IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE I

MERCE E DENARO

CAPITOLO 2

IL PROCESSO DI SCAMBIO

Le merci non possono andarsene da sole al mercato e non possono scambiarsi da sole. Dobbiamo dunque cercare i loro tutori, i possessori di merci. Le merci sono cose, quindi non possono resistere all'uomo. Se esse non sono ben disposte egli può usar la forza; in altre parole, può prenderle[37]. Per riferire l'una all'altra queste cose come merci, i tutori delle merci debbono comportarsi l'uno di fronte all'altro come persone, la cui volontà risieda in quelle cose, cosicché l'uno si appropria la merce altrui, alienando la propria, soltanto con la volontà dell'altro; quindi, ognuno dei due compie quell'atto soltanto mediante un atto di volontà comune a entrambi. Quindi i possessori di merci debbono riconoscersi, reciprocamente, quali proprietari privati. Questo rapporto giuridico, la cui forma è il contratto, sia o no svolto in forme legali, è un rapporto di volontà nel quale si rispecchia il rapporto economico. Il contenuto di tale rapporto giuridico ossia di volontà è dato mediante il rapporto economico stesso[38]. Le persone esistono qui l'una per l'altra soltanto come rappresentanti di merce, quindi come possessori di merci. Troveremo in generale, man mano che la nostra esposizione procederà, che le maschere caratteristiche economiche delle persone sono soltanto le personificazioni di quei rapporti economici, come depositari dei quali esse si trovano l'una di fronte all'altra.

Ciò che distingue in particolare il possessore di merci dalla merce, è la circostanza che ogni altro corpo di merce appare alla merce stessa soltanto come forma fenomenica del suo proprio valore. Cinica e livellatrice dalla nascita, la merce è quindi sempre pronta a fare scambio non solo dell'anima ma anche del corpo con qualunque altra merce, sia pur questa fornita di sgradevolezze ancor più di Maritorne. Il possessore di merci integra coi suoi cinque e più sensi questa insensibilità della merce per la concretezza del corpo delle merci. La sua merce non ha per lui nessun valore d'uso immediato. Altrimenti non la porterebbe al mercato. Essa ha valore d'uso per altri. Per lui, immediatamente, essa ha soltanto il valore d'uso d'essere depositaria di valore di scambio, e così d'essere mezzo di scambio[39]. Perciò egli la vuole alienare per merci il cui valore d'uso gli procuri soddisfazione. Tutte le merci sono pei loro possessori valori non d'uso, e pei loro non-possessori valori d'uso. Quindi debbono cambiar di mano da ogni parte. Ma questo cambiamento di mano costituisce il loro scambio, e il loro scambio le riferisce l'una all'altra come valori, e le realizza come valori. Dunque, le merci debbono realizzarsi come valori, prima di potersi realizzare come valori d'uso.

D'altra parte, le merci debbono dar prova di sé come valori d’uso, prima di potersi realizzare come valori. Poiché il lavoro umano speso in esse conta soltanto in quanto è speso in forma utile per altri. Ma solo il suo scambio può dimostrare se esso è utile ad altri e quindi se il suo prodotto soddisfa bisogni di altre persone.

Ogni possessore di merci vuole alienare la sua merce soltanto contro altra merce, il cui valore d'uso soddisfi il suo bisogno. Fin qui lo scambio è per lui soltanto processo individuale. D'altra parte, egli vuole realizzare la sua merce come valore, cioè la vuol realizzare in ogni altra merce dello stesso valore, a scelta, sia che la sua propria merce abbia o non abbia valore d'uso per il possessore dell'altra merce. Fin qui lo scambio è per lui processo generalmente sociale. Ma lo stesso processo non può essere contemporaneamente e per tutti i possessori di merci solo individuale e insieme solo generalmente sociale.

Se guardiamo più da vicino, per ogni possessore di merci la merce altrui conta come equivalente particolare della propria merce, e quindi la sua merce conta per lui come equivalente generale di tutte le altre merci. Ma poiché tutti i possessori di merci fanno la stessa cosa, nessuna merce è equivalente generale, e quindi le merci non posseggono neanche una forma relativa generale di valore, nella quale si equiparino come valori e si mettano a paragone come grandezze di valore. Quindi esse non si trovano l'una di fronte all'altra come merci, ma soltanto come prodotti ossia valori d'uso.

Nel loro imbarazzo, i nostri possessori di merci pensano come Faust. All'inizio era l'azione. Ecco che hanno agito ancor prima di aver pensato. Le leggi della natura delle merci hanno già agito nell'istinto naturale dei possessori di merci. Costoro possono riferire le loro merci l'una all'altra come valori, e quindi come merci, soltanto riferendole per opposizione, oggettivamente, a qualsiasi altra merce quale equivalente generale. Questo è. il risultato dell'analisi della merce. Ma soltanto l'azione sociale può fare d'una merce determinata l'equivalente generale. Quindi l'azione sociale di tutte le merci esclude una merce determinata, nella quale le altre rappresentino universalmente i loro valori. Così la forma naturale di questa merce diventa forma di equivalente socialmente valida. Mediante il processo sociale, l'esser equivalente generale diventa funzione sociale specifica della merce esclusa. Così essa diventa - denaro. "Costoro hanno un medesimo consiglio; e daranno la loro potenza e podestà alla bestia. E che niuno potesse comperare o vendere, se non chi avesse il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome". (Apocalisse).

La cristallizzazione "denaro" è un prodotto necessario del processo di scambio, nel quale prodotti di lavoro di tipo differente vengono di fatto equiparati e quindi trasformati di fatto in merci

L’estensione e l'approfondimento storico dello scambio dispiega l'opposizione latente fra valore d'uso e valore dormiente nella natura della merce. Il bisogno di dare, per gli scopi del commercio. una presentazione esterna di tale opposizione, spinge verso una forma indipendente del valore delle merci; e non s'acquieta e non posa fino a che tale forma non è definitivamente raggiunta mediante lo sdoppiamento della merce in merce e denaro. Quindi, la trasformazione della merce in denaro si compie nella stessa misura della trasformazione dei prodotti del lavoro in merci[40].

Lo scambio immediato dei prodotti per una parte ha la forma dell'espressione semplice di valore, per l'altra parte non l'ha ancora. Quella forma era: x merce A = y merce B. La forma dello scambio immediato dei prodotti è: x oggetto d'uso A = y oggetto d'uso B[41]. Le cose A e B qui non sono merci prima dello scambio, ma diventano tali soltanto attraverso di esso. Per un oggetto d'uso la prima maniera d'essere, virtualmente, valore di scambio, è, la sua esistenza come non-valore d'uso, come quantità di valore d'uso eccedente i bisogni immediati del suo possessore. Le cose, prese in sé e per sé, sono estranee all'uomo, e quindi alienabili. Affinché tale alienazione sia reciproca, gli uomini hanno bisogno solo di comportarsi tacitamente come proprietari privati di quelle cose alienabili, e proprio perciò affrontarsi come persone indipendenti l’una dall'altra. Tuttavia tale rapporto di reciproca estraneità non esiste per i membri di una comunità naturale originaria, abbia essa forma di famiglia patriarcale, di comunità paleo indiana, di Stato degli Incas, ecc. Lo scambio di merci comincia dove finiscono le comunità, ai loro punti di contatto con comunità estranee, o con membri di comunità estranee. Ma, una volta le cose divenute merci nella vita esterna della comunità, esse diventano tali per reazione anche nella vita interna di essa. In un primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale. Sono scambiabili per l'atto di volontà dei loro possessori, di alienarsele reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d'uso altrui si consolida a poco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un processo sociale regolare. Quindi nel corso del tempo per lo meno una parte dei prodotti del lavoro dev'essere prodotta con l'intenzione di farne scambio. Da questo momento in poi si consolida, da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno immediato e la loro utilità per lo scambio. Il loro valore d'uso si separa dal loro valore di scambio. Dall'altra parte il rapporto quantitativo secondo il quale esse vengono scambiate diventa dipendente dalla loro produzione. L'abitudine le fissa come grandezze di valore.

Nello scambio immediato dei prodotti ogni merce è mezzo di scambio, immediatamente, per il suo possessore, ed equivalente per chi non la possiede, tuttavia solo in quanto è valore d'uso per quest'ultimo. L'articolo di scambio non riceve dunque ancora una forma di valore indipendente dal suo proprio valore di uso o dal bisogno individuale di coloro che compiono lo scambio. La necessità di questa forma si sviluppa col crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio. Il problema sorge contemporaneamente ai mezzi per risolverlo. Un commercio nel quale possessori di merci si scambino e confrontino i propri articoli con differenti altri articoli, non ha mai luogo senza che merci differenti siano scambiate e confrontate come valori da differenti possessori di merci, nell'ambito del loro commercio, con uno stesso e medesimo terzo genere di merci. Tale terza merce, diventando equivalente di varie altre merci, riceve immediatamente, seppure entro stretti limiti, la forma generale o sociale di equivalente. Questa forma generale di equivalente nasce e finisce col contatto sociale momentaneo che l'ha chiamata in vita, e tocca fuggevolmente e alternativamente a questa o a quella merce. Ma con lo svilupparsi dello scambio delle merci, essa aderisce saldamente ed esclusivamente a particolari generi di merce, ossia si cristallizza in forma di denaro. Da principio, è casuale che essa aderisca a questo o a quel genere di merci. Ma, nell'insieme, due circostanze sono quelle decisive. La forma di denaro aderisce o ai più importanti articoli di baratto dall'estero, che di fatto sono forme fenomeniche naturali e originarie del valore di scambio dei prodotti indigeni; oppure all'oggetto d'uso che costituisce l'elemento principale del possesso alienabile indigeno, come per esempio, il bestiame. I popoli nomadi sviluppano per primi la forma di denaro, poiché tutti i loro beni si trovano in forma mobile, quindi immediatamente scambiabile, e perché il loro genere di vita li porta continuamente a contatto con comunità straniere, e quindi li sollecita allo scambio dei prodotti. Gli uomini hanno spesso fatto dell'uomo stesso, nella figura dello schiavo, il materiale originario del denaro, ma non lo hanno fatto mai della terra. Questa idea poteva affiorare soltanto in una società borghese già perfezionata: essa data dall'ultimo trentennio del XVII secolo e la sua attuazione su scala nazionale venne tentata soltanto un secolo più tardi nella rivoluzione borghese dei francesi.

La forma di denaro passa a merci che per natura sono adatte alla funzione sociale di equivalente generale, ai metalli nobili, nella stessa misura che lo scambio di merci fa saltare i suoi vincoli meramente locali, e quindi che il valore delle merci si amplia a materializzazione del lavoro umano in genere.

Ora, la congruenza delle loro qualità naturali con la funzione del denaro[42] mostra che "benché oro e argento non siano naturalmente denaro, il denaro è naturalmente oro e argento"[43]. Ma finora noi conosciamo soltanto quest'una funzione del denaro, di servire come forma fenomenica del valore delle merci, ossia come il materiale nel quale si esprimono socialmente le grandezze di valore delle merci. Forma fenomenica adeguata di valore, o materializzazione di lavoro umano astratto e quindi eguale, può essere soltanto una materia, tutti gli esemplari della quale posseggano la stessa uniforme qualità. D'altra parte, poiché la differenza della grandezza di valore è puramente quantitativa, la merce-denaro dev'essere suscettibile di differenze meramente quantitative, cioè dev'essere divisibile ad arbitrio, e dev'essere ricomponibile, riunendone le parti. E l'oro e l'argento posseggono per natura queste proprietà.

Il valore d'uso della merce-denaro si raddoppia. Accanto al suo valore d'uso particolare come merce - come per esempio. l'oro serve per otturare denti cariati, e quale materia prima per articoli di lusso, ecc. - essa riceve un valore d'uso formale, che sorge dalle sue funzioni sociali specifiche.

Poiché tutte le altre merci sono soltanto equivalenti particolari del denaro e il denaro è il loro equivalente generale, esse si comportano come merci particolari nei confronti del denaro come merce universale[44].

S'è visto che la forma di denaro è soltanto il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci che aderisce saldamente ad una merce. Che l'oro sia merce[45] costituisce dunque una scoperta soltanto per colui che parte dalla sua figura compiuta per analizzarla a posteriori. Il processo di scambio non dà alla merce che esso trasforma in denaro, il suo valore, ma la sua forma specifica di valore. La confusione fra le due determinazioni ha indotto a ritenere immaginario il valore dell'oro e dell'argento[46]. E poiché la moneta in certe sue determinate funzioni può essere sostituita con semplici segni di se stessa, è sorto l'altro errore ch'essa sia un semplice segno. D'altra parte, in tutto ciò c'era l'intuizione che la forma di denaro della cosa le sia esterna, e sia pura forma fenomenica di rapporti umani nascosti dietro di essa. In questo senso, ogni merce sarebbe un segno, poiché, come valore, sarebbe soltanto l'involucro materiale del lavoro umano speso per essa[47]. Ma dichiarando puri segni i caratteri sociali che ricevono gli oggetti, ossia i caratteri oggettivi, che ricevono le determinazioni sociali del lavoro sulla base d'un determinato modo di produzione, si dichiara contemporaneamente che essi sono il prodotto arbitrario della riflessione dell'uomo. Questa era una maniera prediletta dell'illuminismo del XVIII secolo per togliere, per lo meno provvisoriamente, la parvenza della stranezza a quelle enigmatiche forme di rapporti umani, il processo genetico delle quali non s’era ancora in grado di decifrare.

È stato osservato più sopra che la forma di equivalente d'una merce non implica la determinazione quantitativa della sua grandezza di valore. Se si sa che l'oro è denaro, e quindi è immediatamente scambiabile con tutte le altre merci, non perciò si sa quanto valgono per esempio. dieci libbre d’oro. Come ogni merce, il denaro può esprimere la propria grandezza di valore solo relativamente, in altre merci. II suo proprio valore è determinato dal tempo di lavoro richiesto per la sua produzione e si esprime nelle quantità di ogni altra merce nella quale si è coagulato altrettanto tempo di lavoro[48]. Questa fissazione della sua grandezza relativa di valore ha luogo alla sua fonte di produzione nel traffico immediato di scambio. Appena entra in circolazione come denaro, il suo valore è già dato. Se già negli ultimi decenni del XVIII secolo il sapere che il denaro è merce costituiva un inizio di gran lunga sorpassato dell'analisi del denaro - si trattava però soltanto d'un inizio. La difficoltà non sta nel capire che il denaro merce, ma nel capire come, perché, per qual via una merce denaro[49].

Abbiamo visto come già nella più semplice espressione di valore, x merce A = y merce B, la cosa, nella quale viene rappresentata la grandezza di valore d'un'altra cosa, sembra possedere come qualità sociale di natura la propria forma di equivalente, indipendentemente da tale rapporto. Noi abbiamo seguito il consolidarsi di questa erronea parvenza. Questo consolidamento è completato, appena la forma generale di equivalente finisce con il connaturarsi alla forma naturale d'un particolare genere di merce, ossia è cristallizzata nella forma di denaro. Non sembra che una merce diventi denaro soltanto perché le altre merci rappresentano in essa, da tutti i lati, i loro valori, ma viceversa, sembra che le altre merci rappresentino generalmente in quella i loro valori, perché essa è denaro. Il movimento mediatore scompare nel proprio risultato senza lasciar traccia. Le merci trovano la loro propria figura di valore davanti a sé belle pronta, senza che esse c'entrino, come un corpo di merce esistente fuori di esse e accanto a loro. Queste cose che sono l’oro e l’argento, come emergono dalle viscere della terra, sono subito l’incarnazione immediata di ogni lavoro umano. Di qui la magia del denaro. Il contegno degli uomini, puramente atomistico nel loro processo sociale di produzione, e quindi la figura materiale dei loro propri rapporti di produzione, indipendente dal loro controllo e dal loro consapevole agire individuale, si mostrano in primo luogo nel fatto che i prodotti del loro lavoro assumono generalmente la forma di merci. Quindi l’enigma del feticcio denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e che abbaglia l'occhio.

NOTE


[37] Nel XII secolo, tanto acclamato per la sua devozione, fra queste merci si trovano spesso cose delicatissime. Così un poeta francese di quel tempo enumera fra le merci che si ritrovavano al mercato di Landit, fra drappi per vestiti, scarpe, cuoio, attrezzi agricoli, pelli ecc., anche "femmes folles de leur corps ".

[38] Il Proudhon comincia con l'attingere il suo ideale della giustizia, la iustice éternelle, dai rapporti giuridici corrispondenti alla produzione delle merci, con il che, sia detto di passata, vien fornita anche la dimostrazione, così consolante per tutti i borghesucci, che la forma della produzione delle merci è eterna come la giustizia. Poi, viceversa, vuole rimodellare la produzione reale delle merci e il diritto reale ad essa corrispondente in conformità di quell'ideale. Che cosa si penserebbe d'un chimico che invece di studiare le leggi reali del ricambio organico, e di risolvere determinati problerni sulla base di esse, volesse rimodellare il ricambio organico per mezzo delle " idee eterne " della naturalité e della affinité? Quando si dice che [[ l'usura contraddice alla iustice éternelle ed ad altre vérités éternelles, si sa forse su di essa qualcosa di più di quel che ne sapessero i Padri della Chiesa, quando dicevano che essa contraddiceva alla gráce éternelle, alla foi éternelle, alla volonté éternelle de Dieu? ]]

[39] "Ogni bene ha infatti due usi... l'uno proprio alla cosa, l'altro no; per esempio, una calzatura serve a calzarsi, ma anche a fare uno scambio. E ambedue infatti sono usi della calzatura. Poiché chi scambia per denaro o per alimenti una calzatura, si vale della calzatura in quanto calzatura. ma non per il suo uso specifico; poiché la calzatura non è fatta per le scambio " (ARISTOTELE, De Republica, libro 1, cap. 9, [traduz. V. Costanzi]).

[40] Da questo si giudichi la finezza del socialismo piccolo-borghese, il quale vuole eternare la produzione delle merci e insieme vuole abolire o "l'antagonismo fra la merce e il denaro ", cioè il denaro stesso, poiché il denaro esiste solo in questo antagonismo. Sarebbe come abolire il papa e lasciar sussistere il cattolicesimo. I particolari si vedano nel mio scritto Zur Kritik cit., p. 61 sgg.

[41] Anche lo scambio immediato dei prodotti sta soltanto nel proprio vestibolo, finché non vengono ancora scambiati due differenti oggetti d'uso, ma si offre una massa caotica di cose come equivalente per una terza cosa, come spesso si verifica presso i selvaggi.

[42] K. MARX, Zur Kritik cit., p. 135. " 1 metalli preziosi sono naturalmente moneta " (GALIANI, Della Moneta, nella raccolta Custodi, parte moderna, vol. III, p. 72).

[43] Altri particolari nel mio scritto or ora citato, sez. I metalli preziosi.

[44]" Il danaro è la merce universale " (VERRI, Meditazioni sulla economia politica, p. 16).

[45] L'oro e l'argento stessi che noi possiamo designare col nome generale di metallo nobile, sono... merci... che... crescono e calano... di valore. Allora si può calcolare che il metallo prezioso è di un valore superiore quando per un minor peso di esso si può ottenere una maggior quantità del prodotto o dei manufatti del paese, ecc. (A discourse on the general notions of money, trade and exchange as they stand in relations to each other. By a merchant. Londra, 1695, p. 7). " Oro e argento, monetati o non monetati, vengono sì usati come misura di tutte le altre cose, ma non di meno sono una merce, come vino, olio. tabacco, panno o stoffe " (A discourse concerning trade. and that in particular o/ the East Indies ecc., Londra, 1869, p. 2 ' i. " Il patrimonio e le ricchezze del reame non possono essere limitati al denaro, né oro e argento dovrebbero essere esclusi dall'esser merci. (The East India trade a most profitable trade. Londra, 1677, p. 4).

[46] "L'oro e l'argento hanno valore come metalli anteriore all'esser moneta " (GALIANI, Della Moneta, p. 72). Il Locke dice: " Il consenso universale dell'umanità ha dato all'argento, per causa delle sue qualità che lo rendono adatto a essere denaro, un valore immaginario ". Invece il Law: " Non saprei concepire come differenti nazioni potrebbero dare a una qualsiasi cosa un valore immaginario... o come si sarebbe potuto mantenere questo valore immaginario? ". Ma quanto poco ne capiva, proprio lui! " L'argento si scambiava sulla base di quanto veniva valutato per gli usi " cioè secondo il suo valore reale; "dal suo uso come denaro... ricevette un valore addizionale " (JEAN LAW, Considérations sur le numéraire et le commerce, nella edizione di E. Daire degli Economistes financiers du XVIII siècle, p. [469] 470).

[47] "L'argent en (des denrées) est le signe " (V. DE FORBONNAIS, E1éments du commerce, nuova edizione, Leida, 1766, vol. 11, p. 143). "Comme signe il est attiré par les denrées" (ivi, p. 155). " L’argent est un signe d'une chose et la represente " (MONTESQUIEU, Esprit des lois, Oeuvres, Londra, 1767, II, p. 2). "L'argent n'est pas simple signe, car il est lui-mime richesse; il ne represente pas les valeurs, il les équivaut " (LE TROSNE, De I'intérèt social, p. 910). "Se si considera il concetto di valore, la cosa stessa viene considerata soltanto come un segno, ed essa non conta per quel che essa è, ma per quel che vale " (HEGEL, Philosophie des Rechts, p. 100). Già molto tempo prima degli economisti, i giuristi avevano dato l’avvio all'idea del denaro come puro segno e del valore semplicemente immaginario dei metalli preziosi; sono i loro bassi servizi al potere regio, il cui diritto di falsificar moneta costoro hanno fatto poggiare durante tutto il Medioevo sulle tradizioni dell'Impero romano e sui concetti monetari delle Pandette. Il loro docile scolaro Filippo di Valois in un decreto del 1346 dice: " Qu'aucun ne puisse ni doive faire doute, que à nous et à notre majesté royale n’appartiennent seulement... Le mestier, le fait, l’etat, la provision et toute 1'ordonnance des monnaies, de donner tel cours , et pour tel prix comme il nous plait et bon nous semble". Era dogma giuridico romano che l’imperatore decretava il valore del denaro. Era espressamente proibito trattare il denaro come merce: Pecunias vero nulli emere fas erit, nam, in usu publico constitutas oportet non esse mercem. Buone osservazioni su questo argomento in G. F. PAGNINI, Saggi sopra il giusto pregio delle cose, 1751, in Custodi, parte moderna, vol. II. Specialmente nella seconda parte del suo scritto il Pagnini polemizza contro i signori giuristi.

[48] "Se un uomo può portare un'oncia di argento dal sottosuolo del Perù a Londra nello stesso tempo che adoprerebbe per la produzione di un bushel di grano, allora l’una è il prezzo naturale del secondo; se poi, a causa di miniere nuove o più facili da sfruttare, un uomo può ottenere due once di argento con la stessa facilità di prima per una, il grano sarà, a un prezzo di dieci scellini al bushel, allo stesso buon mercato di prima a cinque, caeteris paribus )" (WILLIAM P., A treatise of taxes and contributions, Londra, 1667, p. 31).

[49] Il professor Roscher, dopo averci ammaestrato: "Le definizioni false del denaro si possono dividere in due gruppi principali: quelle che lo ritengono qualcosa di più, c quelle che lo ritengono qualcosa di meno di una merce ", fa seguire un variopinto catalogo di scritti sulla natura del denaro dal quale non traspare neppure una remotissima cognizione delta reale storia della teoria, e infine la morale: " Del resto non si può negare che la maggior parte degli economisti moderni non hanno tenuto sufficiente conto delle peculiarità che distinguono il denaro da altre merci (dunque, insomma, più o meno che merce?)... Fino a questo punto, la reazione semi mercantilistica del Ganilh... non è del tutto infondata " (WILHELM ROSCHER, Die Grundlagen der Nationaloekonomie, 3. ed., 1858, pp. 207-210). Più - meno - non abbastanza - fino a questo punto - non del tutto! Che determinazioni concettuali! E dire che il signor Roscher battezza modestamente con il none di " metodo anatomico-fisiologico " della economia politica queste eclettiche chiacchiere professorali! Tuttavia, una scoperta gli è dovuta: cioè che il denaro è "una merce piacevole ".

 

 AVVERTENZA PER IL LETTORE

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:

1  negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;

2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;

3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice ().

Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.

Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.

Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.

Coloro che volessero accostarsi al testo originale in lingua italiana si consigliano le seguenti edizioni:

  • Il capitale, Le Idee, Editori Riuniti, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione Einaudi, traduzione di Delio Cantimori;
  • Il capitale, Edizione integrale - I mammut – Newton Compton, a cura di Eugenio Sbardella.

Chi volesse accedere ad edizioni del Capitale e di altri testi di Marx in lingue estere, si propone di consultare il sito internet di seguito riportato:

http://www.marxists.org/xlang/marx.htm