BILANCI AZIENDALI

APPUNTI E NOTE

a cura di

Andrea Rossi

Pierattilio Tronconi

I BILANCI AZIENDALI

Cos’è un bilancio

Il bilancio è un insieme di documenti la cui finalità principale è quella di misurare, per un determinato arco di tempo, la ricchezza generata da un’impresa, sia in termini di risultato economico — cioè di reddito conseguito nel periodo — che di patrimonio.

In ogni azienda il ritmo dell’attività è scandito dalle operazioni di acquisto, trasformazione (per le aziende di produzione) e vendita, che comportano movimenti di denaro, beni o servizi, e quindi modificano la ricchezza dell’impresa. Tali operazioni si susseguono a flusso continuo e sono legate tra loro da una sequenza temporale ben definita, che dipende dai tempi di riscossione (o di pagamento) dei corrispettivi per i prodotti e i servizi venduti (o acquistati). Per redigere un bilancio bisogna “spezzare” idealmente questa catena, individuando un periodo di riferimento.

Tale periodo, che di solito è della durata di un anno, si chiama esercizio

Cos’è il bilancio d’esercizio

Il bilancio di esercizio è lo strumento attraverso il quale l’impresa si fa conoscere a tutti coloro che hanno interesse a conoscere lo stato di salute dell’impresa..

Destinatari di questa conoscenza possono essere:

·        il pubblico in generale,

·        i soci,

·        il fisco,

·        la banca alla quale l’azienda chiede prestiti.

Il bilancio che viene pubblicato, il così detto bilancio pubblico, è quello approvato dall’ assemblea dei soci.

A seconda dei destinatari, i bilanci possono essere suddivisi in tre categorie principali.

1) Bilanci interni: si tratta di documenti redatti a uso e consumo degli amministratori e della direzione di un’azienda. Vengono stilati periodicamente e servono per valutare le scelte operative e gestionali. I prospetti appartenenti a questa categoria, in virtù dell’uso che ne viene fatto (esclusivamente interno all’azienda), sono quelli che riflettono al meglio lo stato di salute dell’impresa.

I bilanci interni possono essere ulteriormente suddivisi in consuntivi (bilanci veri e propri) e preventivi (budget). I primi misurano la ricchezza generata dall’impresa in un periodo passato; i secondi rappresentano gli obiettivi, patrimoniali e reddituali, che gli amministratori si propongono di conseguire in un esercizio futuro. Per entrambe le altre categorie di bilancio (si vedano i punti 2 e 3) si hanno solo prospetti consuntivi.

2) Bilanci esterni o civilistici: per tutelare l’interesse dei terzi che intrattengono rapporti con la società (creditori, fornitori, clienti ecc.) il Codice civile prescrive che il bilancio debba avere caratteristiche specifiche, in modo da risultare il più veritiero e il più trasparente possibile. Il bilancio civilistico rappresenta per i terzi la più importante fonte di informazioni sulla società.

3) Bilanci fiscali: per motivi interni, legati alla gestione dell’azienda o alle politiche degli amministratori, le società possono valutare in modo particolare alcune voci del bilancio, con l’inevitabile conseguenza di incidere sul risultato di esercizio. Per evitare che le società modifichino la valutazione delle componenti di bilancio allo scopo di occultare reddito soggetto a imposta, il Fisco ha stabilito precisi criteri. Scopo dei bilanci fiscali — che vengono redatti in sede di dichiarazione dei redditi — è quello di determinare l’ammontare delle imposte che la società deve versare all’Erario.

I diversi tipi di bilancio

A sua volta ognuna delle tre categorie può essere articolata per tipologia di prospetti, a seconda della funzione specifica di questi ultimi. I principali tipi di bilancio sono:

a - bilancio di esercizio: questo termine designa, in senso generico, i prospetti che vengono compilati periodicamente, alla fine di ogni anno, da una società. Il bilancio di esercizio ha come scopo quello di determinare il reddito prodotto dall’attività aziendale nel periodo, nonché il valore del patrimonio della società alla fine del periodo stesso;

b - bilancio consolidato: è la sintesi della situazione patrimoniale e reddituale di un gruppo, cioè di un insieme di società che, pur essendo giuridicamente distinte, fanno capo a uno stesso soggetto e agiscono in maniera coordinata. Si ottiene “fondendo” in un unico prospetto i risultati delle operazioni svolte nell’esercizio da tutte le società del gruppo. Nella redazione del bilancio consolidato, però, non bisogna tenere conto delle operazioni intercorse fra le società del gruppo (operazioni infragruppo) poiché non hanno contribuito a modificare la ricchezza del gruppo stesso;

c - bilancio aggregato: anche questo tipo di prospetto ha lo scopo di misurare la ricchezza di un gruppo di società. A differenza del consolidato, però, il bilancio aggregato è dato dalla semplice somma (aggregazione, appunto) dei bilanci delle società appartenenti al gruppo, senza che vengano eliminati gli effetti delle operazioni infragruppo;

d-  bilancio di gruppo: il termine è un pò ambiguo, nel senso che può indicare sia il bilancio consolidato che quello aggregato, a seconda dei casi;

e -  bilancio infrannuale: si tratta di un prospetto che è riferito a un arco di tempo inferiore all’anno; per il resto, sia nella forma sia nella sostanza, è analogo agli altri tipi di bilancio. Un esempio di bilancio infrannuale è la relazione sui primi sei mesi dell’esercizio (la relazione semestrale) che ogni società quotata in Borsa deve, secondo la normativa CONSOB, mettere a disposizione del pubblico;

f -  bilancio di verifica: è un documento interno all’azienda, che serve per fare una specie di “prova del nove”. Nel redigere un bilancio si possono commettere errori formali (cioè relativi alla registrazione dei risultati delle operazioni); scopo del bilancio di verifica è quello di scoprire questi errori e correggerli;

g -  bilancio standardizzato: prospetto che si ottiene aggregando in categorie (secondo criteri definiti) i risultati delle operazioni, in modo da ridurre il numero delle voci presenti e da poter effettuare confronti con bilanci di altre società.

h - bilancio comparato: questo nome un po’ misterioso indica un semplice prospetto in cui sono messi a confronto i risultati relativi a due o più esercizi consecutivi, con lo scopo di trarre indicazioni sull’evoluzione dell’impresa

Tutti i tipi di bilancio di cui si è parlato finora hanno una caratteristica comune: vengono redatti periodicamente, e per questo sono definiti bilanci ordinari.

Esiste anche un’altra serie di prospetti, non periodici, che si redigono saltuariamente o addirittura una sola volta nella vita di un’impresa: i bilanci straordinari.

Si differenziano da quelli ordinari, oltre che per la frequenza, anche perché l’aspetto reddituale (almeno quello relativo al passato) cade un po’ in secondo piano, in quanto tendono più a sottolineare l’aspetto patrimoniale dell’impresa.

IL BILANCIO D’ESERCIZIO O CIVILISTICO

Il bilancio di esercizio è un documento contabile - amministrativo che presenta la situazione dell’azienda, in un determinato momento, sotto l’aspetto patrimoniale e sotto l’aspetto reddituale.

E’ propriamente composto da:

·        Stato Patrimoniale

·        Conto Economico.

·        la nota integrativa per favorire la comprensione delle varie voci (poste) di bilancio

·        Relazione sulla Gestione

Accompagnano e corredano il bilancio  

·        la relazione del Consiglio di Amministrazione,

·        la relazione del Collegio Sindacale,

·        eventuali allegati ( bilanci delle società controllate e partecipate)

Tutte le imprese sono per legge obbligate a redigere ogni anno il bilancio d’esercizio, ad eccezione dei “piccoli imprenditori” (coltivatori diretti, artigiani, coloro che esercitano un’attività professionale basata prevalentemente sul proprio lavoro e dei propri familiari).

La  durata convenzionalmente fissata di un esercizio è l’anno solare (dal 1 gennaio al 31 dicembre)

Il bilancio d’esercizio deve essere approvato dai soci e depositato presso l"l'Ufficio del Registro delle Imprese istituito presso le Camere di Commercio"  entro il 31 maggio di ogni anno.

Sui bilanci delle società per azioni quotate in borsa vigila la CONSOB.

Le società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata che controllano un’impresa, i Gruppi devono redigere il bilancio consolidato.

Il bilancio civile è regolato da Direttive dell’Unione Europea, Leggi nazionali e dal Codice Civile.

La CEE ha emanato diverse Direttive  comunitarie riguardanti i bilanci d’esercizio e consolidato delle società ( IV direttiva nel 1978; la VII nel 1983)

Tali direttive sono state recepite nella nostra legislazione col Decreto Legislativo 9 aprile 1997 n° 127 ( GU 17 aprile 1991 n° 90) che ha così modificato gli articoli del Codice Civile dal 2423 al 2435 bis (sezione IX – del bilancio) 

Con D. Lgs. 17 gennaio 2003 – riforma delle società, a partire dal 1 gennaio 2004, i capi del Codice Civile dal V al XI sono stati ulteriormente  modificati.

Dalla contabililtà generale al bilancio d’esercizio

Il bilancio di esercizio è innanzi tutto un documento contabile, perché esso deriva dalla contabilità generale.

La contabilità è la rilevazione sistematica degli avvenimenti aziendali che hanno una rilevanza economico-finanziaria, che sono cioè attinenti alla variazione formale o sostanziale della ricchezza della azienda.

La contabilità da cui deriva il bilancio di esercizio è la contabilità generale, cioè quella che rileva gli avvenimenti nei loro aspetti generali e per l’azienda nel suo complesso. Ecco perché il bilancio di esercizio non può dire tutto di un’azienda: perché deriva da un tipo di contabilità, la contabilità generale appunto, che non registra i particolari (come avviene invece per la contabilità gestionale e per la contabilità industriale).

LO STATO PATRIMONIALE

Lo Stato Patrimoniale è il prospetto del bilancio di esercizio che descrive la situazione patrimoniale dell’azienda. Esso è dunque un bilancio di stock che rappresenta la sua evoluzione patrimoniale dato che in esso sono accumulati i dati che vanno dalla sua costituzione alla data dell’esercizio in esame

Lo stato patrimoniale è diviso in due sezioni. In quella di sinistra, denominata attività, sono riportati tutti gli elementi positivi della ricchezza di un’impresa. E qui che vengono registrati i crediti, le somme versate sul conto corrente, gli impianti e i terreni, le azioni in portafoglio ecc.

La sezione opposta, chiamata passività, contiene invece indicazioni relative a tutti i mezzi con cui l’impresa finanzia le sue attività. Fra le passività si trovano i debiti verso i fornitori, i prestiti ricevuti dalle banche, i mutui, il capitale sociale e altro ancora.

L’utile o la perdita registrati dalla società nell’esercizio per il quale si redige il bilancio vanno riportati, oltre che nel conto economico, anche nello stato patrimoniale. In quest’ultimo prospetto il risultato d’esercizio sarà pari alla differenza fra tutte le attività e tutte le passività e verrà iscritto — come avviene nel conto economico — a mo’ di saldo.

Nel bilancio Patrimoniale la parte dell’Attivo  rappresenta come l’azienda ha investito i mezzi finanziari di cui disponeva al momento del bilancio. Le Attività sono costituite dall’insieme dei beni e dei crediti che l’impresa possiede ed ai quali viene dato un valore in moneta

La parte del Passivo  indica come l’azienda si è procurata i mezzi finanziari. Le Passività  sono costituite dall’insieme dei debiti dell’impresa verso altri.

STATO PATRIMONIALE - Schema (art. 2424 del cc)

ATTIVO

PASSIVO

A - Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti

A - Patrimonio netto

·        Capitale

·        Riserva da sovrapprezzo delle azioni

·        Riserve di rivalutazione

·        riserva legale

·        riserva per azioni proprie in portafoglio

·        riserve statutarie

·        altre riserve

·        Utile (perdite) portati a nuovo

·        Utile (perdite) dell’esercizio

B – Immobilizzazioni

·        Immobilizzazioni immateriali

·        Immobilizzazioni materiali.

·        Immobilizzazioni finanziarie di importi esigibili entro l’esercizio successivo

B – fondi per rischi e oneri

·        Per trattamento di quiescenza

·        Per imposte

·        altri

C – Attivo Circolante

·        Rimanenze

·        Crediti

·        Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni

·        Disponibilità liquide

C - Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato

D – Ratei e risconti attivi

D -Debiti esigibili oltre l’esercizio successivo 

 

E – Ratei e risconti passivi

ATTIVO

Il Codice civile contiene uno schema di riferimento anche per lo stato patrimoniale. In particolare, secondo l’articolo 2424 la sezione attivo deve contenere le voci indicate nella tabella.

Di seguito si esplicitano alcuni contenuti relativi a tali voci: :

Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti. Si tratta dei crediti che la società vanta nei confronti dei soci per il capitale sociale da essi sottoscritto al momento della costituzione della società o in seguito ad aumenti dello stesso, ma che i soci non hanno ancora interamente pagato.

Immobilizzazioni materiali. In questa categoria rientrano tutte le apparecchiature, impianti e macchinario, terreni e fabbricati, attrezzature industriali e commerciali di proprietà dell’impresa che vengono impiegate nello svolgi mento dell’attività produttiva, i beni mobili. I terreni e gli immobili di proprietà dell’impresa devono essere suddivisi a seconda del tipo di utilizzo che ne viene fatto. Tali beni, infatti, possono svolgere qualche funzione nell’ambito dell’attività produttiva (è il caso di un capannone che viene usato come magazzino) oppure possono rappresentare investimenti di portafoglio. Un’azienda meccanica che possiede un terreno agricolo, per esempio, probabilmente lo avrà acquistato per rivenderlo una volta che si sia rivalutato. In ogni caso tale terreno non partecipa all’attività produttiva dell’azienda. Nel bilancio, quindi, la società dovrà registrare il terreno agricolo separatamente dagli altri beni immobili.  La voce comprende anche gli anticipi versati a fornitori per gli impianti e i macchinari non ancora consegnati. Nella categoria dei beni mobili rientrano tutti i beni non legati al suolo che, pur non partecipando direttamente all’attività di produzione (come invece avviene per gli impianti), vengono impiegati per l’attività di supporto a essa. I più classici esempi sono le macchine per ufficio. Il valore di iscrizione all’attivo dei cespiti deve essere al netto degli ammortamenti e delle svalutazioni calcolate.

Immobilizzazioni immateriali. Comprendono i diritti di brevetto industriale, i quali garantiscono all’azienda la possibilità di sfruttare in esclusiva un dato processo di produzione, o di produrre un determinato bene. La società, per assicurarsi tale esclusiva, sostiene dei costi (il pagamento dei diritti di brevetto), che vengono iscritti nello stato patrimoniale perché i brevetti hanno durata pluriennale. I diritti così acquisiti rappresentano un vero e proprio bene produttivo per la società, dato che la pongono in vantaggio sulla concorrenza. Le altre società, infatti, per l’esistenza del brevetto, non potranno utilizzare quel dato processo di produzione o fabbricare quel dato bene. Un discorso analogo si può fare per i diritti di utilizzazione delle opere di ingegno come, per esempio, i diritti d’autore. La voce comprende altresì i costi di ricerca, di sviluppo e pubblicità, le concessioni  (di produzione o di vendita) di cui gode l’impresa in virtù di accordi con altre imprese. L’esempio più tipico è il contratto di esclusiva per la vendita di un prodotto in una certa zona geografica. Ai marchi di fabbrica può essere attribuito un valore perché sono di proprietà esclusiva dell’impresa e il pubblico riconosce in essi un importante elemento di distinzione del prodotto.

Immobilizzazioni finanziarie. Esse comprende tutti quegli elementi che sono destinati ad essere destinati utilizzati durevolmente dall'impresa . In questa voce rientrano le azioni proprie, i crediti ( di natura finanziaria,classificati tenendo conto della loro scadenza)  e le partecipazioni (le quote azionarie o comunque rappresentative del capitale di società) relativi alle imprese controllate, collegate, controllanti e altre, detenute dall’impresa come investimento duraturo — cioè motivato dal tipo di attività che svolge l’azienda in cui si è investito — o con fini speculativi, finalizzato all’ottenimento di plusvalenze. Le azioni proprie in portafoglio (emesse dalla società e riacquistate sul mercato) devono essere evidenziate in una voce a parte.

Attivo circolante. Fanno parte di questa macro classe di valori tutti i beni che NON sono durevolmente vincolati all’esercizio dell’impresa e sono destinate a trasformarsi in liquidità tendenzialmente entro breve termine.

Le rimanenze. Comprende le scorte di materie prime, sussidiarie e di consumo; i prodotti in corso di lavorazione e semilavorati; i lavori in corso su ordinazione, prodotti finiti e merci, acconti. Al momento della chiusura dell’esercizio le rimanenze, essendo parte dei beni in dotazione all’impresa, vengono regolarmente iscritte nello stato patrimoniale. Da un punto di vista economico costituiscono componenti di reddito che vengono rinviati dall'esercizio in cui sono stati sostenuti  a quelli in cui consentiranno di realizzare i relativi ricavi.

I crediti. Devono essere indicati i crediti di natura commerciale evidenziando gli importi esigibili oltre l'esercizio successivo.Il  codice civile specifica che  devono essere evidenziati separatamente i crediti  verso clienti, imprese collegate, imprese controllate, controllanti ed altri.

Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni.  Esse riguardano partecipazioni e titoli a reddito fisso che per destinazione attribuita dal soggetto economico o per disposizioni di legge, verranno negoziati a breve termine e, in ogni caso, entro l’esercizio successivo a quello di riferimento del bilancio. Comprende le partecipazioni relative alle imprese controllate, collegate, altre partecipazioni, azioni proprie e altri titoli.

Disponibilità liquide. Comprendono i depositi bancari e postali, gli assegni, il denaro e i valori esistenti in cassa  tra i quali anche articoli come francobolli, marche da bollo e simili. Nelle imprese industriali esse servono a coprire i fabbisogni quotidiani.

I ratei attivi sono quote di ricavi che si manifesteranno solo nell’esercizio successivo, ma che sono di competenza dell’esercizio appena concluso. L’esempio più classico di rateo attivo è quello degli interessi maturati (su titoli di Stato, conti correnti o altro) ma non ancora riscossi. Ad esempio se un’azienda il 1 luglio ha depositato presso una banca 10 milioni vincolati ad un anno al tasso di interesse del 10% posticipato, il 31 dicembre, al momento della compilazione del bilancio, sono già maturate 500 mila lire di interessi che sono di competenza di questo esercizio ma che la banca pagherà solo alla scadenza del deposito, il 30 giugno dell’anno successivo.

Nel bilancio al 31 dicembre verrà iscritto 500 mila lire quale rateo attivo.

I risconti attivi sono quote di costi che si sono manifestati nell’esercizio appena chiuso, ma che sono di competenza di esercizi futuri. Esempi di risconti attivi sono i premi assicurativi e i canoni d’affitto pagati anticipatamente. Ad esempio se il 1 di ottobre pago una rata semestrale anticipata di affitto di un  capannone per 600 mila lire, allora si iscriverà 300 mila lire tra i riscontri attivi che corrispondono alle quote di affitto dei 3 mesi dell’anno successivo.

PASSIVO

Nella sezione “passivo” sono riportati tutti gli elementi che stanno a fronte della ricchezza dell’impresa, vale a dire i mezzi con cui tale ricchezza è stata acquisita e i corrispondenti impegni ai quali la società deve fare fronte. Ecco le principali voci:

Il patrimonio netto è una macro classe che comprende un insieme di mezzi economici a disposizione dell’impresa, suddivisibili in parti ideali, formate in tempi e modi diversi.

Il capitale sociale, cioè la quota dei mezzi dell’impresa finanziata dai soci, si divide in azioni. Il capitale sociale non è un vero e proprio debito per la società in quanto i soci non hanno solo il diritto al rimborso del loro investimento, ma hanno anche il diritto di partecipare alla gestione della società. In secondo luogo, al contrario di quanto avviene per i debiti, la somma che viene rimborsata agli azionisti (se e quando la società viene sciolta) non è prestabilita, ma è proporzionale alla ricchezza dell’impresa al momento del rimborso. Tanto meno è prestabilito il momento in cui il socio avrà diritto al rimborso delle azioni. Inoltre, la società non è obbligata a remunerare le azioni: lo fa se consegue utili e se gli amministratori (con il consenso dell’assemblea) lo giudicano opportuno. Il capitale sociale, in sintesi, si differenzia nettamente sia dai debiti veri e propri sia dalle altre passività, ma tuttavia deve essere ricompreso in questa sezione del bilancio poiché rappresenta “impegni” della società nei confronti dei suoi azionisti. Quando una società subisce delle perdite, tali perdite devono essere sopportate dagli azionisti in proporzione al numero di azioni possedute. Per coprire una perdita, quindi, se non esistono altri mezzi, viene ridotto il capitale sociale nella misura necessaria (il termine tecnico è “abbattere”). La riduzione del capitale sociale, però, è una manovra cui si ricorre solo in caso di necessità, perché danneggia gli azionisti.

La riserva da sovrapprezzo delle azioni. In questa voce vengono iscritti i sovrapprezzi corrisposti dai soci in sede di aumento del capitale sociale, nel caso in cui le nuove azioni siano emesse con un prezzo di emissione “sopra la pari”.

Riserve di rivalutazione. Si hanno allorchè si iscrive in bilancio un maggior valore dei beni rispetto al loro costo storico d’acquisizione

La riserva legale è uno dei mezzi cui l’impresa può ricorrere, in caso di perdite, per non abbattere il capitale. La legge prescrive che l’impresa debba accantonare ogni anno il 5% dell’utile di esercizio finché il totale così accantonato — la riserva legale, appunto — non abbia raggiunto il 20% del capitale sociale. La funzione della riserva legale, pertanto, è quella di coprire eventuali perdite future. La società può giudicare insufficiente la “copertura” garantita dalla riserva legale. In questo caso, può decidere autonomamente di creare altre riserve accantonando, per maggiore sicurezza, una quota di utili superiore a quella stabilita dalla legge. Si parla, in particolare, di riserva statutaria, che è prevista dallo statuto (il regolamento) della società, e diventa quindi un onere obbligatorio che l’impresa si addossa. Le riserve facoltative, invece, non sono previste né dalla legge, né dallo statuto sociale, ma possono venire create e alimentate ogni volta che l’assemblea dei soci decida in tal senso.

Riserva per azioni proprie in portafoglio. Sono delle riserve che vengono costituite in occasione dell'acquisto di azione proprie; fin quando le azioni proprie non sono annullate o trasferite la società deve mantenere nel patrimonio netto una riserva indisponibile  di ammontare pari al valore iscritto nell'attivo per le azioni proprie.

Riserve statutarie. Sono quelle riserve che lo statuto può prevedere come obbligatorie al fine di rafforzare la posizione economica della società.

Altre riserve. Vengono comprese in questa voce , con separata indicazione, tutte le ulteriori riserve di bilancio. In particolare vanno qui indicate quelle componenti del patrimonio netto che traggono origine dall’applicazione di norme tributarie che consentono di usufruire di vantaggi fiscali, quali la sospensione o il differimento della tassazione.

Fondi per rischi e oneri. Comprende gli accantonamenti per rischi ed oneri destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata o esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data o la sopravvenienza. Si comprendono dunque i “fondi accesi a rischi e spese future” stanziati a fronte di prevedibili maggiori uscite o minori entrate numerarie che potrebbero manifestarsi nel corso della gestione e che, al momento della loro determinazione, non sono esattamente quantificabili nel loro importo e neppure si può avere la certezza sul momento e sulla concreta futura manifestazione. Si fa riferimento a tre sottoclassi: per trattamento di quiescenza e obblighi simili, per imposte, altri.

Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. Si tratta di debiti che l’impresa ha nei confronti dei dipendenti e che riguardano il TFR , ossia retribuzioni che sono state differite e che vengono corrisposte con la risoluzione del rapporto di lavoro.

I debiti della società nei confronti dei terzi. Essi vanno distinti, secondo il Codice civile, a seconda che si tratti di: debiti che godono di garanzia reale (vi sono beni dell’impresa vincolati per tutelare il creditore; il caso più comune è il mutuo ipotecario); debiti verso fornitori; debiti verso banche o altri sovventori (banche d’affari, società finanziarie ecc.); debiti verso società collegate (con le quali esiste un legame dovuto a partecipazioni azionarie); obbligazioni emesse ma non estinte; altri debiti. Nell’analisi di bilancio, poi, si effettua un’ulteriore distinzione fra debiti finanziari e non. Si dicono “finanziari” i debiti sui quali la società deve pagare interessi.

I ratei passivi sono costi di competenza dell’esercizio appena chiuso, che tuttavia si manifesteranno solo nell’esercizio successivo. Un esempio di rateo passivo è la parte degli interessi che la società deve corrispondere sulle obbligazioni che ha emesso.

I risconti passivi sono quote di ricavi che, pur essendo stati conseguiti nell’esercizio cui si riferisce il bilancio, sono di competenza dell’esercizio successivo. Si parla, per esempio, di anticipi ricevuti dai clienti per lavorazioni che saranno eseguite nell’esercizio successivo.

IL CONTO ECONOMICO

Il Conto economico civilistico detto “Conto Profitti e Perdite”  è stato superato dall’introduzione  del nuovo articolo 2425 del codice civile

Di seguito vengono descritti gli scemi del conto economico redatti col vecchio articolo 2425 bis  e col nuovo articolo 2425 del codice civile.

1 – Il conto economico secondo il vecchio art. 2425 bis del codice civile

Esso è il prospetto che dimostra come si è determinato il risultato economico (utile o perdita) dell’esercizio in esame. Esso è un bilancio di flusso in quanto rappresenta i movimenti economici che si sono determinati nel corso dell’anno solare in esame e che hanno concorso a loro volta a determinare lo stato patrimoniale dell’azienda.

Il Conto economico civilistico si articola in due sezioni:

·        Sezione sinistra (colonna perdite) le componenti negative del reddito (dare)

·        Sezione destra (colonna profitti) le componenti positive (avere)

Secondo la dottrina contabile, i totali della sezione perdite e della sezione profitti devono sempre coincidere.

Pertanto se i ricavi prevalgono sui costi ( caso in cui si avrà un UTILE di esercizio), l’utile verrà iscritto nella sezione dare.

Se accade il contrario ( ossia i costi superano i ricavi) la PERDITA viene iscritta nella sezione avere.

Conto Economico - Schema ( ex art. 2425 bis cc)

Perdite (dare)

Profitti (avere)

Esistenze iniziali

Ricavi per le vendite di beni

Spese per acquisti presso terzi (materie prime, semilavorati, prodotti finiti)

Ricavi per le vendite di servizi

Spese per mano d’opera

Proventi da investimenti immobiliari

Spese per prestazioni di servizi

Proventi finanziari da partecipazioni

Spese diverse

Interessi attivi

Interessi passivi e Oneri finanziari

Plusvalenze

Ammortamenti

Incrementi delle immobilizzazioni per lavori interni

Accantonamenti ai fondi di liquidazione e previdenza

Rimanenze finali

Accantonamenti ai fondi di  copertura dei rischi

Proventi diversi e sopravvenienze attive

Minusvalenze

 

Spese e perdite diverse

 

Imposte e tasse e accantonamenti

 

Utile d’esercizio

Perdita d’esercizio

L’art. 2425 bis del Codice civile elenca tutti gli elementi di costo e di ricavo che devono essere contenuti nella tavola del conto economico. Ecco una breve descrizione delle principali voci che vanno registrate.

Sezione profitti

Ricavi da vendite e prestazioni di servizi. Rappresentano i ricavi derivanti dall’attività “caratteristica”, vale a dire dalle operazioni tipiche che svolge l’azienda, quelle per le quali è stata costituita. Per un’industria automobilistica, per esempio, l’attività caratteristica è la produzione e la vendita di automobili e di pezzi di ricambio. Tutti gli altri tipi di ricavo, per esclusione, si dicono derivanti da attività non caratteristica.

Proventi da investimenti immobiliari. Rappresentano i canoni derivanti dall’affitto di immobili di proprietà. E chiaro che per le società immobiliari sono questi i ricavi derivanti dall’attività caratteristica e non, per esempio, i ricavi dalla vendita di automobili.

Dividendi da partecipazioni. Sono i proventi (dividendi, azioni gratuite ecc.) derivanti dalle partecipazioni in altre società.

Interessi attivi. Sono distinti a seconda che si tratti di interessi da: titoli a reddito fisso, crediti verso banche (in genere conti correnti), crediti verso società controllate o collegate, crediti verso la clientela o crediti diversi.

Plusvalenze. Sono utili (cioè differenze positive fra ricavi e costi) conseguiti dalla vendita di beni strumentali (impianti, immobili) o accessori (di solito titoli o partecipazioni) che non rientrano nell’attività caratteristica dell’impresa. La plusvalenza è data dalla differenza fra il prezzo di cessione e il valore a cui era iscritto in bilancio il bene venduto.

Incrementi delle immobilizzazioni per lavori interni. Sono i costi sostenuti per i lavori di miglioramento, ampliamento o ristrutturazione degli immobili o degli impianti effettuati in proprio dall’impresa. Poiché si tratta di costi che non riguardano solo l’esercizio in cui si sono verificati, ma che incrementano il patrimonio dell’impresa, oltre a venire iscritti nella sezione delle perdite vengono riportati anche in quella dei profitti, in modo che il loro ammontare non incida sulla formazione dell’utile. Infatti, visto che l’utile è dato dalla differenza fra totale dei costi e totale dei ricavi di competenza dell’esercizio, se una voce viene riportata in entrambe le sezioni l’effetto sull’utile è nullo.

Rimanenze finali. Sono beni — prodotti finiti, semilavorati e materie prime — che si trovano in magazzino alla fine dell’esercizio. Poiché non sono stati ancora venduti, non hanno generato ricavi. Tuttavia, vengono registrati in questa sezione poiché hanno comportato un costo (di acquisto e/o di lavorazione) che non deve pesare sul risultato di esercizio, visto che le rimanenze finali verranno utilizzate in esercizi futuri. La doppia registrazione — come costo tra le perdite e come rimanenze finali tra i profitti — evita, come nel caso precedente, un’erosione ingiustificata dell’utile d’esercizio. Inoltre, se nel corso dell’anno il valore delle rimanenze è aumento (o diminuito), la differenza positiva andrà a incrementare (o decurtare) l’utile del periodo.

Proventi diversi e sopravvenienze attive. Genericamente, s’intende l’insieme di quelle voci che non rientrano in una delle categorie precedenti.

Sezione perdite

Di seguito sono elencate le voci principali contenute nella sezione perdite.

Rimanenze iniziali, cioè prodotti finiti, semilavorati e materie prime esistenti all’inizio di un esercizio. Sono imputate come costi perché presume che verranno impiegate nel corso dell’esercizio. Al momento della chiusura del bilancio (alla fine dell’anno) i prodotti finiti, i semilavorati e le materie prime che non sono stati utilizzati vengono iscritti nella sezione profitti come rimanenze finali.

Spese per acquisti di materie prime, semilavorati e prodotti finiti. Si tratta di tutti i materiali che nel corso dell’esercizio sono stati acquistati per la produzione. La parte di essi che non ha generato ricavi (perché non è stata venduta) va a incrementare le rimanenze finali.

Spese per prestazioni di lavoro. Riguardano i salari e gli stipendi per il personale dipendente, nonché le somme stanziate nell’esercizio per i contributi sociali (versamenti per il sistema sanitario ecc.).

Spese per prestazioni di servizi. In questa voce rientrano tutti i costi che non riguardano direttamente la produzione, ma che a essa sono strettamente collegati. Per esempio, spese pubblicitarie, di trasporto, telefoniche ecc.

Interessi passivi e oneri finanziari. Sono le somme che l’impresa ha dovuto pagare nel corso dell’esercizio per i capitali presi a prestito. Questi ultimi possono avere la forma di scoperti bancari, di prestiti obbligazionari, di mutui o altro.

Ammortamenti. Gli impianti e le altre immobilizzazioni rimangono attive , per diversi anni, e quindi contribuiscono alla formazione del reddito di più esercizi. Il loro costo deve essere ripartito negli anni, in maniera che non incida per intero sul reddito dell’esercizio in cui vengono acquistati. Gli ammortamenti, che non danno origine a esborsi, assolvono a questa funzione. Si tratta di stanziamenti che gli amministratori fanno sulla base di stime circa il logorio e l’obsolescenza (una sorta di invecchiamento dovuto alla messa a punto di tecnologie più evolute) degli impianti nei diversi periodiLa legislazione fissa gli importi massimi per gli ammortamenti dei vari beni

Accantonamenti ai fondi di liquidazione e di previdenza. Le liquidazioni e i contributi pensionistici maturano col passare del tempo, anche se vengono versati ai dipendenti solo quando viene sciolto il rapporto di lavoro. L’impresa “mette da parte” le somme relative a queste voci imputando al reddito di ogni esercizio le quote maturate nel periodo.

Accantonamenti ai fondi di copertura dei rischi: l’impresa si protegge dai rischi di perdite inattese, per esempio dovute a svalutazione di titoli in portafoglio o a inesigibilità dei crediti, stanziando per ogni esercizio, in base a stime prudenziali, una parte del reddito. Se, per ipotesi, nel corso di un esercizio crolla il valore delle azioni comprate in Borsa dalla società, tale perdita viene “assorbita” utilizzando gli accantonamenti stanziati in passato, in modo che non pesi totalmente sul reddito dell’esercizio in cui si è verificata.

Minusvalenze. Sono perdite (cioè differenze negative fra ricavi e costi) subite per la vendita di beni strumentali o accessori che non rientrano nell’attività caratteristica d’impresa. Sono esattamente il contrario delle plusvalenze.

Spese e perdite diverse. In questa voce vengono iscritti tutti i costi che non hanno trovato una collocazione in una delle categorie precedenti. Se, per esempio, la società subisce un furto, dovrà in qualche modo registrare l’avvenimento in bilancio. Poiché la voce “furto” non rientra in quelle previste dallo schema presentato, la società iscriverà il danno subito in quest’ultima categoria di costi.

Imposte, tasse e accantonamenti relativi. Non tutte le imposte di competenza dell’esercizio vengono versate nell’esercizio stesso. L’impresa, dunque, sulla base degli oneri fiscali che ritiene siano di competenza dell’anno in cui redige il bilancio, accantona (cioè ne tiene conto ai fini della determinazione dell’utile netto del periodo) le somme necessarie.

IL CONTO ECONOMICO REDATTO SECONDO L’ART. 2425 BIS DEL CC IN FORMA SCALARE

Sempre sul piano formale, il conto economico può anche apparire in forma scalare.

In questo caso vengono elencati innanzitutto le componenti positive del reddito attinenti l’attività principale dell’azienda; da queste vengono dedotte le componenti negative del reddito sempre relative all’attività principale dell’azienda; vengono poi aggiunte le componenti positive di natura diversa dalle vendite e sottratti le componenti negative attinenti l’amministrazione dell’azienda; sottratte infine le imposte, ne risulta una cifra che se è positiva è detta Utile, se negativa è detta Perdita.

Conto Economico secondo l’art. 2425 bis del cc in forma scalare

 

 

 

Ricavi da vendite (beni e servizi)

 

 

+/-

Variazione prezzi a fatturare

A

RICAVI NETTI

=

 

 

 

+/-

immobilizzazioni da produzione interna

B

VALORE PRODOTTO

=

 

 

 

-

Acquisti materie prime

 

 

-

Prestazioni per servizi

 

 

+/-

Variazioni delle rimanenze

C

VALORE AGGIUNTO

=

 

 

 

-

Salari e stipendi (compreso TFR e oneri vari)

D

MARGINE OPERATIVO LORDO

=

 

 

 

-

ammortamenti

E

MARGINE OPERATIVO NETTO

=

 

 

 

-

Oneri finanziari

 

 

+

Proventi finanziari

F

RISULTATO OPERATIVO NETTO

=

 

 

 

-

Tributi sui redditi (tasse)

G

REDDITO NETTO

=

 

Il valore aggiunto nelle aziende di produzione

IL CONTO ECONOMICO SECONDO IL NUOVO ART. 2425 DEL CODICE CIVILE

Le nuove disposizioni introdotte con l’art. 2425 del cc hanno profondamente modificato lo schema del conto economico (vedere tabella).

Lo schema di conto economico si presenta nella configurazione “ a costi e valore della produzione complessiva realizzata nel periodo”. Essa è denominata “ a costi e valore della produzione” in quanto a formare la produzione economica nel senso di risultato, concorrono componenti positivi e negativi riferiti all’intera produzione ottenuta dall’impresa nel corso dell’esercizio, indipendentemente da quanto di questa è stata venduta.

La forma espositiva prescelta è quella a scalare.

I componenti positivi e negativi di reddito previsti dallo schema sono raggruppati con riferimento alle quattro aree nelle quali comunemente può essere scomposta la gestione aziendale, ossia:

·        area della gestione ordinaria

·        area della gestione finanziaria

·        area della gestione patrimoniale

·        area della gestione straordinaria

·        area della gestione tributaria

Conto Economico - schema secondo il nuovo art. 2425 del codice civile

A – valore della produzione

1 -Ricavi delle Vendite e delle prestazioni

 

2 -Variazione delle rimanenze prodotti finiti e semilavorati

 

3 - Variazioni dei lavori in corso su ordinazione

 

4 - Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni

 

5 -Altri ricavi e proventi

Totale A

1+2+3+4+5

B – Costi della produzione

6 -Per materie prime, merci, sussidiarie, di consumo

 

7 - Per servizi

 

8 - Per godimento beni di terzi

 

9 - Per il personale

 

10 - Ammortamenti e svalutazioni

 

11 - Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci

 

12 - Accantonamenti per rischi

 

13 - Altri accantonamenti

 

14 - Oneri diversi di gestione

Totale B

6+7+8+9+10+11+12+13+14

Differenza tra valore e costi di produzione ( A – B)

 

C – Proventi e oneri finanziari

15 - Proventi da partecipazioni (+)

 

16 - Altri proventi finanziari (+)

 

17 - Interessi ed altri oneri finanziari (-)

Totale C

15+16-17

D – Rettifiche di valore di attività finanziarie

18 – rivalutazioni (+)

 

19 – svalutazioni (-)

Totale D

18  - 19

E – Proventi e oneri straordinari

20 – proventi  con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n° 5)

 

21 – oneri proventi  con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n° 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti

Totale E

20 -21

Risultato prima delle imposte (A – B + /- C +/- D +/-E)

 

 

22 – imposte sul reddito di esercizio

 

26 utile (perdita) dell’esercizio

Il valore della produzione. L’aggregato fornisce una misura approssimata del reale “valore della produzione” dal quale tanto più si discosta :

-  quanto maggiori sono le variazioni delle rimanenze di prodotti e semilavorati;

-  quanto maggiore è il divario fra prezzi di vendita e costi di produzione.

Il costo della produzione . L’aggregato comprende tutti gli oneri sostenuti per l’ottenimento del prodotto e la sua commercializzazione

COME SI LEGGE UN BILANCIO D’ESERCIZIO

La materia è teorizzata e codificata sotto il nome di « analisi di bilancio »: si tratta di una disciplina, di origine statunitense e con una storia molto breve, che, contrariamente alla tradizionale dottrina ragionieristica italiana, confida nella possibilità di instaurare, pur entro certi limiti, alcuni raffronti e rapporti tra voci del bilancio in modo da poter formulare giudizi su certe caratterizzazioni della situazione e della gestione di un’azienda.

1. Il bilancio di esercizio è una fotografia della situazione aziendale, scattata in un certo momento, e scattata dopo avere opportuna mente messo in funzione l’azienda. Si ricorda che rapportare e confrontare tra loro voci di un solo bilancio non è produttivo, come non lo sarebbe il pretendere di giudicare un paesaggio sulla base di una sola fotografia, magari presa in un particolare momento di luce e da una particolare prospettiva, forse non ripetibili.

2. Per questo motivo è necessario disporre di più bilanci, almeno tre, di altrettanti anni consecutivi: in tal modo alla fotografia si vengono a sostituire dei fotogrammi di un film e si ha meglio la sensazione del soggetto osservato.

3. Se possibile, e purtroppo non sempre lo è, occorrerebbe disporre anche di altrettanti bilanci di altre aziende operanti nello stesso settore merceologico e con le stesse condizioni di mercato: in tal modo il discorso sul bilancio dell’azienda che ci interessa può fondarsi anche su utili termini di paragone con realtà similari.

4. Occorre rendere omogenei sul piano formale i vari bilanci sui quali si lavora, nel senso che è necessario riclassificare nella stessa maniera e con gli stessi criteri tutti i bilanci disponibili in modo da poter ragionare su voci che, al di là delle dizioni utilizzate da aziende diverse o dalla stessa azienda in epoche successive, abbiano lo stesso contenuto sostanziale.

Il PROBLEMA DELLA VALUTAZIONE DEL MAGAZZINO

Per magazzino si intende il luogo dove vengono stoccati i materiali iniziati, intermedi e finali del processo produttivo. Tuttavia, oltre ad una rilevanza fisica, esso ne ha una contabile fondamentale poiché costituisce una delle voci principali deI bilancio. Il valore globale del magazzino (scorte), infatti, costituisce una delle principali Attività del bilancio e quindi viene seguita con particolare cura dalla Contabilità Industriale durante l’anno, per confluire alla chiusura dei conti nella contabilità generale.

Poiché è pressoché impossibile seguire fisicamente i movimenti del magazzino, il carico (cioè l’entrata delle merci) e lo scarico (cioè l’uscita delle merci) in termini monetari vengono registrati contabilmente salvo una verifica, generalmente annuale, chiamata « inventario» , che dovrebbe controllare la corrispondenza tra il dato contabile e quello fisico.

Se l’azienda ha una certa dimensione il numero dei prodotti da inventariare può essere tale da rendere impossibile il controllo che allora viene svolto « a campione », verificando alcune voci scelte a caso. Le difficoltà sopra descritte aumentano sensibilmente quando si tratta di valutare prima e controllare poi i cosiddetti « semilavorati » o « pro dotti in ciclo » i quali non hanno ancora terminato tutte le operazioni produttive e non sono quindi ancora diventati « prodotti finiti ». Ciò nonostante essi devono essere portati a bilancio con un valore ben preciso.

In questo caso la valutazione è affidata alla discrezione dell’impresa che spesso la utilizza a fini di manipolazione del risultato economico ufficiale. In effetti la voce « Scorte » è quella che più si presta ad operazioni scorrette di politica di bilancio tanto più che è pressoché impossibile provare il dolo di dette operazioni.

Nel tentativo di rendere un po’ meno soggettive queste valutazioni, l’art. 2426 del CC  legge fornisce alcuni criteri:

LIFO (last in first out), cioè l’ultimo prodotto entrato in magazzino è il primo ad uscire (naturalmente solo sotto il profilo conta bile e non fisico). In un periodo di prezzi crescenti il magazzino con questo sistema viene sottovalutato perché è contabilizzato ai costi più vecchi, col che si crea una riserva occulta.

FIFO (first in first out), cioè il primo prodotto entrato in magazzino è il primo ad uscire. In questo caso, al contrario, sempre in un periodo di prezzi crescenti, si sopravvaluta il magazzino perché esso è valorizzato ai costi più recenti generando così plusvalenze inesistenti.

Media ponderata. E’ il criterio più corretto che meno si presta a manipolazioni ma è molto complesso da gestire contabilmente e quindi (ma forse non solo per questo) viene usato molto di rado.

I “RATIO”

La lettura del bilancio, così come indicata fino ad ora, non è sufficiente per soddisfare le esigenze conoscitive dei destinatari dell'informazione.

A tale scopo sono stati elaborati gli indici di bilancio, detti anche ratio, cioè indici interpretativi costituiti da rapporti tra i valori di bilancio da cui si ricavano informazioni sulla solidità (capacità di far fronte agli impegni e di onorare i debiti), sull'equilibrio patrimoniale-finanziario e la redditività (capacità di produrre utili) di un’azienda.

Sono definiti “sintetici” perché attraverso un semplice numero (il loro valore) si può capire in prima approssimazione se l’impresa va bene oppure no.

I ratio possono assumere un’infinità di valori, che dipendono dal tipo di attività che svolge l’azienda analizzata, dalle condizioni in cui opera (per esempio, il grado di concorrenza del mercato) e dall’andamento dell’economia (livello dell’inflazione, dei tassi d’interesse). Per esprimere un giudizio sul bilancio dell’impresa attraverso questi indici, quindi, è necessario avere sempre dei termini di paragone.

Il confronto può essere fatto o con gli stessi indici, ma calcolati sui bilanci passati della società, oppure con gli indici relativi ad aziende che operano nello stesso settore di quella esaminata. Nel primo caso si compie un’analisi storica, nel senso che si studia l’evoluzione di un’impresa nel corso di più anni. Nel secondo si svolge un’analisi comparativa, per vedere se l’impresa esaminata sta meglio o peggio delle concorrenti.

Esistono centinaia di ratio e ogni buon analista finanziario (chi studia bilanci per professione) ha nella sua valigetta qualche formula segreta messa a punto dopo anni di esperienza. Non solo, esistono anche diversi modi di calcolare gli stessi ratio, magari escludendo dai conti qualche voce di importanza secondaria. Ma nonostante la dovizia di metodi, di strumenti e di formule, c’è uno sparuto gruppetto di indici utilizzati da tutti gli analisti.

 Ecco una breve descrizione.

ROE (RETURN ON EQUITY)

È l’indice di redditività del capitale investito  nell’impresa dagli azionisti.

Si calcola come rapporto tra l’utile netto e mezzi propri. Questi ultimi sono dati dalla somma del capitale sociale, delle riserve e delle quote di utili non distribuite negli esercizi precedenti.

ROI (RETURN ON INVESTMENT)

È il quoziente di redditività operativa, che misura l’attitudine dell’attività caratteristica a generare redditi.

Per le aziende di produzione il ROI si calcola come rapporto tra il risultato della gestione industriale (il reddito operativo, che è desumibile dal conto economico) e l’insieme degli investimenti a essa collegati (le attività operative iscritte nello stato patrimoniale).

QUOZIENTE DI INDEBITAMENTO

È’ il rapporto tra i debiti finanziari e i mezzi propri.

Serve per valutare quanto pesano i debiti sulle. modalità di finanziamento dell’impresa. Una certa quota di debiti finanziari (quelli sui quali l’azienda deve corrispondere degli interessi) è fisiologica per ogni impresa. Tale quota varia a seconda del tipo di attività svolta; oltre un certo limite, però, gli utili della società rischiano di risentirne, mettendo in pericolo le prospettive di guadagno degli azionisti. Gli interessi, infatti, vanno pagati comunque e pesano sul risultato d’esercizio.

L’INDICE DI EFFICIENZA DEL LAVORO

Indica quanti euro di fatturato vengono prodotti per 1 euro di costo del lavoro.

Esso è dato da

esso varia molto da settore a settore

CAPITALE CIRCOLANTE

E’ il capitale necessario a far funzionare l’azienda una volta costituita.

Il capitale circolante netto si determina per differenza tra le attività correnti e le passività correnti:

cap. circolante = attività correnti - passività correnti

In cui:

·        le attività correnti sono date dalla somma delle attività liquide  e quelle disponibili

·        le passività correnti comprendono tutti gli impegni finanziari che non hanno scadenza o che hanno scadenza in genere non superiore all’anno.

INDICE DI LIQUIDITÀ’ CORRENTE

Indica in quale misura una azienda potrà far fronte agli impegni correnti con i fondi liquidi o immediatamente disponibili.

Esso è dato dal rapporto tra le attività circolanti (correnti)  e le passività a breve, ossia

CASH FLOW

Nell’analisi finanziaria con questo termine si intende la somma dell’utile e degli ammortamenti iscritti a bilancio.

Si tratta del flusso di liquidità generato dall’attività dell’azienda nel corso dell’esercizio.

Il cash flow è un valido complemento all’utile di esercizio nelle analisi di redditività aziendale.

CODICE CIVILE (art. 2424 -art. 2425 – art. 2426)

Codice Civile Art. 2424. Contenuto dello stato patrimoniale (1)

Lo stato patrimoniale deve essere redatto in conformità al seguente schema

ATTIVO:

A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata.

B) Immobilizzazioni:

I - Immobilizzazioni immateriali (2):

·        costi di impianto e di ampliamento;

·        costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità;

·        diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno;

·        concessioni, licenze, marchi e diritti simili;

·        avviamento;

·        immobilizzazioni in corso e acconti;

·        altre.

Totale.

II - Immobilizzazioni materiali (3) (4):

·        terreni e fabbricati;

·        impianti e macchinario;

·        attrezzature industriali e commerciali;

·        altri beni;

·        immobilizzazioni in corso e acconti.

Totale.

III - Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l’esercizio successivo (5):

1) partecipazioni in (6):

a.      imprese controllate;

b.      imprese collegate;

c.      imprese controllanti;

d.      altre imprese;

2) crediti:

a.      verso imprese controllate;

b.      verso imprese collegate;

c.      verso controllanti;

d.      verso altri;

3) altri titoli;

4) azioni proprie, con indicazioni anche del valore nominale complessivo.

Totale.

Totale immobilizzazioni (B);

C) Attivo circolante:

 I - Rimanenze (7):

1) materie prime, sussidiarie e di consumo;

2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;

3) lavori in corso su ordinazione;

4) prodotti finiti e merci;

5) acconti.

Totale.

II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) verso clienti;

2) verso imprese controllate;

3) verso imprese collegate;

4) verso controllanti;

5) verso altri.

Totale.

III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni (8) (9):

1) partecipazioni in imprese controllate;

2) partecipazioni in imprese collegate;

3) partecipazioni in imprese controllanti;

4) altre partecipazioni;

5) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo;

6) altri titoli.

Totale.

IV - Disponibilità liquide:

1) depositi bancari e postali;

2) assegni;

3) danaro e valori in cassa totale.

Totale attivo circolante (C);

D) Ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti (10).

PASSIVO:

A) Patrimonio netto (11):

I - Capitale.

II - Riserva da sovrapprezzo delle azioni.

III - Riserve di rivalutazione.

IV - Riserva legale.

V - Riserva per azioni proprie in portafoglio.

VI - Riserve statutarie.

VII - Altre riserve, distintamente indicate.

VIII - Utili (perdite) portati a nuovo.

IX - Utile (perdita) dell’esercizio.

Totale.

B) Fondi per rischi e oneri (12):

1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili;2) per imposte;

3) altri.

Totale.

C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato.

D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) obbligazioni (13);

2) obbligazioni convertibili (14);

3) debiti verso banche;

4) debiti verso altri finanziatori;

5) acconti;

6) debiti verso fornitori;

7) debiti rappresentati da titoli di credito;

8) debiti verso imprese controllate;

9) debiti verso imprese collegate;

10) debiti verso controllanti;

11) debiti tributari (15);

12) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale;

13) altri debiti.

Totale.

E) Ratei e risconti, con separata indicazione dell’aggio su prestiti.

Se un elemento dell’attivo o del passivo ricade sotto più voci dello schema, nella nota integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario ai fini della comprensione del bilancio, la sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è iscritto.

In calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi tra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d’ordine (16).

NOTE

(1) Art. così sostituito ex art. 5, d.lgs. 9-4-1991.

(2) La voce relativa alle immobilizzazioni immateriali comprende: a) costi pluriennali (costi di impianto e d’ampliamento, costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità) ossia quei costi che possono essere portati ad incremento del capitale (possono cioè essere capitalizzati) in modo tale da differirne nel tempo la loro imputazione a conto economico; b) attività immateriali (diritto di brevetto, concessioni, licenze, marchi); c) l’avviamento; d) gli acconti pagati su acquisto di attività immateriali; e) una voce residuale indicata con «altre». Un’attenzione particolare va riservata all’avviamento. Questo può essere infatti definito come il maggior valore riconosciuto ad un’azienda già funzionante rispetto a quello attribuibile ad un’azienda che si va a costituire ex novo. È evidente infatti come un’azienda già avviata sia in grado di produrre redditi maggiori avendo già una propria clientela, propri fornitori, condizioni tali insomma da consentire di ottenere risultati migliori rispetto ad un’impresa che si va ad immettere sul mercato e che deve crearsi quindi il proprio spazio. Da un punto di vista meramente contabile l’avviamento può essere calcolato come differenza tra il capitale economico (calcolato in funzione della capacità dell’azienda di produrre reddito nel futuro) e il capitale contabile (ossia il patrimonio netto). Si ricorda infine che l’avviamento potrà essere iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale «solo se è stata pagata una somma a tale titolo nell’acquisto dell’azienda alla quale si riferisce, e per un importo non superiore al prezzo pagato» [v. 2427].

(3) Una particolare novità introdotta con il d.lgs. 127/91 attuativo della IV Direttiva CEE è l’indicazione delle immobilizzazioni al netto dei fondi rettificativi (ammortamento diretto). L’ammortamento diretto già previsto per le immobilizzazioni immateriali è stato esteso dal legislatore anche a quelle materiali. È facilmente desumibile dalla mancanza nel passivo dello stato patrimoniale dei fondi di ammortamento.

(4) Le immobilizzazioni materiali comprendono: a) terreni e fabbricati i quali nello stato patrimoniale devono essere indicati separatamente. In particolare si ricorda che i terreni hanno in genere vita utile illimitata e pertanto non sono soggetti ad ammortamento; b) impianti e macchinari; c) attrezzature; d) altri beni; e) immobilizzazioni in corso ed acconti. Quest’ultima voce accoglie non solo quelle immobilizzazioni materiali non ancora completate ma anche quelle complete e pronte per l’utilizzo ma non ancora impiegate all’interno dell’azienda.

(5) Un’attenzione particolare meritano le partecipazioni. Con tale termine si indica il numero di azioni o quote del capitale di una società posseduta da un’altra società. Affinché le partecipazioni possano essere considerate come immobilizzazioni è opportuno prendere in esame la destinazione delle stesse. Secondo le disposizioni del successivo articolo 2424bis, comma 2, le partecipazioni si presumono immobilizzazioni se sono detenute in misura non inferiore al 20% o al 10% se trattasi di società quotate in Borsa [art. 2359, ultimo comma]. È necessario poi indicare separatamente la partecipazione in imprese collegate, controllate e controllanti. Al fine dell’individuazione delle imprese collegate e controllate si rinvia all’art. 2359. Per quanto riguarda i crediti rientranti nelle immobilizzazioni finanziarie è necessario indicare separatamente gli importi esigibili entro l’esercizio successivo ossia quella parte dei crediti immobilizzati più prontamente liquidabile. Infine nella voce altri titoli verranno inserite le obbligazioni, titoli di stato (BTP, CCT), titoli emessi da enti privati diversi dalle azioni destinati durevolmente all’attività d’impresa.

(6) Numero così sostituito ex art. 6, d.lgs. 2-5-1994, n. 315.

(7) Le rimanenze sono beni materiali il cui costo è rinviato a futuri esercizi e comprendono: a) materie prime, sussidiarie e di consumo: le materie prime sono quei materiali che devono essere sottoposti al processo produttivo e quindi trasformati per dare luogo a semilavorati o a prodotti finiti; le materie sussidiarie sono ad esempio gli imballaggi ed i materiali per il confezionamento del prodotto; infine le materie di consumo sono utilizzate nel processo produttivo ma non diventano parte del prodotto finito (lubrificanti, mole etc.); b) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati: i primi sono prodotti che non sono giunti ancora allo stadio lavorativo finale, mentre i semilavorati sono parti finite che possono essere sottoposte ad ulteriori processi di trasformazione. È chiaro che se l’impresa vendesse i semilavorati allora questi andrebbero contabilmente considerati come prodotti finiti; c) lavori in corso su ordinazione: ci si riferisce in genere a lavori effettuati sulla base di contratti di appalto; d) prodotti finiti e merci: i prodotti finiti sono quelli derivanti dalle trasformazioni dei processi produttivi e si riferiscono più propriamente alle imprese di produzione industriale diretta; le merci, invece, sono quelle destinate alla commercializzazione senza subire processi di trasformazione e si riferiscono più propriamente alle imprese mercantili; e) acconti: sono degli anticipi versati per l’acquisto delle merci.

(8) Così sostituito ex art. 6, d.lgs. 2-5-94, n. 315.

(9) Nell’ambito delle attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni si collocano anche le azioni proprie destinate ad operazioni di compravendita sul mercato ossia quelle azioni che vengono acquistate dalla società solo temporaneamente (per far alzare, per esempio, il valore dei titoli) in quanto destinate in realtà all’attività di trading. Le azioni proprie destinate ad essere detenute durevolmente dalla società saranno infatti inserite tra le immobilizzazioni finanziarie.

(10) La presenza di ratei e/o risconti nel bilancio d’esercizio presuppone l’esistenza di contratti, alla data di chiusura, di durata (es.: fitti, mutui, leasing) da cui possono derivare oneri o proventi comuni a due o più esercizi. Essi vengono rilevati attraverso le scritture di assestamento. In particolare i ratei attivi vengono rilevati nell’ambito delle scritture integrative ed hanno come contropartita la quota di ricavo di competenza dell’esercizio o degli esercizi futuri e che dovrà essere liquidata in tali esercizi. I risconti attivi vengono invece rilevati nell’ambito delle scritture di rettifica ed hanno come contropartita la quota di costi di competenza dell’esercizio successivo che dev’essere portata quindi in diminuzione del costo complessivo cui si riferisce.

(11) Il nuovo schema dello stato patrimoniale permette una chiara e rapida identificazione del patrimonio netto e di tutte le sue componenti eliminando precedenti dubbi esistenti in proposito. In particolare secondo la nuova configurazione anche l’utile (o la perdita) costituisce parte integrante del patrimonio netto così come le perdite di esercizi precedenti non ancora ripianate. La previsione di uno specifico raggruppamento del patrimonio netto ha quindi reso più chiara la natura delle diverse voci iscritte nel passivo dello stato patrimoniale contribuendo al principio di chiarezza di cui all’art. 2423.

(12) Per quanto riguarda gli elementi da inserire nel Fondo rischi ed oneri si rinvia all’art. 2424bis dove vengono precisati i limiti degli accantonamenti che possono essere effettuati. Può essere tuttavia utile esaminare brevemente nel dettaglio i singoli fondi di tale aggregato. I tre sottogruppi principali sono: a) fondi per trattamento di quiescenza ed obblighi simili: vi si iscriveranno i fondi pensione, i fondi premi e fedeltà ed in genere quelli derivanti dalla contrattazione collettiva o da attività di integrazione aziendale; b) fondo per imposte: in particolare vi si accantonano somme in relazione all’esistenza di contenziosi con l’amministrazione finanziaria o imposte che sono state differite nel tempo e che quindi si pagheranno negli esercizi futuri; c) altri: comprendono tutta una serie di fondi come ad esempio fondi per rischi su cause in corso con terzi o con dipendenti che si prevede avranno esito sfavorevole, il fondo garanzia prodotti che si riferisce a ricavi già percepiti per la cessione di beni coperti da garanzia e per i quali è quindi normale prevedere la possibilità di uscite per il futuro.

(13) Se la società ha scelto come via di finanziamento l’emissione di obbligazioni (che sono valori mobiliari rappresentativi di quote di un capitale frazionato in una moltitudine di parti sottoscritte da più prestatori) dovrà indicare in questa voce il valore nominale delle obbligazioni emesse ma che non sono state ancora rimborsate ai sottoscrittori. L’azienda sceglierà le modalità di rimborso del prestito che potrà quindi essere ammortizzato con il metodo francese (o a rate costanti) o con il metodo a quote capitale costanti etc.

In particolare va detto che se le obbligazioni sono emesse al di sotto della pari, vale a dire il valore nominale dell’obbligazione è superiore al valore pagato dal sottoscrittore all’atto dell’emissione del titolo, l’azienda dovrà registrare nella sua contabilità un disaggio di emissione pari alla differenza tra il prezzo di emissione (cioè l’importo che l’azienda ha visto affluire nei suoi capitali) ed il valore nominale dell’obbligazione (che è quello per cui ha registrato il suo debito nel passivo dello stato patrimoniale). Tale disaggio di emissione quindi, come già accennato, andrà iscritto nella voce ratei e risconti dell’attivo dello stato patrimoniale ed andrà ammortizzata in ogni esercizio per tutta la durata del prestito. Verrà cioè considerato come un costo che è stato monetariamente sostenuto tutto in un esercizio ma che essendo di competenza di più esercizi dovrà essere a questi riferito. Allo stesso modo potrebbe verificarsi un aggio di emissione nel caso contrario; se infatti l’azienda è talmente consolidata sul mercato o offre elevati tassi di interesse per l’obbligazione, può decidere di emettere il prestito al di sopra della pari, vale a dire che il valore nominale dell’obbligazione è inferiore al valore pagato dal sottoscrittore all’atto dell’acquisto del titolo. In tal caso la differenza tra il valore di emissione ed il valore nominale dell’obbligazione costituisce un aggio di emissione che deve essere contabilmente iscritto nella voce ratei e risconti passivi.

(14) Le obbligazioni convertibili attribuiscono al loro sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore della società emittente sino alla naturale scadenza del titolo, ovvero di convertire entro determinati tempi ed in base a rapporti di cambio prefissati, le obbligazioni in altri titoli della società emittente (conversione diretta) o di altre società comunque collegate a quella emittente, nel caso della conversione indiretta. In caso di conversione diretta, la differenza tra il valore nominale delle obbligazioni convertite ed il valore nominale delle obbligazioni emesse si porta a fondo sovrapprezzo azioni. In questa voce di bilancio inseriremo quindi il valore nominale delle obbligazioni convertibili emesse ed ancora in circolazione alla fine dell’esercizio (in questo caso non è possibile emettere le obbligazioni per un valore inferiore a quello nominale delle stesse).

(15) Un altro criterio da rispettare, nuovo rispetto alla previgente disciplina, è quello relativo all’esposizione dei valori netti. Con riferimento ai debiti tributari questi dovranno essere esposti al netto degli acconti versati, delle ritenute subite nell’anno, dei crediti d’imposta sui dividendi e degli eventuali crediti per imposte di esercizi precedenti riportati a nuovo.

(16) Per quanto riguarda i conti d’ordine non è più necessaria l’indicazione degli stessi sia in calce dell’attivo che del passivo dello stato patrimoniale ma è sufficiente la loro indicazione solo in calce del passivo. Inoltre ai fini di una rappresentazione veritiera e corretta è opportuno che vengano indicati separatamente i rischi di garanzia, i rischi diversi da quelli di garanzia, gli impegni ed eventuali altri conti evitando quindi un’indicazione confusionaria. Si ricorda infatti che i conti d’ordine sono espressione di rischi ed impegni che gravano sull’azienda e che potrebbero avere ripercussioni sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della stessa.

Codice Civile Art. 2425. Contenuto del conto economico (1)

Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente schema:

A) Valore della produzione (2):

1)     ricavi delle vendite e delle prestazioni;

2)     variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;

3)     variazioni dei lavori in corso su ordinazione;

4)     incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;

5)     altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio.

Totale (3).

B) Costi della produzione:

6)     per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;

7)     per servizi;

8)     per godimento di beni di terzi;

9)     per il personale:

a)     salari e stipendi;

b)     oneri sociali;

c)      trattamento di fine rapporto (4);

d)     trattamento di quiescenza e simili;

e)     altri costi;

10)  ammortamenti e svalutazioni (5) (6):

a)     ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;

b)     ammortamento delle immobilizzazioni materiali;

c)      altre svalutazioni delle immobilizzazioni;

d)     svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;

11)  variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;

12)  accantonamenti per rischi;

13)  altri accantonamenti;

14)  oneri diversi di gestione.

Totale.

Differenza tra valore e costi della produzione (A-B) (7).

C) Proventi e oneri finanziari (8):

15)  proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate;

16)  altri proventi finanziari:

a)     da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da    imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti;

b)     da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;

c)      da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;

d)     proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti;

17)  interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e collegate e verso controllanti.

Totale (15 + 16 - 17).

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie:

18)  rivalutazioni:

a)     di partecipazioni;

b)     di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;

c)      di titoli iscritti all’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;

19)  svalutazioni:

a)     di partecipazioni;

b)     di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;

c)      di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni.

Totale delle rettifiche (18-19) (9).

E) Proventi e oneri straordinari:

20)  proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n. 5);

21)  oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti.

Totale delle partite straordinarie (20-21).

Risultato prima delle imposte (A - B +/ - C +/ - D +/ - E) (10);

22)  imposte sul reddito dell’esercizio;

23)  (Omissis) (11);

24)  (Omissis) (11);

25)  (Omissis) (11);

26)  utile (perdita) dell’esercizio (12).

NOTE

(1) Art. così sostituito ex art. 7, d.lgs. 9-4-1991, n. 127.

(2) Nell’ambito di tale aggregato un accenno particolare dev’essere fatto con riferimento alla sottovoce 2), «variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti», e alla sottovoce 4), «incrementi di immobilizzazioni per lavori interni». La novità introdotta dal nuovo schema di conto economico di cui al presente articolo è proprio quella di esporre unicamente il saldo della variazione delle rimanenze. Non apparirà più in bilancio la separata indicazione delle rimanenze iniziali e finali: se vi è un incremento del valore delle rimanenze rispetto all’esercizio precedente, tale valore presenterà segno negativo. Si noti come sia necessario tenere distinte le variazioni delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati ed in corso di lavorazione che si riferiscono a costi che hanno prodotto valore aggiunto per l’azienda, dalla variazione di rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo che non sono state sottoposte ancora a nessun processo produttivo e quindi non hanno prodotto valore aggiunto ed in quanto tali andranno inserite nel gruppo B relativo al costo della produzione.

Per quanto riguarda invece la sottovoce relativa agli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni questa ricomprende quegli incrementi realizzati in seguito a lavori svolti in economia all’interno della azienda per la produzione di immobilizzazioni. I costi interni (personale, materiali prelevati dal magazzino, utilizzo di macchinari e attrezzature) sostenuti per la costruzione di beni all’interno dovranno essere capitalizzati (ossia portati ad incremento del valore delle immobilizzazioni cui si riferiscono e quindi in definitiva ad incremento del valore del capitale) tramite l’utilizzo della voce in esame. In particolare, per i beni ancora in costruzione alla chiusura dovrà essere effettuata la rilevazione «Immobilizzazioni in corso e acconti» e «Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni». Il primo è un conto che affluisce allo Stato Patrimoniale mentre il secondo rappresenta in realtà un conto rettificativo.

(3) Il d.l. 127/91 di attuazione della IV Direttiva ha scelto per il conto economico, tra le varie alternative possibili, la forma scalare. Mediante tale struttura il reddito di esercizio emerge da una serie di valori di sintesi; infatti, esso è inteso come il valore della produzione a cui si sottraggono i costi dei fattori di produzione utilizzati per il suo conseguimento; la nuova struttura del conto consente di ottenere risultati parziali interessanti. In particolare vengono evidenziati i risultati delle varie gestioni (caratteristica, finanziaria, straordinaria, fiscale) fino a giungere alla determinazione del risultato d’esercizio. Anche per tale documento le disposizioni in materia di struttura e di contenuto sono inderogabili (fatta eccezione per alcune categorie di imprese soggette a leggi speciali) [v. 2423ter]. È importante segnalare come, nonostante le importanti novità introdotte con il d.lgs. 127/91, parte delle informazioni ottenibili con il precedente schema «a costo del venduto» sono andate perse. Infatti dalla differenza tra i ricavi realizzati e le vendite (prevista con il precedente schema) si potevano ottenere informazioni migliori sulla reale situazione economica dell’impresa. Con l’attuale schema, invece, un incremento del valore della produzione non è sufficientemente significativo potendo essere dovuto semplicemente ad un aumento della produzione che non trova riscontro in un incremento della vendita ma bensì in un aumento delle giacenze di magazzino.

(4) In tale voce va inserita chiaramente la quota di trattamento di fine rapporto che dev’essere accantonata al fine di costituire il relativo fondo. Si tratta infatti di un costo connesso alla gestione caratteristica in quanto relativo ai dipendenti utilizzati per l’attività d’impresa.

(5) L’ammortamento è il processo economico-contabile con il quale si attua la ripartizione di un costo pluriennale in più esercizi. Si tratta infatti di quei costi sostenuti per l’acquisto delle immobilizzazioni (materiali e immateriali) che cedono la loro utilità nell’arco di più esercizi. Conseguentemente il costo sostenuto per il loro acquisto dovrà essere suddiviso in tale arco di tempo al fine di determinare la quota di competenza di ciascun esercizio. In realtà, da un punto di vista esclusivamente economico, tale quota dovrebbe essere calcolata tenendo conto dell’effettivo contributo del bene all’attività produttiva nel corso del periodo considerato e quindi dalla sua possibile utilità futura. Tuttavia nella pratica vengono spesso utilizzati criteri rigidi di tipo matematico in base ai quali il valore da ammortizzare viene suddiviso per il numero di anni di vita utile del bene e quindi la relativa quota è calcolata in modo costante.

(6) Per quanto riguarda le svalutazioni delle immobilizzazioni, il riferimento è a quelle perdite subite da tali beni dovute ad eventi esterni che non possono quindi essere ricomprese nel normale processo di ammortamento. I criteri con i quali dovrà essere effettuata tale svalutazione sono indicati all’art. 2426. È prevista inoltre anche l’indicazione della svalutazione dei crediti: ciò consente di individuare il valore di presunto realizzo degli stessi. In tal caso la svalutazione inciderà sul risultato d’esercizio negativamente.

(7) I costi della produzione includono quelli per materie prime, merci e le relative variazioni delle rimanenze, i costi per il personale, gli accantonamenti per rischi, gli ammortamenti sia di beni materiali che immateriali; in tale voce non sono indicati tutti i costi relativi alle operazioni finanziarie. Il conto economico indica la differenza tra il valore e il costo della produzione. Tale differenza include sia voci relative alla gestione operativa dell’impresa, sia altri ricavi di natura diversa.

(8) Tale aggregato comprende:

a) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate;

b) Altri proventi finanziari, che possono derivare:

— da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e verso controllanti;

— da titoli iscritti nelle immobilizzazioni (non partecipazioni);

— da titoli iscritti nell’attivo circolante (non partecipazioni);

— proventi diversi dai precedenti come gli interessi attivi bancari.

c) Interessi ed altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate verso controllanti.

(9) Le rettifiche di valore delle attività finanziarie comprendono rivalutazione e svalutazioni delle stesse. Per quanto riguarda le rivalutazioni queste possono riguardare: partecipazioni sia immobilizzate che iscritte nell’attivo circolante; immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni. Le svalutazioni possono essere dovute a: partecipazioni sia immobilizzate che iscritte nell’attivo circolante (cioè le minusvalenze non derivanti da alienazioni ma per perdite durevoli di valore della partecipazione o derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto); immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni (per abbattimento al valore di mercato ove inferiore al costo).

(10) Proventi e oneri straordinari: si tratta di componenti di reddito estranei all’attività ordinaria dell’impresa (es. interessi su titoli). Possono rientrare in questa voce plusvalenze (ossia incrementi di reddito di natura straordinaria) derivanti da cessioni di rami aziendali o di immobili strumentali all’attività d’impresa o derivanti da variazioni dei criteri di valutazione adottati o infine anche sopravvenienze attive derivanti da fatti indipendenti dall’attività d’impresa. Rientrano in tale aggregato anche le minusvalenze da alienazioni ossia quei componenti negativi di reddito di natura straordinaria che derivano dalla differenza tra il valore realizzato al momento dell’alienazione del bene ed il suo valore contabile.

(11) Numero abrogato ex art. 2bis, d.L. 29-6-1994, n. 416 (conv. in L. 8-8-1994, n. 503) recante Disposizioni fiscali in materia di reddito d’impresa.

(12) Attraverso i dati parziali (A, B, C, D, E) è possibile evidenziare nel conto economico il risultato prima delle imposte. Sottraendo da quest’ultimo le imposte sul reddito dell’esercizio è possibile ottenere l’utile (o la perdita) dell’esercizio. È importante sottolineare come tale risultato sia influenzato dalla normativa fiscale. Molto spesso accade infatti che gli imprenditori effettuino degli ammortamenti e delle rettifiche di valore esclusivamente per ottenere un risultato che sia civilisticamente corretto, così è opportuno tenere conto di tutte le informazioni contenute in nota integrativa relative agli effetti fiscali.

Codice Civile Art 2426.  Criteri di valutazione. (1)

Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti criteri:

1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi (2);

2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa (3);

3) l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minor valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata (4).

Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall’applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo n. 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa (5);

4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al n. 1, per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423bis.

Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’impresa controllata o collegata può essere iscritto nell’attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all’avviamento, deve essere ammortizzata.

Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile;

5) i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a che l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati;

6) l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni. È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l’utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa (6);

7) il disaggio su prestiti deve essere iscritto nell’attivo e ammortizzato in ogni esercizio per il periodo di durata del prestito;

8) i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione;

9) le rimanenze, i titoli (7) e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il n. 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione (8);

10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli di «primo entrato, primo uscito» (Fifo) o «ultimo entrato, primo uscito» (Lifo); se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa;

11) i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza (9);

12) le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell’attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all’attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione.

 È consentito effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie (10).

(1) Art. così sostituito ex art. 9, d.lgs. 9-4-1991, n. 127.

(2) Il criterio del costo è stato introdotto dal legislatore italiano con riferimento a tutte le immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie). Esso chiaramente potrà essere modificato a seconda della natura delle immobilizzazioni cui fa riferimento. In particolare con riferimento alle immobilizzazioni materiali il costo d’acquisto (o di produzione) include anche i costi accessori nonché eventuali costi indiretti i quali potranno contribuire alla formazione del suddetto costo storico (o d’acquisto) soltanto per quella quota che può essere «ragionevolmente» imputata al bene prodotto. Secondo il criterio della ragionevolezza dovranno essere seguite le normali tecniche di imputazione dei costi indiretti. Chiaramente le spese indirette possono essere capitalizzate (cioè possono essere imputate al prodotto) solo per il periodo di costruzione del bene. Possono essere inoltre capitalizzati gli oneri finanziari (in genere si tratta di interessi passivi) relativi ai finanziamenti ottenuti per la costruzione dei beni. Non verranno capitalizzati invece quegli oneri (finanziari) relativi a beni pagati dopo la consegna dei fornitori.

(3) La formulazione prevista dal punto 2) dell’articolo in esame introduce un concetto di ammortamento più vicino alle esigenze economiche e più rispondente in tale senso alla funzione tipica dell’ammortamento stesso. Questo infatti non è più commisurato solo al deperimento fisico dei beni ma prende in considerazione anche una serie di altri fattori quali l’obsolescenza e le politiche di manutenzione la cui valutazione risulta essere necessaria al fine di individuare la possibile durata (e quindi utilizzazione) residua del bene. Il metodo di ammortamento generalmente utilizzato è quello a quote costanti in quanto di più semplice applicazione e più idoneo al confronto dei bilanci.

(4) L’obbligo di svalutazione è previsto non solo per le immobilizzazioni materiali e immateriali già ammortizzate ma anche per quelle non soggette ad ammortamento quale ad esempio i terreni. Il motivo per il quale si procede a tale svalutazione è quello di consentire di coprire tutti i costi relativi al bene attraverso l’utilizzo dello stesso. Nel momento in cui il bene risulti di valore inferiore rispetto a quello calcolato secondo i criteri di cui al punto 1) e 2) potrebbero verificarsi delle perdite negli esercizi futuri se non si riconduce il costo del bene (attraverso una svalutazione del relativo valore) a quello recuperabile in futuro.

(5) Il motivo per il quale la differenza tra il valore al quale la partecipazione è iscritta in bilancio e il valore della partecipazione derivante dall’applicazione del metodo del patrimonio netto deve essere indicata in nota integrativa è quello di evitare che vengano nascoste perdite che dovrebbero invece essere evidenziate attraverso una svalutazione.

(6) Il periodo di ammortamento previsto per le immobilizzazioni immateriali è di cinque anni. Tuttavia è possibile ampliare tale periodo con riferimento all’avviamento. Non viene però indicato il periodo di durata superiore entro il quale può essere effettuato l’ammortamento. Si ritiene che tale periodo debba essere determinato valutando la capacità di produrre redditi futuri dell’azienda essendo il costo relativo all’avviamento sostenuto proprio in funzione della capacità dell’azienda di essere in grado di produrre maggiori utili nel futuro. Un accenno va fatto al rischio derivante dalla possibilità di capitalizzazione concessa dal legislatore. Può infatti accadere che alcune imprese, con una situazione economica non particolarmente brillante, ricorrano alla capitalizzazione dei costi di ricerca e sviluppo e di pubblicità per migliorare la propria situazione contabile. Verrebbe così minata la tutela dei terzi in quanto tali attività risulterebbero non effettivamente realizzabili in caso di dissesto.

(7) Nel caso di specie si fa riferimento alle azioni emesse da altre società, alle obbligazioni [v. 2410] e gli altri titoli in serie [v. 2000].

(8) La valutazione delle rimanenze va quindi effettuata al minore tra il costo di acquisto o di produzione, comprensivo degli oneri accessori e di quella quota di costi indiretti imputabili all’oggetto di riferimento (così come stabilito al punto 1 di tale articolo), e il costo desumibile dall’ordinamento del mercato ossia il prezzo al quale si ritiene di poter vendere le merci calcolato al netto dei costi accessori e delle spese sostenute per vendere il bene (imballaggi, trasporti etc.) stesso.

(9) Il criterio di valutazione adottato per i lavori in corso su ordinazione rappresenta l’unica eccezione al criterio del costo sancito dal presente articolo. Il motivo di tale deroga risiede nella circostanza secondo la quale la valutazione del corrispettivo può essere effettuata solo in ragione della frazione di lavoro di volta in volta eseguita. Conseguentemente è ammesso abbandonare il criterio del costo e adottare quello del ricavo purché i corrispettivi siano maturati con ragionevole certezza. È chiaro tuttavia che il criterio di valutazione di cui al punto 11) del presente articolo si pone come un criterio alternativo e non sostitutivo di quello del costo che continua ad essere il criterio base cui ispirarsi nell’effettuare qualsiasi genere di valutazione.

(10) Comma aggiunto ex art. 2bis, d.l. 29-6-1994, n. 416 (conv. in l. 8-8-1994, n. 503) recante Disposizioni fiscali in materia di reddito d’impresa.