Lancashire, Cheshire, ecc, durante la crisi del cotone che accompagnò la guerra civile americana, per riferire sulla situazione igienica degli operai delle industrie cotoniere. Riferisce fra l’altro che la crisi ha igienicamente, anche a prescindere dall’allontanamento dell’operaio dall’atmosfera della fabbrica, molti altri vantaggi. In quell’epoca le mogli degli operai trovavano il tempo necessario per allattare i propri bambini, invece di avvelenarli con Godfrey’s cordial (un oppiaceo). Avevano anche trovato il tempo di imparare a cucinare. Sfortunatamente quest’arte culinaria capitò in un periodo nel quale non avevano niente da mangiare. Ma si vede come il capitale avesse usurpato, per la propria autovalorizzazione, il lavoro familiare necessario, al consumo. Così pure la crisi venne utilizzata per insegnare alle figlie degli operai a cucire in apposite scuole. Ci volevano una rivoluzione in America e una crisi mondiale perchè le figlie degli operai che filavano per tutto il mondo imparassero a cucire!

[121] «L’aumento del numero degli operai è stato grande, attraverso l’aumentata sostituzione del lavoro maschile col lavoro femminile e soprattutto del lavoro degli adulti col lavoro dei fanciulli. Tre fanciulle di tredici anni, con salari dai sei agli otto scellini alla settimana, hanno preso il posto d’un solo uomo maturo con un salario dai diciotto ai quarantacinque scellini» (TH. DE QUINCEY, The Logic of Political Economy, Londra, 1844, nota a p. 147). Poichè certe funzioni della famiglia, per esempio la custodia e l’allattamento dei figli, ecc., non possono essere soppresse completamente, le madri di famiglia sequestrate dal capitale debbono prezzolare, chi più chi meno, delle sostitute. I lavori richiesti dal consumo familiare, come cucito, rammendo, ecc, debbono essere sostituiti con l’acquisto di merci finite. Così alla diminuzione del dispendio di lavoro domestico corrisponde un aumento del dispendio di denaro. Quindi i costi di produzione della famiglia operaia crescono ed equilibrano le maggiori entrate. Si aggiunga che l’economia e il discernimento nell’utilizzazione e nella preparazione dei mezzi di sostentamento diventano impossibili. Nei Reports degli ispettori di fabbrica, in quelli della Children’s Employment Commission e in ispecie anche nei Reports on Public Health si trova abbondante materiale su questi fatti che sono tenuti nascosti dalla economia politica ufficiale.

[122]   In contrasto con il grande fatto che la limitazione del lavoro delle donne e dei fanciulli nelle fabbriche inglesi fu strappata al capitale dagli operai maschi adulti, si trovano, ancora nelle più recenti relazioni della Children’s Employment Commission, tratti di genitori operai in rapporto al traffico dei fanciulli, veramente rivoltanti e del tutto degni di mercanti di schiavi. Ma, come si può vedere da quegli Stessi Reports, il fariseo capitalistico denuncia questa bestialità che da lui stesso vien creata, esternata e sfruttata e che altrove egli battezza «libertà del lavoro». Si ricorse all’ausilio del lavoro dei fanciulli.., perfino per lavorare per il loro proprio pane quotidiano. Senza la forza di sopportare la fatica di un lavoro così sproporzionato, senza istruzione che potesse guidare la loro vita futura, quei fanciulli venivano gettati in un ambiente fisicamente e moralmente appestato. Lo storico ebraico aveva osservato, a proposito della distruzione di Gerusalemme per opera di Tito, che non c’era da meravigliarsi che la città fosse distrutta d’una distruzione così terribile, quando una madre inumana aveva sacrificato il proprio figlio per calmare la brama della fame assoluta (Public Economy Concentrated, Carlisle, 1833, p. 66).

[123] A. REDGRAVE in Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1858, pp. 40, 41.

[124] Children’s Employment Commission. V report, Londra, 1866, p. 81, n. 31. (Nota alla quarta edizione. L’industria della seta di Bethnal Green è ora quasi distrutta. F. E.).

[125]  Child. Empl. Comm., III report, Londra, 1864, p. 53, n. 15.

[126]     Ivi, V report, p. XXIII, n. 137.

[127]     Sixth report on Public Health, Londra, 1864, p. 34.

[128]  «Essa (l’inchiesta del 1861)... ha mostrato inoltre che, mentre nelle circo Stanze descritte, i bambini muoiono per la negligenza e il disordine dovuti alle occupazioni delle loro madri, le madri divengono snaturate verso i loro figli in misura incresciosa, comunemente non preoccupandosi molto per la loro morte e perfino a volte.., prendendo misure dirette per assicurarla» (ivi).

[129]     Sixth report on Public Health, p. 454.

[130]    Sixth report on Public Health, Londra, 1864, pp. 454-463. Report by Dr. Henry lulian Hunter on the excessive mortality of infants in some rural districts of England.

[131]     Ivi p. 35 e pp. 455, 456.

[132]    Sixth report on Public Health, Londra, 1864, p. 456.

[133]    Il consumo dell’oppio si estende di giorno in giorno fra le operaie e gli operai adulti e anche nei distretti agricoli come già nei distretti industriali inglesi. «Il grande fine di alcuni intraprendenti mercanti all’ingrosso è... promuovere la vendita degli oppiacei. I droghieri li considerano l’articolo di più facile smercio» (ivi, p. 459). I lattanti ai quali si somministravano oppiacei «s’accartocciavano come piccoli vecchietti, o raggrinzivano come scimmiette», (ivi, p. 460). Ecco la vendetta dell’India e della Cina contro l’Inghilterra.

[134]  Sixth report on Public Health, Londra, 1864, p. 37.

[135] Reports of Inspectors of Fact. for 31st Oct. 1862, p. 59. Questo ispettore di fabbrica era stato prima medico.

[136] LEONARD HORNER in Reports of Insp. of Fact. for 3Oth April 1857, p. 17.

[137] Lo  stesso in Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1855, pp. 18, 19.

[138] Sir J. KINCAID in Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1858, pp. 31, 32.

[139] LEONARD HORNER in Reports ecc. for 3Oth April 1857, pp. 17, 18.

[140] Sir J. KINCAID, Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1856, p. 66.

[141]A. REDGRAVE in Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1857, pp. 41-43. In quelle branche dell’industria inglese dove regna da un certo tempo l’Atto sulle fabbriche vero e proprio (non il Print Works Act [Atto sulle stamperie di tela], citato in ultimo nel testo) gli ostacoli all’attuazione delle clausole sull’istruzione sono stati superati in una certa misura negli ultimi anni. Nelle industrie non ancora soggette alle leggi sulle fabbriche regnano ancora moltissimo le opinioni del fabbricante di vetro J. Geddes che così ammaestra il commissario d’inchiesta White: per quanto io possa vedere, la maggiore quantità di educazione di cui una parte della classe operaia ha fruito negli ultimi anni è stata un male. È pericolosa, perchè li rende troppo indipendenti» (Children’s Employment Commission, IV report, Londra. 1865, p. 253).

[142] Il signor E., fabbricante, mi ha informato che impiega esclusivamente donne per i suoi telai meccanici; dà la preferenza a donne sposate, specialmente a quelle che hanno famiglia a casa, dipendente da loro per il mantenimento, queste sono molto più attente e più docili delle donne non sposate, e sono costrette a tendere all’estremo le loro forze per procurarsi i mezzi di sostentamento necessari. Cosi le virtù, le virtù peculiari del carattere femminile sono pervertite a danno di quest’ul timo, così tutto quel che vi è di morale e di delicato nella natura delle donne diventa mezzo della loro schiavitù e delle loro sofferenze (Ten Hours’ Factory Bill. The speech of Lord Ashley 15th March, Londra, 1844, p. 20).

[143] «Da quando è divenuta generale l’introduzione di macchine costose la natura umana è stata sottoposta a esigenze molto superiori alla sua forza media» (ROBERT OWEN, Observations on the effects of the manufacturing system, 2. ed., Londra, 1817, [p. 16]).

[144] Gli inglesi che amano considerare la prima forma empirica in cui una cosa si presenta come sua causa, indicano spesso come causa del lungo tempo di lavoro nelle fabbriche il grande ratto erodiano dei fanciulli compiuto dal capitale agli inizi del sistema di fabbrica nelle case dei poveri e negli orfanotrofi, per mezzo del quale esso s’incorporò un materiale umano del tutto privo di volontà. Così ad es. Fielden, fabbricante inglese egli stesso: È chiaro che il lungo tempo di lavoro è stato provocato dal fatto che ci si è procurato, da parti diverse del paese, un numero così rilevante di fanciulli abbandonati, che gli imprenditori erano indipendenti dagli operai e, dopo aver reso consuetudinario il lungo tempo di lavoro, potevano con I’aiuto del misero materiale umano procacciato in quel modo imporre quel tempo di lavoro anche ai loro vicini con maggiore facilità (J. FIELDEN, The Curse of the Factory System, Londra, 1836, p. 11). Riferendosi al lavoro delle donne l’ispettore di fabbrica Saunders dice nel rapporto di fabbrica del 1844: «Fra le operaie vi sono donne che vengono impiegate per molte settimane una dopo l’altra, ad eccezione di pochi giorni soltanto, dalle 6 del mattino alle 12 di notte, con meno di 2 ore per i pasti, cosicchè per 5 giorni alla settimana rimangono ad esse solo 6 delle 24 ore di una giornata per venirsene via da casa, ritornarvi e per riposarsi a letto».

[145] «L’occasione......, del danno recato alle delicate parti mobili del meccanismo metallico può stare nell’inazione» (URE, Philosophy of Manufactures, Londra, 1835, p. 281).

[146] Il Manchester Spinner [filandiere di Manchester] già sopra ricordato (Times, 26 novembre 1862), enumera fra i costi del macchinario: « Essa (ossia la “diffalcazione per l’usura del macchinario “) ha anche lo scopo di coprire la perdita recata ininterrottamente dal fatto che le macchine vengono poste fuori uso da altre macchine di nuova e più perfezionata costruzione ancor prima che siano logorate».

[147] Si calcola, all’ingrosso, che la costruzione di una sola macchina secondo un modello nuovo costi cinque volte quanto la ricostruzione della stessa macchina secondo lo stesso modello (BABBAGE, On the Economy of Machinery and Manufactures, Londra, 1832, pp. 211, 212).

[148] Da alcuni anni sono subentrati perfezionamenti così importanti e così numerosi nella fabbricazione del tulle che una macchina ben conservata che in origine aveva un prezzo di costo di 1200 sterline è stata venduta alcuni anni dopo a 60 sterline I perfezionamenti si sono susseguiti con tanta velocità che delle macchine sono rimaste non finite nelle mani dei loro costruttori perchè già invecchiate in base a invenzioni più indovinate». In questo periodo di impeto e di baldanza i fabbricanti del tulle prolungarono ben presto l’originario tempo di lavoro di 8 ore, con un doppio turno di lavoratori, a 24 ore (ivi, p. 233).

[149] «È ovvio che con l’alta e la bassa marea del mercato e con l’alternarsi della espansione e della contrazione della domanda si ripresenteranno costantemente le occasioni in cui il fabbricante potrà investire capitale circolante (floating) addizionale senza usare capitale fisso addizionale... se quantità addizionali di materia prima potranno essere lavorate senza spese addizionali per edifici e per macchinario». (R. TORRENS, On Wages and Combination, Londra, 1834, p. 64).

[150] La circostanza ricordata nel testo è riferita solo per amore di completezza, Poichè soltanto nel libro terzo tratterò del saggio del profitto ossia del rapporto fra plusvalore e capitale complessivo anticipato.

[151] «When a labourer», dice Mr. Ashworth, « lays down his spade, he renders useless, for Shat period, a capital worth 18 pence. When one of our people leaves the mill, he renders useless a capital that has cost 100.000 pounds» (SENIOR, Letters on the Factory Act, Londra, 1837, pp. 13, 14).

[152] «La forte preponderanza del capitale fisso in rapporto a quello circolante... rende cosa desiderabile un tempo di lavoro lungo». Con la crescente diffusione del macchinario, ecc, «gli impulsi a prolungare il tempo di lavoro diventano più forti, giacchè è questo l’unico mezzo per rendere fruttifera una grande massa di capitale fisso » (ivi, pp. 11-14). «Vi sono diverse spese in una fabbrica che rimangono costanti indipendentemente dal fatto che la fabbrica lavori per un tempo più o meno lungo, ad es. l’affitto degli edifici, le imposte locali e generali, l’assicurazione contro gli incendi, il salario per diversi operai permanenti, il deterioramento del macchinario, come altri oneri diversi la cui proporzione nei confronti del profitto decresce nello stesso rapporto in cui cresce il volume della produzione» (Reports of the Insp. of Fact. for 31st Oct. 1862, p. 19).

[153] Si vedrà dalle prime sezioni del libro terzo perchè di questa contraddizione Immanente non si renda conto nè il singolo capitalista nè, quindi, l’economia politica legata alle concezioni di quest’ultimo

[154] È uno dei grandi meriti del Ricardo l’aver considerato il macchinario non solo come mezzo di produzione di merci, ma anche di «redundant population ».

[155] F. BIESE, Die Philosophie des Aristoteles, vol. II, Berlino, 1842, p. 408.

[156] Cito qui la traduzione dello Stolberg di questa lirica, perchè essa, proprio come i passi sulla divisione del lavoro sopra citati, caratterizza il contrasto fra la concezione antica e quella moderna.

Risparmiate la mano che macina, o mugnaie, e dormite

Dolcemente! Invano il gallo vi annunci il mattino!

Demetra ha ordinato alle ninfe il lavoro delle fanciulle,

E ora esse saltellano leggere sopra le ruote,

Che gli assi percossi girino con i loro raggi,

E in circolo ruotino la mole della pietra che gira.

Viviamo la vita dei padri, rallegriamoci, liberi dalla fatica,

Dei doni che la dea ci porge.

(Liriche dal greco tradotte dal conte Cristiano di Stolberg, Amburgo, 1782).

[157] Naturalmente si verificano in genere differenze nell’intensità dei lavori di rami di produzione diversi. Queste differenze trovano in parte la loro compensazione. come ha già mostrato A. Smith, nelle circostanze secondarie di ogni particolare genere di lavoro. Un effetto sul tempo di lavoro quale misura di valore si ha anche qui soltanto in quanto la grandezza intensiva e la grandezza estensiva si rappresentano come espressioni opposte e che si escludono a vicenda di una medesima quantità di lavoro.

[158] Specialmente con il salario a cottimo, forma che sarà svolta nella sesta sezione.

[159]  Cfr. Rep. of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1865.

[160]  Reports of Insp. of Fact. for 1844 and the quarter ending 3Oth April 1845, pp.

[161] Ivi, p. 19. Siccome il salario a cottimo era rimasto eguale, l’ammontare del salario settimanale dipendeva dalla quantità del prodotto.

[162] Reports of Insp. of Fact. for 1844 and the quarter ending 30th April 1845, p. 22.

[163] Ivi, p. 21. L’elemento morale aveva una parte importante negli esperimenti sopra accennati. « Noi», dichiaravano gli operai all’ispettore di fabbrica, «noi lavoriamo in maniera più viva, pensiamo sempre al premio che è per noi l’andarcene a casa prima la sera, e uno spirito energico e gioioso pervade tutta la fabbrica, dal più giovane attaccatore all’operaio più anziano, e possiamo aiutarci a vicenda molto nel lavoro» (ivi).

[164] JOHN FIELDEN, The Curse of the Factory System, Londra, 1836, p. 32.

[165] Lord ASHLEY, Ten Hours’ Factory bill, Londra, 1844, pp. 6-9 passim.

[166] Reports of Insp. of Fact. to 3Oth April 1845, p. 20.

[167] Ivi, p. 22.

[168] Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1862, p. 62.

[169] Questo stato di cose è mutato con il Parliamentary return [relazione parlamentare] del 1862. In esso al posto della forza dei cavalli vapore nominali subentra quella reale delle macchine a vapore moderne e delle ruote ad acqua [cfr nota 109a]. Inoltre i fusi per la torcitura non sono più messi in un sol fascio con i fusi per la filatura veri e propri (come nei returns del 1839, 1850 e 1856); ancora, per le fabbriche della lana è aggiunto il numero delle «gigs» [cardatrici] ed è introdotta la distinzione fra fabbriche di juta e canapa da un lato e fabbriche di lino dall’altro. Infine è accolta nella relazione per la prima volta la fabbricazione delle calze.

[170] Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1856, pp. 14, 20.

[171] Ivi, pp. 14, 15.

[172] lvi, p. 20.

[173] Reports ecc. for 31st Oct. 1858, pp. 9, 10. Cfr. Reports ecc. for 30th April 1860, p. 30 sgg

[174] Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1862, pp. 100. 103, 129, 130.

[175] Con il moderno telaio a vapore un tessitore fabbrica ora in 60 ore settimanali e su 2 telai 26 pezze di una determinata specie, di una certa lunghezza e altezza, mentre sul telaio a vapore vecchio ne poteva fabbricare soltanto 4. I costi di tessitura di una di tali pezze erano scesi fin dall’inizio del decennio 1850-60 da 2 scellini 9 pence a 5 pence e un ottavo.

Aggiunta alla seconda edizione. Trent’anni fa (1841) a un filatore di cotone che lavorasse con 3 aiutanti veniva richiesta solo la sorveglianza di una coppia di mules ossia di 300-324 fusi. Insieme a 5 aiutanti egli deve ora (fine del 1871) sorvegliare mules con un ammontare complessivo di 2200 fusi, e produce per lo meno sette volte più filo che non nel 1841 (ALEXANDER REDGRAVE, ispettore di fabbrica, nel Journal of the Society of Arts, 5 gennaio 1872).

[176] Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1861, pp. 25, 26.

[177] È cominciata ora (1867) fra gli operai di fabbrica del Lancashjre l’agitazione per le otto ore.

[178] Le poche cifre qui riportate indicano il progresso compiuto dalle vere e proprie factories (fabbriche) dell’Unjted Kingdom a partire dal 1848:

Esportazioni: quantità

Fabbriche di cotone

 

1848

1851

1860

1865

Filato di cotone (libbre)  .

135.831.162

143.966.106

197.343455

103.751.455

Filo da cucire (libbre)

.

4.392.176

6.297.554

4.648.61 i

Tessuto di cotone (yards).

1.091,373.930

1.543.161.789

2.776.218.427

2.015.237.851

Fabbriche di lino e di canapa

Filato (libbre)

11.722.182

18.841.326

31.210.612

36.777.334

Tessuto (yards)

88.901.519

129.206.753

143.996.773

247.012.329

Fabbriche di seta

Filato a catena ritorto, filo (libbre)

466.825

462.513

897.402

812.589

Tessuto (libbre)

 

1.181.455

1.307.293

2.869.837

Fabbriche di lana

Filato di lana e worsted (libbre)

 

14.670.880

27.533.968

31.669.267

Tessuto (yards)

 

151.231.153

190.371.537

278.837.418

Esportazione: valore (in lire sterline)

Fabbriche di cotone

Filato di cotone .

5.927.831

6.634.026

9.870.875

10.351.049

Tessuto di cotone

16.753.369

23.454.810

42.141.505

46.903.796

Fabbriche di lino e di canapa

Filato

493.449

951.426

1.801.272

2.505.497

Tessuto

2.802.789

4.107.396

4.804.803

9.155.358

 Fabbriche di seta

Filato a catena, ritorto, filo

77.789

196.380

826.107

768.064

Tessuto

[510.328]

1.130.398

1.587.303

1.409.221

Fabbriche di lana

Filato di lana e worsted

776.975

1.484.544

3.843.450

5.424.047

Tessuto

5.733.828

8.377.183

12.156.998

20.102.259

(Cfr. i libri azzurri: Statistical Abstract for the United Kigdom, nn. 8 e 13, Londra, 1861 e 1866).

Nel Lancashjre fra il 1839 e il 1850 le fabbriche aumentarono solo del 4%, fra il 1850 e il 1856 del 19%, fra il 1856 e il 1862 del 33%, mentre in entrambi i periodi di undici anni il numero delle persone occupate ebbe un aumento in via assoluta e diminuì in via relativa. Cfr. Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1862, p. 63. NeI Lancashire predomina la fabbrica del cotone. Ma quale sia il posto che essa occupa in proporzione nella fabbricazione di filati e di tessuti in genere, si può capire dal fatto che essa da sola rappresenta fra tutte le fabbriche del genere dell’Inghilterra, del Galles, della Scozia e dell’Irlanda il 45,2%; tra tutti i fusi rappresenta l’83,3%, tra tutti i telai a vapore Io 81,4%, di tutta la forza-vapore che li fa funzionare il 72,6% e del numero complessivo delle persone occupate il 58,2% (ivi, pp. 62, 63).

[179] URE, Philosophy of Manufactures, p. 18.

[180] Ivi, p. 20. Cfr. KARL MARX, Misère de la Philosophie, pp. 140, 141

[181] È caratteristico per l’intenzionale inganno statistico, comprovabile anche altrimenti nei particolari, che la legislazione inglese sulle fabbriche escluda espressamente dal suo raggio d’azione gli operai ricordati nel testo per ultimi qualificandoli come non operai di fabbrica, e che d’altra parte i returns pubblicati dal parlamento includano nella categoria degli operai di fabbrica, altrettanto espressamente, non solo ingegneri, meccanici, ecc, ma anche i dirigenti di fabbrica, i commessi, fattorini, sorveglianti di magazzino, imballatori, ecc., in breve tutti ad eccezione del proprietario di fabbrica in persona.

[182] URE lo ammette. Egli dice che gli operai «in caso di necessità possono secondo il volere del dirigente essere spostati da una macchina all’altra» ed esclama trionfante: «Cambiamenti del genere sono in aperta contraddizione con il vecchio andazzo che divide il lavoro e assegna a un operaio il compito di aggiustare la capocchia di uno spillo, all’altro di arrotare la punta dello spillo [Philosophy of Manufactures, p. 22]. Egli si sarebbe dovuto chiedere piuttosto perchè mai nella fabbrica automatica questo «vecchio andazzo» viene abbandonato solo in « caso di necessità»

[183] Quando vi è carenza di uomini, come ad esempio durante la guerra civile americana, l’operaio di fabbrica viene adibito dal borghese, in via eccezionale, ai lavori più pesanti, come la costruzione di strade, ecc. Gli ateliers nationaux inglesi dell’anno 1862 e sgg., dedicati agli operai cotonieri disoccupati, si distinguevano da quelli francesi del 1848 per il fatto che in questi ultimi l’operaio doveva compiere a spese dello Stato dei lavori improduttivi, e in quelli doveva compiere a vantaggio del borghese lavori urbani produttivi e precisamente a un prezzo minore di quello degli operai regolari con i quali veniva così posto in concorrenza. «L’aspetto fisico degli operai cotonieri è indubbiamente migliorato. Questo miglioramento lo attribuisco... in quanto si tratti di uomini, all’occupazione all’aria aperta come accade per i lavori pubblici » (si tratta qui degli operai di fabbrica di Preston che furono occupati nei lavori per il Preston moor [ palude di Preston]. Rep. of Insp. of Fact. Oct. 1865, p. 59).

[184] Esempio: i diversi apparecchi meccanici, introdotti dopo la legge del 1844 nelle fabbriche di lana, in sostituzione del lavoro dei fanciulli. Non appena i figli degli stessi signori fabbricanti dovranno far «la loro scuola» come manovali della fabbrica, questo campo ancora quasi intatto della meccanica prenderà uno slancio notevole. «Le self-acting mules sono forse pericolose quanto un qualsiasi altro macchinario. La maggior parte degli infortuni colpiscono bambini piccoli e questo perchè essi s’insinuano sotto le mules in movimento per scopare il pavimento. Diversi «minders» (operai addetti alle mules) furono perseguiti in tribunale (dagli ispettori di fabbrica) e condannati a multe a causa di questo reato, ma senza un qualsiasi vantaggio generale. Se i costruttori di macchine volessero in qualche modo inventare una scopa automatica che eliminasse la necessità che quei bambinelli si insinuino sotto il macchinario, quest’invenzione sarebbe un felice contributo alle nostre misure protettive» (Reports of Insp. of Fact. for 31st October 1866, p. 63).

[185] Si apprezzi quindi al suo giusto valore la fantastica trovata di Proudhon il quale... «costruisce» il macchinario non come sintesi di mezzi di lavoro, ma come sintesi di lavori parziali per gli operai stessi.

[186] F. ENGELS, Die Lage der arbeitenden Klasse cit., p. 217. Perfino un libero scambista ordinarissimo e ottimista come il signor Molinari osserva: «Un uomo si consuma più rapidamente sorvegliando per quindici ore al giorno il movimento uniforme di un meccanismo che non facendo agire entro lo stesso tempo la sua forza fisica. Questo lavoro di sorveglianza che potrebbe forse servire come ginnastica utile allo spirito, se non venisse prolungato troppo, distrugge a lungo andare, con la sua misura eccessiva, il morale e il fisico insieme » (G. DE MOLINARI Etudes économiques, Parigi, 1846, [p. 491]).

[187] F. ENGELS, op. cit., p. 216.

[188] «The factory operatives should keep in wholesome remembrance the fact that theirs is really a low species of skilled labour; and that there is none which is more easily acquired or of its quality more amply remunerated, or which, by a short training of the least expert con be more quickly as well as abundantly acquired... The master ‘s machinery really plays a far more important part in the business of production than the labour and the skill of the operative, which six months’ education can teach, and a common labourer can learn» (The Master Spinners’ and Manufacturers’ Defence Fund. Report of the Committee, Manchester, 1854, p. 17). Si vedrà più avanti come il  «master» intoni un’altra musica non appena lo minacci la perdita delle sue macchine automatiche « vive ».

[189]  URE, Philosophy of Manufacture p. 15. Chi conosce la storia della vita di Arkwright non lancerà mai in faccia a questo geniale barbiere la parola «nobile ». Fra tutti i grandi inventori del secolo XVIII fu indiscutibilmente il più gran ladro di invenzioni altrui e il tipo più abietto.

[190] « La schiavitù in cui la borghesia tiene incatenato il proletariato non si rivela in nessun luogo con la chiarezza che la distingue nel sistema di fabbrica. Ogni libertà vi cessa sia di diritto che di fatto. L’operaio deve trovarsi in fabbrica alle 5 e mezzo del mattino; se arriva con qualche minuto di ritardo è punito, se il ritardo è di 10 minuti, non viene neanche fatto entrare finché non sia passata l’ora della colazione, e perde il suo quarto di giornata del salario. Egli è costretto a mangiare, bere e dormire su comando... La dispotica campana lo fa alzare dal letto, lo fa allontanare dalla colazione e dal pasto di mezzogiorno. E come vanno poi le cose nella fabbrica? Qui legislatore assoluto è il fabbricante. Egli emana i regolamenti di fabbrica a suo beneplacito; egli modifica e amplia il suo codice a piacere; e anche se vi inserisce le cose più pazzesche, i tribunali dicono all’operaio: siccome vi siete sottomessi a questo contratto di vostra spontanea volontà, ora dovete anche osservarlo... Questi operai sono condannati, dal nono anno di età fino alla loro morte, a vivere sotto quella frusta fisica e morale» (F. ENGELS, Die Lage der arbeitenden Klasse cit., p. 217 sg.). Quello che «dicono i tribunali», lo illustrerò con due esEmpl. L’uno dei due casi si verificò a Sheffield alla fine del 1866. Un operaio si era impegnato per 2 anni in una fabbrica di metalli. A causa di una lite col fabbricante lasciò la fabbrica dichiarando che in nessuna maniera avrebbe più lavorato per lui. Fu citato per inadempienza di contratto e condannato a due mesi di carcere. (Quando si ha inadempienza di contratto da parte del fabbricante, questi può essere citato solo civiliter ed egli rischia solo una multa). Finiti i due mesi di carcere, lo stesso fabbricante gli invia l’intimazione di ritornare in fabbrica a tenore del vecchio contratto. L’operaio dichiara, no, che l’inadempienza del contratto egli l’aveva già scontata. Il fabbricante lo cita di nuovo, il tribunale condanna l’operaio di nuovo, benché uno dei giudici, Mr. Shee, denunci pubblicamente come mostruosità il fatto per cui un uomo possa essere punito sempre di nuovo, periodicamente, per un medesimo identico reato, vita natural durante. La sentenza fu emessa non dai Dogberries provinciali, i «Great Unpaid», ma a Londra, da una delle più alte corti di giustizia.

(Aggiunta alla quarta edizione. Questo stato di cose è ora eliminato. Eccettuati pochi casi ad es. trattandosi delle officine pubbliche del gas — in Inghilterra l’operaio e ora, in caso di inadempienza di contratto, equiparato al padrone e può essere perseguito solo in sede civile, F. E.). Il secondo caso si verificò nel Wiltshire, alla fine di novembre del 1863. Circa 30 tessitrici addette a telai a vapore che lavoravano nell’azienda di un certo Harrupp, fabbricante di stoffa a Leower’s Mill, Westbury Leigh, fecero uno sciopero perchè quello stesso Harrupp aveva la simpatica abitudine di compensare ogni ritardo al mattino con una ritenuta sul salario e precisamente nella misura di 6 pence per 2 minuti, 1 scellino per 3 minuti e 1 scellino e 6 pence per 10 minuti. Il che dà, con 9 scellini per ora, 4 sterline e 10 scellini al giorno, mentre il loro salario medio annuo non supera mai i 10 -12 scellini settimanali. L’ Harrupp ha anche incaricato un ragazzo di suonare l’ora della fabbrica, e lo fa egli stesso tal volta prima delle 6 del mattino, e se le braccia in quel preciso momento non sono presenti, non appena cessi il suono, si chiudono le porte e coloro che si trovano fuori vengono multati; e siccome nell’edificio non vi è orologio, le infelici braccia sono in balia del quel giovanile guardiano del tempo ispirato dall’ Harrupp. Le braccia in «sciopero», madri di famiglia e ragazze, dichiararono di voler ritornare al lavoro soltanto quando il guardiano del tempo fosse stato sostituito da un orologio e si fossero introdotti termini più razionali per le multe. Harrupp citò dinanzi ai giudici di pace 19 donne e ragazze per inadempienza di contratto. Esse furono condannate ciascuna a 9 pence di multa e a 2 scellini 6 pence di spese, con grande indignazione del pubblico presente. Harrupp fu accompagnato all’uscita dal tribunale da una massa di popolo che lo fischiava. Un’operazione preferita dai fabbricanti è quella di punire gli operai con ritenute sul salario per le deficienze del materiale loro fornito. Questo metodo provocò nel 1866 uno sciopero generale dei distretti inglesi della ceramica. Le relazioni della Child. Empl. Commission (1863-1866) indicano casi in cui l’operaio, invece di ricevere il salario, diventa con il suo lavoro e mediante il regolamento delle multe per giunta debitore del suo illustre «master». Elementi edificanti dell’acume che gli autocrati della fabbrica dimostrano nelle detrazioni dai salari sono stati forniti anche dalla recentissima crisi del cotone. «Io stesso, dice l’ispettore di fabbrica R. Baker, dovetti poco tempo fa perseguire in via giudiziaria un fabbricante cotoniere perchè egli, in tempi difficili e tormentosi come questi, aveva de- tratto ad alcuni operai “giovani” (più che tredicenni) 10 pence per l’attestato medico dell’età che a lui ne costa soltanto 6, e per il quale la legge consente solo la detrazione di 3 pence mentre la consuetudine non ne consente alcuna... Un altro fabbricante che vuol raggiungere lo stesso scopo senza conflitti con la legge, impone a ciascuno di quei poveri fanciulli che lavorano per lui il pagamento di uno scellino quale tributo per l’addestramento nell’arte e nel mistero della filatura, non appena l’attestato medico dichiari il fanciullo maturo per tale occupazione. Esistono dunque delle correnti sotterranee che si devono conoscere per capire fenomeni straordinari come gli scioperi in epoche come la presente (si tratta di uno sciopero degli operai addetti ai telai meccanici nella fabbrica di Darven, giugno 1863)». Reports of Insp. of Fact. for 3Oth April 1863, pp. 50, 51. (Le relazioni sulle fabbriche arrivano sempre più in là della loro data ufficiale),

190a Le leggi per la difesa contro il macchinario pericoloso hanno avuto una azione benefica. «Ma... ora esistono nuove fonti di infortuni che 20 anni fa non esistevano, in particolare l’accresciuta velocità del macchinario. Ruote, laminatrici, fusi e telai si fanno funzionare ora con forza accresciuta e tuttora in aumento; le dita debbono afferrare il filo rotto con maggiore rapidità e con maggiore sicurezza, giacché se esitano o se non sono prudenti, sono sacrificate... Un grande numero di infortuni è causato dall’ansia dell’operaio che vuoI eseguire rapidamente il suo lavoro. Bisogna ricordare che per il fabbricante è cosa della massima importanza che il macchinario sia tenuto costantemente in moto ossia venga prodotto filo e tessuto. Ogni inazione di un minuto rappresenta non soltanto una perdita di forza propulsiva ma anche di produzione. Gli operai vengono quindi incitati a tener in movimento il macchinario dai sorveglianti i quali sono interessati alla quantità del prodotto; e la cosa non è meno importante per gli operai che sono pagati secondo il peso o a cottimo. Sebbene quindi nella maggiore parte delle fabbriche sia formalmente vietato pulire il macchinario mentre è in moto, è questa la prassi generalmente in uso. Questa causa da sola ha provocato, durante gli ultimi 6 mesi, 906 infortuni... Benché il lavoro di pulizia venga fatto giorno per giorno, è il sabato tuttavia la giornata stabilita per una pulizia più a fondo del macchinario, e questa viene fatta in gran parte mentre il macchinario è in moto... Si tratta di un’operazione non retribuita, e gli operai cercano perciò di sbrigarla entro il minor tempo possibile. Per questa ragione il numero degli infortuni è molto più elevato di venerdì e specialmente di sabato che non negli altri giorni della settimana. Di venerdì l’eccedenza sulla cifra media dei primi 4 giorni della settimana ammonta al 12% circa, di sabato l’eccedenza sulla media dei 5 giorni antecedenti ammonta al 25%; tenendo conto però che di sabato la giornata di fabbrica è di sole 7 ore e mezza e negli altri giorni della settimana è di 10 ore e mezza, l’eccedenza sale a più del 65%».  (Reports of Insp. of Factories for 31st October 1866, Londra, 1867, pp. 9, 15, 16, 17).

[191]   Nella prima sezione del libro terzo riferirò sulla campagna condotta in epoca recentissima dai fabbricanti inglesi contro le clausole dell’Atto sulle fabbriche per la difesa delle membra delle «braccia» contro il macchinario che presenta un pericolo mortale. Qui basti citare un passo della relazione ufficiale dell’ispettore di fabbrica Leonard Horner: «Ho sentito parlare da parte di fabbricanti con imperdonabile frivolezza di alcuni di questi infortuni; la perdita di un dito ad es. sarebbe una inezia. La vita e le possibilità di un operaio dipendono talmente dalle sue dita che una per dita come quella è per lui un evento estremamente serio. Quando sento chiacchiere fatte così alla leggera, io pongo la domanda: Supponiamo che lei abbia bisogno di un operaio in più, e che se ne presentino due, entrambi sott’ogni altro aspetto egualmente capaci, l’uno dei due però privo di un pollice o di un indice, quale dei due sceglierebbe? Ella non esiterebbe un momento a decidersi per quello che ha tutte le sue dita... Questi signori fabbricanti hanno dei falsi pregiudizi contro quella che essi chiamano legislazione pseudo fliantropica». (Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1855 [p. 6/7]). Questi signori sono gente «intelligente», e non invano vanno in estasi per la ribellione degli schiavisti!

[192]   Nelle fabbriche che da più lungo tempo sono soggette all’Atto sulle fabbriche con la sua limitazione coercitiva del tempo di lavoro e gli altri suoi regolamenti, sono scomparsi parecchi inconvenienti del passato. Il perfezionamento del macchinario esige esso stesso a un certo punto una «costruzione perfezionata degli edifici di fabbrica», che torna a vantaggio degli operai (cfr. Reports ecc. for 31st Oct.1863, p. 109).

[193]  Vedi fra l’altro: JOHN HOUGHTON, Husbandry and Trade improved, Londra, 1727. The Advantages of the East India Trade, 1720; JOHN BELLERS, Proposals for raising a colledge of Industry, Londra, 1696. «Sfortunatamente i padroni e gli operai si trovano in guerra perpetua gli uni con gli altri. Lo scopo invariabile degli uni è di avere il loro lavoro fatto al minor prezzo possibile, e non mancano di applicare a questo scopo ogni astuzia; mentre gli altri sono egualmente attenti a costringere ad ogni occasione i loro padroni ad accettare le loro maggiori richieste». An inquiry into the causes of the Present High Prices of Provisions, 1767, pp. 61, 62. (Autore è il Rev. NATHANIEL FORSTER che è del tutto dalla parte degli operai).

[194] La Bandmühle fu inventata in Germania. L’italiano abate Lancellotti, in uno scritto pubblicato a Venezia nel 1636, racconta: «In Danzica, città della Prussia, Antonio Moler riferiva non sono 50 anni (il Lancellotti scriveva nel 1579) d’aver veduto co’ i propri occhi un artificio ingegnosissimo col quale si facevano lavorare da se stessi quattro, sei pezze... Ma perchè tanti poveri huomini che vivevano col tessere sarebbero morti di fame, fu dal magistrato di quella città prohibita quell’inventione, e l’autore segretamente fatto affogare». [ L’hoggidì overo il mondo non peggiore né più calamitoso del passato... Venezia, I ed., 1623; la citazione di Marx è dalla II ed., 1658, parte seconda, t. II, p. 457, par. 36]. A Leida la stessa macchina venne adoprata per la prima volta nel 1629; dapprima le sommosse degli intrecciatori di galloni costrinsero il senato cittadino a proibirla; il suo uso avrebbe dovuto esser limitato da varie ordinanze degli stati generali del 1623, 1629, ecc... Finalmente fu permesso, a certe condizioni, con un’ordinanza del 15 dicembre 1661. Il BOXHORN dice dell’introduzione della Bandmühle a Leida (Institutiones politicae, Leida, 1663): «In questa città circa venti anni fa certa gente inventò uno strumento per la tessitura, con il quale un uomo singolo poteva produrre tessuto in maggiore quantità e con maggiore facilità che altrimenti più uomini nello stesso tempo. Ne vennero sommosse e lamentele da parte dei tessitori finché l’uso di questo strumento fu proibito dall’autorità municipale». La stessa macchina venne proibita nel 1676 a Colonia, mentre contemporaneamente la sua introduzione in Inghilterra provocava sommosse fra gli operai. Un editto imperiale del 19 febbraio 1685 ne vietava l’uso in tutta la Germania. Ad Amburgo venne bruciata in pubblico per ordine del senato. Il 9 febbraio 1719 Carlo VI rinnovava l’editto del 1685, e la Sassonia elettorale ne permise l’uso pubblico soltanto nel 1765. Questa macchina, che ha fatto tanto rumore nel mondo, ha precorso di fatto le filatrici meccaniche e i telai meccanici, quindi la rivoluzione industriale del secolo XVIII. Permetteva a un ragazzo del tutto inesperto della tessitura di muovere l’intero telaio, con tutte le sue spole, solo tirando e spingendo un’asta motrice; e nella sua forma perfezionata forniva da quaranta a cinquanta pezzi in una volta.

[195]   Nelle manifatture all’antica si rinnova a volte ancor oggi la forma rozza delle ribellioni operaie contro le macchine. Così per esempio gli affilatori di lime di Sheffield nel 1865.

[196]   Sir James Steuart intende ancora in pieno in questo senso anche l’effetto delle macchine: «Considero dunque le macchine come mezzi per aumentare (virtualmente) il numero delle persone laboriose che non si è obbligati a nutrire... In che cosa l’effetto delle macchine differisce da quello di nuovi abitanti?». (Principles ecc., trad. franc., vol. I, libro I, cap. XIX). Molto più ingenuo il Petty, che dice che le macchine sostituiscono la «poligamia». Questo punto di vista è adatto, tutt’al più, per alcune parti degli Stati Uniti. Di contro: «Raramente le macchine possono essere usate con successo per abbreviare il lavoro di un individuo; nella costruzione di esse si perderebbe più tempo di quanto ne potrebbe essere risparmiato adoprandole. Esse sono utili realmente soltanto quando agiscono su grandi masse, quando una singola macchina può aiutare il lavoro di migliaia. Quindi sono più abbondanti nei paesi più popolosi, dove ci sono più uomini disoccupati... Il loro uso non viene provocato da una scarsezza di uomini, ma dalla facilità con la quale gli uomini possono essere condotti a lavorare in massa (PIERCY RAVENSTONE, Thoughts on the Funding System and its Effects, Londra, 1824, p. 45).

196a   Alla quarta edizione. Questo vale anche per la Germania. Dove esiste la grande agricoltura, dunque specialmente nell’Oriente, essa è diventata possibile soltanto attraverso il Bauernlegen [incameramento dei poderi dei contadini nel fondo del proprietario con conseguente estromissione dei contadini] invalso a partire dal secolo XVI, ma più specialmente dopo il 1648. F. E.

[197]  «Macchine e lavoro sono in costante concorrenza». RICARDO, Principles ecc., p. 479.

[198]   La concorrenza fra tessuto a mano e tessuto a macchina è stata prolungata in Inghilterra, prima della introduzione della legge sui poveri del 1834, per il fatto che attraverso l’assistenza delle parrocchie si integravano i salari dei tessitori, scesi molto al di sotto del minimo. «Il rev. Mr. Turner era nel 1827 parroco di Wilmslow nel Cheshire, che è un distretto industriale. Le domande del comitato per l’emigrazione e le risposte di Mr. Turner dimostrano in qual modo si tenga in vita la competizione del lavoro umano con le macchine. Domanda: l’uso del telaio meccanico non ha soppiantato l’uso del telaio a mano? Risposta: indubbiamente; l’avrebbe soppiantato molto di più di quanto abbia fatto, se i tessitori col telaio a mano non fossero stati messi in grado di sottostare a una riduzione dei salari. Domanda: ma sottomettendosi, il tessitore a mano ha accettato un salario che è insufficiente a mantenerlo, e attende il contributo della parrocchia come integrazione del suo mantenimento? Risposta: sì, e di fatto la competizione fra telaio a mano e telaio meccanico è mantenuta con la tassa dei poveri. Così il pauperismo degradante o l’espatrio sono i benefici largiti ai lavoratori dall’introduzione delle macchine; esser ridotti da artefici rispettabili e in un certo grado indipendenti a esseri miserabili e striscianti che vivono del pane avvilente della carità. Questo stato di cose lo chiamano inconveniente temporaneo». (A Prize Essay on the comparative merits of Competition and Cooperation, Londra, 1834, p. 29).

[199]   «La stessa causa che può far aumentare le entrate del paese (cioè, come il Ricardo spiega nello stesso passo, le entrate dei proprietari fondiari e dei capitalisti, la cui ricchezza, considerata economicamente, è ricchezza della nazione in genere) può rendere sovrabbondante la popolazione e peggiorare le condizioni dell’operaio». (RICARDO, Principles ecc., p. 469). «Lo scopo costante e la tendenza di ogni perfezionamento del meccanismo è di fatto quello di sbarazzarsi completamente del lavoro degli uomini, oppure di diminuirne il prezzo mediante la sostituzione di lavoro femminile e infantile al lavoro degli uomini adulti, ossia di lavoro rozzo a lavoro abile» (URE, [Philosophy of Manufactures], p. 23).

[200]   Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1858, p. 43.

[201]   Reports ecc. 31st Oct. 1856, p. 15

[202]  URE, Philosophy of Manufactures, p. 19.  «Il gran vantaggio del macchinario adoprato nelle fornaci di mattoni consiste nel rendere chi lo impiega del tutto indi pendente da operai esperti». (Child. Empl. Comm., V report, Londra, 1866, p. 130, n. 46).

Aggiunta alla seconda edizione. Il signor A. Sturrock, sovrintendente del reparto del macchinario della Great Northern Railway, dichiara, in riferimento alla costruzione delle macchine (locomotive, ecc.):  «Di giorno in giorno si fa meno uso dei costosi (expensive) operai inglesi. La produzione viene aumentata adoprando strumenti perfezionati, e questi strumenti vengono a loro volta serviti da una specie inferiore di lavoratori (a low class of labour)... Prima il lavoro esperto produceva necessariamente tutte le parti della macchina a vapore. Ora le stesse parti sono prodotte da lavoro che ha meno abilità, ma buoni strumenti... Per strumenti intendo le macchine usate nella costruzione delle macchine». (Royal Commission on Railwavs. Minutes of Evidence, Londra, 1867, nn. 17862 e 17863).

[203]   URE Philosophy of Manufactures, p. 20.

[204]   lvi, p. 321.

[205]   Ivi, p. 23.

[206]   Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1863, p. 108 sgg.

[207]   Ivi, p. 109. Il rapido perfezionamento del macchinario durante la crisi del cotone permise ai fabbricanti inglesi di sovraccaricare di nuovo in un batter d’occhio il mercato mondiale, appena finita la guerra civile americana. Già durante gli ultimi sei mesi del 1866 i tessuti erano divenuti quasi invendibili. E allora cominciarono gli affari a deposito delle merci in Cina e in India, il che naturalmente rese ancora più denso il  «glut» [Ingorgo]. Al principio del 1867 i fabbricanti fecero ricorso al loro abituale espediente: diminuzione del salario lavorativo del cinque per cento. Gli operai si opposero, e dichiararono che l’unico rimedio era di lavorare a tempo diminuito, quattro giorni alla settimana, il che è una teoria giustissima. Dopo una certa renitenza, quei capitani d’industria, capitani di nomina propria, dovettero risolversi a questo sistema, in alcuni luoghi con riduzione del cinque per cento del salario, in altri senza.

[208]   «Le relazioni fra padroni e braccia nelle soffierie di cristalli e di bottiglie si riducono a uno sciopero cronico». Di qui lo slancio della manifattura del vetro pressato, nella quale le operazioni principali sono eseguite dalle macchine. Una ditta presso Newcastle, che prima produceva annualmente 350.000 libbre di cristallo soffiato, produce ora invece del cristallo 3.000.500 libbre di vetro pressato (Child. Empl. Comm. IV rep., 1865, pp. 262, 263).

[209]  GASKELL, The Manufacturing Population of England, Londra, 1833, pp. 11, 12.

[210]   Il signor Fajrbairn inventò alcune importantissime applicazioni di macchine alla costruzione di macchine in seguito a scioperi nella sua fabbrica di macchine.

[211]   URE, Philosophy of Manufactures, pp. 367-370.

[212]   Ivi, pp. 368, 7, 370, 280, 321, 281, 475.

[213]   Il Ricardo ha condiviso in principio questa opinione, ma più tardi l’ha ritrattata espressamente con la sua spregiudicatezza scientifica e col suo amore della verità, così caratteristici in lui. Cfr. Principles ecc., cap. 31 Sulle macchine.

[214]   Notabene: Dò l’esemplificazione del tutto alla maniera degli economisti sopra ricordati.

[215]   A questo proposito un ricardiano osserva contro le fadaises di J. B. Say: «Dove la divisione del lavoro è bene sviluppata, l’abilità dell’operaio è applicabile soltanto in quella branca particolare per la quale è stata acquisita; l’operaio stesso è una specie di macchina. Non serve quindi a nulla spappagallare che le cose hanno una tendenza a ljvellarsi. Dobbiamo guardarci attorno e vedere che non riescono a trovare il loro equilibrio per molto tempo; e che quando lo trovano, il livello è più basso che all’inizio del processo». (An Inquiry jnto those Principles respecting the Nature of Demand, ecc., Londra, 1821, p. 72).

[216]   Un virtuoso di questo pretenzioso cretinismo è, fra gli altri, il MacCulloch. Egli ci dice, per esempio, con la ingenuità affettata di un bambino di otto anni: «Se è vantaggioso sviluppare sempre più l’abilità dell’operaio, cosicchè egli diventi capace di produrre una quantità costantemente crescente con la stessa o con minore quantità di lavoro, dev’essere anche vantaggioso che egli si valga dell’ausilio di quelle macchine che lo assistono più efficacemente nel raggiungere questo risultato». (MACCULLOCH, Principles of Political Economy, Londra, 1830, p. 182).

2I6a «L’inventore della macchina per filare ha rovinato l’India, cosa che del resto poco ci tocca». A. THIERS, De la propriété [Parigi, 1848, p. 275]. Qui il signor Thiers confonde la macchina per filare con il telaio meccanico,  «cosa che del resto poco ci tocca»

[217]   Secondo il censimento del 1861 (vol. II, Londra, 1863) il numero degli operai occupati nelle miniere di carbone dell’Inghilterra e del Galles ammontava a 246.613, dei quali 73.546 al di sotto dei vent’anni, 173.067 al di sopra. Alla prima rubrica appartengono 835 fra i cinque e i dieci anni, 30.701 dai dieci ai quindici anni, 42.010 dai quindici ai diciannove. Il numero degli occupati nelle miniere di ferro, rame, piombo, stagno e altri metalli: 319.222.

[218]   Occupate nella produzione di macchinario in Inghilterra e nel Galles nel 1861: 60.807 persone, compresi i fabbricanti coi loro commessi, ecc., e così pure tutti gli agenti e commercianti in questo ramo; esclusi invece i produttori di macchine piccole, come macchine per cucire, ecc., e così pure i produttori di utensili per le macchine operatrici, come fusi, ecc. Il numero di tutti gli ingegneri civili ammontava a 3.329.

[219]   Poichè il ferro è una delle materie prime più importanti, osserveremo qui che nel 1861 nell’Inghilterra e nel Galles c’erano 125.771 fonditori di ferro, dei quali 123.430 uomini, 2.341 donne. Degli uomini, 30.810 al di sotto dei vent’anni, 92.620 al di sopra.

[220]   «Una famiglia di quattro persone adulte (tessitori di cotone) con due bambini come innaspatori guadagnava quattro sterline alla settimana con una giornata lavorativa di dieci ore, verso la fine del secolo scorso e ai primi di questo; se il lavoro era urgentissimo, potevano guadagnare di più... Prima avevano sempre sofferto per l’insufficiente fornitura di filo». (GASKELL, The Manufacturing Population of England, Londra, 1833, pp. 34, 35).

[221]  F. ENGELS in Die Lage der arbeitenden Kiasse ecc., dimostra lo stato lamentevole di una gran parte proprio di questi operai in oggetti di lusso. Nuove prove si trovano in massa nelle relazioni della Child. Empl. Comrn.

[222]  Nel 1861 in Inghilterra e nel Galles si avevano 94.665 marinai occupati nella marina mercantile.

[223] Solo 177.596 di queste sono maschi al di sopra dei tredici anni.

[224] 30.501 sono di sesso femminile.

[225] 137.447 di sesso maschile. Da questi 1.208.648 è escluso tutto il personale che non serve in case private.

Aggiunta alla seconda edizione. Dal 1861 al 1870 il numero dei servitori maschi é pressoché raddoppiato: era salito a 267.671. Nel 1847 c’erano 2.694 guardacaccia (per le riserve di caccia degli aristocratici), e nel 1869, invece 4.921. Le domestiche giovani in servizio presso i piccoli borghesi londinesi sono chiamate nel linguaggio popolare «little slaveys», schiavette.

[226] ll Ganilh invece considera come risultato definitivo del sistema delle macchine una diminuzione assoluta del numero degli schiavi del lavoro, a spese dei quali si nutre poi un numero maggiore di «gens honnetes» che sviluppano la loro ben nota «perfectibilité perfectible». Per quanto capisca poco del movimento della produzione, egli percepisce per lo meno che le macchine sono una istituzione veramente fatale, se la loro introduzione trasforma in miserabili degli operai occupati, mentre il loro sviluppo fa nascere più schiavi del lavoro di quanti ne abbia abbattuti. Il cretinismo del suo punto di vista personale può essere espresso soltanto con le sue stesse parole: «Le classi condannate a produrre e a consumare diminuiscono, e le classi che dirigono il lavoro, che rianimano, consolano e illuminano tutta la popolazione, aumentano... e si appropriano tutti i benefici che risultano dalla diminuzione delle spese di lavorazione, dall’abbondanza dei prodotti e dal buon mercato dei beni di consumo. In questa direzione la specie umana si eleva fino alle più alte concezioni del genio, penetra nelle misteriose profondità della religione, stabilisce i principi della morale (che consiste nell’ «appropriazione di tutti i vantaggi ecc.»), le leggi tutelari della libertà (della libertà per le  «classi condannate a produrre»?) e del potere, dell’ubbidienza e della giustizia, del dovere e dell’umanità». Questo gergo orrendo e confuso si trova in Des systèmes d’Économie Politique, ecc, del signor Ch. GANILH, seconda edizione, Parigi, 1821, voI. I. p. 224. Cfr. ivi, p. 212.

[227] Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1865, p. 58 sgg. Ma contemporaneamente era già dato il fondamento materiale per occupare un numero crescente di operai in 110 nuove fabbriche con 11.625 telai a vapore, 628.756 fusi, 2.695 cavalli vapore o acqua.

[228]    Reports ecc. for 31st Oct. 1862, p. 79.

Aggiunta alla seconda edizione. Alla fine del dicembre 1871 l’ispettore di fabbrica A. Redgrave disse in una conferenza tenuta a Bradford, nella «New Mechanics’ Institution» : «Quel che mi ha colpito da qualche tempo è il cambiamento dell’aspetto delle fabbriche di lana. Prima erano piene di donne e di fanciulli, ora sembra che le macchine facciano tutto il lavoro. Alla mia domanda di spiegazioni, un fabbricante mi diede la seguente risposta: Sotto il vecchio sistema impiegavo 63 persone, dopo I’Introduzione delle macchine perfezionate ho ridotto le mie braccia a 33, e di recente, in seguito a nuovi e grandi cambiamenti, sono stato in grado di ridurle da 33 a 13».

[229]  Reports ecc. for 31st Oct. 1856, p. 16.

[230] «Le sofferenze dei tessitori a mano (di cotone e misti di cotone) sono state oggetto di inchiesta da parte di una commissione reale, ma benché la loro miseria fosse riconosciuta e lamentata, il miglioramento (!) delle loro condizioni fu lasciato al caso e al variare dei tempi, e si può sperare che queste sofferenze ora» (vent’annl dopo!) «siano quasi (nearly) estinte, al che secondo ogni probabilità ha contribuito l’attuale grande espansione dei telai a vapore». (Rep. of lnsp. of Fact. 31st Oct. 1856, p. 15).

[231] Altri metodi, mediante i quali le macchine influiscono sulla produzione delle materie prime, saranno accennati nel libro terzo.

[232]  Esportazione di cotone dalle Indie Orientali in Gran Bretagna: 1846, 34.540.143 libbre; 1860, 204.141.168 libbre; 1865, 445.947.600 libbre. Esportazione di lana dalle Indie Orientali in Gran Bretagna: 1846, 4.570.581 libbre: 1860, 20.214.173 libbre; 1865, 20.679.111 libbre.

[233] Esportazione di lana dal Capo di Buona Speranza in Gran Bretagna: 1846, 2.958.457 libbre; 1860, 16.574.345 libbre; 1865, 29.920.623 libbre. Esportazione di lana dall’Australia in Gran Bretagna: 1846, 21.789.346 libbre; 1860, 59.166.616 libbre; 1865, 109.734.261 libbre.

[234]  Lo sviluppo economico degli Stati Uniti è a sua volta un prodotto dell’industria europea, e più particolarmente inglese. Nella loro forma presente (1866) debbono essere considerati ancor sempre come paese coloniale dell’Europa. (Alla quarta edizione. Da allora si sono sviluppati fino a divenire il secondo paese industriale del mondo, senza avere del tutto perduto in questo processo il loro carattere coloniale, F. E.).

[235] In un appello alle Trade Societies of England degli operai gettati sul lastrico a causa di un lock-out [serrata] dai fabbricanti di scarpe di Leicester, nel luglio 1866, Si dice fra l’altro: «Da circa venti anni la lavorazione delle scarpe a Leicester è stata rivoluzionata per l’introduzione della inchiodatura al posto della cucitura. Allora si potevano guadagnare buoni salari. Ma presto si diffuse molto questo nuovo lavoro. Si vide una grande concorrenza fra le diverse ditte per chi potesse fornire gli articoli più belli. Ma poco dopo nacque una peggior specie di concorrenza, cioè quella di vendere sul mercato l’uno a sottoprezzo dell’altro (underselling). Presto si manifestarono le conseguenze dannose di ciò, nella riduzione dei salari; e il calo del prezzo del lavoro è stato così rapido e completo che ormai molte ditte pagano adesso soltanto la metà del salario originale. Tuttavia, benché i salari scendano sempre più in basso, sembra che i profitti crescano ad ogni cambiamento nella tariffa dei salari». I fabbricanti utilizzano perfino i periodi sfavorevoli dell’industria per fare profitti straordinari mediante l’esagerazione della riduzione dei salari, cioè mediante un furto diretto dei mezzi di sussistenza più necessari all’operaio. Un esempio: si tratta della crisi della tessitura di seta di Coventry. «Da prove che ho ricevuto tanto da fabbricanti che da operai, consegue senza possibilità di dubbio che i salari sono stati decurtati in misura maggiore di quello che fosse reso necessario dalla concorrenza di produttori stranieri o da altre circostanze. La maggior parte dei tessitori lavora a un salario ridotto del 30-40 per cento. Una pezza di nastro per la quale il tessitore riceveva cinque anni fa sei o sette scellini, gli frutta ora soltanto tre scellini e tre pence oppure tre scellini e sei pence; un altro lavoro, prima pagato a quattro scellini o quattro scellini e tre pence, riceve ora solo due scellini o due scellini e tre pence. La riduzione dei salari è più grande di quanto sia richiesto per pungolare la domanda. In realtà, in molti tipi di nastri la riduzione dei salari non fu neppure accompagnata da una qualsiasi riduzione nei prezzo dell’articolo». (Relazione del commissario F. D. Longe in Child. Empl. Comm. V rep. 1866. p. 114, n. I).

[236] Cfr. Reports of Insp. of Fact. for 31st 0cl. 1862, p. 30.

[237] Ivi, pp. 18, 19.

[238] Reports of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1863, pp. 41-45, 51.

[239] Reports ecc. 31st Oct. 1863, pp. 41, 42.

[240] Ivi, p. 57.

[241] Ivi, pp. 50, 51.

[242] lvi, pp. 62, 63.

[243] Reports ecc. 30th April 1864, p. 27.

[244]  Dalla lettera del Chief Constable [capo di polizia] Harris, di Bolton, in Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1865, pp. 61, 62.

[245] In un appello degli operai cotonieri della primavera del 1863, per la formazione di una società per l’emigrazione, si ha fra l’altro: solo pochi negheranno che ora è assolutamente necessaria una grande emigrazione di operai di fabbrica. Ma che sia richiesta in ogni tempo una corrente costante di emigrazione, e che senza di essa sia impossibile mantenere la nostra posizione in circostanze ordinarie, è mostrato dai seguenti dati di fatto: neI 1814 il valore ufficiale (che è solo indice della quantità) delle merci di cotone esportate ammontava a 17.665.378 lire sterline, il loro valore reale di mercato a 20.070.824 lire sterline. Nel 1858 il valore ufficiale delle merci di cotone esportate ammontava a 182.221.681 sterline, il loro valore reale di mercato ammontava solo a 43.001.322 sterline, cosicchè la decuplicazione della quantità aveva avuto per effetto poco più del raddoppia dell’equivalente. Questo risultato così sfavorevole per il paese in generale e per gli operai di fabbrica in particolare è stato prodotto dal concorso di diverse cause. Una delle più rilevanti è la costante eccedenza del lavoro, eccedenza necessaria per questa branca dell’industria, che ha bisogno di una costante espansione del mercato per non essere ridotta al nulla. Le nostre fabbriche di cotone possono essere fermate durante la stagnazione periodica del commercio che nel sistema presente è inevitabile quanto la morte. Ma non per questo si ferma lo spirito inventivo dell’uomo. Benché, a tener la cifra bassa, sei milioni di uomini abbiano lasciato questo paese durante gli ultimi venticinque anni, tuttavia, in seguito al perdurante fatto degli operai soppiantati per ridurre il prodotto più a buon mercato, una grande percentuale dei maschi adulti non è in grado, neppure nei tempi di massima prosperità, di trovare nelle fabbriche un’occupazione di qualsiasi tipo a qualsiasi condizione (Report of Insp. of Fact: 30th April 1863, pp. 51, 52). Vedremo in uno dei capitoli seguenti come i signori fabbricanti hanno in ogni modo, anche ricorrendo all’autorità dello Stato, tentato di impedire l’emigrazione degli operai di fabbrica durante la catastrofe del cotone.

[246] Child. Empl. Comm., III report 1864, p. 108, n. 447.

[247] Negli Stati Uniti questo riprodursi del mestiere artigiano su base meccanica è comune. Proprio per questo la concentrazione, quando si arriverà inevitabilmente al passaggio al sistema di fabbrica, vi camminerà con gli stivali delle sette leghe, al confronto dell’Europa e anche dell’Inghilterra.

[248] “ Cfr. Reporit of Insp. of Fact. 31st  Oct. 1865, p. 64.

[249] Il signor Gillott ha fondato a Birmingham la prima manifattura di pennini di acciaio su grande scala, la quale già nel 1851 forniva più di 180 milioni di pennini e consumava 120 tonnellate di lamiera di acciaio all’anno. Birmingham, che monopolizza quest’industria nel Regno Unito, produce ora miliardi di pennini d’acciaio all’anno. Secondo il censimento del 1861, il numero delle persone occupate in questa industria era di 1.428, fra cui 1.268 operaie, arruolate dai cinque anni in su.

[250] Child. Empl. Comm. II report 1864, p. LXVIII, n. 415.

[251] Ed ora addirittura bambini nella affilatura delle lime a Sheffield!

251a Child. Empl. Comm. V rep. 1866, p. 3, n. 24; p. 6, nn. 55, 56; p. 7, nn. 59, 60.

[252] Ivi, pp. 114, 115, nn. 6-7. Il commissario osserva giustamente che se in altri casi la macchina sostituisce l’uomo, qui il ragazzo sostituisce verbatim [letteralmente] la macchina,

[253] Vedi la relazione sul commercio degli stracci con ricca documentazione in Public Healt,, VIII report. Londra, 1866, appendice, pp. 196-208.

[254] Child. Empl. Comm. V report 1866, pp. XVI-XVIII, nn. 86-97 e pp. 130-133, nn. 39-71. Cfr. anche ivi, 111 report 1864, pp. 48, 56.

[255] Pubiic Heaith. VI report, Londra, 1864, pp. 29, 31.

[256] Ivi, p. 30. Il dott. Simon nota che la mortalità dei sarti e dei tipografi di Londra per il periodo dai 25 ai 35 anni è in realtà molto più grande, perchè i padroni londinesi che li adoprano ricevono dalla campagna un forte numero di giovani fino ai 30 anni come «apprendisti» e «improvers» (che si vogliono perfezionare nel loro mestiere). Nel censimento costoro figurano come londinesi, fanno gonfiare il numero degli individui sul quale si calcola il quoziente della mortalità di Londra, senza contribuire in proporzione al numero dei casi di morte di Londra. Una grande parte di essi ritorna infatti in campagna, specialmente in casi gravi di malattia. Ivi.

[257] Qui si tratta dei chiodi martellati, distinti dai chiodi tagliati, fabbricati a macchina. Vedi Child. Empl. Comm. III report, p. XI, p. XIX, nn. 125-130; p. 52, n. 11; pp. 113-114, n. 487; p. 137, n. 674.

[258]  Child. Empl. Comm. II report, p. XXII, n. 166.

[259] Child. Empl. Comm. Il report 1864, pp. XIX, XX, XXI.

[260] Ivi, pp. XXI, XXVI.

[261] Ivi, pp. XXIX, XXX.

[262] Ivi, pp. XL, XL

[263] Child. Empl. Comm. I report 1863, p. 185.

[264] Millinery si riferisce propriamente solo all’adornamento della testa, ma comprende anche cappotti da signora e mantiglie, mentre le dress-makers sono identiche alle nostre Putzmacherinnen [crestaie, sarte].

[265] I lavori di millinery e di dressmaking inglesi vengono eseguiti per lo più nelle case degli imprenditori, in parte da operaie ingaggiate permanentemente e che vi abitano, in parte da giornaliere che abitano fuori.

[266] Il commissario White visitò una manifattura di uniformi militari che occupava da 1.000 e 1.200 persone, quasi tutte di sesso femminile; una manifattura di scarpe con 1.300 persone, delle quali quasi la metà erano bambini e adolescenti, ecc. (Child, Empl. Comm. Il report, p. XVII, numero 319).

[267] Un esempio. La relazione settimanale sulla mortalità del Registrar General [anagrafe generale ] contiene, il 26 febbraio 1864, cinque casi di morte per inedia. Lo stesso giorno il Times riferisce di un nuovo caso di morte per inedia. Sei vittime dell’inedia in una sola settimana!

[268]  Child. Empl. Comm. Il rep. 1864, p. LXVII, nn. 406-9; p. 84, n. 124; p.

LXXIII, n. 441; p. 66, n. 6; p. 84, n. 126; p. 78, n. 85; p. 76, n. 69; p. LXXII, a. 438.

[269] «Le pigioni dei locali da lavoro sembrano essere il fattore in ultima analisi decisivo, cosicchè nella capitale ha resistito più a lungo, proprio per questo fatto, il vecchio sistema di dar fuori il lavoro a piccole imprese e a famiglie; e vi si è anche ritornati prima che altrove» (ivi. p. 83, n. 123). La conclusione si riferisce esclusivamente alla calzoleria.

[270] Nell’industria dei guanti, ecc. dove la situazione dell’operaio non è quasi distinguibile da quella del mendicante, questo non avviene.

[271] 271 Child. Empl. Comm. II report 1864, p. 83, n. 122.

[272] Nel 1864 nella sola calzoleria e stivaleria di Leicester, dove si produce per la vendita all’ingrosso, erano già in uso ottocento macchine per cucire.

[273] Child. Empl. Comn,. II rep. 1864, p. 84, n. 124.

[274] Così avvenne nel deposito vestiario dell’esercito di Pimlico, Londra, ,nella fabbrica di camicie di Tillie e Henderson a Londonderry, nella fabbrica di vestiti della ditta Tait a Limerick che impiega all’incirca milleduecento «braccia»

[275] Tendenza al sistema di fabbrica » (Child. Empl. Comm. II rep. 1864, p. LXVII). « Tutta l’industria si trova ora in uno stadio di transizione, e percorre le stesse trasformazioni che hanno percorso anche l’industria dei merletti, la tessitura, ecc. (ivi, n. 405). «Una rivoluzione completa» (ivi, p. XLVI, n. 318). All’epoca della (Child. Empl. Comm. del 1840 la calzetteria era ancora un lavoro manuale. Dal 1846 in poi sono state introdotte varie macchine, che ora vengono mosse a vapore. Il numero complessivo delle persone di ambo i sessi e di ogni età a cominciare dai tre anni, occupate nella calzetteria inglese, ammontava nel 1862 a circa 120.000 persone. E di queste soltanto 4.063 erano sottoposte al potere dell’Atto sulle fabbriche secondo il Parlamentary Return dell’11 febbraio 1862.

[276] Così, per quanto riguarda ad esempio la ceramica, la ditta Cochrane della Britain Potterv di Glasgow riferisce: «per mantenere il livello quantitativo della nostra produzione, adopriamo ora su larga scala macchine che vengono servite da operai non esperti, ed ogni giorno che passa ci convince che ora possiamo produrre una quantità maggiore di quella raggiungibile col vecchio procedimento» (Reports of Insp. of Fact. 31st  Oct. 1865, p. 13). «L’effetto dell’Atto sulle fabbriche è di spingere a una più ampia introduzione di macchine»  (ivi, pp. 13, 14).

[277] Così, dopo l’introduzione dell’Atto sulle fabbriche nella ceramica si ebbe un grande aumento dei power jiggers [forni mossi meccanicamente] al posto degli Handmoved jiggers [forni a mano].

[278] Rep. of fnsp. of Fact. 31st Oct. 1865, pp. 96 e 127;

[279] L’introduzione di questa e di altre macchine nella fabbrica dei fiammiferi ha sostituito, in un reparto di tale fabbrica, 230 adolescenti con 32 adolescenti d’ambo i sessi dai 14 ai 17 anni. Nel 1865 questo risparmio di operai fu portato oltre con l’applicazione della forza del vapore.

[280] Child. Empl. Comm. II rep. 1864, p. IX, n. 50.

[281] Report of Insp. of Fact. 31st  Oct. 1865, p. 22.

[282] «I perfezionamenti necessari...., non possono venire introdotti in molte vecchie manifatture senza un esborso di capitale che va al di là dei mezzi di molti dei proprietari attuali... L’introduzione degli Atti sulle fabbriche è accompagnata di necessità da una disorganizzazione transitoria. Il volume di questa disorganizzazione sta in rapporto diretto con la entità degli inconvenienti cui si deve ovviare» (ivi, pp. 96, 97).

[283] Per esempio negli alti forni « il lavoro aumenta in generale di molto verso la fine della settimana, in conseguenza dell’abitudine degli operai di far vacanza il lunedì e talvolta, in parte o per tutto il giorno, il martedì» (Child. Empl. Comm. III rep., p. VI). « I piccoli maestri artigiani hanno in generale un periodo di lavoro assai irregolare. Perdono due o tre giorni, poi lavorano per tutta la notte per rimettere il tempo perduto... Fan sempre lavorare i loro figliuoli, se ne hanno (ivi, p. VII). La mancanza di regolarità nell’iniziare il lavoro, favorita dalla possibilità e dalla pratica di rimettere la perdita lavorando più a lungo (ivi, p. XVIII). Enorme perdita di tempo a Birmingham... perchè ciondolano per una parte della giornata e nel tempo che rimane sgobbano come schiavi » (ivi, p. XI).

[284] Child. Empl. Comm. IV rep., p. XXXII. «L’espansione del sistema delle ferrovie pare abbia favorito molto questa abitudine di fare ordinazioni improvvise e le loro conseguenze: lavoro troppo affrettato, pasti saltati, ore in più per gli operai» (ivi, p. XXXI).

[285] Child. Empl. Comm. IV rep., p. XXXV, nn. 235 e 237.

[286]  Ivi, p. 127, n. 56.

[287] Per quanto riguarda le perdite dei commercio per la mancata esecuzione di ordini di trasporto per nave, mi ricordo che questo era l’argomento preferito dei padroni di fabbrica nel 1832 e nel 1833. Nessuno degli argomenti che oggi possono essere avanzati in proposito potrebbe avere tanto peso quanto questo ne aveva allora, prima che il vapore avesse dimezzato tutte le distanze e stabilito nuove regole per i trasporti. Eppure falli allora quando fu fatta la prova in concreto; ed anche ora fallirebbe se lo si dovesse di nuovo mettere alla prova (Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1862, pp. 54, 55).

[288] Child. Empl. Comm. IV rep., p. XVIII, n. 118.

[289] John Bellers osserva fin dal 1699: «L’incertezza della moda aumenta i poveri bisognosi. Porta con sè due grossi inconvenienti: 1. In inverno i giornalieri soffrono la miseria per mancanza di lavoro, poichè i negozianti di stoffe e i tessitori padroni non osano anticipare i loro capitali per dare occupazione ai giornalieri prima che sia venuta la primavera, prima cioè di sapere quale sarà la moda; 2. In primavera non ci sono giornalieri a sufficienza, cosicchè i tessitori padroni debbono far affluire molti apprendisti per poter rifornire in un trimestre o in un semestre il commercio del Regno Unito, con il che rubano le braccia all’aratro, svuotano la campagna di lavoranti, riempiono in gran parte le città di mendicanti e fanno morire di fame durante l’inverno molti che si vergognano di mendicare» (Essays about the Poor, Manufactures ecc., p. 9).

[290] Child. Empl. Comm. V rep., p. 171, n. 34.

[291] Così per esempio nelle deposizioni di taluni esportatori di Bradford. «In queste circostanze è chiaro che non c’è più bisogno di far lavorare i ragazzi nei magazzini oltre il periodo dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. È soltanto questione di spese in più e di braccia in più. Se alcuni padroni non fossero così avidi di guadagno, non ci sarebbe bisogno di far lavorare i ragazzi fino a notte così inoltrata; una macchina in più costa solo 16 o 18 sterline... Tutte le difficoltà derivano dalla insufficienza delle apparecchiature e dalla mancanza di spazio » (ivi, p. 171, nn. 35, 36 e 38).

[292] Child. Empl. Comm. V rep., [p. 81, n. 32]. Un fabbricante londinese che del resto considera la regolamentazione obbligatoria della giornata lavorativa come difesa degli operai contro i fabbricanti, e dei fabbricanti stessi contro il commercio all’ingrosso, depone: «Nelle nostre aziende la pressione è provocata dagli esportatori che per esempio vogliono spedire della merce con una nave a vela per essere sul luogo in una stagione determinata e contemporaneamente vogliono intascare la differenza fra la spedizione con battello a vela e quella con battello a vapore, oppure scelgono, se ci sono due battelli a vapore, quello che parte prima, per presentarsi sul mercato estero prima d loro concorrenti ».

[293] «A questo si potrebbe ovviare», dice un fabbricante, « con la spesa di un ampliamento delle officine sotto la pressione di un Atto generale dei parlamento» (ivi, p. X, n. 38)

[294] Child. Empl. Comm. V rep., p. XV, n. 72 sgg.

[295] Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1865, p. 127.

[296] Con l’esperienza si è trovato che un individuo medio sano consuma circa venticinque pollici cubici ad ogni respirazione di media intensità, e che si hanno circa venti respirazioni al minuto. Il consumo di aria di un individuo in ventiquattro ore risulterebbe quindi di circa 720.000 pollici cubici ossia 416 piedi cubici. Ma è noto che l’aria una volta inspirata non può più servire allo stesso processo prima di essere stata purificata nella grande officina della natura. Secondo gli esperimenti del Valentin e del Brunner sembra che un uomo sano espiri circa 1300 pollici cubici di acido carbonico all’ora; ciò darebbe all’incirca otto once di carbone solido, espulso dal polmone ogni ventiquattro ore. «Ciascun uomo dovrebbe avere per lo meno ottocento piedi cubi» (Huxley).

[297] A norma dell’Atto inglese sulle fabbriche i genitori non possono mandare fanciulli al di sotto dei quattordici anni nelle fabbriche «controllate» senza far loro impartire contemporaneamente l’istruzione elementare. Il fabbricante ha la responsabilità dell’osservanza della legge. «L’istruzione di fabbrica è obbligatoria ed è una condizione del lavoro» (Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1865, p. 111)

[298] Sui vantaggiosissimi risultati del collegamento della ginnastica (per gli adolescenti anche degli esercizi militari) e dell’istruzione obbligatoria per i ragazzi delle fabbriche e per gli scolari poveri, vedasi il discorso di N. W. Senior al settimo Congresso annuale della National Association for the promotion of Social Science in Report of Proceedings ecc., Londra, 1863, pp. 63, 64; e così pure la relazione degli ispettori di fabbrica per il 31 ottobre 1865, pp. 118, 119, 120, 126 sgg.

[299] Reports of Insp. of Fact., ivi pp. 118, 119. Un fabbricante di seterie ingenuo dichiara ai commissari inquirenti della Child. Empl. Comm: «Sono convintissimo che il vero segreto per produrre operai efficienti è stato nell’unione del lavoro e dell’istruzione fin dall’infanzia. Naturalmente il lavoro non dev’essere nè troppo faticoso, nè repugnante, nè insalubre. Vorrei che i miei propri figli avessero un po’ da lavoro e un po’ di giuoco da alternare con la scuola. » (Child. Empl. Comm. V rep., p. 82, n. 36).

[300] SENIOR, Report of Proceedings ecc., p. 66. Come la grande industria, a un certo livello di sviluppo, rivoluzioni mediante il rivoluzionamento del modo materiale di produzione e dei rapporti sociali di produzione anche i cervelli, si vede in maniera lampante confrontando il discorso di N. W. Senior del 1863 con la sua filippica contro la Legge sulle fabbriche del 1833, oppure confrontando le opinioni del congresso succitato con il dato di fatto che in certe parti rurali dell’Inghilterra e ancor oggi proibito ai genitori poveri di far istruire i loro figli, pena la morte per fame. Così per es. il signor Snell riferisce che nel Somersetshire è pratica comune che quando un povero chiede il sussidio parrocchiale, è costretto a togliere i figli dalla scuola. Così il signor Wollaston, parroco di Feltham, racconta di casi nei quali e stato rifiutato a certe famiglie ogni aiuto, «perchè mandavano i loro ragazzi a scuola »!

[301] Dove macchine di tipo artigianale mosse dalla forza dell’uomo si trovano in concorrenza diretta o indiretta con macchine che presuppongono una forza motrice più sviluppata e quindi meccanica, avviene un grave mutamento nei rispetti dell’operaio che muove la macchina. Originariamente era la macchina a vapore che sostituiva questo operaio, ora è l’operaio che deve sostituire la macchina a vapore. Quindi la tensione e il dispendio richiesti alla sua energia lavorativa diventano mostruosi: mostruosi in ispecie quando sono condannati a questa tortura degli adolescenti! Così il commissario Longe trovò che a Coventry e dintorni ragazzi dai dieci ai quindici anni erano adoprati a far girare le ruote che muovono il telaio da nastri, prescindendo da bambini di età ancor inferiore, che dovevano far girare le ruote di telai di minori dimensioni. «È un lavoro straordinariamente faticoso. The boy is a mere substitute for steam power [ il ragazzo è un puro e semplice sostituto della forza vapore]» (Child. Empl. Comm. V rep. 1866, p. 114, n. 6). Sulle conseguenze omicide di «questo sistema di schiavitù», come lo chiama la stessa relazione, ivi.

[302] Ivi, p. 3, n. 24.

[303] Ivi, p. 7, n. 60.

[304] « In alcune parti dell’Alta Scozia.., secondo lo Statistica! Account molti pecorai e cotters [piccolissimi contadini] si presentavano, accompagnati dalla moglie e dai bambini, con scarpe che avevano fatto da soli, di cuoio conciato da loro stessi, con vestiti che nessuna mano fuor della loro aveva toccato, il cui materiale avevano tosato essi stessi dalle pecore o per il quale essi stessi avevano coltivato il lino. Nella preparazione dei vestiti non interveniva quasi nessun articolo acquistato, eccezion fatta della lesina, dell’ago, del ditale e di pochissime parti degli arnesi di ferro adoprati nella tessitura, Le tinte erano estratte dalle donne stesse, da alberi, cespugli ed erbe, ecc. » (DUGALD STEWART, Works, ed. Hamilton, vol. VIII, pp. 327-28).

[305] Nel celebre Ljvre des métiers di ETIENNE BOILEAU si prescrive fra l’altro che un garzone, quando viene accolto nell’ordine dei maestri, presti giuramento «di amare fraternamente i suoi fratelli, sostenerli nei loro mestieri, di non rivelare volontariamente i segreti del mestiere, e nell’interesse comune della corporazione non additare all’acquirente i difetti dell’opera di un altro per raccomandare la propria».

[306] «La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali. Prima condizione di tutte le classi industriali precedenti era invece l’immutata conservazione dell’antico modo di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l’incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l’epoca borghese fra tutte le altre. Tutte le stabili e irrugginite condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall’età, si dissolvono, e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci» (K. MARX  e F. ENGELS, Manifest der kommunistischen Partei, Londra, 1848, p. 5.

[307] You take my life When you do take the means whereby I Live. (Shakespeare).(Mi togliete la vita, quando mi togliete i mezzi coi quali vivo. Il mercante di Venezia, atto IV, scena prima, trad. G. S. Gargano].

[308] Un operaio francese, ritornando da San Francisco, scrive: « Non avrei mai creduto che sarei stato capace di esercitare tutti i mestieri che ho fatto in California. Credevo fermamente che al di fuori della tipografia non sarei stato buono a nulla... Una volta in mezzo a quel mondo di avventurieri che cambiano di mestiere più facilmente che la camicia, affé!, ho fatto come gli altri! Poichè il mestiere di minatore non mi rendeva abbastanza, lo lasciai e andai in città, dove diventai, a volta a volta, tipografo, carpentiere, fonditore di piombo, ecc. In seguito a questa esperienza di essere capace di fare tutti i lavori, mi sento meno mollusco e più uomo». (A. CORBON, De l’enseignement professionnel, seconda edizione [ Parigi 1860], p. 50).

[309] John Bellers, che rappresenta un vero fenomeno nella storia dell’economia politica, aveva capito con perfetta chiarezza sin dalla fine del secolo XVII come fosse necessario superare l’attuale educazione e l’attuale divisione del lavoro, che generano ipertrofia e atrofia ai due estremi della società, sia pure in direzione opposta. Fra l’altro egli dice molto bene: «Un imparare ozioso è poco meglio che imparare l’ozio... Il lavoro corporale è una istituzione originaria di Dio... Il lavoro è necessario alla salute del corpo come il cibo lo è per la sua vita; poichè quei dolori che l’uomo risparmia con l’ozio li ritroverà nella malattia... Il lavoro aggiunge olio alla lampada della vita, mentre il pensiero l’accende... Un’occupazione puerilmente stupida (profetico presentimento contro i Basedow e i loro scimmiotti moderni) lascia stupide le menti dei bambini» (Proposals for raisinq a Colledge of Jndustry of all useful Trades and Husbandry, Londra, 1696, pp. 12, 14, 16, 18).

[310] Questo tipo di lavoro si ha del resto in gran parte anche in laboratori più piccoli, come abbiamo visto per la fabbricazione dei merletti e della treccia di paglia, e come si potrebbe mostrare con molti più particolari anche nelle lavorazioni metallurgiche di Sheffield, Birmingham, ecc.

[311] Child. Empl. Comm. V rep., p. XXV, n. 162, e Il rep., p. XXXVIII, nn. 285, 289, p. XXXV, XXXVI, n. 191.

[312] «lI lavoro nella fabbrica potrebbe essere puro ed eccellente quanto il lavoro domestico, forse anche più. » (Reports of Insp of Fact., 31st  Oct. 1865, p. 129).

[313] Ivi, pp. 27, 32.

[314] Esemplificazioni in gran quantità nei Rep. of Insp. of Fact.

[315] Child. Empl. Comm. V rep., p. X, n. 35.

[316] Ivi, p. IX, n. 28.

[317] Ivi, p. XXV, nn. 165-67. Cfr. sui vantaggi della grande impresa in confronto alla piccola e minima Child. Empl. Comm. III rep., p. 13, n. 144; p. 25, n. 121; p. 26, n. 125; p. 27, n. 140, ecc.

[318] Le branche d’industria da sottoporre a regolamentazione sono: manifattura di merletti, calzetteria, lavoro alla treccia di paglia, manifattura di articoli di abbigliamento con le sue numerose sottospecie, lavorazione dei fiori artificiali, calzoleria, cappelleria, guanteria, sartoria, tutte le fabbriche di articoli in metallo, dagli alti forni fino alle fabbriche di aghi e spilli, cartiera, vetreria, manifattura dei tabacchi, lavorazione dell’India rubber [gomma elastica], fabbricazione dei licei (per la tessitura), tessitura a mano dei tappeti, ombrelleria da sole e da pioggia, fabbricazione di fusi e di spole, tipografia, legatoria, commercio di articoli di cartoleria (stationery, alla quale appartengono la lavorazione di scatole di carta, cartoline, carte colorate, ecc.), cordai, manifattura di ornamenti di lustrino, fornaci, manifattura di seta a mano, tessitura tipo Coventry, lavorazione del sale, delle candele e del cemento, raffinerie di zucchero, biscottificio, varie lavorazioni del legno ed altre lavorazioni miste.

[319] Child. Empl. Comm. V report, p. XXV, n. 169.

319a  Il Factory Acts Extension Act fu approvato il 12 agosto 1867. Esso regola tutte le fonderie, le fucine e le manifatture dei metalli, incluse le fabbriche di macchine; inoltre le manifatture di vetro, carta, guttaperca, caucciù, tabacco, le tipografie, le legatorie e infine tutte le officine dove siano occupate più di cinquanta persone. Lo Hours of Labour Regulation Act, approvato il 17 agosto 1867, regola le officine minori e il cosiddetto lavoro a domicilio. Nel secondo volume ritornerò su queste leggi, sul nuovo Mining Act del 1872, ecc.

[320] SENIOR, Social Science Congress, pp. 55-58

[321] Il personale dell’ispettorato delle fabbriche consisteva di 2 ispettori, 2 ispettori aggiunti e 41 viceispettori. Nel 1871 vennero nominati altri 8 viceispettori. Le spese complessive dell’esecuzione delle leggi sulle fabbriche in Inghilterra, Scozia e Irlanda ammontavano nel 1871-72 a sole 25.347 sterline, incluse le spese giudiziarie dei processi per le trasgressioni.

[322] Robert Owen, padre delle fabbriche e delle botteghe cooperative, il quale però, come abbiamo osservato prima, non condivideva le illusioni dei suoi pedissequi seguaci sulla portata di questi elementi di trasformazione isolati, nei suoi tentativi non solo partiva effettivamente dal sistema di fabbrica, ma dichiarava anche in via teorica che quest’ultimo era il punto di partenza della rivoluzione sociale. Il signor Vissering, professore di economia politica all’università di Leida, sembra sospettare vagamente qualcosa del genere, allorché nel suo Handboek van Praktische Staatshuishoudkunde, 1860-1862, che declama le banalità dell’economia volgare nella forma più adeguata, conciona a favore dell’esercizio artigianale contro la grande industria. (Alla quarta edizione. Il «nuovo intrico giuridico» (p. 264, creato dalla legislazione inglese mediante i Factory Acts, il Factory Acts Extensjon Act e il Workshops’ Act che si contraddicono l’un l’altro, finalmente è diventato intollerabile e così si è giunti nel 1878, con il Factory and Workshops’ Act, alla codificazione di tutta la legislazione in questione. Naturalmente non è possibile qui criticare nei suoi particolari questo codice industriale inglese ora in vigore. Perciò bastino le seguenti notizie: l’Atto comprende 1. le fabbriche tessili. Qui le cose rimangono press’a poco com’erano. Tempo di lavoro consentito per fanciulli al di sopra dei dieci anni: cinque ore e mezza al giorno, o anche sei ore. e in tal caso il sabato libero; adolescenti e donne: dieci ore per cinque giorni, al massimo sei e mezza di sabato. 2. le fabbriche non tessili. Qui le norme si avvicinano più di prima a quelle del n. 1, ma sussistono tuttora parecchie eccezioni favorevoli ai capitalisti, eccezioni che in più casi sono anche estensibili in virtù di un permesso speciale del ministro degli interni. 3. i workshops, definiti all’incirca come lo erano nell’Atto precedente; in quanto vi siano impiegati fanciulli, adolescenti o donne, i workshops sono press’a poco equiparati alle fabbriche non tessili, di nuovo però con facilitazioni in casi singoli. 4. i workshops, nei quali non siano impiegati fanciulli o operai adolescenti, ma soltanto persone d’ambo i sessi che abbiano superato i diciott’anni; per questa categoria sono valide ulteriori facilitazioni. 5. i domestic workshops, nei quali nell’abitazione della famiglia siano impiegati solo membri della famiglia stessa; qui si hanno norme ancora più elastiche; e c’è anche la limitazione che l’ispettore può visitare, senza uno speciale permesso ministeriale o giudiziario, solo gli ambienti che non siano usati anche come stanze di abitazione; infine si ha la libertà incondizionata per l’intrecciatura della paglia, per la lavorazione dei merletti a tombolo e dei guanti all’interno della famiglia. Malgrado tutte le sue manchevolezze l’Atto è pur sempre, accanto alla legge federale sulle fabbriche svizzere del 23 marzo 1877, la legge di gran lunga migliore in materia. Un suo confronto con la legge federale svizzera accennata presenta un interesse particolare, perchè mette in grande evidenza i pregi e i difetti dei due metodi legislativi, di quello inglese «storico», che interviene caso per caso, e di quello continentale, basato sulle tradizioni della rivoluzione francese, e, più generalizzante. Purtroppo il codice inglese è tuttora in gran parte lettera morta per quanto riguarda la sua applicazione ai workshops, e questo a causa dell’insufficienza di personale addetto alle ispezioni. F. E.).

[323]  Un’esposizione particolareggiata delle macchine usate nell’agricoltura inglese si trova in Die landwirtschaftlichen Geräte und Maschinen Englands del dott. W. HAMM, 2. ed. [Brunswick] 1856. Nei suoi lineamenti del processo di sviluppo dell’agricoltura inglese il signor Hamm segue in maniera troppo priva di critica il signor Léonce de I.avergne. (Alla quarta edizione. Opera ora naturalmente invecchiata. F. E.).

[324] «Voi dividete il popolo in due campi ostili, goffi contadini e nani effeminati. Buon cielo! Una nazione divisa in interessi agricoli e interessi commerciali si dice sana, anzi si atteggia a nazione illuminata e incivilita, non solo malgrado, ma proprio per questa divisione mostruosa e contro natura» (DAVID URQUHART, Familiar Words, p. 119). Questo passo mostra insieme la forza e la debolezza di un genere di critica che sa giudicare e condannare il presento, ma non sa comprenderlo.

[325] Cfr. LIEBIG, Die Chemie in ihrer Anwendung auf Agrikultur und Phisiologie, 7. ed., 1862, e particolarmente nel primo volume anche la Introduzione alle leggi naturali dell’agricoltura. La spiegazione del lato negativo dell’agricoltura moderna, dai punto di vista delle scienze naturali, è uno dei meriti immortali del Liebig. Anche i suoi scorci di storia dell’agricoltura sono in qualche punto illuminanti, benché non siano esenti da errori grossolani. Resta da lamentare il fatto che egli si arrischi cosi senz’altro a fare dichiarazioni come le seguenti: «Mediante una polverizzazione accresciuta e mediante un’aratura più frequente viene favorito il cambiamento d’aria all’interno di parti porose del suolo, e la superficie delle parti del suolo sulle quali l’aria deve agire, viene ingrandita e rinnovata, ma è di facile comprensione che i redditi maggiori del campo non possono essere in proporzione diretta del lavoro applicato al campo, bensì che salgono in una proporzione molto minore». « Questa legge», aggiunge il Liebig, «è enunciata da J. St. Mill per la prima volta nei suoi Principles of Political Economy, vol. I, p. 17, nel seguente modo: “Che il reddito del suolo, caeteris paribus, cresca in proporzione decrescente a paragone dell’aumento del numero dei lavoratori occupati “ (il signor Mill ripete persino la legge della scuola ricardiana con una formula sbagliata, giacchè, andando «the decrease of the labourers employed », la diminuzione dei lavoratori occupati, costantemente di pari passo con il progresso dell’agricoltura, la legge inventata in Inghilterra e per l’Inghilterra, non troverebbe applicazione, per lo meno in Inghilterra), “è la legge universale dell’agricoltura“, cosa abbastanza strana perché non gliene era nota la ragione (LIEBIG, ivi, vol. 1, p. 143 e nota). Astraendo dall’errata interpretazione dei termine «lavoro» che ha per il Liebig un diverso da quello datogli dall’economia politica, è comunque «cosa abbastanza strana» che egli faccia del signor j. St. Mill il primo enunciatore di una teoria che all’epoca di A. Smith James Anderson aveva pubblicato per la prima volta ripetendola poi in scritti diversi fino ai primi del secolo XIX, teoria che il Maltus, in genere maestro del plagio (tutta la sua teoria della popolazione è uno spudorato plagio) si era annesso nel 1815, che il West aveva svolto alla stessa epoca dell’Anderson, e indipendentemente da lui, che il Ricardo nel 1817 aveva connesso con la teoria generale del valore, che da quel tempo ha fatto il giro del mondo sotto il nome del Ricardo, che nel 1820 fu volgarizzata da James’ Mill (padre di J. St. Mill), e che infine viene ripetuta anche dal signor J. St. MilI come dogma scolastico ormai divenuto luogo comune. È innegabile che J. St. Mill deve la sua comunque « strana » autorità quasi esclusivamente a simili qui pro quo.

 

 AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1  negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;

3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice ().

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm