ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA RELAZIONE
TRA INCERTEZZA E MONETA IN KEYNES
[1]

Giancarlo Bertocco[2]

1. Introduzione

La relazione tra moneta e incertezza costituisce il punto centrale della teoria monetaria keynesiana. Generalmente gli economisti keynesiani presentano questa relazione considerando l’incertezza come la grandezza esogena a partire dalla quale si definiscono le funzioni della moneta; la presenza di incertezza giustifica la funzione di fondo di valore della moneta e costituisce l’elemento su cui si fonda la teoria keynesiana della preferenza per la liquidità. L’obiettivo di questo lavoro consiste nel mettere in evidenza una relazione causale che va nella direzione opposta, cioè nel mostrare che l’importanza della dimensione dell’incertezza può essere spiegata partendo dalla specificazione delle caratteristiche della moneta. In particolare si sottolinea che la presenza di una moneta segno come la moneta bancaria costituisce l’elemento necessario di un sistema economico in cui la dimensione dell’incertezza assume un peso rilevante; questa relazione causale non cancella necessariamente, quella descritta dall’interpretazione tradizionale di Keynes, ma consente di mettere in rilievo aspetti di una economia monetaria che generalmente non vengono considerati.

Questa interpretazione si basa su alcuni scritti di Keynes che risalgono al 1933 e agli anni 1937-39 nei quali egli sottolinea che la diffusione di una moneta segno costituita dalla moneta bancaria modifica radicalmente la struttura del sistema economico rispetto ad una economia di baratto. Il testo è diviso in due parti. Nella prima verranno ricordati gli aspetti più significativi dell’interpretazione tradizionale; nella seconda parte verrà presentata la relazione causale tra moneta e incertezza.

2. L’interpretazione tradizionale

L’aspetto più significativo dell’interpretazione tradizionale della teoria monetaria keynesiana consiste nel considerare l’incertezza come la grandezza esogena da cui partire per definire il ruolo della moneta. Questa interpretazione può essere descritta prendendo come riferimento l’articolo pubblicato sul Quarterly Journal in cui Keynes (1937a) espone le idee fondamentali contenute nella General Theory. Keynes apre questo articolo affermando che la principale differenza tra la sua teoria e la teoria classica riguarda il modo in cui tener conto del fatto che le decisioni economiche relative alla accumulazione della ricchezza e le decisioni di investimento producono risultati che si manifestano in un futuro più o meno lontano. Keynes sottolinea che queste decisioni vengono prese in condizioni di incertezza; egli spiega che con questa espressione non intende distinguere semplicemente tra decisioni i cui risultati futuri sono certi e decisioni i cui risultati sono prevedibili in termini probabilistici come avviene nel caso di una puntata alla roulette. Keynes utilizza questa espressione per indicare che queste decisioni vengono prese in un contesto in cui non esistono basi scientifiche sulle quali fondare una previsione in termini probabilistici dei loro risultati.[3] Keynes (1937a, p. 662) accusa la teoria classica di aver trascurato la dimensione dell’incertezza, ed afferma che questa teoria è adatta a descrivere soltanto una economia senza incertezza.

Il segno più evidente dell’incapacità della teoria classica di tener conto della presenza di incertezza è costituito, secondo Keynes, dal modo in cui questa teoria affronta la questione della moneta. La teoria classica attribuisce alla moneta due funzioni: la moneta è in primo luogo un mezzo di scambio, cioè uno strumento che facilita gli scambi; in secondo luogo, la moneta è un fondo di valore, cioè uno strumento che consente di conservare la ricchezza nel tempo. Keynes osserva che questa seconda funzione non ha alcun significato nell’economia descritta dalla teoria classica; in assenza di incertezza è assurdo accumulare come componente della ricchezza uno strumento che non offre alcun rendimento.[4] Soltanto la presenza di incertezza fornisce una giustificazione del ruolo di fondo di valore della moneta. In un mondo in cui non è possibile fondare su basi scientifiche la previsione dei risultati delle decisioni economiche, la scelta di accumulare moneta riflette la consapevolezza da parte dei possessori di ricchezza della fragilità degli strumenti utilizzati per prefigurare gli esiti futuri delle loro decisioni. La decisione di accumulare moneta è dunque, espressione delle paure, delle inquietudini degli individui nei confronti del futuro; tanto maggiore sarà la sensazione di paura e di preoccupazione nei confronti del futuro, tanto maggiore sarà il desiderio di accumulare moneta e tanto più elevato sarà il premio che gli individui chiederanno per separarsi da essa ed accumulare attività finanziarie diverse dalla moneta. Keynes spiega che in un mondo con incertezza:

“... per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro. Sebbene questo nostro atteggiamento verso la moneta sia esso stesso convenzionale o istintivo, esso opera, per così dire, ad un livello più profondo delle nostre motivazioni. Esso subentra nei momenti in cui le più superficiali, instabili convenzioni si sono indebolite. Il possesso della moneta calma la nostra inquietudine, e il premio che noi pretendiamo per dividerci da essa è la misura dell’intensità della nostra inquietudine” (Keynes, 1937a, pp. 662-3).

Il premio a cui si riferisce Keynes è il tasso di interesse. Sulla base della relazione tra incertezza e moneta Keynes elabora una teoria che dà rilievo alla funzione di fondo di valore della moneta e al concetto di domanda di moneta; il tasso di interesse costituisce il prezzo che pone in equilibrio il mercato della moneta. La presenza di incertezza consente a Keynes di sottolineare un aspetto importante della funzione di domanda di moneta o, come egli la definisce, della preferenza per la liquidità: la sua instabilità. Egli osserva che la preferenza per la liquidità è soggetta a sensibili fluttuazioni poiché la mancanza di basi scientifiche che consentano agli individui di formulare le aspettative circa i risultati futuri delle loro decisioni economiche, rende queste aspettative estremamente instabili:

“...essendo basate su fondamenta così inconsistenti, esse sono soggette a improvvisi e violenti mutamenti. La pratica della calma e dell’immobilità, della certezza e della sicurezza, improvvisamente viene meno. Nuovi timori e speranze, senza preavviso, vengono a influenzare il comportamento umano. Le forze della disillusione potrebbero improvvisamente imporre una nuova base di valutazione convenzionale. Tutte queste piacevoli elaborate tecniche fatte per una sala delle riunioni lussuosamente arredata e per un mercato appropriatamente regolato possono crollare da un momento all’altro” (Keynes, 1937a, p. 662).

Le fluttuazioni della preferenza per la liquidità, dato lo stock di moneta, influenzano il livello del tasso di interesse; Keynes, contrariamente a quanto affermato dalla Teoria Quantitativa che sottolinea il legame tra variazioni della quantità di moneta e variazioni del livello dei prezzi, mette in rilievo la relazione tra le fluttuazioni della preferenza per la liquidità e le fluttuazioni del tasso di interesse:

“...ciò che ha attratto l’attenzione è stata la quantità di moneta che viene tesoreggiata; a questa si è attribuito importanza perché si è supposto che abbia un effetto direttamente proporzionale sul livello dei prezzi... Ma la quantità tesoreggiata può essere modificata solo se viene mutata la quantità totale di moneta o se muta la quantità del reddito monetario corrente... mentre le fluttuazioni del grado di fiducia possono esercitare un effetto assai diverso; possono modificare cioè non la quantità che è effettivamente tesoreggiata, ma la quantità del premio che deve essere offerto per indurre la gente a non tesoreggiare. E i mutamenti nella propensione a tesoreggiare, o nella preferenza per la liquidità come io la chiamo, influenzano, in primo luogo, non i prezzi ma il tasso di interesse... Questa, espressa in modo molto generale, è la mia teoria del tasso di interesse” (Keynes, 1937a, p. 663).

La teoria della preferenza per la liquidità è un elemento fondamentale della teoria keynesiana del reddito che si contrappone alla teoria classica che considera il reddito come un dato. Keynes elabora una teoria secondo la quale le fluttuazioni dei livelli di reddito e di occupazione dipendono soprattutto, dalle fluttuazioni della domanda di beni di investimento causate dalla presenza di incertezza. L’incertezza influenza le decisioni di investimento in due modi; in primo luogo, queste decisioni dipendono dalle aspettative sui profitti futuri, in secondo luogo, esse dipendono dal tasso di interesse il cui livello è determinato dalla preferenza per la liquidità e quindi dalle aspettative dei possessori di ricchezza. Tutto questo, osserva Keynes, rende la domanda di beni di investimento estremamente fluttuante:

“Non sorprende che il volume dell’investimento, così determinato, compia di volta in volta ampie oscillazioni, giacché esso dipende da due insiemi di previsioni del futuro, e cioè la propensione al tesoreggiamento e le opinioni sul rendimento futuro dei beni capitali, nessuno dei quali poggia su adeguate o sicure fondamenta.” (Keynes 1937a, p. 664)

Keynes sottolinea infine, che se si trascurasse la relazione incertezza-moneta il fenomeno della fluttuazione del reddito e dell’occupazione si ridimensionerebbe. In assenza di incertezza infatti, la curva della preferenza per la liquidità assumerebbe caratteristiche tali, in termini di stabilità e di elasticità rispetto al tasso di interesse, da annullare gli effetti sul reddito dell’instabilità della domanda di beni di investimento.[5] In conclusione, secondo questa interpretazione, l’incertezza costituisce il dato esogeno che consente di considerare la moneta, nella sua funzione di fondo di valore, come l’elemento essenziale della spiegazione keynesiana delle fluttuazioni del reddito e dell’occupazione.

3. La relazione causale tra moneta e incertezza

3.1 Le conseguenze della presenza di una moneta segno

E’ possibile individuare una relazione causale che va dalla moneta all’incertezza ed affermare quindi, che l’importanza della dimensione dell’incertezza può essere spiegata a partire dalla specificazione delle caratteristiche della moneta. Questa interpretazione si fonda su alcuni lavori di Keynes che precedono la General Theory e su altri pubblicati tra il 1937 e il 1939. Anche in questi lavori Keynes mette in rilievo i limiti della capacità esplicativa della teoria classica osservando che essa è in grado di descrivere una real-exchange economy, o come Keynes l’ha definita in altri casi real-wage economy o co-operative economy, ma non una monetary economy.[6] In questi lavori Keynes sostiene che la diffusione di una moneta segno, cioè di una moneta che non è prodotta mediante l’impiego di lavoro, modifica profondamente la struttura del sistema economico; egli afferma che l’impiego di una moneta segno modifica la legge di produzione e la natura degli scambi rispetto ad una real-exchange economy.

Keynes osserva che in una monetary economy, o come viene definita in altre occasioni una money-wage economy o entrepreneur economy, la teoria classica secondo cui un imprenditore inizia un nuovo processo produttivo se si aspetta di ottenere una quantità di prodotto superiore a quella impiegata nella produzione non è valida; in una monetary economy l’obiettivo dell’imprenditore non è produrre beni, ma ottenere un profitto in termini monetari, cioè un ammontare di ricavi monetari superiore ai costi monetari. Keynes specifica due ragioni per le quali la presenza di una moneta segno modifica la legge di produzione. In primo luogo, egli (Keynes 1933b, p. 82) sottolinea che un imprenditore al fine di svolgere la sua funzione, deve avere a disposizione una quantità sufficiente di moneta per acquistare i fattori produttivi.[7] La seconda ragione è costituita dal fatto che una monetary economy è soggetta a fluttuazioni della domanda aggregata che impediscono agli imprenditori di utilizzare il criterio di decisione definito dalla teoria classica secondo il quale un imprenditore impiegherà un’unità aggiuntiva di lavoro se la produttività marginale del lavoro è superiore al suo costo marginale; questo criterio presuppone che l’imprenditore sia sicuro di vendere tutto quanto produce. In una monetary economy, a differenza di quanto succede in una real-exchange economy, non vale la legge di Say; un imprenditore non è sicuro di vendere tutto quanto produce, quindi non potrà seguire la legge di produzione definita dalla teoria classica. Keynes (1933b, p. 80) osserva infatti, che in una monetary economy i livelli di reddito e di occupazione dipendono dalle fluttuazioni della domanda effettiva; a causa di ciò, un imprenditore prenderà le proprie decisioni di produzione confrontando i ricavi monetari attesi con i costi monetari sostenuti per realizzare la produzione.[8] Keynes (1933b, p. 85) sottolinea che:“... the fluctuation of effective demand can be properly defined as a monetary phenomenon”. Egli precisa che le fluttuazioni della domanda aggregata non dipendono semplicemente dalla presenza della moneta poichè anche in una real-exchange economy si impiega moneta, ma dipendono dalle caratteristiche di una moneta segno, e in particolare, dal fatto che una moneta segno non è prodotta mediante l’impiego di lavoro:

“It is of the essence of an entrepreneur economy that the thing (or things) in terms of which the factors of production are rewarded can be spent on something which is not current output, to the production of which current output cannot be diverted (except on a limited scale), and the exchange value of which is not fixed in terms of an article of current output to which production can be diverted without limit... Money is par excellence the means of remuneration in an entrepreneur economy which lends itself to fluctuations in effective demand. But if employers were to remunerate their workers in terms of plots of land or obsolete postage stamps, the same difficulties could arise. Perhaps anything in terms of which the factors of production contract to be remunerated, which is not and cannot be a part of current output and is capable of being used otherwise than to purchase current output, is, in a sense, money. If so, but not otherwise, the use of money is a necessary condition for fluctuations in effective demand.” (Keynes 1933b, pp. 85-6)

Se la moneta fosse costituita da un bene producibile mediante lavoro come nel caso della moneta aurea, fluttuazioni della domanda aggregata non provocherebbero una persistente disoccupazione poiché i disoccupati potrebbero, almeno teoricamente, mettersi ad estrarre oro.[9] Al contrario, in un sistema in cui si utilizza una moneta segno le fluttuazioni della domanda aggregata influenzano i livelli del reddito e dell’occupazione. In particolare, sottolinea Keynes, le fluttuazioni verso il basso della domanda aggregata che riflettono la decisione degli operatori di impiegare parte del reddito per incrementare le loro scorte monetarie, si traducono in una caduta della domanda aggregata e quindi dell’occupazione;[10] nella General Theory Keynes ripropone questa conclusione quando afferma:

“… la disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l’oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ristretta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico.”.” (Keynes, 1936, p. 400)[11]

L’altro importante cambiamento strutturale legato all’impiego di una moneta segno riguarda la natura degli scambi; Keynes afferma che la diffusione di una moneta segno modifica la natura delle transazioni rispetto ad una real-exchange economy:

“The distinction which is normally made between a barter economy and a monetary economy depends upon the employment of money as a convenient means of effecting exchanges – as an instrument of great convenience, but transitory and neutral in its effect. It is regarded as a mere link between cloth and wheat, or between the day’s labour spent on building the canoe and the day’s labour spent in harvesting the crop. It is not supposed to affect the essential nature of the transaction from being, in the minds of those making it, one between real things, or to modify the motives and decisions of the parties to it. Money, that is to say, is employed, but is treated as being in some sense neutral.”(Keynes 1933a, p. 408)

La modificazione della natura degli scambi connessa alla presenza di una moneta segno può essere spiegata considerando le caratteristiche del meccanismo di creazione di una moneta di questo tipo. La moneta segno non è una merce che viene prodotta mediante l’impiego di lavoro, quindi non può essere prodotta da un qualsiasi individuo che possa contare sul proprio lavoro come avviene invece, per una qualunque merce. La produzione di una moneta segno è prerogativa di una particolare soggetto economico; nelle economie moderne il cui funzionamento Keynes si proponeva di spiegare, questo soggetto è costituito dalle banche le cui passività sono utilizzate come mezzi di pagamento. Le banche creando nuova moneta, finanziano le decisioni di spesa di soggetti che si impegnano a restituire la somma ottenuta ad una data scadenza futura.[12] L’impiego di una moneta segno come la moneta bancaria modifica la natura degli scambi rispetto ad una real-exchange economy. Quando si utilizza la moneta bancaria non è necessario possedere beni per procurarsi moneta, è invece necessario soddisfare i criteri utilizzati dalle banche per selezionare le richieste di finanziamenti. In un mondo in cui si impiega una moneta segno la disponibilità di moneta è necessaria al fine di acquistare beni, ma la disponibilità di beni non è necessaria al fine di ottenere moneta.[13]

Il passo successivo della nostra analisi consiste nello specificare quali sono i soggetti che vengono finanziati dalle banche. La risposta che viene proposta in questo lavoro consiste nell’identificare questi soggetti nelle imprese che si indebitano nei confronti delle banche al fine di realizzare le loro decisioni di investimento. Questa risposta si fonda su due elementi. In primo luogo è coerente con la teoria keynesiana del reddito. L’inversione della relazione causale tra risparmi e investimenti che caratterizza la teoria keynesiana del reddito porta a concludere che gli investimenti non sono finanziati mediante il risparmio, e lascia aperto il problema di specificare in che modo le imprese ottengono la moneta necessaria a realizzare gli investimenti desiderati. L’ipotesi introdotta in questo lavoro consiste nell’affermare che le imprese finanziano gli investimenti mediante la moneta creata dalle banche; questa impostazione è coerente con la tesi sostenuta da molti post keynesiani secondo cui la considerazione esplicita del processo di creazione della moneta bancaria consente di giustificare l’inversione della relazione causale tra risparmi e investimenti.[14]

Il secondo elemento è costituito dal fatto che questa risposta è coerente con quanto affermato da Keynes il quale ha affrontato il problema del finanziamento delle decisioni di investimento in diversi lavori pubblicati tra il 1937 e il 1939 per rispondere alle critiche alla General Theory, e in particolare, alle critiche di Ohlin nei confronti della sua teoria del tasso di interesse. In questi lavori Keynes sottolinea il ruolo delle banche nel finanziare le decisioni di investimento delle imprese; Ohlin contrappose alla teoria Keynesiana una versione della teoria dei fondi mutuabili secondo la quale il tasso di interesse è determinato dal flusso di domanda di credito che dipende dagli investimenti ex-ante, e dall’offerta di credito che dipende dai risparmi ex-ante. Keynes (1937c, p. 216) considerò importante il concetto di investimenti ex-ante in quanto metteva in rilievo il fatto che le imprese che intendono realizzare un progetto di investimento devono ottenere la liquidità necessaria, ma respinse la tesi secondo cui gli investimenti sono finanziati dal risparmio ex-ante. Egli criticò Ohlin affermando che l’offerta di liquidità che consente alle imprese di realizzare le loro decisioni di investimento, non può provenire dalle decisioni di risparmio poichè esse dipendono dalle decisioni di investimento;[15] l’offerta di liquidità dipende dalle decisioni delle banche :

The transition from a lower to a higher scale of activity involves an increased demand for liquid resources which cannot be met without a rise in the rate of interest, unless the banks are ready to lend more cash or the rest of the public to release more cash at the existing rate of interest. If there is no change in the liquidity position, the public can save ex ante and ex post and ex anything else until they are blue in the face, without alleviating the problem in the least.… This means that, in general, the banks hold the key position in the transition from a lower to a higher scale of activity. ... The investment market can become congested through shortage of cash. It can never become congested through shortage of saving. This is the most fundamental of my conclusions within this field. (Keynes, 1937c, p. 222)

In questi lavori di Keynes emerge un’analisi del ruolo delle banche e del meccanismo di creazione della moneta significativamente diversa rispetto a quella contenuta nella General Theory. L’analisi sviluppata nella General Theory dà rilievo alla funzione di fondo di valore della moneta e si basa sul concetto di domanda di moneta; l’accento posto su questi elementi condiziona la specificazione del processo di creazione di moneta che viene definito ponendo l’attenzione sulle condizioni che si devono creare per indurre i possessori di ricchezza ad assorbire nei loro portafogli la nuova quantità di moneta. Questo processo viene così identificato nelle operazioni di mercato aperto; con queste operazioni, come è scritto in tutti i manuali di macroeconomia, le autorità monetarie variano la quantità di moneta creando le condizioni che spingono i possessori di ricchezza a modificare la composizione del loro portafoglio. Nella General Theory Keynes trascura completamente il processo di creazione di moneta realizzato dalle banche per finanziare le decisioni di investimento delle imprese.

3.2 Moneta creditizia e teoria della preferenza per la liquidità

La discrepanza tra l’approccio della General Theory e quello che emerge dai lavori di Keynes considerati nel precedente paragrafo, ci pone di fronte al problema di valutare la possibilità di conciliare questi due approcci, cioè di verificare se è possibile conciliare la teoria della preferenza per la liquidità con l’esplicita considerazione del ruolo delle banche nel processo di finanziamento delle decisioni di investimento. Keynes affronta questo problema quando risponde alle critiche mosse da Ohlin alla General Theory. Come si è ricordato nel paragrafo precedente, Keynes, rispondendo ad Ohlin, ritiene significativo in concetto di investimento ex-ante che rende esplicito il problema del finanziamento delle decisioni di investimento; egli osserva che la programmazione di una decisione di investimento implica un incremento della domanda di liquidità da parte delle imprese, e riconosce di aver completamente trascurato questo fenomeno nella General Theory. Keynes si propone di superare questo limite specificando un nuovo movente che giustifica la domanda di moneta che definisce ‘finance’. Con questa espressione egli si riferisce alla domanda di liquidità che le imprese esprimono nei confronti delle banche nel momento in cui programmano i loro investimenti. Questa soluzione consente a Keynes di considerare esplicitamente il problema del finanziamento delle decisioni di investimento delle imprese senza modificare la struttura della General Theory, egli può quindi permettersi di riconoscere di aver commesso un errore trascurando questo punto.[16]

La soluzione specificata da Keynes è soggetta a diversi limiti. Il primo riguarda la dimensione temporale del finance. Keynes sostiene che la domanda di moneta espressa dalle imprese per finanziare gli investimenti programmati si manifesta soltanto nell’intervallo di tempo che separa il momento in cui l’impresa ottiene il finanziamento e il momento in cui essa utilizza questa liquidità per acquistare i beni di investimento; il finance scompare quindi, nel momento in cui le imprese spendono la moneta ottenuta dalle banche. Questa analisi non considera che nel momento in cui le imprese utilizzano la moneta ricevuta il loro legame con le banche non sparisce poichè il debito verso di esse rimane in essere; inoltre sulla base di questa definizione di finance si dovrebbe concludere che in un mondo in cui le banche finanziano le imprese accordando loro una linea di credito che viene utilizzata nel momento in cui le imprese acquistano i beni di investimento il ‘finance motive’ diventa irrilevante poichè, in questo caso, una decisione di investimento non implica alcuna domanda di moneta da parte delle imprese. Anche in questo caso però, continuerebbe ad essere importante studiare la relazione tra banche e imprese poichè queste ultime possono realizzare gli investimenti soltanto indebitandosi nei confronti delle banche.

Il secondo limite riguarda la tesi secondo cui il ‘finance motive’ si manifesta soltanto quando si ha un incremento del flusso di investimenti. Keynes (1937b, 1937c) afferma che quando un’impresa acquista dei beni di investimento essa immette nell’economia liquidità che può essere utilizzata per finanziare le decisioni di investimento di altre imprese. Quindi, conclude Keynes, la domanda di moneta generata dal ‘finance motive’ si manifesta soltanto quando esiste un incremento del flusso degli investimenti. Keynes non spiega come le imprese che intendono realizzare gli investimenti riescano ad ottenere la moneta spesa da quelle imprese che hanno acquistato beni di investimento; inoltre, se si riconosce che in ogni periodo si realizza un flusso di risparmio pari al flusso degli investimenti e se si assume che una parte dei risparmi venga impiegata per aumentare lo stock di moneta dei risparmiatori, e quindi non viene nè spesa nè prestata, allora si deve concludere che non è possibile che un flusso di investimenti costante nel tempo sia finanziato da uno stock costante di moneta poichè di periodo in periodo la domanda di moneta da parte dei possessori di ricchezza cresce in funzione della ricchezza accumulata.

Il limite più significativo della soluzione specificata da Keynes consiste, a mio avviso, nell’utilizzare un unico concetto, il concetto di domanda di moneta, per descrivere due fenomeni completamente distinti. Da un lato, infatti, questo concetto è utilizzato per descrivere il comportamento delle imprese che hanno bisogno di liquidità per realizzare gli investimenti programmati e che a questo scopo si indebitano presso le banche, mentre dall’altro, questo concetto descrive il comportamento dei possessori di ricchezza che scelgono di impiegare una parte della loro ricchezza in moneta. Questo rende il concetto di domanda di moneta ambiguo, e ciò può portare a conclusioni incoerenti. Un esempio delle conseguenze negative derivanti dall’ambiguità del concetto di domanda di moneta è costituito dal modo in cui Kaldor risolve il problema della coerenza tra la teoria della preferenza per la liquidità e la specificazione del processo di creazione di moneta da parte delle banche. Kaldor, com’è noto, risolve il problema eliminando la teoria della preferenza per la liquidità; egli afferma che in un mondo in cui si usa una moneta bancaria, l’offerta di moneta diventa una grandezza endogena poichè essa viene creata dalle banche per soddisfare la domanda di liquidità espressa dalle imprese per finanziare gli investimenti. In queste condizioni, afferma Kaldor, la teoria della preferenza per la liquidità perde significato poiché se l’offerta di moneta si adegua alla domanda, allora la relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse che caratterizza questa teoria, sparisce.

La conclusione di Kaldor si basa su di un equivoco che nasce dall’ambiguità del concetto di domanda di moneta; egli ipotizza infatti, che la domanda di moneta coincida con la domanda di liquidità da parte delle imprese che desiderano realizzare gli investimenti. Kaldor trascura completamente la seconda componente della domanda di moneta, cioè la domanda di liquidità da parte dei possessori di ricchezza; questa componente non può essere eliminata. Un modello completo non deve dar rilievo soltanto al processo di creazione di moneta realizzato dalle banche per finanziare le decisioni di investimento delle imprese, ma deve anche specificare quali soggetti accumuleranno, come componente della loro ricchezza, la moneta creata dalle banche.

L’ambiguità che caratterizza il concetto di domanda di moneta quando si introduce il ‘finance’ può essere eliminata costruendo un modello teorico che specifica un mercato del credito separato dal mercato della moneta sulla base della distinzione utilizzata da Tobin (1961; 1969; 1982) tra conto del capitale e conto del reddito. Il conto del capitale è composto dalle attività e dalle passività dei settori istituzionali dell’economia (famiglie, imprese, settore pubblico, intermediari finanziari) e una teoria del conto del capitale analizza i fattori che determinano l’offerta e la domanda delle diverse attività patrimoniali. Un conto del capitale è composto da grandezze stock; il mercato della moneta è una componente del conto del capitale. Il conto del reddito è composto invece, da grandezze flusso e una teoria del conto del reddito specifica i fattori che determinano il livello e la composizione del reddito. Il mercato del credito è una componente del conto del reddito poiché la domanda di credito è determinata dalle decisioni di investimento delle imprese. Le imprese che intendono realizzare un progetto di investimento hanno bisogno di liquidità; questa domanda di liquidità non può essere considerata equivalente alla propensione alla liquidità dei possessori di ricchezza poiché è espressa da soggetti che: a) non dispongono necessariamente di ricchezza; e b) si impegnano a restituire la liquidità ricevuta ad una determinata scadenza futura. La specificazione della funzione di domanda di credito ci permette di separare la domanda di liquidità che serve a finanziare le decisioni di investimento dalla domanda di moneta che invece riflette le scelte di portafoglio dei possessori di ricchezza. Per quanto riguarda la specificazione della funzione di offerta di credito, la principale conclusione che emerge dall’analisi di Keynes è che l’offerta di credito non dipende dalle decisioni di risparmio ma dalle decisioni delle banche. In un mondo in cui le passività delle banche sono utilizzate come mezzi di pagamento, le banche offrono credito autorizzando le imprese ad emettere ordini di pagamento nei loro confronti.

Esiste un legame tra le grandezze flusso che caratterizzano il mercato del credito e le grandezze stock che caratterizzano il mercato della moneta; questo legame può essere descritto specificando due fasi nel processo di creazione della moneta. Nella prima fase le banche creano moneta finanziando le decisioni di investimento delle imprese; in questa fase gli attori sono le banche e le imprese. La spesa per investimenti dà origine ad un incremento del reddito e del flusso di risparmio secondo quanto definito dalla teoria keynesiana.[17] Nella seconda fase entrano in gioco i possessori di ricchezza poiché il flusso di risparmio determina un incremento della ricchezza degli operatori. In questa fase si devono realizzare le condizioni che inducono i possessori di ricchezza ad accumulare la moneta creata dalle banche. La specificazione di queste due fasi del processo di creazione di moneta è coerente con la distinzione tra ‘finance’ e ‘funding’ utilizzata da Keynes per descrivere il processo di finanziamento degli investimenti. Nella prima fase, quella del ‘finance’, le imprese ottengono la liquidità necessaria a realizzare la spesa per investimenti indebitandosi presso le banche; nella seconda fase, le imprese scelgono la struttura debitoria più coerente con quella delle loro entrate, sostitendo i debiti a breve termine con obbligazioni a medio-lungo termine.[18] La seconda fase è quindi caratterizzata dalle scelte di portafoglio dei debitori che sono costituiti dalle imprese e dei creditori che corrispondono ai possessori di ricchezza.[19]

3.3 La relazione tra investimenti e incertezza

La specificazione del mercato del credito permette di illustrare la relazione causale tra moneta e incertezza che si basa su due punti. Il primo è costituito dalla relazione tra moneta bancaria e investimenti. Questa relazione è stata evidenziata nelle pagine precedenti nelle quali si specifica il meccanismo di creazione della moneta gestito dalle banche per finanziare le decisioni di investimento delle imprese. Possiamo considerare la presenza di una moneta bancaria come la condizione necessaria affinché si abbia un sistema economico in cui le decisioni di investimento hanno un peso significativo e nel quale vale la relazione causale tra investimenti e risparmi che caratterizza la teoria keynesiana.

Il secondo anello che caratterizza questa sequenza causale è costituito dalla relazione tra investimenti e incertezza. Questa relazione è messa in rilievo da Keynes quando, come abbiamo ricordato nella prima parte, accusa la teoria classica di essere in grado di descrivere soltanto un’economia senza incertezza. Egli osserva che un’economia senza incertezza è caratterizzata dalla prevalenza delle decisioni di consumo, mentre in un’economia in cui le decisioni di accumulazione di ricchezza, e quindi le decisioni di investimento, sono fenomeni rilevanti, la dimensione dell’incertezza diventa significativa:

“L’intero scopo dell’accumulazione della ricchezza è di produrre risultati, o risultati potenziali, in un tempo relativamente, ed a volte anche indefinitamente lontano. Così il fatto che la nostra conoscenza del futuro sia fluttuante, vaga e incerta rende la ricchezza un argomento di studio particolarmente inadatto per i metodi della teoria classica, Tale teoria potrebbe funzionare molto bene in un mondo in cui i beni economici fossero necessariamente consumati entro un breve intervallo di tempo dalla loro produzione, ma essa necessita, secondo me, di notevoli emendamenti se deve essere applicata a un mondo in cui l’accumulazione di ricchezza per un futuro indefinitamente posposto viene a essere un fattore importante; e maggiore è il ruolo proporzionale giocato da questa accumulazione di ricchezza, maggiore diviene l’importanza di tali emendamenti.” (Keynes, 1937a, p. 661)

Forse il modo più efficace per illustrare la relazione tra decisioni di investimento e incertezza consiste nell’utilizzare il concetto di innovazione che è al centro dell’analisi di Schumpeter. Come è noto le innovazioni costituiscono, secondo Schumpeter, il primo fattore endogeno che determina il processo di cambiamento che caratterizza un’economia capitalistica. Il fenomeno dell’innovazione riguarda la sfera della produzione e può consistere nella realizzazione di un nuovo prodotto, nell’introduzione di un nuovo metodo produttivo o nell’apertura di nuovi mercati. Possiamo considerare le decisioni di investimento come lo strumento attraverso il quale vengono introdotte le innovazioni; l’imprenditore keynesiano che prende le decisioni di investimento coincide allora, con l’imprenditore schumpeteriano che introduce le innovazioni. Questo punto è sottolineato da Davidson:

“If entrepreneurs have any important function in the real world, it is to make crucial decisions. Entrepreneurship ... by its very nature, involves cruciality. To restrict entrepreneurship to robot decision-making through ergodic calculations in a stochastic world... ignores the role of the Schumpeterian entrepreneur – the creator of technological revolutions bringing about future changes that are often inconceivable to the innovative entrepreneur. Entrepreneurs do not merely discover the future, they create it... Probability models are a beguiling representation of decision-making only in a world where only routine decisions are made... these models cannot explain the essential creative function of entrepreneurial behaviour in a Keynes-Schumpeter world where the reality is transmutable.”(Davidson 2000, p. 113)[20]

In questo caso, le decisioni di investimento non consistono semplicemente nell’aggiungere allo stock di beni capitale nuove unità perfettamente identiche a quelle esistenti, ma possiamo considerare gli investimenti come lo strumento attraverso il quale le imprese immettono sul mercato nuovi prodotti, oppure modificano il processo produttivo mediante il quale si realizzano i beni esistenti, o ancora, aprono nuovi mercati. L’introduzione di innovazioni determina il processo di continua evoluzione che caratterizza una monetary economy, un processo che impedisce di considerare il passato e il presente come una base sulla quale elaborare previsioni in termini probabilistici relative ai risultati futuri delle decisioni economiche.

Davidson (2000) per sottolineare questo punto utilizza la distinzione tra ergodic systems e non ergodic system. Con il primo termine egli si riferisce a sistemi economici la cui struttura rimane costante nel tempo, oppure è soggetta a modificazioni i cui esiti sono oggettivamente prevedibili in termini probabilistici. Con la seconda espressione Davidson si riferisce a economie caratterizzate da un processo continuo di trasformazione causato da particolari decisioni economiche; in un sistema di questo tipo le imprese ed i possessori di ricchezza agiscono in condizioni di incertezza poiché l’introduzione di innovazioni spinge il sistema economico verso direzioni e risultati che non sono prevedibili in termini probabilistici, sulla base delle osservazioni del passato e del presente. Schumpeter, come Keynes, sottolinea che un imprenditore-innovatore prende le proprie decisioni in condizioni di incertezza: egli osserva che quando un imprenditore valuta i risultati futuri di una innovazione:

“…mancano al soggetto economico, al di fuori delle vie abituali, i dati che all’interno di esse gli sono noti con grande precisione e sui quali fonda le decisioni e le regole del proprio agire. Ovviamente egli può ancora prevedere e valutare sulla base delle sue esperienze. Ma molte cose sono necessariamente incerte, altre ancora sono accertabili solo entro certi limiti, alcune possono essere semplicemente ‘immaginate’. Ciò vale, in particolare per quei dati che il soggetto intende modificare e per quelli che vuole creare... Agire secondo il nuovo o agire secondo l’abituale sono due cose così diverse come il costruire una strada o percorrerne una già costruita... Allo stesso modo in cui, in una situazione strategica data, si deve comunque agire, anche se non sono disponibili tutti i dati che ci si potrebbero procurare per questo agire, anche nella vita economica si deve agire senza che sia stato preparato in tutti i particolari ciò che avverrà. Qui il successo dipende tutto dall’intuizione, dalla capacità di vedere le cose in maniera che in seguito si dimostrerà giusta, anche se sul momento non la si può motivare, afferrando saldamente l’essenziale e trascurando l’inessenziale anche quando non ci si rende conto dei principi in base ai quali si adotta tale condotta.” (Schumpeter 1912, pp. 94-95)

Queste considerazioni ci spingono a concludere che una moneta segno costituita dalla moneta bancaria, e un mercato del credito ben sviluppato, sono le componenti necessarie di un sistema economico in continua trasformazione per effetto delle innovazioni introdotte attraverso le decisioni di investimento finanziate dalle banche. Moneta bancaria e mercato del credito costituiscono cioè, le componenti necessarie di un mondo in cui la dimensione dell’incertezza è rilevante.[21] Sulla base dei lavori di Keynes pubblicati nel 1933 e tra il 1937 e il 1939, possiamo affermare che l’incertezza non è un elemento esogeno a partire dal quale si definisce il ruolo della moneta, ma è una dimensione la cui rilevanza può essere spiegata dalla diffusione di una moneta segno costituita dalla moneta bancaria.

Possiamo osservare inoltre, che l’incertezza condiziona il comportamento delle banche. In presenza di incertezza neppure le banche possiedono criteri oggettivi che consentono loro di conoscere la ‘vera’ distribuzione di probabilità dei rendimenti futuri dei progetti di investimento. Anch’esse utilizzano criteri discrezionali per selezionare i progetti di investimento da realizzare e quindi condividono con gli imprenditori la responsabilità delle decisioni che condizionano l’evoluzione del sistema economico. Questo punto è messo in rilievo da Morishima (1992, p. 20):

“…the vision that the financial sectors play a crucial role in the economy is common between Schumpeter and Keynes. It then follows that the path the economy will trace out depends on the attitudes of the financial organizations. It is obvious that the capital goods accumulated when they support, say, the electronics industry would be completely different from those accumulated when they support the ship building industry. In the long run the economy will turn out to be of a greatly different kind according to which of these options is taken.”

Le banche quindi, non possono essere concepite come semplici intermediari che favoriscono il trasferimento di risorse dai risparmiatori alle imprese. Questa conclusione è sottolineata con forza da Schumpeter (1912) il quale afferma che le banche svolgono la stessa funzione delle autorità di piano in una economia socialista. In una economia socialista i mezzi di produzione sono di proprietà pubblica e quindi l’autorità di piano decide come impiegare i mezzi di produzione disponibili. Quando questa autorità autorizza la produzione di un nuovo bene, essa ordina di trasferire una certa quantità di mezzi di produzione da un dato settore alla nuova produzione. In una economia capitalista, in cui i mezzi di produzione sono di proprietà privata, il ruolo dell’autorità di piano è sostenuto dalle banche che offrono all’imprenditore-innovatore il potere d’acquisto necessario per realizzare la nuova produzione (Schumpeter, 1939, p. 140). Inoltre Schumpeter mette in rilievo il ruolo sociale delle banche osservando che in una economia capitalista il principio della sovranità del consumatore secondo cui sono le preferenze dei consumatori a guidare le decisioni di produzione delle imprese, non è valido. Egli osserva che sono le scelte dei consumatori ad essere condizionate dalle decisioni degli imprenditori e delle banche:

“Le ferrovie non sono nate perchè i consumatori si sono presi la briga di esplicitare una domanda effettiva del servizio ferroviario al posto di quello della diligenza. Nè i consumatori hanno preso una qualche iniziativa per avere la luce elettrica, o le calze di rayon, o per viaggiare in macchina o in aereo, o per avere la radio, o per masticare la gomma americana. La maggior parte delle variazioni intervenute nel consumo delle merci è stata imposta dai produttori ai consumatori che, il più delle volte, hanno resistito ai cambiamenti e vi sono stati poi riconciliati attraverso l’uso di complesse campagne pubblicitarie basate sul convincimento psicologico” (Schumpeter 1939, p. 47)

Possiamo osservare infine, che in presenza di incertezza le banche possono decidere di razionare il credito. Questa decisione, in condizioni di incertezza, scaturisce dal fatto che banche e imprese possono avere aspettative differenti circa i risultati futuri di una stesso progetto di investimento, e quindi possono decidere di non finanziare progetti che ritengono non sufficientemente redditizi o che considerano particolarmente rischiosi.[22]

4. Conclusioni

In questo lavoro si sono messi in rilievo alcuni aspetti della teoria monetaria di Keynes trascurati dall’interpretazione elaborata sulla base della General Theory secondo cui la presenza di incertezza costituisce la variabile esogena a partire dalla quale è possibile giustificare la funzione di fondo di valore della moneta. Sulla base di alcuni lavori di Keynes che risalgono al 1933 e agli anni 1937 e 1939, è possibile spiegare l’importanza della dimensione dell’incertezza partendo dalla specificazione delle caratteristiche della moneta. In questi lavori Keynes sostiene che la diffusione di una moneta segno costituita dalla moneta bancaria cambia la legge di produzione e la natura degli scambi rispetto ad una real-exchange economy. Egli considera esplicitamente il processo di creazione di moneta bancaria messo in atto dalle banche per finanziare le decisioni di investimento delle imprese, un fenomeno che aveva completamente trascurato nella General Theory. La presenza di moneta bancaria costituisce la condizione necessaria affinchè si abbia un significativo livello di investimenti, ed elevati investimenti rappresentano l’elemento necessario di un’economia caratterizzata dalla presenza di incertezza. Nel testo si è analizzata la relazione tra investimenti e incertezza utilizzando il concetto schumpeteriano di innovazione. Si è quindi concluso che l’incertezza non è una componente esogena a partire dalla quale è possibile definire il ruolo della moneta, ma è una dimensione la cui importanza non può essere spiegata senza considerare la presenza di una moneta segno costituita dalla moneta bancaria.

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NOTE


[1] Una prima versione di questo lavoro è stata presentata al II Convegno Nazionale STOREP tenuto a Siena il 3-4 Giugno 2005. Ringrazio il discussant Maurizio Franzini e i partecipanti alla sessione in cui il lavoro è stato presentato per gli utili commenti ricevuti.

Quaderni della Facoltà di Economia dell'Università dell'Insubria, Varese, 4/2005.

[2] Professore associato di Macroeconomia e di Economia Monetaria. Facoltà di Economia Università dell’Insubria, Varese.

[3] “Con il termine ‘conoscenza incerta’, vorrei spiegare, non intendo semplicemente distinguere ciò che è conosciuto con certezza da ciò che è solamente probabile: il gioco della roulette non è soggetto, in questo senso, a incertezza, né lo è la prospettiva che un titolo del debito della Vittoria venga estratto per il rimborso; ancora, la speranza di vita è solo leggermente incerta, e anche il tempo atmosferico è solo moderatamente incerto. Il significato in cui io uso questo termine è quello per cui si può dire che sono incerti la prospettiva di una guerra in Europa, o il prezzo del rame e il tasso di interesse di qui a vent’anni, o l’obsolescenza di una nuova invenzione, o la posizione dei proprietari di ricchezza privata nel sistema sociale del 1970. Su queste cose non c’è alcuna base scientifica su cui poter fondare un qualsivoglia calcolo probabilistico. Noi semplicemente non sappiamo.” (Keynes 1937a, p. 661).

[4] “... (la moneta)...è una forma in cui tenere ricchezza. Così ci viene detto senza l’ombra di un sorriso nel volto. Ma nel mondo dell’economia classica, quale folle modo di tenere la ricchezza! Infatti l’essere improduttiva è una riconosciuta caratteristica della moneta come riserva di ricchezza; mentre praticamente ogni altra forma in cui tenere la ricchezza fornisce un interesse o un profitto. Perché vi dovrebbe essere qualcuno, al di fuori delle mura di un manicomio, che desideri usare la moneta come riserva di ricchezza?” (Keynes 1937a, p. 662).

[5] “Se...la nostra conoscenza del futuro fosse calcolabile e non soggetta a improvvisi cambiamenti, potrebbe essere giustificabile ipotizzare che la curva della preferenza per la liquidità sia stabile e molto inelastica. In questo caso un piccolo declino del reddito monetario condurrebbe ad un sensibilissimo calo del tasso di interesse, probabilmente sufficiente per elevare la produzione e l’occupazione ai livelli massimi. In queste condizioni si potrebbe ragionevolmente supporre che l’intero complesso delle risorse disponibili sia di regola impiegato, e che le condizioni richieste dalla teoria ortodossa siano soddisfatte.” (Keynes 1937a, pp. 664-5).

[6] Keynes (1933a) usa l’espressione real-exchange economy per indicare una economia in cui la moneta svolge la funzione di mezzo di scambio senza che la sua presenza alteri la struttura del sistema, mentre impiega l’espressione monetary economy, per indicare un’economia il cui funzionamento non può essere spiegato se si trascura la presenza della moneta: “An economy, which uses money but uses it merely as a neutral link between transactions in real things and real assets and does not allow it to enter into motives or decision, might be called –for want of a better name- a real-exchange economy. The theory which I desiderate would deal, in contradistinction to this, with an economy in which money plays a part of its own and affects motives and decisions and is, in short, one of the operative factors in the situation, so that the course of events cannot be predicted, either in the long period or in the short, without a knowledge of the behaviour of money between the first state and the last. And it is this which we ought to mean when we speak of a monetary economy” (Keynes 1933a, pp. 408-9).

[7] “The classical theory supposes that the readiness of the entrepreneur to start up a productive process depends on the amount of value in terms of product which he expects to fall to his share; i.e. that only an expectation of more product for himself will induce him to offer more employment. But in an entrepreneur economy this is a wrong analysis of the nature of business calculation. An entrepreneur is interested, not in the amount of product, but in the amount of money which will fall to his share. He will increase his output if by so doing he expects to increase his money profit, even though this profit represents a smaller quantity of product than before. The explanation of this is evident. The employment of factors of production to increase output involves the entrepreneur in the disbursement, not of product, but of money. ” (Keynes 1933b, p. 82).

[8] “ The law of production in an entrepreneur economy can be stated as follows. A process of production will not be started up, unless the money proceeds expected from the sale of the output are at least equal to the money costs which could be avoided by not starting up the process. In a real wage or co-operative economy there is no obstacle in the way of the employment of an additional unit of labour if this unit will add to the social product output expected to have an exchange value equal to 10 bushels of wheat, which is sufficient to balance the disutility of the additional employment…. But in a money-wage or entrepreneur economy the criterion is different. Production will only take place if the expenditure of £ 100 in hiring factors of production will yield an output which it is expected to sell for at least £100.” (Keynes, 1933b, p. 78).

[9] “In actual fact under a gold standard gold can be produced, and in a slump there will be some diversion of employment towards gold mining. If, indeed, it were easily practicable to divert output towards gold on a sufficient scale for the value of the increased current output of gold to make good the deficiency in expenditure in other forms of current output, unemployment could not occur; except in the transitional period before the turn-over to increased gold-production could be completed” (Keynes, 1933b, pp. 85–86).

[10] Keynes afferma che le caratteristiche della moneta segno rendono più frequenti le situazioni di carenza di domanda aggregate rispetto a situazioni caratterizzate da eccesso di domanda: “So far there is nothing in our criterion for money to suggest that the fluctuations in effective demand are more likely to be in excess or in deficit. I fancy, however, that there is a further feature of our actual monetary system which makes a deficiency of effective demand a more frequent danger than the opposite; namely the fact that the money in terms of which the factors of production are remunerated will ‘keep’ more readily than the output which they are being remunerated to produce, so that the need of entrepreneurs to sell, if they are to avoid a running loss, is more pressing than the need of the recipients of income to spend.” (Keynes 1933b. p. 86).

[11] Questa spiegazione è stata ribadita da molti economisti keynesiani; Kregel (1980, p. 43) ad esempio, afferma che:“...in a monetary production economy … when incomes are paid in terms of money, income will represent demand for either current output or stores of value. The use of income to demand “money” as a store of value, however, is not an effective demand (for labor), because it does not lead to the expectation of future sales of producibles goods, and this does not create the expectation of income.” Si vedano, ad esempio: Davidson (1994), Skidelsky (1996); per un’analisi più dettagliata di questo punto si rinvia a: Bertocco (2005).

[12] La presenza delle banche e la diffusione della moneta bancaria possono essere considerate come il risultato di un processo storico che ha la sua origine nelle esigenze di credito legate agli scambi commerciali che si sviluppano nel Medio Evo; Hicks (1969; 1989) ad esempio, descrive questo processo distinguendo tre fasi: “Vi sono tre distinte fasi nell’evoluzione del sistema bancario... (nella) prima... la banca non è altro che un intermediario finanziario. Il pubblico presta al banchiere, sebbene egli corrisponda un tasso di interesse inferiore a quello che richiede... in quanto le singole persone non hanno la conoscenza, acquisita dal banchiere nell’edificare la sua attività, mediante la quale esse siano in grado di trovare da sole quegli investimenti sicuri e convenienti che egli procura. ... La seconda fase dell’evoluzione del sistema bancario interviene quando il banchiere si rende conto che egli può con sicurezza, o con relativa sicurezza, accettare moneta in deposito, con possibilità di ritiro a domanda o con breve preavviso. ... L’importanza di questa seconda fase è in larga parte che essa conduce (e spesso conduce molto rapidamente) alla terza, la quale nondimeno può logicamente distinguersi dall’altra. E’ il momento in cui i depositi presso le banche, depositi suscettibili di essere ritirati, diventano trasferibili: o mediante chèque, che è un ordine alla banca di effettuare il trasferimento di un deposito in essere, o con un biglietto, che in effetti è uno chèque pagabile al portatore, che è assistito dalla garanzia della banca, senza riferimento al depositante, a fronte del deposito del quale esso fu originariamente emesso. Questo è essenziale; poichè è a questo punto che la banca diviene in grado di creare ciò che in effetti è moneta. Quando essa effettua un prestito, non è tenuta a consegnare la vecchia moneta ‘piena’; tutto quello che essa fa è di scambiare diritti di esigere. A fronte dell’obbligo del mutuatario, di rimborsare a una determinata scadenza, essa fornisce un proprio obbligo, che è trasferibile a domanda, e per questa ragione ha la qualità di moneta. La moneta che la banca presta è moneta che essa stessa crea.” (Hicks 1969, pp. 108-110); si vedano anche, ad esempio: Kindleberger (1984); Goodhart (1989).

[13] Queste considerazioni sono coerenti con quanto affermato da Schumpeter (1912; 1939) il quale sottolinea che il ruolo della moneta e del credito in una capitalist economy è profondamente diverso da quello che caratterizza una pure exchange economy. In una pure exchange economy la moneta è soltanto uno strumento il cui impiego facilita gli scambi; la moneta bancaria è invece, secondo Schumpeter, potere d’acquisto di nuova creazione che consente a ‘uomini nuovi’, gli imprenditori-innovatori, che non hanno partecipato al processo produttivo e non possiedono moneta, di sottrarre il controllo dei mezzi di produzione alle imprese esistenti; si veda: Bertocco (2006a).

[14] Si vedano ad esempio: Kaldor e Trevithick (1991); Trevithick (1994); Chick (1986, 1997, 2000); Dalziel (1996).

[15] “Increased investment will always be accompanied by increased saving, but it can never be preceded by it. Dishoarding and credit expansion provides not an alternative to increased saving, but a necessary preparation for it. It is the parent, not the twin of increased saving.” (Keynes, 1939 p. 281).

[16] “I should not have previously overlooked this point, since it is the copingstone of the liquidity theory of the rate of interest. I allowed, it is true, for the effect of an increase in actual activity on the demand for money. But I did not allow for the effect of an increase in planned activity, which is superimposed on the former, and may sometimes be the more important of the two...” (Keynes, 1937c, p. 220).

[17] Dalziel (1996; 2001) descrive le differenti fasi del processo di moltiplicazione del reddito innescato dall’espansione della domanda di beni di investimento finanziata dalla creazione di nuova moneta, e sottolinea che la domanda di beni di investimento e la domanda di beni di consumo sono finanziate in modo diverso: la prima è finanziata dalla nuova moneta creata dalle banche mentre la seconda è finanziata dal reddito ottenuto dai lavoratori; su questo punto si veda anche: Minsky (1980).

[18] “The entrepreneur when he decides to invest has to be satisfied on two points: firstly, that he can obtain sufficient short term finance during the period of producing the investment; and secondly, that he can eventually fund his short-term obligations by a long-term issue on satisfactory conditions” (Keynes 1937c, p. 217).

[19] In Bertocco (2005, 2006b) sono descritti alcuni esempi di modelli che possiedono queste caratteristiche.

[20] Diversi economisti hanno sottolineato l’opportunità di integrare la teoria keynesiana del reddito con la teoria dello sviluppo economico di Schumpeter; si vedano, per esempio: Minsky (1986, 1993); Goodwin (1993); Morishima (1992); Vercelli (1997); per un’analisi di questo punto si rivia a : Bertocco (2006a).

[21] Una conferma significativa di questa interpretazione è costituita dall’analisi di Schumpeter il quale considera le banche e la moneta bancaria come il secondo fattore endogeno, accanto alle innovazioni, che sta alla base del processo di cambiamento che caratterizza le economie capitalistiche. Egli afferma che il credito:“…è il metodo proprio della forma economica ‘capitalistica’ – ed è abbastanza importante da servire come sua differentia specifica- per sospingere il sistema economico entro nuovi binari, per mettere i suoi mezzi al servizio di nuovi scopi …E’ chiaro ... sia storicamente che teoricamente, che per effettuare nuove combinazioni è innanzitutto necessario il credito...”.

[22] Tobin (1980) afferma, ad esempio:“Typically (debtors) indebtedness is rationed by lenders, not just because of market imperfection but because the borrower has greater optimism about his own prospects and the value of his collateral, or greater willingness to assume risk and to die insolvent, than the lender regards as objectively and prudently justified.” Si vedano anche: Lavoie (1992; 1996);Dow (1996, 1997); Wolfson (1996).