SALARIO
E MODELLI CONTRATTUALI[1]
Lavoro
Società – Cgil di Lodi
Considerazioni generali
La caratteristica di questi rapporti di produzione è
sicuramente l’esistenza della forza lavoro salariata, una merce
disponibile e reperibile sul mercato del lavoro il cui prezzo immediato
(salario retribuzione) è determinato dai risultati della lotta economica
sindacale.
A differenza delle altre merci che entrano nel ciclo
produttivo, la merce forza lavoro ha una caratteristica del tutto
particolare. Come tutte le merci, la merce forza lavoro possiede un valore
di scambio (corrispondente al valore necessario alla sua produzione e
riproduzione fisica, sociale e professionale) che in qualche modo gli deve
essere riconosciuto pena l’estinzione.
Ma, a differenza delle altre merci il suo valore d’uso non ha
limiti (se non quelli fisici) e può essere utilizzato ed impiegato ben al
di là di quanto sarebbe sufficiente a produrre il suo valore di scambio.
Il Capitalista, quindi, una volta acquistata sul mercato la
capacità lavorativa di una forza lavoro tenderà a consumarne quanto più
possibile, oltre il tempo che sarebbe necessario a produrre la quantità di
valore sufficiente a garantirne la sopravvivenza materiale e sociale, e
nel contempo a riconoscerne un prezzo il più basso possibile. Per questo è
importante per il capitale, per mantenere bassi i salari e per garantirsi
la massima sottomissione della forza lavoro, affermare regole che ne
formalizzino la subordinazione e comprimano la sua propensione difensiva.
La produzione di Plusvalore, che è alla base dello
sfruttamento capitalistico della forza lavoro, è quindi fortemente
determinato dai risultati della lotta concorrenziale e contrattuale tra il
Capitalista e la Forza lavoro e dalle regole della stessa.
Non dobbiamo mai dimenticarci di leggere, nella lotta
sindacale, l’esistenza di queste dinamiche senza le quali non sarebbero
comprensibili la fatica, la lotta difficile, costante e defaticante, che
la forza lavoro è costretta a fare continuamente per vedersi riconosciuto
il suo valore di scambio e per difendersi dai continui tentativi di
aumentarne la subordinazione e lo sfruttamento.
Più che un’analisi sull’andamento della lotta contrattuale
nelle determinazioni specifiche di prezzo e di consumo della forza lavoro,
oggetto di questo seminario è di comprendere l’importanza che hanno (non
solo dal punto di vista sindacale) i processi di subordinazione formale e
sostanziale del lavoro attraverso i quali il capitale cerca di affermare
in modo stabile le migliori condizioni di prezzo e di consumo della merce
forza lavoro.
Quando parliamo di modelli contrattuali dobbiamo sempre
quindi ricordare come questi non siano riducibili a semplici meccanismi di
tecnica contrattuale (come la razionalità economica vuole far credere)
poiché in realtà è nell’affermazione di un modello contrattuale rispetto
ad un altro che si sostanzia la forma di subordinazione del prezzo e delle
condizioni di consumo della forza lavoro.
Se da un lato è funzionale per il Capitale sostenere sempre e
comunque l’obiettivo della sua massima remunerazione attraverso politiche
di riduzione e subordinazione del salario e dell’occupazione, dall’altro
occorre che questa subordinazione sia resa stabile attraverso regole,
accordi, modelli di regolazione del conflitto che facciano apparire tutto
ciò come oggettivamente dovuto, razionale, normale, esigibile.
Per questo la battaglia ideologica del capitale, basata
sull’idea del profitto come elemento polarizzante di tutta la realtà, si
contrappone alla classe lavoratrice ed alle lotte per la sua
emancipazione:
-
cercando di annullare
ogni riferimento al salario come espressione diretta del valore di
scambio della merce forza lavoro in quanto tale, e di presentare il
salario come remunerazione di una prestazione il cui valore viene
determinato dal mercato e dalle condizioni economiche generali come
fattori esterni, oggettivi, razionali di cui tenere conto.
-
cercando di inglobare
in questo contesto di “razionalità economica” sia i “bisogni” che i
soggetti e le organizzazioni (in primo luogo quelle sindacali) che
questi bisogni devono organizzare e rappresentare.
E’ così che, attraverso la “regolazione”, la “concertazione”,
la “razionalità interclassista dell’economia”, si nasconde in realtà il
conflitto di classe. Un conflitto in cui si confrontano, la lotta del
Capitale per affermare la sua egemonia sul Lavoro e quella della Forza
Lavoro per affermare la sua emancipazione[2].
Una linea, quella concertativa, che ha manifestato
concretamente i suoi effetti deleteri sulle retribuzioni, sulla generale
redistribuzione della ricchezza, e quindi sui rapporti di forza tra Lavoro
e Capitale.
La nostra non è però solo una critica sugli effetti
quantitativi della concertazione, ma anche una denuncia dei guasti che la
concertazione ha prodotto sulla struttura del salario, indebolendone la
tenuta difensiva e subordinandone le dinamiche alle compatibilità della
“razionalità economica” della produttività e redditività di impresa.
Ciò ha condannato l’azione sindacale in tutti questi anni ad
una preoccupante subordinazione e perdita di autonomia, ad una perdita di
senso, nell'illusione, (propria della “razionalità economica”) di poter
contribuire (concertare) alla soluzione della crisi, e di partecipare in
qualche modo, in un secondo tempo, alla spartizione dei risultati.
Così si è favorito non solo l'efficacia delle pressioni per
la riduzione quantitativa dell'occupazione e delle retribuzioni, ma ha
soprattutto reso possibile una strategia di ristrutturazione dell'intero
quadro normativo, legislativo e contrattuale che ha formalizzato
(stabilizzato) i nuovi e sfavorevoli (per il lavoro) rapporti di forza.
Trattiamo ora del come la contrattazione salariale è stata
attaccata e deformata in questi anni dalle “regole” dell’accordo
concertativo. Ragionamento questo utile e propedeutico al tema oggi di
attualità, ossia la “nuova politica dei redditi” che ormai è
prepotentemente all’ordine del giorno della discussione sindacale.
Una
discussione che non è solo sindacale. La struttura salariale (oltre che la
sua quantità) ed il modello contrattuale entro cui questa è regolata sono
immediatamente rappresentativi dei rapporti di forza tra le classi.
Parliamo quindi anche di battaglia politica, poiché è anche sui modelli
contrattuali che si gioca la formalizzazione del livello di subordinazione
di una classe nei confronti dell’altra.
La
contrattazione salariale, dal dopoguerra alla fine degli anni ‘80
La lotta sindacale, dall’immediato
dopoguerra fino alla fine degli anni 60, è stata soprattutto una lotta per
lo smantellamento dell’impianto contrattuale così come questo era stato
definito nel periodo della “corporazione fascista”. L’impianto
contrattuale del periodo fascista era infatti fortemente condizionato dal
corporativismo, anche sindacale, che subordinava i comportamenti sociali
agli obiettivi economici della nazione.
La contrattazione era quindi subordinata
ai vincoli ed alle compatibilità preventivamente concordate al tavolo
delle corporazioni definito per legge. Il modello corporativo,
sopravissuto nell’immediato dopoguerra, poggiava inoltre su una struttura
della retribuzione fortemente distinta per territori, per sesso e per età.
La battaglia per la distruzione del
modello contrattuale corporativo poggiava quindi su obiettivi come
l’abolizione delle “gabbie salariali”, la parità salariale tra uomini e
donne, la conquista di una contrattazione nazionale autonoma e svincolata
da parametri prederminati.
Non è stata una battaglia facile anche
perché si trattava di una battaglia certamente sindacale ma sostenuta
anche da obiettivi di emancipazione politica che poneva concretamente la
questione di liberare il lavoro dalle subordinazioni formali e sostanziali
a cui il corporativismo fascista lo aveva costretto, subordinazioni che il
Capitale era disponibile ad emendare ma non a rimuovere.
Che non si trattasse di una battaglia
facile, lo dimostra oltre alla crudezza della repressione antisindacale di
quegli anni, anche le diverse scissioni sindacali, dall’evidente carattere
politico, che hanno investito la Cgil (prima con la nascita della Cisl e
poi della Uil).
Vediamone gli sviluppi:
1945 |
Ccnl
- Nell’immediato dopoguerra resiste il modello contrattuale
corporativo fascista. L’unico livello contrattuale per la
determinazione delle tabelle salariali (ancora distinte per area
geografica, per sesso e per età) era quello Confederale il quale
definiva (all’interno delle gabbie salariali) anche le distinzioni
merceologiche nelle retribuzioni.
I Contratti nazionali di categoria,
formalmente riconosciuti erano praticati solo per aspetti secondari
(ferie, procedure per l’assunzione, provvedimenti disciplinari,
indennità di cottimo ecc). L’accordo Confederale sulle tabelle
salariali del 1945, ripete il divieto (già previsto nel modello
corporativo fascista) di tentare con accordi aziendali o provinciali
di variare i rigidi rapporti salariali indicati nelle tabelle
nazionali.
Contingenza
– Nel corso del 1945, con tappe alterne, si arriva al riconoscimento
di una indennità di contingenza per le aziende del Nord (chiamata
così perché era espressamente considerata una erogazione
“contingente” e non ripetibile a fronte di una particolare fase di
aumento dei prezzi).
La cosa si rese possibile anche con
l’avallo di Confindustria (che la considerava, appunto, una
“contingenza” temporale), sia per contenere il vasto movimento di
lotta (estesosi appunto nelle aziende del Nord) contro il
vertiginoso aumento dei prezzi che aveva caratterizzato l’immediato
dopoguerra, sia per non compromettere il precedente modello
contrattuale sul quale rischiavano allora di scaricarsi tutte le
tensioni e le richieste salariali.
Apparsa per la prima volta (23 giugno 44)
per i soli lavoratori della provincia di Milano, viene estesa con
accordo del 6 dicembre 1945 a tutto il Nord Italia.
Ma
già, subito dopo l’accordo del dicembre 45, in alcune grandi aziende
del Nord si conquistò (a livello aziendale) che questa indennità di
“contingenza” venisse considerata un meccanismo non provvisorio ma
stabile di adeguamento delle retribuzioni. |
1946 |
Contingenza
- Nel 1946 (accordo del 23 maggio), il proseguimento delle lotte
contro l’aumento dei prezzi, portò Confindustria ad accettare
l’estensione a livello nazionale degli accordi ottenuti nelle
aziende del Nord. La “contingenza perse così il suo carattere di
provvisorietà mantenendo però le differenze sul valore del punto per
le diverse zone geografiche (16 valori punto a seconda dei
territori) e le differenze merceologiche, per sesso e per età,
riproponendo così le stesse differenziazioni presenti nelle tabelle
salariali orarie ancora ordinata per territori (gabbie salariali) |
1946-1947 |
Ccnl
– I contratti nazionali di categoria rimangono all’interno del
quadro Confederale di regolazione delle tabelle salariali che per
altro ottiene ben poco e questo per tre ragioni esplicitamente
ricordate nell’accordo confederale del 1946.
-
La necessità di
non intralciare gli investimenti per la ricostruzione post
bellica;
-
Il fatto che già
l’introduzione della prima contingenza aveva rappresentato un
costo per le aziende e che quell’accordo prevedeva esplicitamente
una lunga tregua salariale;
-
Il fatto che le
poche disponibilità economiche andassero utilizzate per finanziare
le nuove scale classificatorie (sul modello, appena introdotto,
delle job evaluation Americane che in Italia arrivarono a
distinguere i lavoratori, attraverso la definizione dei sistemi a
mansionario, anche oltre i 52 livelli salariali nella stessa
azienda).
I
Contratti di categoria si svolgono quindi esclusivamente per
definire i nuovi mansionari. Risultato importante della
contrattazione categoriale nazionale del 46-47 è l’unificazione dei
testi e dei tavoli contrattuali contrattuali prima distinti tra
operai ed impiegati.
|
1948 |
Ccnl
- Nel 1948 si consuma la scissione della Cisl dalla Cgil, motivata
da ragioni di schieramento atlantico e sostanziata, per quanto
riguarda la politica salariale da una indisponibilità a spingere
troppo sulla formalizzazione del contratto nazionale di categoria
come baricentro dell’azione sindacale.
La Cgil spinge per una maggiore autonomia
contrattuale categoriale e per l’abolizione delle differenze
geografiche. La nuova Cisl rimaneva ancorata alla difesa del sistema
degli accordi centralizzati per quanto riguardava il salario e le
principali normative, da cui doveva discendere non già una diffusa
contrattazione categoriale ma territoriale.
La divisione sindacale viene presa a
pretesto dalla Confindustria che rifiuta di sedersi ai tavoli
categoriali e propone un modello contrattuale basato su un livello
confederale nazionale ed uno territoriale.
In particolare le società petrolifere
arrivano addirittura a non riconoscere la Cgil come controparte
sindacale ed a mettere in discussione anche il livello territoriale
a favore del livello aziendale.
Lo scontro, caricato anche dei suoi
contenuti politici, è durissimo. La sola Cgil sostiene 80 ore di
sciopero. La reazione risponde con cariche della polizia, arresti e
licenziamenti.
Alla fine Confindustria accetta di risedersi ai tavoli contrattuali
categoriali. I risultati sono modesti (per lo più legati al sistema
degli incentivi e dei cottimi) e negli accordi si apportano pesanti
modifiche al sistema dei mansionari con conseguente aumento delle
distinzioni di inquadramento tra i lavoratori.
|
1949 |
Per accordo confederale il sistema della contingenza viene abolito
(perché troppo oneroso e non sopportabile dalle aziende impegnate
nella ricostruzione). Dopo una stasi di due anni, caratterizzati in
particolar modo da una specie di “guerriglia” di rincorsa salariale,
a livello territoriale ed aziendale, il sistema venne riattivato con
l’accordo del 21 marzo 1951. |
1951 |
Contingenza
- Nel 1951 il nuovo accordo interconfederale prevede l’unificazione
su scala nazionale del calcolo dell’indice del costo della vita. Per
le regioni del centro sud viene però riconosciuto un valore punto
inferiore del 20%, secondo la considerazione che al Nord il costo
della vita fosse più alto della media nazionale. Si introducono
inoltre, accanto a quelle per sesso e per età, differenze anche per
livello di inquadramento, il che, vista l’espansione dei livelli di
inquadramento introdotta col sistema dei mansionari produce una
ulteriore esplosione delle differenziazioni salariali. |
1954 |
Ccnl
– A partire del 1954 si autorizzò, per accordo confederale, che le
tabelle salariali per area geografica, sesso ed età dei lavoratori,
anziché dagli accordi interconfederali, fossero stabilite in sede di
rinnovo contrattuale di categoria, ma con l’esplicito divieto di
ricontrattarle poi a livello locale ed aziendale.
La contrattazione nazionale di categoria
poteva essere convocata ogni tre anni. Solo per gli edili ed i
braccianti si concordava che la tabella salariale fosse solo in
parte contrattata a livello nazionale mentre una parte doveva
continuare ad essere fissata dalle controparti a livello
territoriale.
Alla apertura dei primi tavoli categoriali
sulla base del nuovo modello di relazioni, i sindacati cercano di
contrattare anche i diritti sindacali (permessi per le Rsa, spazi di
assemblea, bacheche).
La
reazione di Confindustria è violenta. La trattativa si sblocca solo
dopo un anno quando i sindacati ritireranno le loro richieste in
materia di diritti.
|
1955 |
Ccnl
– Le società petrolifere private (sostenute da Confindustria)
riaprono lo scontro sul contratto nazionale, rifiutando le
piattaforme e cercando di disattivarle con elargizioni (anticipi
contrattuali) aziendali in cambio della non partecipazione alle
lotte, e con il finanziamento di sindacati gialli disponibili a
presentare piattaforme “collaborazioniste” in alternativa a quelle
Confederali.
Anche alla Fiat si finanzia la nascita di
sindacati gialli e si fanno concessioni aziendali in cambio della
non partecipazione alla vertenza contrattuale.
Alla fine, l’ Eni (appena costituita) riconosce il tavolo
contrattuale e firma l’accordo di categoria rompendo così il fronte
padronale. Tutto resta formalmente come prima.
|
1957 |
Contingenza
– Il calcolo della variazione del valore della contingenza passa da
rivelazione bimestrale a trimestrale – Rimangono ma si riducono le
differenze tra Nord e Centro Sud. |
1958 |
Ccnl
– Si ottiene la riduzione da 48 a 44 ore dell’orario di lavoro, ma
rimane forte l’indisponibilità Confindustriale sugli aumenti
salariali.
Il
Contratto nazionale, non riesce ancora a produrre risultati in
materia di unificazione normativa e salariale.
Nonostante i primi segnali di boom economico, non si riescono a
realizzare adeguate politiche di redistribuzione della ricchezza a
causa di una recrudescenza delle forze reazionarie ed antisindacali
sostenute da Confindustria e delle ulteriori divisioni nel fronte
sindacale. Clima che si modificherà solo nel 1960 con la grande
mobilitazione operaia che porterà alla caduta del governo Tambroni
avviando così l’incrinatura del fronte reazionario antisindacale.
E’
di questo periodo la teorizzazione, da parte di Confindustria, della
linea “paternalistica”. Una politica (appena importata dall’America)
di aumenti di merito individuali, di passaggi di categoria
arbitrariamente riconosciuti ecc, di organizzazione di colonie per i
figli dei dipendenti, gite con le famiglie ecc. Una campagna,
sostenuta anche con convegni, seminari, assemblee con i lavoratori,
finanziamento di centri ricreativi aziendali, che mira
esplicitamente a incrinare l’adesione ai sindacati ed a dimostrare
come, con la contrattazione aziendale ed individuale si possa
ottenere di più.
Tra gli affascinati del nuovo modello Americano anche le Acli si
cimentano a sostegno del “merito nel lavoro” e dell’immagine del
“lavoratore onesto e coscienzioso” come modello positivo che si
contrappone ad un mondo solo di scioperi tipico del “lavoratore
fannullone” che pretende ma non da nulla in cambio.
Contrattazione
- Tra il 1958 ed il 1960 parte anche la prima vera stagione di
contrattazioni aziendali a guida sindacale confederale che comincia
a presentare prime richieste sui premi di produzione in sostituzione
delle erogazioni arbitrarie aziendali e dei sistemi salariali ad
incentivo e cottimo.
La
reazione padronale è durissima (non si riconosce potere di
contrattazione alle Rsa, si ribadisce l’immodificabilità delle
pattuizioni nazionali, non si vuole intaccare la pratica delle
“elargizioni paternalistiche” che per l’azienda sono l’unica
possibile deroga a quanto pattuito a livello nazionale).
Ma
la contrattazione aziendale riesce a svilupparsi comunque, in forme
diverse e le indisponibilità confindustriali a contrattare i premi
di produzione vengono aggirate con rivendicazioni sull’indennità
sostitutiva di mensa, indennità trasporto, di lavoro disagiato e
nocivo, di turno ecc, su cui le aziende dimostrano maggiori
disponibilità.
Dal 1958, si riesce comunque in alcune aziende ad ottenere i premi
di produzione e, con una certa riserva sindacale, nella
contrattazione aziendale fanno capolino le prime pressioni verso un
egualitarismo salariale che prenderà sempre più corpo negli anni
successivi. |
1961-1962 |
Ccnl
– Grazie alla forte pressione venuta dallo sviluppo della
contrattazione aziendale la Cgil presenta piattaforme più
coraggiose a cui Cisl e Uil rispondono, in diverse categorie, con
accordi separati.
Approfittando della spaccatura sindacale
Confindustria ripropone l’alternativa tra contrattazione nazionale e
aziendale. La risposta della Cgil è durissima ed efficace, anche
perché il fronte padronale è incerto, più attento a non perdere le
opportunità del favorevole ciclo economico che ad impegnarsi in
battaglie contrattuali che rischiano di essere lunghe e difficili.
Per la prima volta in una tornata
contrattuale si ottengono aumenti del 6 o 7% sulle tabelle
salariali. Si ottiene anche l’impegno a traguardare l’eliminazione
delle differenze salariali per sesso e per età nelle categorie
operaie, pur permanendo diversi i percorsi di carriera nella scala
classificatoria.
Si risolse con un compromesso anche la
polemica di due anni prima sul diritto alla contrattazione aziendale
a guida Confederale. I Sindacati provinciali (ma non le Rsa a cui
ancora viene negato il riconoscimento di soggetti contrattuali)
potevano presentare richieste aziendali ma solo all’interno dei
limiti pattuiti in Contratto nazionale e solo sulle materie
espressamente demandate, come l’individuazione di nuovi pofili
aziendali (nel sistema dei mansionari), introduzione di modelli per
redimere eventuali controversie aziendali, modelli di cottimo ed
incentivo.
Per quanto riguarda i premi di produzione
le richieste non potevano essere superiori al 3% per le
piccole-medie aziende, e del 5% per le grandi.
In realtà, per tutto il 1962-63, ci fu uno
sviluppo limitato della contrattazione aziendale, sia perché
permaneva l’indisponibilità aziendale a livello locale ad aprire
tavoli, sia perché i sindacati persero tempo a livello generale per
l’individuazione di “parametri oggettivi” da cui far discendere le
richieste salariali sui premi di produzione. (Come se le
questioni salariali – ed i premi ne sono un aspetto – fossero
questioni oggettive e non legate ai rapporti di forza fra le classi
– Vittorio Foa in “La struttura del salario” – 1974).
La
Contrattazione aziendale riprende forza nel 1964, immediatamente a
ridosso dei rinnovi contrattuali del 1964-65.
|
1964 |
Ccnl
– I CCNL aperti dal 1964 sono primi ad essere gestiti in modo
unitario da Cgil-Cisl-Uil. La forza sindacale messa in campo è
enorme, sostenuta anche dalla recente, ed in alcuni casi
contestuale, tornata di contrattazioni aziendali.
Per la prima volta si chiede quasi in tutte le piattaforme la fine
della monetizzazione sulla salute, l’istituzione delle commissioni
ambiente, la riduzione dei livelli nelle scale classificatorie,
l’estensione del premio di produzione a tutte le categorie che
ancora non lo avevano praticato.
La
reazione Padronale è di assoluta indisponibilità, anche sulla
richiesta salariale che prevedeva aumenti attorno al 12-15%.
La
posizione padronale si sostanzia nell’idea che, essendo stata la
contrattazione aziendale molto onerosa, occorreva arrivare al
rinnovo nazionale solo per fare piccoli aggiustamenti lasciando alle
singole aziende la possibilità di eventuali ulteriori incrementi a
seconda della loro situazione economica.
Per la prima volta si registra l’intervento mediatore del Ministero
del Lavoro che ottiene una moderazione delle richieste su salario,
ambiente e classificazioni, e la riapertura dei tavoli categoriali.
Accanto all’aumento salariale del 10% medio, i Ccnl del 1964
registrano, il riconoscimento di commissioni ambiente paritetiche
(che non funzioneranno mai) l’abolizione delle differenze salariali
per sesso e per età anche per le categorie impiegatizie (ma
rimangono ancora le differenze per area geografica) e, fatto
significativo, il primo riconoscimento del premio di produzione
aziendale collettivamente contrattato come voce stabile e fissa
della retribuzione, ma non nelle aziende dove ancora si contratta il
cottimo (che sono la maggioranza di quelle manifatturiere) e nelle
quali il premio di produzione mantiene la caratteristica di “salario
variabile” (erogato una tantum).
Da
notare che i Ccnl del 1964 sono passati alla storia come “Contratti
bidone”. In diverse categorie (soprattutto nei meccanici e chimici)
i risultati sono percepiti negativamente perché non erano riusciti a
raggiungere ed a estendere molti degli sfondamenti già conquistati
con la contrattazione aziendale degli anni precedenti, subendo
addirittura degli arretramenti. Fallisce però, anche per
l’intervento del Ministero del Lavoro, l’ennesimo tentativo
padronale di far saltare il tavolo contrattuale nazionale. |
1967 |
Ccnl
– Al pari del 1964 questa stagione è ricordata come quella dei
"contratti bidone". Infatti, nonostante la buona situazione
economica generale, i risultati non raggiungono quanto ottenuto con
la contrattazione aziendale, creando così, per il secondo rinnovo
successivo l’idea che fosse meglio tornare a contrattare
territorialmente o aziendalmente. Su queste diverse posizioni si
riapre il difficile confronto tra Cgil da una parte e Cisl-Uil
dall’altra.
La
Cgil, in particolare propone che la contrattuale nazionale,
imparando da quella aziendale, si ponga l’obiettivo di normare tutta
la condizione lavorativa (occupazione, salario, prestazione,
ambiente, organizzazione del lavoro ecc) superando esplicitamente i
tentennamenti dei precedenti rinnovi.
Si
arriva quindi, in diverse categorie, alla presentazione di distinte
piattaforme per il contratto.
I
Padroni (soprattutto nei chimici e nei meccanici che sono i primi a
partire) sfruttando la confusione sindacale, si rifiutano di aprire
trattative (anche sulle piattaforme più moderate).
I
sindacati sono quindi costretti a riunificare (mediandole) le loro
piattaforme, ottenendo alla fine risultati salariali al di sotto
delle aspettative. I metalmeccanici riusciranno a chiudere il
contratto per ultimi e solo con la mediazione del tavolo Confederale
e Ministeriale.
Nonostante ciò, in molti Ccnl si ottiene una riduzione di orario (a
44 ore per gli operai ed a 42 per gli impiegati) e per la prima
volta è previsto un monte ore retribuito per le Rsa, da concedere
però, su discrezione dei capireparto, valutando le esigenze di
servizio. |
1968 |
Contrattazione
– Nel 1968, sostenuta dall’insoddisfazione per i risultati dei
precedenti Ccnl, scatta, ed in maniera assai diffusa, una stagione
di contrattazione aziendale caratterizzata da richieste di forti
aumenti salariali. Ma assieme al salario si presentano ovunque
richieste contro la monetizzazione della salute, per la riduzione
delle distinzioni professionali e per la loro contrattazione per
gruppo omogeneo e non più su discrezione aziendale, per il diritto
di assemblea retribuita.
La
contrattazione aziendale si diffonde e supera i risultati di tutte
le esperienze precedenti, diventando, grazie alla maggior
partecipazione diretta dei lavoratori, la fonte principale di
iniziativa ed elaborazione della linea sindacale.
I
successivi rinnovi contrattuali saranno infatti sempre più
influenzati da questo livello di contrattazione anche e soprattutto
grazie all'ottenimento da parte della contrattazione aziendale di
monte ore retribuite per assemblea che favoriscono un maggiore
coinvolgimento dei lavoratori nell'esperienza rivendicativa e
contrattuale.
Il
diritto di assemblea (esteso con la contrattazione aziendale ad un
numero sempre crescente di lavoratori e di aziende) diviene infatti
un luogo dove le valutazioni arbitrarie dell'operaio comune potevano
esprimersi ed organizzarsi compiutamente influenzando notevolmente
l'intera strategia sindacale riordinandola sull’idea
dell’egualitarismo.
Questa nuova situazione produce concretamente la nuova forma di
organizzazione operaia. Il Consiglio di fabbrica ed i delegati di
reparto e gruppo omogeneo.
E’
lo stesso modello sindacale, ad essere investito da questa stagione.
Cisl e Uil, ancora condizionate dal vecchio modello corporativo
subiscono una vera e propria rivolta interna (soprattutto al Nord e
nelle categorie industriali).
La
Cgil stessa non coglierà immediatamente il portato di questa
stagione, preoccupata da un lato di una contrattazione aziendale che
viene temuta come strumento potenzialmente concorrente alla
battaglia per il contratto nazionale, e dall’altro da un nuovo
protagonismo dal basso che sembra proporre una riforma radicale del
sindacato in generale. |
1969 |
Contrattazione
– Forte della spinta della precedente stagione di contrattazione
aziendale (fondata sull’idea di egualitarismo) e dei mutamenti che
questa ha segnato anche all’interno delle organizzazioni sindacali,
si sviluppa dal 1969 una forte iniziativa rivendicativa generale per
le riforme (casa, trasporti, pensioni,ecc) che procede per
mobilitazioni generali. E’ in questo clima che le principali
categorie industriali vanno al rinnovo contrattuale.
Il
12 febbraio si tiene il grande sciopero nazionale contro le gabbie
salariali, frutto di un crescendo di scioperi aziendali e
provinciali che già dall’autunno del 1968 aveva coinvolto l’intero
paese.
Il
18 marzo la Confindustria accetta la soppressione delle gabbie
salariali che sarà definitivamente sancita per legge, dal Governo,
qualche settimana dopo.
Sulla scorta di questa importante vittoria si firma l’accordo
interconfederale sulla contingenza e riparte la stagione dei rinnovi
contrattuali con richieste salariali uguali per tutti.
Contingenza
– Nel marzo del 1969 si firma l’accordo interconfederale che
conquista l’unificazione nazionale delle norme e delle leggi che
regolano il mercato del lavoro. Con l’abolizione delle gabbie
salariali si aboliscono anche le differenze geografiche del valore
del punto di contingenza, mentre le differenze per sesso saranno
superate nel 1970 e quelle per età nel 1971. Le differenze per
qualifica e quelle derivanti dalla classe
di grandezza delle aziende saranno abolite con l’accordo del gennaio
1975.
Ccnl
– Per la prima volta, le piattaforme per il rinnovo contrattuale
sono elaborate unitariamente dai sindacati e sottoposte al voto
preliminare di tutti i lavoratori e non solo degli iscritti;
I
contenuti delle piattaforme possono cosi essere sintetizzati.
-
Diritti sindacali.
Riconoscimento del diritto alla contrattazione aziendale su
qualsiasi argomento e dei nuovi Consigli dei delegati come
soggetti contrattuali. Riconoscimento in CCNL delle ore retribuite
per assemblea e per i delegati dei Consigli;
-
Salario.
Aumenti uguali per tutti. Orario. riduzione a 40 ore settimanali;
-
Inquadramento.
Eliminazione delle basse categorie e abolizione dei mansionari
(si fa strada il concetto di professionalità come espressione del
valore della forza lavoro);
-
Ambiente.
prevenzione della nocività e messa in discussione della
monetizzazione della salute. Inserimento nei CCNL delle tabelle
MAC, come riferimento obbligatorio da rispettare;
-
Parità normativa
operai-impiegati.
Confindustria è presa alla sprovvista dalla forza della partenza
sindacale ed il fronte padronale si spacca.
Ad
esempio i padroni chimici lasciano cadere quasi subito le loro
pregiudiziali ed accettano di trattare (ma non sul riconoscimento
della contrattazione aziendale e dei Consigli di fabbrica come
soggetti contrattuali, e non sull’abolizione dei mansionari. I
padroni metalmeccanici, invece manterranno la pregiudiziale su tutta
la piattaforma fino in fondo.
La
strage di P.zza Fontana del 12 dicembre 1969, e la tensione
successiva, porta molte categorie a firmare i Ccnl (i chimici la
notte stessa, i metalmeccanici poco dopo e solo con la mediazione
Ministeriale).
Se
anche non si è ottenuto tutto quanto richiesto, importanti risultati
sono:
Per la prima volta l’aumento salariale contrattato a livello
nazionale è uguale per tutti. Si riconosce, con alcune limitazioni,
la contrattazione aziendale. Per il riconoscimento dei
consigli di fabbrica si demanda tutto ad un successivo tavolo
confederale. Riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore entro
due anni successivi. Sull’inquadramento non si arriva
all’eliminazione dei mansioni ma questi vengono raggruppati per
“profili professionali omogenei”.
Infine si concorda che i Ccnl abbiano scadenza biennale e la
contrattazione aziendale abbia scadenza annuale. |
Possiamo dire che con l’abolizione delle
gabbie salariali ed i rinnovi del 1969 che conquistano la stabilità del
nuovo modello contrattuale, si afferma il contratto nazionale biennale
come baricentro forte ed unitario della contrattazione sindacale.
Tra il 69 ed il 72 si procede inoltre alla
riduzione della frantumazione contrattuale con l’accorpamento di diversi
Ccnl prima distinti tra loro (è il caso della gomma e della plastica che
vengono unificati, così come l’accorpamento dei contratti della detergenza,
fibre ed altri minori nel Ccnl chimico, ecc). Una processo di unificazione
che rafforza il peso, anche economico, del Contratto nazionale come tavolo
di trattativa.
Con l’accordo del 1969 sulla scala mobile
si da inoltre forma definitiva alla contingenza, come strumento di tutela
salariale, fortemente ancorato alla struttura della retribuzione ed
egualitario a livello nazionale.
La
contrattazione aziendale annuale, ottiene consistenti risultati nel legare
concretamente tra loro organizzazione del lavoro, inquadramento, salario,
nell’abolire le forme salariali ad incentivo ed a ridurre le quote di
salario variabile a favore di incrementi salariali egualitari e
consolidati in busta paga.
1972 |
Ccnl
– I contratti nel 1972 sono in continuità con quelli del 69, sempre
sostenuti da una precedente e forte tornata di contrattazioni
aziendali che rafforzano la tendenza “egualitaria”.
Si
conquista e generalizzano i sistemi ad “inquadramento unico”, che
ridimensionando il sistema dei mansionari, rompe la dipendenza
salariale dal valore della prestazione e l’ancorano all’idea di
valore della professionalità.
Altra importante conquista è il riconoscimento, in tutti i Ccnl dei
Consigli di fabbrica.
Confindustria esplicita la sua preoccupazione per l’incremento delle
dinamiche di contrattazione (contrattazione confederale –
contrattazione nazionale – contrattazione aziendale) e avanza
formalmente la proposta di “Un’accordo quadro” per regolare il costo
complessivo, in un dato periodo, della contrattazione e per
determinare a priori la sua regolazione nei tre livelli di
contrattazione.
Su
questa proposta il fronte sindacale si divide e in molti riconoscono
la bontà della preoccupazione Confindustriale. Si apre nel sindacato
un dibattito anticipatore di quello che sarà poi il documento dell’Eur)
del 1977, ma questa discussione viene troncata di netto dalla
vittoria contrattuale dei metalmeccanici che alla fine riescono a
firmare il contratto nazionale facendo cadere la pregiudiziale di
Federmeccanica di discutere prima dell’Accordo quadro”. |
1975 |
Contingenza
– nel gennaio si arriva finalmente all’accordo che sancisce la
cancellazione delle differenze per livello professionale. Il punto è
uguale per tutti.
Ccnl
– Con questi contratti inizia la stagione dei “diritti di
informazione” che scatenerà all’inizio una forte reazione padronale
rotta infine dalle Partecipazioni Statali che firmando romperanno il
fronte padronale. Confindustria è però compatta nel richiedere una
riduzione dei costi salariali e la fine dell’egualitarismo.
I
problemi che sono posti dall’inizio del ciclo critico dell’economia
(massicci cominciano ad essere i ricorsi alla cassa integrazione
ordinaria) portano i sindacati ad accettare forme di abbattimento
dei costi salariali (si comincia a parlare di costo del lavoro anche
nei sindacati). I risultati sono che gli aumenti vengono,
parzialmente riparametrati, scaglionati nel tempo e sotto forma di
Edr (elemento distinto dalla retribuzione) che non incide
nell’adeguamento in percentuale delle altre voci della retribuzione.
Per la prima volta, da quando è stata riconosciuta la contrattazione
aziendale, si concedono in alcune categorie (chimica, fibre, tessile
ecc) blocchi della contrattazione aziendale sul premio di produzione
per uno o due anni. |
Con l’accordo sul punto unico di Contingenza possiamo
dire che il sistema “contrattuale rivendicativo” ha raggiunto il suo
massimo sviluppo (anche se la crisi e le ristrutturazioni in corso fanno
intuire le difficoltà a mantenerne l’efficacia).
Il sistema
“contrattuale rivendicativo“ (la struttura della retribuzione nel 1975)
La struttura contrattuale e salariale
risulta fortemente difensiva e strettamente determinata dalle valutazioni
arbitrarie che il mondo del lavoro esprimeva (contrattazione come
immediata espressione del quadro dei bisogni che i lavoratori esprimono)
Ciò si è potuto affermare grazie alla
liquidazione del modello contrattuale corporativo, con l’abolizione delle
gabbie salariali, e con la conquista del contrattato nazionale di
categoria, con una forte contrattazione confederale che ha portato alla
scala mobile” come strumento di tutela automatica delle retribuzioni
dall’inflazione, ed allo sviluppo di una diffusa contrattazione decentrata
aziendale. Una struttura salariale quindi ordinata attorno a due
condizioni:
-
Forte tutela del potere
d’acquisto dei salari (scala mobile, automatismi, indicizzazioni) in
buona parte organizzata nell’azione Confederale
-
Forte iniziativa
contrattuale - categoriale (nazionale ogni due anni e aziendale ogni
anno) sui temi legati alla ripartizione della produttività e della
ricchezza prodotta (non solo salariali ma anche occupazionali e di
controllo dell’organizzazione del Lavoro)
In definitiva, la struttura salariale
uscita da questa fase di lotte può essere così schematizzata.
La
struttura del salario prima dell’abolizione della scala mobile e
dell’accordo del luglio 1993
In sintesi, la struttura del salario
andatasi a formare nelle lotte dal dopo guerra ai primi anni 70 si è
infine organizzata attorno alle seguenti voci.
a)
Retribuzione di base (minimi tabellari – scala mobile – indennità di
mantenimento)
b)
Retribuzione di anzianità
c)
Retribuzione di produttività’
d)
Retribuzione di merito.
1977 |
Contingenza
– Nel gennaio del 1977 un ennesimo accordo interconfederale, poi
trasformato in legge dello Stato, elimina dal calcolo per
l'indennità di liquidazione la contingenza che sarebbe maturata a
partire dal febbraio 1977. Nel marzo del 1977 nella determinazione
dell'aumento del costo della vita non si terrà conto degli aumenti
delle tariffe ferroviarie e dei quotidiani con perdita di 1,3 punti.
Dal gennaio 1980, infine, la contingenza non
verrà più calcolata (per gli impiegati) sugli scatti di
anzianità. |
1979 |
Ccnl
– I Contratti sono influenzati dalle forti ristrutturazioni
soprattutto nei grandi gruppi e da una massiccia impennata della CIG
ordinaria. Si aprono vertenze di gruppo sull'occupazione e sulla
riconversione industriale con accordi aziendali che, pur con
significativi risultati sul controllo delle ristrutturazioni, aprono
però la strada a pericolosi cedimenti sulle normative e sulle
dinamiche salariali.
In
molte piattaforme contrattuali accanto alla linea egualitaria
(formalmente riconfermata) si fa strada la preoccupazione di
rispondere alle pressioni che dalle categorie più professionalizzate
(impiegati) cominciano a delinearsi per un diverso e maggiore
riconoscimento salariale. Confindustria presenta vere e proprie
contro-piattaforme che mettono in discussione l’egualitarismo, gli
automatismi salariali e le rigidità negli orari e nella prestazione.
Il
risultato è che tutto l’aumento salariale viene riparametrato (i
sindacati erano disponibili a riparametrarne solo una parte). In
molti contratti si accetta la deindicizzazzione degli scatti di
anzianità (che vengono trasformati in cifra fissa e non più in
percentuale sulla retribuzione) con accordi che estendono anche agli
operai (per gli impiegati ciò era stato già pattuito nel 1977)
l’eliminazione del loro conteggio ai fini del Tfr.
Contrattazione
– La contrattazione aziendale successiva va in senso inverso alle
linee che hanno informato i rinnovi del 79. L’egualitarismo rimane
il riferimento più diffuso e forte è la pressione per consistenti
recuperi salariali. La contrattazione aziendale esplode e la sua
dicotomia con linea sindacale nazionale è tale che i sindacati, pur
non boicottando esplicitamente la spinta salariale, evitano di
esserne alla testa. Dal canto suo Confindustria attacca Cdf e
sindacati denunciando addirittura rischi di destabilizzazione del
Paese. Così è che tutti gli accordi aziendali si firmano in azienda,
senza sindacati ed Associazioni industriali che, per coerenza e per
non sconfessare il nuovo clima nazionale (Eur) evitavano di
partecipare alle trattative.
|
1983 |
L’accordo “Scotti” sul costo del lavoro
- Già Il 1982 è caratterizzato da pesanti attacchi di Governo e
Confindustria alla scala mobile (accusata di generare inflazione) e
da richieste di apertura di tavoli per “accordi quadro” di riduzione
del costo del lavoro. E’ così che si arriva a gennaio 1983
all’accordo Scotti.
Con quell’accordo vengono ridotte le voci del paniere per il calcolo
del costo della vita e si concorda la riduzione del 10% del valore
del punto di contingenza. La copertura della scala mobile scende
così dal 73% al 63%.
Sul costo del lavoro, l’accordo Scotti introduce i primi vincoli
alla contrattazione nazionale, definendo i tetti a cui l’aumento del
costo del lavoro deve far riferimento. L’accordo, pur concedendo la
riduzione di 40 ore anno da realizzarsi entro il 1985, mette in
campo, per la prima, volta impegni per la flessibilità nella
prestazione e nella distribuzione degli orari, per la
liberalizzazione del ricorso allo straordinario, per la riduzione
del potere di controllo preventivo dei Cdf su orari ed appalti (non
più contrattazione preventiva ma informazioni a consuntivo).
Ccnl
- I contenuti della precedente contrattazione nazionale, della prima
parte di contratti, dell'inquadramento, del salario, dell'orario
appaiono come residui esausti delle lotte degli ultimi anni. Le
trattative dei rinnovi contrattuali 1982-83, si svolgono
praticamente all'interno di quanto concordato tra Sindacati -
Governo - Confindustria sul costo del lavoro (Accordo Scotti
22-1-83) e poggiano sulle linee guida della lotta all’inflazione e
della ripresa della produttività.
Salta definitivamente la linea egualitaria. Gli aumenti sono
scaglionati, e fortemente riparametrati verso le categorie più alte
della scala classificatoria.
L’accordo Scotti apre inoltre, nei Ccnl, all’individuazione della
categoria di “Quadro”. Operazione questa che concorre a rompere
l’esperienza dell’inquadramento unico e che assorbe gran parte dei
costi contrattuali (sia con le forti riparametrazioni che con
l’introduzione dell’indennità di quadro).
Tutta la
normativa su appalti, orario, prestazione, viene riscritta, con più
o meno conseguenze a seconda dei contratti, rompendo le rigidità
precedenti e valorizzando la loro compatibilità con gli obiettivi di
produttività dell’impresa. |
Con
gli accordi del 1983 la contrattazione perde di strategia e di unità. La
rivendicazione sindacale si frantuma in tanti rivoli, inseguendo le
singole specificità (professionalità dei tecnici e dei quadri,
produttività come elemento guida per la gestione di orario e salario,
monetizzazione di turni e flessibilità ecc..) e comincia ad essere
vincolata agli obiettivi di compatibilità dentro cui l’azione sindacale
accetta di muoversi, anche se, allora, si diceva trattarsi di scelta
necessaria ma momentanea.
La
successiva contrattazione aziendale, (per lo piu' ancora gestita in
azienda senza la mediazione confindustriale e sindacale) si orienterà
quasi esclusivamente sulle richieste di recupero salariale e con risultati
altalenanti a seconda dei settori e dei territori.
L'accordo "Scotti" durerà poco o niente. La stessa Confindustria lo
disdice solo dopo pochi mesi riaprendo un confronto che porta il 14
febbraio 1984 all'accordo di “S. Valentino" di rallentamento sostanziale
del meccanismo di scala mobile e di ogni forma di automatismo salariale.
La
Cgil si opporrà a quell’accordo arrivando anche a promuovere un referendum
per la sua abrogazione, senza purtroppo esito positivo.
1984 |
Contingenza
– Con il Decreto Legge del 14/2/1984 e la successiva legge del 12
Giugno 1894 n° 219 si stabilisce che i punti di variazione
dell'indennità di contingenza non possono
essere più di 2 alla scadenza del 1° febbraio e non più di 2 a
quella del 1° maggio. Come si vede si è trattato del primo e vero
intervento legislativo di predeterminazione salariale. |
1985 |
Contingenza
– A fronte della disdetta della scala mobile da parte di
Confindustria si arriva ad un accordo interconfederale, poi
trasformato in legge, che riforma il sistema di indicizzazione dei
salari, portandolo a cadenza semestrale e riducendo le fasce di
retribuzione sottoposte a tutela. Con questo meccanismo si è di
fatto operata una diversificazione per livello (o categoria) degli
aumenti di contingenza, poiché la parte di retribuzione da mantenere
sotto tutela della scala mobile differiva da livello a livello. La
copertura della scala mobile scende dal 63% al 50%.
|
1986 |
Ccnl
- I rinnovi contrattuali sono condizionati dallo scontro generale
sul "Costo del lavoro". La Confindustria blocca qualsiasi trattativa
e apertura del confronto, condizionandolo al raggiungimento di un
accordo interconfederale che punta allo smantellamento della scala
mobile ed a vincolare la contrattazione salariale a dati "oggettivi
e programmabili".
Si
arriva infine all'accordo interconfederale del 1986 che riconferma
l'impegno a uniformare la contrattazione salariale entro vincoli
stabiliti, impone coerenze concettualmente forti agli obiettivi di
flessibilità e produttività, modifica ulteriormente la scala mobile
nelle parti relative alla composizione del paniere, introduce
aperture sulla possibilità per le aziende di ricorrere più di prima
a forme di lavoro precario (tempo determinato, contratti
formazione).
Il confronto
contrattuale categoriale è già concluso, essendo limitato a recepire
i punti del protocollo interconfederale. |
1990- 1992 |
Contingenza
– nel 1990 Confindustria procede ad una nuova disdetta della scala
mobile. A fronte della disdetta confindustriale, il Governo
prorogherà per decreto gli effetti della scala mobile solo fino al
31/12/91 per dare modo alle parti di trovare un accordo.
Seguiranno mesi di estrema confusione risolti nel Luglio del 1992
dall'accordo Amato-Trentin sulla definitiva eliminazione della scala
mobile.
L’accordo del
31 luglio 1992 non si limitava a sancire la definitiva abolizione
della scala mobile, ma bloccava (sia pure temporaneamente) la
contrattazione aziendale. Cadevano così ben due dei tre “pilastri”
su cui si reggeva la contrattazione sindacale.
|
1990-1991 |
Ccnl
- A parte la richiesta di una ulteriore riduzione di orario, le
piattaforme sindacali appaiono estremamente confuse ed
indeterminate.
Organizzate attorno alle parole d'ordine di un sindacato
responsabile che rivendica il suo diritto di agire sulle scelte
economiche ed aziendali, e che quindi pone con forza i problemi
della coniugazione tra occupazione, difesa del salario,
professionalità da un lato ed efficienza e produttività dall'altro,
scivola poi nel generico quando si tratta di formulare le
indicazioni rivendicative.
I
risultati finali, d'altronde, sono concretamente influenzati dalla
pressione di Confindustria, tutta concentrata a sfondare, sul piano
contrattuale, nella battaglia generale sul costo del lavoro,
flessibilità ed eliminazione della scala mobile.
I
testi contrattuali si riempiono di premesse e dichiarazioni tese a
valorizzare come i comportamenti dei soggetti contrattuali siano
informati dalla necessità di sostenere lo sviluppo dell’efficienza e
della produttività.
Scomparso ormai ogni riferimento all’egualitarismo, attraverso le
politiche di riparametrazione, di ritorno alla monetizzazione delle
mansioni e politiche che favoriscono le alte categorie (quadri), i
sistemi di inquadramento unico, formalmente ancora presenti, perdono
ogni consistenza.
In
tutti i Ccnl si stabilisce inoltre che la contrattazione aziendale,
relativa al salario, potrà avvenire una sola volta nell'arco di
vigenza contrattuale e non sulle materie già regolate dal Ccnl. |
Nel periodo 1983 – 1993 l’azione sindacale
non riesce a rispondere ai caratteri dell’offensiva padronale che si
snoda, apparentemente senza ostacoli su tutto il fronte dello scontro di
classe.
-
Dal lato della lotta
ideologica prende forza l’offensiva contro le voci che costituiscono
il baricentro del sistema retributivo. La scala mobile, le
indicizzazioni e gli automatismi salariali, vengono indicate come una
ingiusta ed insostenibile tassa a carico dell’impresa che riduce le sue
capacità di investimento e di programmazione.
Confindustria
rivendica che il profitto ed il mercato diventino elementi di riferimento
generale a cui anche la contrattazione e la dinamica retributiva deve
subordinarsi. Il salario non deve più essere percepito dal lavoratore come
quantità di beni necessari alla sua riproduzione, ma come remunerazione di
una prestazione, comunque dipendente dalle compatibilità di impresa e di
mercato, dipendente cioè da riferimenti “oggettivi” di cui la
contrattazione sindacale deve limitarsi a tener conto.
-
Dal lato del salario
prende forza la riduzione della contrattazione (moderazione salariale
e raffreddamento della contrattazione aziendale) a mera registrazione
delle disponibilità economiche dell’impresa.
-
Dal lato
dell’occupazione prende forza l’idea che i “necessari” costi
occupazionali (Licenziamenti ecc) della crisi non possono più essere
accollati all’impresa (attacco alla titolarità degli esuberi – L.
223/91). Prende inoltre forza anche la necessità di aumentare per le
imprese la possibilità di ricorso a prestazioni temporanee e precarie
e di riduzione di costi per le nuove assunzioni.
-
Dal lato della
controtendenza strutturale, favorito dai cedimenti e dalla
confusione sindacale, prende forza la “necessità” e “l’urgenza” di una
ristrutturazione della retribuzione e della contrattazione per dare
coerenza e stabilità a nuove regole, capaci di rappresentare,
mediandoli, tutti gli interessi in campo di fronte alle questioni poste
dalla crisi.. La parola d’ordine è “Politica dei redditi”.
Dal punto di vista della determinazione
delle forme della retribuzione, questo è lo scontro di classe che si è
concluso con l’abolizione della scala mobile e con l’accordo del 23 luglio
93.
L’accordo
del 23 luglio 1993 – Fine del modello contrattuale rivendicativo
L'accordo del 23 luglio 1993, presentato sia come “nuova politica dei
redditi” che come riforma della struttura contrattuale per ridare
“centralità al contratto nazionale” opera su tre livelli.
1°
livello
concertazione generale del limite salariale secondo l'inflazione
programmata |
Il
Governo, sentiti Sindacati e Confindustria, convocati in sessione
nazionale, definisce ogni anno il quadro dentro cui deve muoversi la
Concertazione generale:
-
A maggio il DPEF traduce in legge la politica economica e la
politica dei redditi richiesta dai mercati. Di conseguenza
governo, padroni e sindacati, riuniti nella "Prima sessione di
controllo" (prevista dall'accordo del 23 luglio 93), prendono atto
dell'inflazione programmata.
A
settembre la "legge finanziaria" viene presentata in Parlamento. Di
conseguenza la "Seconda sessione di controllo" (sempre prevista
dall'accordo del 23 luglio 93) trasforma l'inflazione programmata
nel limite massimo di incremento salariale.
|
2°
livello
concertazione nazionale della quantità di inflazione reale che i
padroni possono scaricare sul salario |
La
concertazione generale determina la quantità di inflazione da
scaricare sui lavoratori attraverso il Contratto Nazionale di
Lavoro. Tale procedura prevede:
-
la definizione quadriennale del CCNL in due fasi biennali;
-
nella prima fase, la contrattazione della parte normativa e della
parte retributiva nei limiti dell'inflazione programmata dal primo
livello;
nella seconda fase, la contrattazione per il recupero della
differenza tra inflazione programmata e inflazione ISTAT.
|
3°
livello
concertazione articolata della sottomissione dei lavoratori agli
interessi dell'impresa |
La
concertazione nazionale istituisce una procedura aziendale per
subordinare le condizioni dei lavoratori agli interessi
dell'impresa. Tale procedura prevede:
-
la definizione quadriennale del Contratto Aziendale su materie
diverse da quelle del CCNL in due modi temporali;
-
in un primo tempo la contrattazione a livello aziendale di obiettivi
condivisi di riduzione dei costi, recupero efficienza, obiettivi
di produttività e remunerabilità di impresa;
-
In
un secondo tempo il riconoscimento di un risultato economico in
proporzione al raggiungimento degli obiettivi, da erogare una tantum
non consolidata in busta paga.
|
Il primo
livello
definisce per legge il tetto massimo dell’inflazione (valutazione
arbitrariamente assunta dal Governo) che può essere recuperata sulle
retribuzioni. Si subordina la tutela delle retribuzioni agli obiettivi
macroeconomici dello stato.
Il secondo
livello si limita a registrare la “valutazione arbitraria” applicandola in
sede negoziale. Ciò comprime gli spazi per la contrattazione nazionale
alla sola inflazione programmata e mantiene la contrattazione nazionale
dentro al quadro di compatibilità generale.
Il terzo
livello
applica le procedure concertate, cioè vincola la contrattazione aziendale
(premi di partecipazione) alla comune disponibilità a perseguire obiettivi
di riduzione dei costi, recupero di efficienza, aumento di produttività e
redditività di impresa. L’incentivo salariale così riconosciuto è
direttamente dipendente da questo risultato, rimane quindi subordinato al
ripetersi di questa procedura (infatti viene erogato come “tantum” non
consolidata in busta paga) e quindi alla continua individuazione di
obiettivi condivisi in materia di riduzione dei costi, efficienza,
produttività, redditività di impresa. Così la contrattazione aziendale,
per mantenere il salario conquistato, è imbrigliata in un continuo scambio
con gli obiettivi di impresa.
La pratica contrattuale che deriva da
questo modello fa subito piazza pulita delle illusioni sindacali di un
maggior potere della contrattazione (attraverso la contrattazione degli
obiettivi) nel condizionare le scelte dell’impresa. In realtà tutta la
contrattazione nazionale si riduce ad una estenuante quanto fallimentare
rincorsa dell’inflazione, e la contrattazione aziendale, dove si riesce a
fare, ad una “monetizzazione” in forma di salario variabile (non
consolidato) delle disponibilità sindacali a concorrere agli aumenti di
efficienza e produttività di impresa.
Al di la dei risultati quantitativi, tutta
la contrattazione, con l’accordo concertativo, risulta infine subordinata
alla “razionalità economica del capitale” ed incapace di rispondere anche
solo agli obiettivi di mantenimento del potere d’acquisto dei salari.
La
struttura del salario come si è modificata dopo l’accordo del luglio 93
Descriviamo
come si è modificata la struttura retributiva negli anni tra il 1993 ad
oggi, mantenendo come riferimento la lettura della retribuzione descritta
precedentemente.
1. RETRIBUZIONE DI
BASE
1.1
Quota professionale
La modifica
principale riguarda la predeterminazione dei costi contrattuali che tutt’ora
agiscono, in sede di rinnovo contrattuale sul così detto “minimo tabellare”
corrispondente alla categoria professionale di inquadramento. I
riferimenti entro cui la contrattazione sindacale deve muoversi sono
decisi in sede di politica di bilancio (dpef e legge finanziaria) dello
Stato in considerazioni degli obiettivi macroeconomici indicati dal
Governo. Il rapporto tra bisogni dei lavoratori e politica salariale salta
definitivamente. L’eliminazione della scala mobile carica esclusivamente
sul contratto nazionale il compito di difendere il potere di acquisto dei
salari, impedendo di fatto la redistribuzione della produttività generale.
Ma oltre alla
riduzione del salario era necessario smantellare le caratteristiche
difensive, proprie del salario professionale, così come sono uscite dalla
contrattazione precedente (inquadramento unico). La risposta che viene
data (con grande condivisione anche da parte sindacale) è quella di
rivalutare il valore delle singole particolari posizioni lavorative,
individuando nuovi valori e nuovi prezzi per rappresentare le tante e
nuove pressioni salariai che la frantumazione indotta dalla crisi (anche
dalla crisi della contrattazione) ha prodotto.
Ciò permette,
indipendentemente dal percorso di carriera professionale stabilito nella
scala classificatoria, di avere a livello aziendale una scala salariale di
remunerazione di posto e mansione, nella quale si può salire (con relativo
aumento salariale) ma che non impedisce (entro certi limiti) anche di
scendere a mansioni classificate come inferiori. Certo ci sono ancora
limiti oltre i quali non si può scendere, ma il principio della
flessibilità sulla mansione è affermato. L’azienda può chiamarti a operare
su mansioni inferiori, e questo, nell’ambito dello stesso livello
professionale (che non viene toccato) è permesso anche dal codice civile.
1.2
Quota di mantenimento
L’eliminazione della scala mobile toglie ogni protezione alla retribuzione
di base, libera disponibilità da dirigere a sostegno e sviluppo di altre
forme retributive più legate all’incentivazione della flessibilità, della
produttività e del merito, aprendo così la strada all’affermazione del
salario ad incentivo e variabile come nuova architrave del
sistema retributivo. Anche gli assegni familiari, al pari di altri
automatismi, che in qualche modo erano concettualmente legati al sostegno
del carico familiare del lavoratore, non più rivalutati dalla legislazione
e dalla contrattazione rischiano di diventare elementi marginali della
retribuzione del lavoratore.
1.3
Indennità di mantenimento
Nella logica
di capitale, tendente allo smantellamento della retribuzione nelle sue
forme difensive, le indennità di mantenimento, nelle forme conosciute,
vengono messe in discussione e cacciate fuori (con accordi o ricorsi alla
magistratura) dalla categoria di salario. Il fatto che la forza lavoro
sostenga dei costi (viaggiare e mangiare) per recarsi al lavoro, è
questione che non deve più riguardare l’impresa, per la quale la forza
lavoro è utile solo dal lato del suo consumo e non della sua riproduzione.
Indennità
come quelle di mensa o di trasporto, vengono ridotte e trattate alla
stregua di un benefit, di un costo sociale, che l’impresa può o meno
sostenere a seconda delle sue scelte ed a cui il lavoratore deve
partecipare in misura sempre maggiore, fino all’accollamento totale,
liberando così l’impresa da una retribuzione che nulla ha a che vedere con
la logica della produttività.
2. RETRIBUZIONE DI
ANZIANITÀ
Gli scatti di
anzianità sono ormai una voce marginale della retribuzione. E’ venuto così
a mancare una sorta di adeguamento periodico del salario del lavoratore,
pattuito già al momento della assunzione.
A livello
contrattuale, soprattutto in alcune categorie, si è proceduto prima alla
riduzione del numero di scatti di anzianità, poi alla loro liquidazione
con la ristrutturazione del meccanismo. Il valore degli scatti, non più
collegato all’incrementare della retribuzione, viene congelato in cifra
fissa, e la loro rivalutazione demandata alla contrattazione tra le parti,
per altro caduta in disuso ormai da anni.
3. SALARIO DI
PRODUTTIVITÀ
La strategia
di capitale ha nell’aumento della produttività il suo obiettivo
principale, ma la contrattazione a riparto, riduce la possibilità di
divisione-incentivazione, di concorrenza tra le diverse forze lavoro che è
elemento necessario (assieme ai bassi salari) per sostenere l’aumento
della intensità di lavoro e l’affermarsi di nuovi modelli organizzativi
più flessibili.
Da questo
punto di vista, per il capitale diventa strategico, sia spostare il
baricentro della retribuzione di produttività subordinandola agli
obiettivi aziendali, sia ridurre gli spazi della sua erogazione a
riparto in favore di una erogazione ad incentivo.
Alla
contrattazione dei premi di produzione, si sostituisce la contrattazione
dei premi di produttività o di partecipazione. La
contrattazione è prima di tutto subordinata alla individuazione di “obiettivi”
e di “parametri oggettivi”, a cui subordinare l’eventuale
erogazione che, appunto rimane legata a quegli obiettivi (è quindi erogata
sotto forma di una tantum) e non alla retribuzione. Il premio di
produttività trasforma il premio di produzione in un incentivo sotto forma
di salario variabile, subordinato ad obiettivi da raggiungere.
4. RETRIBUZIONE DI
MERITO
La riduzione
del salario, soprattutto nelle sue quote dedicate alla riproduzione, al
mantenimento ed all’anzianità, libera risorse da mettere a disposizione
uso arbitrario e sempre più massiccio della retribuzione di merito
(benefit, assegni ad personam, superminimi) da parte delle aziende,
e rivolto soprattutto verso le professionalità più tecniche e
specializzate.
Con la
retribuzione di merito si cerca di condizionare sempre più alcune F.L. ad
un rapporto di maggiore fedeltà all’impresa ed a aumentare la
concorrenzialità tra le varie F.L. all’interno della stessa azienda, dello
stesso reparto.
In sintesi, è evidente che, dal lato delle
forme dell’erogazione salariale si è spostato il baricentro delle
retribuzioni dalle sue quote di riproduzione e mantenimento e della
erogazione a riparto, ad una forma di retribuzione più dipendente e
subordinata alle compatibilità di sistema ed agli obiettivi di
produttività e remunerabilità di impresa.
Con l’entrata a regime dell’accordo
concertativo del 1993 possiamo constatare come gli obiettivi padronali
siano stati efficacemente raggiunti.
-
Si è ridotta la
copertura salariale
-
Si è affermato un
modello che formalizza e rende strutturali regole contrattuali che
impediscono la ripresa di una iniziativa sindacale svincolata dai
vincoli del sistema profitto-mercato.
-
Si è spostato il
baricentro del salario a favore di forme di erogazione salariale più
dipendenti alle “valutazioni arbitrarie” del sistema macroeconomico ed a
favore di una più esplicita dipendenza del salario alle forme
immediatamente determinate dagli obiettivi di efficienza, produttività,
remunerabilità di impresa.
Si è così affermato un sistema di forte
subordinazione del Lavoro al Capitale (sostenuto anche dalle nuove scelte
a favore di un mercato del lavoro privatizzato, disponibile ed esigibile
in tutte le forme possibili della precarietà e della flessibilità).
Per concludere l’osservazione del periodo
che ha portato all’entrata a regime del sistema della subordinazione
concertativa, riportiamo, a mo di esempio, il grafico relativo alla
trasformazione delle componenti retributive, in rapporto tra di loro, di
un lavoratore a contratto Chimico-farmaceutico nel periodo tra il 1985 ed
il 2001.
Fatto 100 il valore della sua retribuzione
osserviamo come si sono modificate le percentuali di peso tra le varie
forme salariali della sua busta paga.
Operaio con CCNL chimico 5° livello, con totale maturazione degli scatti
di anzianità e senza assegni familiari
In 16 anni i
pesi percentuali si sono così modificati:
|
1985 |
1995 |
2001 |
|
paga
base (comprensiva della contingenza assorbita) |
77% |
70% |
64% |
|
Scatti
di anzianità |
12% |
9% |
4% |
|
Salario
di produttività (premio di partecipazione) |
8% |
11% |
22% |
|
Altre |
3% |
10% |
10% |
|
|
|
|
|
La busta paga
presa in considerazione non può ovviamente fare testo per una conclusione
generale (analogo lavoro andrebbe fatto su più buste paga di categorie
diverse), ma è comunque indicativo di come, oltre alla sua riduzione, si
sia realizzata sulla retribuzione diretta anche una trasformazione di peso
tra le sue voci a discapito delle quote di mantenimento (proprie della
contrattazione nazionale) ed a favore delle voci variabili (proprie della
contrattazione aziendale).
La crisi
della concertazione e la nuovo offensiva della Confindustria
Nel 1998 si apre una prima valutazione sul
funzionamento del modello contrattuale definito con l’accordo del luglio
1995. Tutti ne riconoscono la bontà. Diverse sono però i giudizi sulla
bontà della sua corretta applicazione. Confindustria lamenta il persistere
di una pressione sindacale non sempre giustificabile dal suo punto di
vista. I sindacati lamentano la non esigibilità dei livelli contrattuali
previsti nel modello. Si deve sempre lottare per avere ciò che dovrebbe
essere dovuto (l’inflazione programmata) e la contrattazione aziendale si
fa solo dove il sindacato è forte quanto basta per imporla.
In risposta ai vari punti di vista che
sollecitano il “perfezionamento” del sistema concertativo si arrivava così
nel dicembre 1998 (Patto di Natale) ad un accordo triangolare che
rafforzava il ruolo della concertazione centralizzata e della dipendenza a
questa della contrattazione. Il Patto di Natale proponeva l’idea di un
modello di regole di tipo neocorporativo nel quale i soggetti sociali
concordavano periodicamente gli obiettivi comuni e concordavano i loro
comportamenti, vincolandosi al raggiungimento di quegli obiettivi.
Il "Patto", ripartendo
dai risultati fino ad ora ottenuti, perfeziona il modello concertativo
mettendo al centro i seguenti obiettivi:
·
Il contenimento ed il
controllo della politica salariale, in modo che questa sia sempre più
compatibile e coerente alla necessità di rendere disponibili maggiori
risorse a sostegno degli investimenti e dell'occupazione;
·
L'introduzione di regole
certe ed esigibili, per consolidare il modello concertativo e per
estenderlo anche a livello regionale e locale, con l'obiettivo di
vincolare le parti sociali al rispetto degli obiettivi macro economici del
"Patto" garantendo e verificando la coerenza dei loro comportamenti
rivendicativi e contrattuali;
·
Il "Patto", prevedendo di
allineare i suoi obiettivi agli standard economici Europei, impegna
ripetutamente tutti i soggetti della concertazione a tenere comportamenti
coerenti con le decisioni che saranno assunte a livello Europeo.
Con la caduta del
Governo di centrosinistra il Patto di Natale rimane lettera morta.
In realtà queste
pattuizioni non reggono soprattutto alla rinnovata “avidità” di
Confindustria che ritiene di poter ottenere ua maggiore subordinazione
delle dinamiche sindacali senza ricorrere a farraginose intese di cui per
prima non ne riconosce l’efficacia immediata.
La crisi di valorizzazione e l’aumentata
concorrenza sui mercati, dentro il quale il Capitale Italiano dimostra una
straordinaria debolezza, convincono Confindustria a rimettere in
discussione lo stesso modello concertativo. Il modello contrattuale
definito nel 1993 è considerato insufficiente a garantire all’interesse di
impresa ed il sostegno alla propria remunerabilità. Per i sindacati il
modello concertativo richiede invece un rilancio attraverso la definizione
più precisa delle sue regole.
In occasione della sua Assemblea
Nazionale di Confindustria, tenutasi a Parma nel 2001, i padroni
dichiarano apertamente le loro intenzioni presentando la loro piattaforma
e la loro ideologia.
Le valutazioni in campo sono le seguenti:
Confindustria:
Il protocollo del 23 luglio viene valutato positivamente per gli elementi
di regolazione che ha introdotto, ma
-
Non sono state liberate
le risorse necessarie per permettere alle imprese vere politiche di
sviluppo (investimenti ed occupazione);
-
Il recupero
dell’inflazione, la tutela del potere di acquisto dei salari non può
essere un costo da scaricare sull’impresa, non tutto può essere risolto
dalla contrattazione sindacale;
-
Va semmai
ridimensionato il contratto nazionale di lavoro a favore di forme
contrattuali più legate alle singole particolari condizioni (aziendale,
territoriale, merceologica) e più dipendenti alla effettiva
disponibilità economica dell’impresa;
-
Vanno rimosse le
residue rigidità sul mercato del lavoro, sia per quanto riguarda
l’entrata (tutta la merce forza lavoro deve essere accessibile sul
mercato nelle forme della precarietà e flessibilità lavorativa) sia per
quanto riguarda l’uscita (libertà di licenziamento);
-
Servono nuove regole,
certe ed esigibili che condizionino i soggetti contrattuali (sindacati
locali e Rsu) al rispetto delle compatibilità concertate a livello
generale.
Le valutazioni sindacali sono ovviamente
diverse e possono così essere riassunte:
Cgil
– La
concertazione viene ancora difesa come modello. La difesa del potere
d’acquisto dei salari, tramite la prederminazione, ha funzionato, e questo
nonostante l’atteggiamento di molte categorie imprenditoriali che hanno
spesso reso difficile l’applicazione del protocollo del 23 luglio 93.
I limiti di quel protocollo vanno quindi
ascritti ad una opposizione Confindustriale di cui si denuncia una
accelerazione, dopo Parma, sostenuta dall’alleanza tra Confindustria ed il
nuovo Governo Berlusconi che vuole esplicitamente un cambiamento (in
peggio) delle regole.
Cisl e Uil
vedono nella crisi del protocollo solo un limite tecnico. Tutto ciò che di
buono poteva dare quell’accordo lo ha dato. L’accordo può (e deve) quindi
essere rivisto e riadeguato alla nuova e più complessa situazione interna
e generale tramite l’individuazione di tavoli di programmazione della
contrattazione e della politica economica più affidabili, nei quali il
ruolo concertativo del sindacato sia maggiormente riconosciuto.
Con la discesa in campo della “piattaforma
Confindustriale di Parma” si apre concretamente una stagione di divisione
sindacale che porta ad un confronto esplicito sullo stesso modello di
contrattazione e di sindacato.
La firma di Cisl e Uil del “Patto per
l’Italia” (22 luglio 2002), gli accordi separati nella contrattazione
dei metalmeccanici, le differenti valutazioni sull’articolo 18, sulla
legge 30 (mercato del lavoro) e sulla legge 66 (orario), aprono di fatto
la questione della svolta sindacale e del nuovo modello contrattuale.
Lo scontro nel sindacato è tra la difesa
dell’esperienza concertativa, necessariamente riproposta su una base
maggiormente conflittuale in risposta alle posizioni liquidatorie di
Confindustria (Cgil), e l’adesione esplicita ad un modello neocorporativo
basato su un maggior peso della “regolamentazione concertata della
contrattazione” a partire dall’idea che solo così si possono salvaguardare
pratiche contrattuali collettive, ruolo e funzione delle organizzazioni
sindacali, necessariamente da rivedere vista la complessità della crisi e
la necessità di un maggior sostegno, e quindi coinvolgimento sindacale,
nelle politiche di sviluppo (Cisl e Uil).
Nella pratica, per quanto riguarda la
contrattazione le posizioni, almeno formalmente, si delineano secondo
queste linee:
-
Cgil
- Difesa ed incremento del potere d’acquisto dei salari, attraverso la
difesa del contratto nazionale come strumento di recupero
dell’inflazione e di quote di produttività, da realizzare anche
attraverso una politica più esplicita di controllo dei prezzi e delle
tariffe, di qualità e quantità dei servizi erogati, di revisione delle
politiche fiscali a favor dei redditi di lavoro.
-
Cisl e Uil
- Difesa ed incremento del potere d’acquisto dei salari, attraverso un
contratto nazionale che garantisca il recupero dell’inflazione
(programmata) sostenuto da maggiori garanzie sul controllo di tutti gli
altri prezzi, e una forte e diffusa contrattazione decentrata
(territoriale ed aziendale) capace di intercettare gli aumenti di
produttività la dove questi si realizzano.
-
Le sinistre
sindacali
(confederali e di base, ma anche la Fiom) sostengono di contro la
necessità di liquidare la politica concertativa e di ridare maggiore
autonomia alle valutazioni arbitrarie (piattaforme) dei lavoratori per
esprimere con maggiore efficacia il quadro di bisogni che il lavoro
esprime, senza vincoli e predeterminazioni.
In realtà, tra le posizioni formali e la
pratica contrattuale concreta, si aprono vistose contraddizioni
soprattutto nell’azione della Cgil.
Se osserviamo la contrattazione sindacale
(dal 2001 ad oggi) notiamo infatti come questa (con l’esclusione dei
metalmeccanici che hanno invece rappresentato l’unico elemento di
contraddizione) si sia caratterizzata per una vera e propria assenza di
strategia sindacale. Le piattaforme, incapaci di rappresentare una
risposta sindacale all’offensiva padronale, si sono arenate unicamente
sull’obbiettivo di evitare, da un lato l’inasprirsi della rottura delle
già deboli relazioni sindacali unitarie, e dall’altro di cercare negli
accordi, elementi di sinergia con le controparti categoriali padronali da
utilizzare per isolare ed indebolire la posizione di Confindustria.
Ciò che ne è uscito è un arcipelago di
soluzioni che tentando di riconfermare la validità del metodo concertativo
scontano risultati economici speso inferiori di quanto previsto del
protocollo del 23 luglio (sia nelle quantità che nelle modalità), con
pesanti cedimenti anche sulla struttura stessa del contratto. Basti
pensare alla manomissione del biennio economico nei Ccnl Poste e Turismo
(luglio 2003 – che prevedono lo slittamento triennale della contrattazione
economica) o all’accordo degli autoferrotranviari dove per la prima volta
si accetta esplicitamente che il recupero dell’inflazione può non essere
tutto a carico della contrattazione nazionale.
Gli accordi sono inoltre intrisi di
riferimenti alla competitività da cui discendono aperture pesanti in
materia di mercato del lavoro (legge 30), flessibilità e prestazione
(legge 66.
Tutte le pattuizioni sindacali celebrano
(con enfasi) il protocollo del 23 luglio. Ma in realtà quel protocollo non
è più funzionante. A governare la contrattazione sono ormai solo:
-
I concreti rapporti di
forza delle categorie impegnate nei rinnovi;
-
La paura sindacale
(evidente in molte categorie) che vede nello scontro generale i rischi
di una perdita dei delicatissimi equilibri di reciproco riconoscimento
costruiti con le controparti nelle contrattazioni precedenti;
-
Una controparte
padronale che in molte categorie cerca mediazioni onorevoli pur di
evitare scontri contrattuali lunghi e difficili, a patto però di
ottenere comunque sconti significativi in termini salariali e di
disponibilità in materia di mercato del lavoro e flessibilità.
L’accordo del 23 luglio 1993 non c’è più,
ma si finge che ci sia, producendo così l’effetto tragicomico di
sottoscrivere contratti al ribasso rispetto alle dinamiche di quel
protocollo ma di celebrarne il rispetto nelle roboanti premesse degli
accordi.
E’ all’interno di questa situazione che si
va ad aprire oggi il confronto sulla “nuova politica dei redditi”. Una
situazione che assomiglia a quella fase di confusione contrattuale che
portò prima all’accordo Amato – Trentin del luglio 1992 e poi all’accordo
concertativo del luglio 1993.
L’azione sindacale, incapace di mettere in
campo una proposta alternativa al modello concertativo, ne rimane invece
ancorato, lo celebra, lo reitera nelle sue fraseologie e nelle sue
formalità e ritualità, mentre l’azione di Confindustria ne smonta giorno
dopo giorno ogni residua regola fino al collasso finale.
La linea di Montezemolo, apparentemente
più attenta alle difficoltà del travaglio sindacale e meno “crudele” nelle
sue pretese di quanto rappresentava invece la posizione di D’Amato, è in
realtà protesa al tentativo di intascare, di rendere formale e stabile,
quanto già la contrattazione recente ha prodotto in termini di
smantellamento del precedente accordo concertativo.
Di fronte al maggiore riconoscimento
offerto da Montezemolo, Cgil Cisl Uil sembrano ora disposti a cercare una
posizione unitaria per realizzare una nuova mediazione (un nuovo patto)
con Confindustria in materia di regole per la contrattazione.
E’
chiaro che, senza una piattaforma, senza una proposta alternativa
poggiante sulla critica e sulla necessità di superare la concertazione
come modello, come strategia, il confronto non potrà che svilupparsi che
all’interno dei livelli di subordinazione già prodotti da anni di pratica
concertativa, con esiti prevedibili che potremo già misurare a breve.
NOTE
[1]
Comunicazione tenuta al seminario Salario
e modelli contrattuali tenuto presso la CGIL di lodi il 15
dicembre 2004.
[2]
Il Compito di una sinistra
sindacale non è solo quello di essere buoni sindacalisti, adeguati e
capaci nel rappresentare le istanze dei lavoratori, ma anche e
soprattutto di saper rendere evidente, di spiegare e smascherare il
carattere di classe delle strategie padronali, sottoponendo a critica
anche le posizioni che, assumendo la “razionalità economica” ed il
conseguente “realismo sindacale” come punti di vista dell’azione
sindacale, di fatto accettano la centralità del mercato e dell’impresa
con conseguente subordinazione a ciò dell’autonomia contrattuale della
Forza lavoro.
E’ questo un lavoro di battaglia politica che negli ultimi anni si è
sostanziato con la nostra esperienza, prima come Alternativa sindacale
ed ora come Lavoro Società contro le posizioni concertative della Cgil.
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