LE DECISIONI DI INVESTIRE.
PRODUTTIVITÁ DEL CAPITALE,
EFFICIENZA MARGINALE DEL CAPITALE
E SAGGIO DI INTERESSE

Appunti di un corso[1]

Si inizierà con l’analisi del concetto fondamentale della teoria generale: il concetto della domanda effettiva.

Si tratta di un concetto composito che si può riassumere in questo modo:

DOMANDA EFFETTIVA = CONSUMI + INVESTIMENTI

La fig 1 rappresenta il grafico della domanda effettiva (DE), derivante dalla somma di consumi (C) più investimenti (I), al variare del livello del reddito (Y). Si ricorda che secondo Keynes gli investimenti sono autonomi e non dipendono pertanto dal livello del reddito[2].

 

 

Fig 1

Da cosa dipendono dunque, secondo Keynes, gli investimenti?.

Si è visto, sempre secondo Keynes, quale è la condizione normale di funzionamento del sistema economico: i redditi sono superiori alla domanda effettiva, per cui i risparmi sono superiori agli investimenti.

Nel grafico di Fig.1 questa situazione è rappresentata dai punti che si trovano a destra del punto Yo, ad esempio nel punto Y1.

Tendenzialmente ci si trova pertanto in un sistema che ha una domanda effettiva insufficiente, cioè incapace di assorbire tutto il reddito prodotto. In questo caso, nel punto Y1 della Fig.1, il tratto AB rappresenta l’eccesso di risparmi rispetto agli investimenti. Si tratta di una situazione transitoria perché i meccanismi interni porteranno questo reddito ad adeguarsi alla domanda effettiva a seconda che intervenga o meno lo Stato.

Nel primo caso, se interviene lo Stato attraverso una spesa pubblica che permette di assorbire la domanda pari al tratto AB, risulterà possibile sostenere la domanda effettiva e mantenere pertanto stabile il livello del reddito al livello Y1.

Nel secondo caso invece, ci si troverà in una situazione in cui le merci prodotte, non trovando acquirenti, porteranno la domanda effettiva ad adeguarsi al livello di reddito più basso (Yo), ad esempio portandosi nel punto E del grafico della Fig1., nel quale si verifica di nuovo l’equilibrio tra la nuova domanda effettiva ed il livello del reddito.

E’ fondamentale comprendere che, secondo Keynes, non è il saggio di. interesse a rendere uguali risparmi e investimenti, ma sono le variazioni nel livello del reddito che si adeguano alla domanda effettiva, in modo da rendere uguali risparmi e investimenti.

Da cosa dipendono gli investimenti

L’importante è chiedersi da che cosa dipendono gli investimenti, poichè investimenti alti provocheranno una domanda effettiva alta ed investimenti bassi una domanda effettiva bassa, sempre relativamente.

Keynes tratta l’analisi degli investimenti in modo completamente diverso da come sono trattati nella teoria neoclassica.

Si può dire che il nucleo centrale dell’analisi degli investimenti di Keynes possa essere riassunto, in termini simbolici, secondo la seguente funzione:

I = f (i, E)

Gli investimenti, secondo Keynes, sono funzione di due variabili: il saggio di interesse (i) e le aspettative (E).

Significato delle aspettative

Cosa voleva intendere Keynes con “aspettative”?

Con aspettative (E) Keynes si riferisce alle aspettative di lungo termine di rendimento di un investimento.

Dal punto di vista di un singolo imprenditore, che significato hanno le aspettative?

Presupposto che un imprenditore voglia fare un investimento qualsiasi, ad esempio in un impianto (negli esempi si supporrà sempre che gli investimenti avvengano per semplicità in impianti), le aspettative riguardano i rendimenti futuri, che in un tempo vicino o lontano — non molto vicino, ma vicino o lontano — questi investimenti possono dare. Si tratta quindi degli utili (non dei ricavi lordi) che un imprenditore sostanzialmente pensa di ottenere da un investimento. Normalmente un investimento ha una durata nel tempo di molti anni. Keynes fa l’esempio di un investimento in un transatlantico e determina quanto tempo si può contare sui redditi che possono provenire al padrone di un transatlantico. L’esempio del transatlantico è sufficiente per far capire quanto instabili ed insicure siano le aspettative.

Le aspettative sono per Keynes un fenomeno molto instabile e dipendono da quello che gli investitori credono che avvenga nel futuro.

Chiaramente non tutti gli investitori sono uguali: certi investitori sono molto ottimisti, altri no; certi investitori avranno delle aspettative favorevoli, altri investitori avranno delle aspettative meno favorevoli. Queste aspettative riguardano, come si è detto prima, il rendimento futuro dell’investimento. Ma a che cosa principalmente si riconnettono?

L’utile che un investitore può trarre da un investimento dipende certamente da quello che avverrà in futuro, ma non da tutto quello che avverrà in futuro. Keynes individua almeno quattro cause che potrebbero far variare lo stato delle aspettative nel pensiero degli imprenditori.

Cause di variazione delle aspettative

PRIMA CAUSA: lo stato futuro dei capitali che verranno posti in essere.

SECONDA: le preferenze dei consumatori.

TERZA: lo stato della domanda effettiva.

QUARTA: le variazioni nei salari.

Stato futuro dei capitali che verranno posti in essere

Secondo il punto di vista di un singolo imprenditore queste quattro cause non solo sono conosciute, ma egli ritiene anche di avere un’idea delle loro grandezze future, delle loro variazioni future. Chiaramente non sono dei dati certi, però ovviamente ogni imprenditore se ne fa un’idea e da questa idea individuerà dei possibili ricavi futuri che penserà di conseguire. Dato che questi ricavi futuri sono variabili a seconda dello stato futuro dei capitali che verranno posti in essere, Keynes chiarisce, per qualità e quantità.

Si pensi ad un investimento qualsiasi, ad esempio in un impianto per una nuova catena di montaggio che produce una nuova macchina. Chiaramente l’Ufficio studi dell’impresa farà delle previsioni su quanto renderà questo investimento tenendo conto in primo luogo dello stato futuro dei capitali che verranno posti in essere non soltanto all’interno dell’impresa, ma soprattutto al di fuori di essa. Perché questo? Se ad esempio la Fiat fosse l’unica fabbrica che realizza una nuova catena di montaggio per una determinata cilindrata e non fosse disturbata da investimenti analoghi fatti da concorrenti, avrebbe probabilmente determinate aspettative circa i redditi futuri di questo impianto (tenendo conto anche delle altre cause) e degli utili netti. Però se contemporaneamente un concorrente prepara delle catene di montaggio per cilindrata analoga, è chiaro che i conteggi che verranno fatti all’interno dell’Ufficio studi e programmazione della Fiat avranno delle sostanziali modificazioni perché dovranno tenere conto che un’altra catena di montaggio analoga provocherà quasi sicuramente un abbassamento degli utili ricavabili da questo impianto, dato che, quando le macchine prodotte potranno essere messe sul mercato, troveranno una concorrenza data da altre macchine prodotte da impianti analoghi, anche se con marca diversa.

Keynes sottolinea che questo elemento deve essere tenuto presente sia per la qualità che per la quantità. E’ chiaro che se viene contemporaneamente messo in atto un impianto che produce cose analoghe ma che è molto più efficiente (per esempio, un impianto che per unità di prodotto permette costi molto più bassi), la concorrenza si potrà presentare sul mercato molto più agguerrita. Ne deriva che gli investimenti, i rendimenti futuri, dovranno tenerne conto dato che i prezzi di vendita dovranno adeguarsi ai prezzi dei concorrenti ed essi avranno sicuramente un andamento verso il basso (naturalmente nell’ipotesi di mercato concorrenziale).

Preferenze dei consumatori

Le preferenze dei consumatori sono effettivamente molto difficili da prevedere. E’ vero che le preferenze dei consumatori sono, entro certi limiti, facilmente manipolabili; però per manipolare le preferenze dei consumatori occorre spendere in pubblicità, in marketing e ciò significa accrescere i costi dell’impresa che attua tale strategia. Inoltre occorre tener presente che la possibilità di spendere per cambiare le opinioni, i gusti del consumatore trova un limite nel fatto che i rendimenti futuri, qualora si continui ad alzare i costi, tenderanno a diminuire. Ma c’è un elemento ancora più importante: spesso le preferenze dei consumatori non sono orientabili più di tanto; qualora le preferenze dei consumatori, che non si riescono a governare al 100%, dovessero orientarsi verso prodotti diversi, si verrebbe a determinare un fenomeno di accresciuta instabilità delle aspettative, connessa alla  insicurezza delle aspettative.

Stato della domanda effettiva

E’ chiaro che ogni imprenditore singolo, così come gli imprenditori in quanto classe, risentiranno gli effetti di una domanda effettiva molto alta o di una domanda effettiva bassa. L’esempio più classico si è avuto anni fa, quando alla Fiat si producevano macchine che venivano messe in enormi piazzali perché non riuscivano ad essere vendute. Erano momenti in cui la domanda effettiva era molto bassa, il mercato “non tirava” e la gente non acquistava macchine perché il reddito prodotto era basso. Una domanda effettiva bassa tendenzialmente avrà come effetto di comprimere le iniziative di investimento degli imprenditori in qualsiasi settore dell’economia.

Variazione dei salari

Qui occorre fare due ragionamenti diversi. Anzitutto occorre osservare che dal punto di vista del singolo imprenditore, aumenti salariali all’interno della propria impresa non sono altro che aumenti dei suoi costi; i quali generalmente, rimanendo per ipotesi costanti i ricavi, provocano una diminuzione dei rendimenti futuri. Tuttavia occorre fare un’osservazione: qualsiasi imprenditore è favorevole, a parità di prezzi dei beni che acquista, ad aumenti dei salari negli altri settori ma non nel suo. Perché questo? E’ abbastanza comprensibile: qualora, ad esempio la Fiat riuscisse a tenere costante il livello dei propri salari e qualora all’interno delle imprese che stanno a valle della Fiat i salari aumentassero, questo significherebbe semplicemente che molte più persone sarebbero in grado di acquistare le macchine Fiat.

Quindi bisogna distinguere, per ciò che riguarda le variazioni salariali, due effetti: un effetto che diminuisce la redditività prospettica degli investimenti e questo sicuramente diminuisce le aspettative di rendimento degli imprenditori; l’altro effetto, che passa attraverso lo stato della domanda effettiva, che invece porta ad un innalzamento delle aspettative dell’imprenditore. Aspettative più ottimistiche perché quando non vengono toccati i costi di una determinata impresa (e si suppongono fissi i prezzi di vendita dei beni prodotti dall’impianto messo in essere), aumenti di salario in altri settori possono implicare, e normalmente implicano, aumenti della domanda effettiva perché aumenta quella quota della domanda effettiva che è fatta di consumi.

Il vero problema è che tutte queste cause prese assieme sono difficilmente quantificabili e non sono sottoponibili ad un calcolo razionale; inoltre non si riesce effettivamente ad essere certi che determinate cose avverranno; si può semplicemente esprimere una ragionevole probabilità che succeda qualcosa. Però è chiaro che queste aspettative, che nel limite dei possibile verranno sicuramente preventivate all’interno dell’Ufficio studi, saranno sottoposte a repentini cambiamenti dato che nessuno è “nella testa” dei consumatori (quindi non si conoscono le loro preferenze) e tanto meno nessuno può conoscere perfettamente cosa pensano gli imprenditori concorrenti. A questo si aggiunga che neppure si può essere sicuri di come sarà l’andamento futuro del mercato del lavoro il quale potrebbe da una parte nuocere ad alcuni imprenditori (se tocca i loro salari) o se tocca i salari di coloro che gli vendono materie prime e mezzi di produzione (poichè probabilmente, si potrebbero generare aumenti dei prezzi), mentre potrebbe favorire altri nel caso in cui gli aumenti dei salari fossero distribuiti in maniera tale da non nuocere ai costi delle loro imprese e possano pertanto aumentare la domanda effettiva.

Tutte queste cause, difficilmente sono calcolabili, non sono sottoponibili ad un’analisi razionale pura e semplice. Per questo Keynes le assume come esogene, ossia come un qualcosa dato dall’esterno che riflette il clima prevalente dell’imprenditore medio.

Assumere le aspettative come date dall’esterno non vuol dire — come molti hanno cercato di far dire a Keynes — procedere nell’analisi come se queste non avessero alcuna influenza nell’analisi keynesiana Le aspettative bisogna sempre tenerle presenti anche se, per semplicità di analisi, si ritenga in un determinato momento di tenerle costanti.

L’efficienza marginale del capitale

Per Keynes esiste inoltre anche un indice sintetico molto importante che occorre considerare, che viene chiamato “efficienza marginale del capitale”.

L’efficienza marginale del capitale è definita da Keynes come quel saggio di sconto che rende uguale il valore attuale dei rendimenti futuri di un impianto al suo costo di costruzione. Keynes per la verità utilizza un altro termine: il “prezzo di offerta dell’impianto”, intendendo con ciò il costo di costruzione dell’impianto.

Si analizzeranno ora a titolo esemplificativo quattro tipi di investimento in impianti.

Si supponga un’azienda la quale abbia in programma quattro investimenti (e non è detto che li faccia tutti): l’investimento A, l’investimento B, l’investimento C e l’investimento D:

- il primo investimento, l’investimento A, è di 1 milione;

- il secondo investimento, l’investimento B, è di 2.487.000;

- il terzo investimento, l’investimento C, è di 1.820.000;

- il quarto investimento, l’investimento D, è ancora di 1 milione.

Si tratta di investimenti diversi che si suppone abbiano redditività diverse, ossia serie di rendimenti attesi diversi (Fig. 2).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 2

Si esaminerà ora il primo investimento (A), in cui si è ipotizzato di impegnare un capitale di 1 milione. La retta (I°) della Fig. 2 indica l’asse temporale su cui vengono individuati i vari periodi di durata del rendimento dell’investimento. Per semplicità si supponga che questo investimento dia una rendita soltanto per 4 anni: 100.000 lire alla fine del primo anno, 400.000 lire alla fine del secondo, 300.000 lire alla fine del terzo, 722.000 lire alla fine del quarto. Si supponga altresì che l’investitore abbia elaborato delle ipotesi su ciò che potrebbe succedere in futuro circa le preferenze dei consumatori, i comportamenti dei concorrenti, lo stato della domanda effettiva (almeno per quello che lo riguarda), l’andamento dei salari all’interno della propria azienda e, magari, sull’andamento dei salari delle altre aziende.

Il tasso di rendimento del primo investimento è dato dalla formula[3]:

1.000.000 = 100.000 : (1+e) + 400.000 : (1+e)2 + 300.000 : (1+e)3 + 722.000 : (1+e)4

Affinché questa serie di valori futuri siano scontati, cioè riportati al valore del periodo zero, pari a 1 milione, il tasso di rendimento deve essere uguale a 0,15, ossia del 15%.

1.000.000 = 100.000 : (1+ 0,15) + 400.000 : (1+ 0,15)2 + 300.000 : (1+ 0,15)3 + 722.000 : (1+ 0,15)4

1.000.000 = 86.956 + 302.457+197.254 + 412.805

Si ricorda che si stanno semplicemente facendo dei calcoli di convenienza dai quali ricavare indicazioni su ciò che conviene o non conviene fare. Scontando ciascuno degli altri investimenti, si avrà che l’investimento B presenta un tasso interno di rendimento — cioè di efficienza marginale del capitale — pari a 0,10, cioè al 10%; l’investimento C, una efficienza marginale del capitale pari a 0,065, cioè al 6,5%.

Per quanto riguarda il quarto investimento, l’investimento D, si deve osservare che si tratta di un investimento tutto particolare, almeno nella sua forma, dato che presuppone la possibilità di ottenere all’infinito una rendita di 50.000 lire annue. Investimenti di questo tipo non esistono, però ci si potrà avvicinare ad un simile caso ricorrendo ad una semplificazione, pensando ad esempio ad un investimento fatto in uno stabile che abbia una durata assai lunga e che venga poi dato in affitto. Sì può dimostrare, nel caso in cui la rendita annua è costante nel tempo e prosegue per infiniti periodi, che la formula applicata in precedenza si riduce alla seguente:

V = R : (e)

Per cui

1.000.000 = 50.000 : e = 0,05 = 5%

L’efficienza marginale del capitale, il rendimento interno dell’investimento D è uguale al 5%.

Per concludere su questo punto si può osservare che l’efficienza marginale del capitale è un condensato delle aspettative, infatti tutte le volte che variano le aspettative che sono date da R1, R2, Rn, varia di conseguenza anche (e), che è calcolato sulla loro base.

Il grafico di fig 3 rappresenta questi ragionamenti

 

 

Fig 3

Il primo investimento (A), di 1 milione che è rappresentato dal tratto a) di Fig.3, ha un’efficienza marginale del capitale pari al 15% (la linea orizzontale sta ad indicare che ogni lira di quel milione ha la stessa efficienza marginale del capitale).

Il secondo investimento (B), di 2.487.000, è rappresentato dal tratto b) ed ha un’efficienza marginale del capitale pari al 10%. Ovviamente anche qui la retta orizzontale sta ad indicare che ogni lira di questi 2.487.000 hanno la stessa identica efficienza marginale del capitale. Se l’imprenditore non facesse soltanto il primo investimento, ma facesse anche il secondo, complessivamente investirebbe 1.000.000 più 2.487.000, quindi 3.467.000 lire (nella figura a + b).

Il terzo investimento (C) di 1.820.000 lire, che ha un’efficienza marginale del capitale pari a 0,065, cioè del 6,5%, è indicato dal tratto c). Se si effettuasse anche questo investimento, dopo aver fatto gli investimenti A e B, si sarebbe complessivamente investito un capitale di 5.307.000 (nella figura a + b + c).

L’ultimo investimento (D) di 1 milione di lire, che dà una rendita annua perpetua di 50.000 lire, ha un’efficienza marginale del capitale pari al  5% ed è rappresentato dal tratto d).

Questa è la situazione che, nell’esempio proposto, si presenta ad un imprenditore che abbia la possibilità di fare quattro investimenti e che possa decidere di farli tutti e quattro, o di farne uno, o due, oppure nessuno.

Il problema che l’imprenditore si troverà a dover affrontare deriverà dal fatto che se per fare un investimento, dovesse ricorrere al finanziamento ad esempio di una banca, dovrà sopportare dei costi dato che i finanziamenti comportano dei costi. Se questo investimento verrà richiesto ad una banca, questa gli imporrà il pagamento di un tasso di interesse annuo — che qui si suppone unico per tutto il sistema — e che si chiama saggio di interesse (i). Per l’imprenditore il saggio d’interesse rappresenta il costo che deve sopportare per ogni lira di finanziamento richiesto.

Riprendendo l’esempio precedente si può osservare che se il saggio corrente di interesse è del 12%, l’imprenditore non avrà convenienza a fare investimenti (D), (C), (B) che gli rendono il 5%, il 6,5% e il 10%, perché se facesse questi investimenti otterrebbe un rendimento inferiore al tasso di interesse che deve pagare alla banca. Avrà convenienza a fare un solo investimento: il primo (A), l’investimento di 1 milione, perché in questo caso l’utile, al netto dell’interesse che ricaverà da questo investimento, sarà rappresentato dalla differenza fra il 12% e il 15%.

Si supponga ora che il saggio di interesse non sia del 12%, ma più basso, ad esempio pari al 7%. In questo caso sarà conveniente fare non solo il primo investimento (A), ma anche il secondo investimento (B) perché il secondo investimento ha un’efficienza marginale del capitale superiore al saggio di interesse.

Se il saggio di interesse cadesse sotto il 6,5% ma sopra al 5%, ad esempio al 5,5%, allora potrebbe essere effettuato anche l’investimento (C).

Infine se il saggio di interesse cadesse sotto il 5%, tutto il ventaglio dei possibili investimenti potrebbe essere attuato.

Si può pensare allora di costruire una curva degli investimenti che sia collegata al saggio di interesse poichè si è visto che al diminuire del saggio di interesse, essendo stabili le aspettative, gli investimenti aumentano e viceversa. La relazione che in generale esiste per l’economia, che lega gli investimenti al saggio d’interesse è rappresentata dal grafico della figura 4.

 

 

Fig. 4

Le rette della Fig 4 sono state tracciate nell’ipotesi di costanza nelle aspettative dei diversi imprenditori. Ora, fatti esogeni — come dice Keynes — potrebbero portare a cambiamenti radicali nelle aspettative degli imprenditori.

Si supponga ad esempio che vengano scoperti nuovi mercati di sbocco in cui si possa vendere a prezzi anche più alti dei prezzi di quelli praticabili all’interno del paese. A questi mercati guarderanno con interesse quei settori dell’economia che producono beni che possano trovarvi sbocco. E’ chiaro che l’emergere di nuovi mercati di sbocco, praticabili addirittura a prezzi più elevati, porteranno a modificare le aspettative degli imprenditori interessati e ad innalzarle di colpo. Che cosa implica questo fatto? Secondo il grafico della Fig. 4 implica che quando cambiano le aspettative all’interno del sistema, a seguito ad esempio dell’emergere di ventate di ottimismo derivanti da cause diverse, divengono possibili spostamenti di questa curva verso l’alto (a1).

Non sempre le aspettative derivano da cause effettivamente reali. Keynes si riferisce molto spesso alla psicologia dell’investitore medio, cioè dell’operatore d’affari medio, e comprende in queste anche cause che razionalmente non dovrebbero portare a cambiamenti nelle proprie aspettative. Per esempio: cambia un governo e I‘imprenditore medio è convinto che quello nuovo determinerà un aggravio su una fetta importante dei propri costi, per esempio il costo del lavoro. Ne succede che già solo l’ipotesi di cambiamento di governo imprimerà, nella testa dell’imprenditore, un’idea pessimistica circa il rendimento atteso degli investimenti. Anche se non è provato che un nuovo governo garantirà salari più alti agli operai, soltanto l’idea di ciò provocherà una aspettativa dell’imprenditore medio orientata su un abbassamento della curva degli investimenti (a2).

E’ utile fare ancora qualche osservazione sul problema degli investimenti.

Si supponga che le aspettative siano stabili e che ci si trovi in presenza di una curva di investimento di tipo analogo a quella della Fig. 4, ma dì una forma diversa (Fig. 5)

 

 

Fig 5

Si vede che anche secondo questa nuova curva, al diminuire del saggio di interesse, gli investimenti aumentano, però, arrivati ad un certo punto (io), a diminuzioni del saggio di interesse non corrispondono aumenti del volume degli investimenti. Questo può succedere perché si presentano dei casi in cui le aspettative per certi investimenti sono così nere che nessun livello del saggio di interesse, per basso che sia, induce gli investitori ad investire. Per esempio può accadere che molti imprenditori, fiduciosi che in un lontano futuro le cose si rimetteranno a posto, programmino investimenti di lungo periodo con efficienza marginale del capitale anche sufficientemente alta, ma che anch’essi nel breve periodo vedono nero. Questo significa che se ad esempio nei prossimi 2—3 anni i rendimenti attesi dell’imprenditore medio sono disastrosi o tali da provocare addirittura delle perdite, in questo caso non c’è saggio di interesse che possa indurli all’investimento, per basso che sia il saggio di interesse.

Secondo Keynes dunque, la spiegazione degli investimenti è data — rimando costanti le aspettative — dall’andamento del saggio di interesse.

A questo punto occorre chiedersi: cosa determina il saggio di interesse?

E’ chiaro che gli investimenti vanno a determinare, attraverso il meccanismo del moltiplicatore, il livello del reddito di equilibrio nel quale la domanda effettiva è uguale al reddito per cui i risparmi finanziano gli investimenti. Tuttavia, mentre gli investimenti sono una funzione del saggio di interesse, i risparmi invece sono una funzione del reddito e non del saggio di interesse, come sosteneva la teoria neoclassica[4].

La teoria del saggio di interesse di Keynes veniva a sconvolgere la teoria predominante in quel momento. Essa rappresenta una elaborazione che allarga la “teoria generale” e la fa diventare non solo una teoria dell’occupazione, ma una teoria dell’interesse e della moneta: quindi una teoria generale.

Per Keynes il saggio di interesse è una grandezza che viene ad essere determinata non in base alle considerazioni teorizzate dai neoclassici, secondo i quali il saggio di interesse rappresenta quella grandezza che permette l’equilibrio di risparmio e investimento e viene sostanzialmente ricavata da due relazioni: quelle che legano risparmi e investimenti al saggio di interesse. Dato che i risparmi sono una funzione crescente del saggio di interesse e gli investimenti una funzione decrescente del saggio di interesse; il loro punto d’incontro permette di individuare il saggio di interesse corrente.

Keynes fa un ragionamento completamente diverso: i risparmi non sono determinati dal saggio di interesse, non variano al variare del saggio di interesse, almeno in prima approssimazione; i risparmi sono determinati dal livello del reddito, mentre sono gli investimenti che vengono ad essere determinati — note le aspettative — dal saggio di interesse. Ma allora come si determina questo saggio di interesse?

Facendo un’ipotetica logica divisione dei diversi mercati — mercato del lavoro, mercato delle merci e mercato della moneta — il saggio di interesse viene a determinarsi principalmente sul mercato della moneta, che è quel mercato sul quale si forma la domanda ed offerta di moneta. Per Keynes è dunque la domanda e l’offerta di moneta che determinano il saggio di interesse.

Parlando di moneta bisognerebbe prima di tutto chiarire cosa intenda Keynes per moneta. Parlando di moneta si parla di fondi liquidi: sicuramente la moneta cartacea che circola nel sistema. Keynes parla della moneta in forma liquida, ma si accorge ovviamente che c’è anche un’altra moneta: la moneta creditizia, ossia quella moneta che viene depositata in conto corrente e di cui è possibile tornarne in possesso molto facilmente. Per semplicità si considererà anche questa come moneta.

L’offerta di moneta — la moneta carta e la moneta creditizia — è un dato istituzionale perché viene regolata da decisioni della Banca Centrale, che per l’Italia è la Banca d’Italia. Attraverso diversi tipi di manovre la Banca centrale riesce a controllare non solo la quantità di moneta cartacea in circolazione (dato che è essa stessa che la emette, ne deriva che se ne emette una quantità aggiuntiva, aumenta l’offerta di moneta), ma riesce a controllare attraverso meccanismi più o meno complicati anche la moneta creditizia, la moneta creditizia dei conti correnti, perché le banche sono tenute a non superare determinati rapporti tra conti correnti (depositi) e altri impieghi che la Banca centrale impone.

Si ipotizzi che la Banca centrale riesca, poiché dispone degli strumenti adeguati, a governare la quantità complessiva di moneta che esiste all’interno del sistema.

Piochè sono le decisioni autonome della Banca centrale che faranno variare questa offerta di moneta, l’offerta di moneta verrà supposta come data.

Dall’altra parte esiste una domanda di moneta che secondo Keynes viene richiesta per tre motivi fondamentali

1) per transazioni, negoziazioni

2) a motivo precauzionale

3) per motivo speculativo

Qui la teoria monetaria keynesiana comincia a staccarsi dalla teoria monetaria neoclassica che considera soltanto i primi due elementi, e rappresenta pertanto la terza grande novità introdotta all’interno dello schema keynesiano.

I° motivo che determina la domanda di moneta: le transazioni

La gente chiede moneta per fare transazioni, negoziazioni: per comprare un determinato impianto, per pagare le maestranze per costruirlo, per comprarsi una macchina. Chiede moneta perché vuole comprarsi delle cose; non importa se per consumo, per acquisti o per investimenti. L’importante è che questa moneta che viene domandata — la richiesta di moneta —  sia moneta che serve per fare delle negoziazioni, delle transazioni. E’ chiaro che quanto più aumentano di volume le transazioni, maggiore sarà la richiesta di moneta. Siccome le transazioni sono riconducibili al livello del reddito, è chiaro che la moneta per scopi di transazioni o negoziazioni è una funzione crescente del livello del reddito: se aumenta il reddito, aumenta la domanda di moneta che la gente chiede per fare negoziazioni.

II° motivo: il motivo precauzionale

Il motivo precauzionale è per Keynes quel motivo che impone alla gente di tenere della moneta che non serve direttamente per la negoziazione, ma serve per i casi imprevisti di negoziazione oppure per spese impreviste. Invece di tenere semplicemente la quantità di moneta che serve per gli scambi, per le transazioni, per le negoziazioni, ne viene tenuta un poco in più a scopo precauzionale. Si tratta di moneta che viene accantonata in vista di determinate spese impreviste alle quali si potrebbe essere sottoposti. Keynes mostra che la quantità di questa moneta che viene detenuta per scopi precauzionali è anch’essa una funzione crescente del livello del reddito. Ne deriva che a bassi livelli di reddito la moneta precauzionale è molto bassa, mentre ad alti livelli di reddito, in conseguenza del fatto che si possono avere molte più occasioni di spesa, le spese impreviste risulteranno più elevate rispetto a redditi più bassi. Questo vuol dire che, normalmente, la moneta precauzionale, tenuta a scopi precauzionali, è una funzione crescente del reddito.

Il fatto che queste due domande di moneta — domanda di moneta per motivo di negoziazioni e domanda di moneta per motivo precauzionale — siano entrambe funzioni crescenti del reddito ha portato Keynes a trattarle insieme ed a studiare una domanda di moneta (indicata con L1) in funzione crescente del reddito.

III° motivo: il motivo speculativo

Tuttavia secondo Keynes esiste è un altro motivo che determina la domanda di moneta: il motivo speculativo, il quale è funzione del saggio di interesse (L2).

Prima di discutere la domanda di moneta a scopo speculativo è necessario fornire una spiegazione della speculazione, e, quindi, del mercato dei titoli. La domanda di moneta a scopo speculativo è la domanda che proviene da quelle persone che vogliono disporre di moneta in forma liquida perché da questa forma vogliono trarne vantaggio, ad esempio sul cambiamento di valore dei titoli. Per esemplificare il discorso, si supporrà l’esistenza di un solo titolo: obbligazioni che danno diritto ad una rendita costante. Si supporrà inoltre che al momento della emissione ci sia un unico saggio di interesse corrente, pari al 10% e che una grande impresa voglia fare degli investimenti e procurarsi a questo scopo del denaro. Invece di rivolgersi ad una banca, l’impresa emette un’obbligazione per un prestito, ad esempio, del valore di 1.000 lire che dà diritto ad avere sempre, tutti gli anni, 100 lire. Se il saggio corrente d’interesse (i) è del 10%, per trovare il valore (V) di mercato di quell’obbligazione bisogna dividere il valore delle singole annualità (aj) per il saggio d’interesse, cioè:

V = (aj) : (i) = 100 : 0,1 = 1.000 lire

Quando è stata fatta questa emissione, le persone che hanno acquistato tutte le obbligazioni, si trovano a disporre nel proprio portafoglio, al posto del denaro dato all’investitore, i titoli che hanno acquistato per un ammontare complessivo di 1.000 lire. Dato che il saggio d’interesse non rimane fisso, ma varia nel tempo, ne deriva che il valore di mercato del titolo, a parità di valore delle annualità, varierà al variare del saggio di interesse. Nell’esempio, supponendo che il saggio d’interesse cada dal 10% al 5%, ne deriverà che, rimanendo costante il valore delle singole annualità, il valore di mercato del titolo sarà aumentato e, precisamente, risulterà pari a:

Valore di mercato = (aj) : (i) = 100 : 0,05 = 2.000

Anche se nominalmente il titolo vale 1.000, il suo valore di mercato è ora di 2.000.

Il valore dei titoli è funzione inversa del saggio di interesse perché quando c’è un tasso di interesse molto alto (Fig. 6) tutti gli operatori non si aspettano che vada ancora più su, ma pensano che il tasso di interesse rimanga costante o, nella migliore delle ipotesi, cada. In questo caso tutti vorranno avere titoli e non moneta, perché nell’ipotesi migliore di abbassamento del saggio di interesse, tutti gli speculatori che hanno titoli si arricchiranno automaticamente. Ciò significa che nessuno chiede moneta, e la domanda di moneta a scopo speculativo è uguale a zero (punto i = io della Fig. 6).

 

 

Fig. 6

Keynes presuppone anche l’esistenza di un altro saggio di interesse molto basso, al di sotto del quale nessuno crede si possa andare. Si supponga che questo saggio di interesse sia nel punto i1. Se nella psicologia degli operatori di Borsa, degli speculatori, esiste un saggio di interesse così basso al di sotto del quale non sia possibile scendere, allora tutti si aspettano che o il tasso di interesse rimanga costante, oppure che esso aumenti. In questo caso, poiché l’aumento del tasso di interesse è collegato alla diminuzione del valore dei titoli, i detentori di titoli sarebbero soggetti a delle perdite in conto capitale. In base a questa prospettiva tutti gli speculatori chiederanno moneta, ossia cercheranno di scambiare i titoli che hanno in portafoglio con moneta liquida, unico modo per cautelarsi da una caduta del corso dei titoli dovuta all’aumento del saggio di interesse. In questo caso si dice che la domanda di moneta è infinita: tutti chiedono moneta cercando di liberarsi del titoli.

Si prenda ora in esame cosa accade in un punto intermedio. In un punto intermedio (a) della Fig. 6 ci saranno delle persone che sono convinte che il saggio di interesse possa salire ed altre convinte invece che il saggio di interesse possa scendere. Le persone convinte che il saggio di interesse possa scendere chiederanno titoli e non chiederanno moneta, le persone convinte invece del contrario chiederanno moneta e si libereranno dei titoli. Ciò significa che la curva della domanda di moneta a scopo speculativo è una curva decrescente per cui al diminuire del tasso di interesse aumenta la domanda di moneta a scopo speculativo e viceversa.

Questa relazione, come si è visto, ha due punti notevoli: un punto in cui la domanda di moneta diventa zero (quando i = io) e un altro punto in cui esiste un tasso di interesse così basso che tutti sono convinti che esso non possa che aumentare. In questo caso, tutti chiedono moneta. Questo tratto, rappresentato dalla retta parallela all’asse dell’ascissa (Fig.6), è piuttosto rilevante e nella teoria keynesiana viene chiamato “trappola della Liquidità”. Perché “trappola della liquidità”? Perché in questo caso la domanda di moneta a scopo speculativo contiene tutta la moneta possibile del sistema: essa è come un buco nero in cui tutta la moneta del sistema va a finire dato che tutti la chiedono in quantità infinita.

A questo punto è possibile unire in un solo grafico le due domande di moneta da parte del sistema (Fig. 7): la domanda di moneta per scopi di transazioni o di negoziazioni e la domanda di moneta per scopo precauzionale, che è una funzione crescente del reddito, cioè L1 e la domanda di moneta a scopo speculativo, cioè L2.

 

 

Fig. 7

Ora si supponga dato un livello del reddito.

Se si suppone dato un livello del reddito, automaticamente si avrà, in base al moltiplicatore  K, la domanda complessiva di moneta per scopo di transazione e per scopo precauzionale, ossia quella parte di domanda di moneta che dipende soltanto dal livello del reddito (la linea tratteggiata parallela all’asse dell’ordinata) La domanda complessiva di moneta sarà pertanto data da questa domanda di moneta per scopo di transazioni, che è per il momento indipendente dal saggio di interesse ma dipende dal livello del reddito; a questa si dovrà aggiungere la domanda di moneta a scopo speculativo.

Ora è possibile pervenire a parziali conclusioni.

Nella Fig 7 il saggio di interesse viene individuato nel punto A di incontro fra la curva di domanda di moneta complessiva (perché a quella transazionale si è aggiunto anche quella per scopi speculativi) e l’offerta di moneta M. Una volta determinato il saggio di interesse, risulta possibile individuare il livello degli investimenti. Noto il livello degli investimenti, è noto il livello del reddito.

Poichè tutte le grandezze del sistema vengono ad essere determinate, si spiega il fatto che la teoria di Keynes venga considerata una teoria generale.

NOTE


[1] Appunti del corso “Alcuni elementi di economia politica” tenuto fra il febbraio ed il maggio 1980 a cura dell’Ufficio Formazione Provinciale della FLM Milano dal Prof. C. Giannini dell’Istituto di Scienze economiche e sociali dell’Università di Pavia.

Il testo delle lezioni è ricavato dagli appunti di alcuni partecipanti al corso e non è stato rivisto e corretto dall’autore. Ne deriva che alcune parti risulteranno meno efficaci ed accurate di quanto siano state nel corso dell’esposizione.

[2] NICOLÒ DE VECCHI, REDDITO PRODOTTO E DOMANDA EFFETTIVA, Appunti di un corso

[3] Indicando con V il costo di costruzione dell’impianto e con R1, R2, R3 ……Rn i rendimenti futuri attesi di questo impianto, rispettivamente nel periodo 1, nel periodo 2, nel periodo 3 ed al periodo n, per esprimere l’indice sintetico delle aspettative si deve scontare , ossia riportare al valore dell’anno 0 in cui viene fatto l’investimento, le grandezze di R1, R2, R3, Rn

Ciò può essere espresso con la seguente formula:

V = R1 : (1+ e) + R2 : (1+ e)2 + R3 : (1+ e)3 +……………….. Rn : (1+ e)n

In cui e = efficienza marginale del capitale espressa in termini percentuali

[4] I neoclassici, una volta accantonate le aspettative, hanno dichiarato un totale accordo con la domanda di investimenti proposta da Keynes, cioè con una curva di investimenti decrescente rispetto al saggio di interesse. Ma questa curva degli investimenti rispetto al saggio di interesse dei neoclassici è diversa da quella di Keynes perché le aspettative non vengono considerate. I neoclassici ricavano la funzione degli investimenti in funzione del saggio di. Interesse dalla semplice constatazione che, diminuendo il saggio di interesse, diminuisce un costo dell’investimento, il costo del suo finanziamento. Si tratta di una considerazione banale che aveva portato i neoclassici a formulare una curva che sembra la stessa di quella di Keynes. Tuttavia esiste una qualificazione diversa. Prima di tutto la curva è costruita in maniera diversa poiché si è partiti dalle aspettative ed il fatto che queste siano state considerati costanti deriva solo dal fatto di voler tracciare una curva. Poichè il vero problema che sta dietro la curva degli investimenti è il problema delle aspettative, ne deriva che questa curva è estremamente instabile.