UN COMMENTO DELLA LETTERA A ROMANO PRODI,
PER CHIEDERE CHE IL TERRITORIO, RIDOTTO IN CENERE DALLA DESTRA, NON SIA PIÙ CONSIDERATO UNA CENERENTOLA DAL CENTRO-SINISTRA
[1]

Vezio De Lucia

L’appello a Romano Prodi[2] ha raccolto, in pochi giorni, trecento firme, fra le quali quelle di Giulia Maria Crespi, Desideria Pasolini dall'Onda, Arturo Osio, Giuseppe Chiarante, soci fondatori, rispettivamente, del FAI, di Italia Nostra, del Wwf Italia, dell’associazione Bianchi Bandinelli. Hanno firmato anche alcuni ex ministri – Giovanna Melandri, Paolo Baratta, Willer Bordon, Edo Ronchi – illustri storici dell’arte, archeologi, sovrintendenti, urbanisti, studiosi e docenti universitari. Promotore dell’iniziativa è il giornalista e scrittore Vittorio Emiliani, già direttore del Messaggero e consigliere d’amministrazione della Rai, da sempre impegnato nella tutela del patrimonio artistico e ambientale del nostro paese, in prima linea contro i disastri del governo Berlusconi. L’11 novembre, Emiliani ha organizzato una giornata nazionale di protesta con la parola d’ordine: “Cultura, Beni Culturali e Ambiente, un’Italia da rifare”. L’obiettivo è il medesimo che persegue l’appello a Prodi: far capire agli italiani che nell’ultimo quadriennio è stata scardinata l’idea stessa della prevalenza dell’interesse pubblico, sostituita da una pioggia di condoni e di sanatorie, di mance e di premi a favore di chi, invece, persegue esclusivamente i propri interessi a danno del Paese e della sua storia.

L’altra idea scardinata dall’attuale governo e dai suoi lacché è quella della inalienabilità dei beni culturali e ambientali di proprietà pubblica. Un principio in vigore da secoli, fin dalle leggi medicee e pontificie; salvo eccezioni stabilite dagli organi di tutela. Il governo di centro destra ha operato invece un vero e proprio ribaltamento, tutti i beni culturali e ambientali pubblici diventano vendibili, salvo eccezioni. E’ la logica della Patrimonio Spa e simili, destinate a finanziare opere pubbliche devastanti, a fare cassa con pezzi di patrimonio pubblico.

Mi interessa qui soprattutto riprendere e sviluppare il riferimento dell’appello al progetto di legge sul governo del territorio in discussione al Senato. Per due ragioni: perché il territorio è il contenitore di ogni altro bene culturale e perciò il suo buon governo è determinante per la conservazione dell’intero patrimonio pubblico; e perché il disegno di legge è stato già approvato dalla Camera alla fine del giugno scorso ed è urgente mobilitarci per impedirne l’approvazione definitiva. Sapendo che il testo ha goduto del sostanziale consenso di importanti settori del centro sinistra (ben 32 deputati dell’opposizione hanno votato a favore), dell’Istituto nazionale di urbanistica (ormai collaterale al centro destra) e del fragoroso silenzio della stampa (salvo Liberazione e poche altre pregiate eccezioni). Il disegno di legge prende il nome dal suo principale artefice, Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano, ispiratore dell’urbanistica contrattata “di rito ambrosiano”. A Milano le regole urbanistiche sono una lontana memoria. Progetti e programmi pubblici e privati non sono tenuti a uniformarsi alle prescrizioni del piano regolatore ma, al contrario, è il piano regolatore che si deve adeguare ai progetti, diventando una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni edilizie contrattate e concordate.

Con il disegno di legge Lupi, l’impostazione milanese viene estesa a tutta l’Italia. Mi fermo solo su tre funesti contenuti.

La norma più grave è quella che cancella il principio stesso del governo pubblico del territorio, sostituendo gli atti cosiddetti “autoritativi”, vale a dire quelli propri del potere pubblico, con “atti negoziali”, assunti d’accordo con la proprietà immobiliare. La legge in discussione al Senato cancella poi gli standard urbanistici, che sono le quantità minime di spazi destinate a verde e a servizi garantite a tutti i cittadini, un vero e proprio diritto alla vivibilità, conquistato nell’ormai lontano 1968. E’ la stessa filosofia della devolution, i diritti possono non essere uguali per tutti. Se quasi ovunque nel Mezzogiorno adeguate disponibilità di verde pubblico e servizi sono ancora un miraggio, si provveda allora a ridurre gli obblighi di legge rispetto al centro nord. Il terzo insensato contenuto della proposta riguarda l’indiscriminata incentivazione del consumo del suolo. Invece di imporre la preservazione di quanto resta di territorio non urbanizzato, come stanno facendo Francia, Germania, Inghilterra, e come richiede l’Unione europea, se ne legittima la dissipazione. Se avesse operato in passato una norma del genere, l’Appia Antica sarebbe come Casalpalocco, le colline di Bologna e di Firenze sarebbero come Posillipo, non ci sarebbe il parco delle Mura di Ferrara, non sarebbe stata salvata la costa della Maremma livornese, e così di seguito.

Pochissimi gli osservatori che hanno posto in relazione il disegno di legge Lupi con le spericolate avventure dei cosiddetti immobiliaristi che spadroneggiano nella finanza italiana, con la copertura delle autorità monetarie e politiche, e hanno contribuito a fare della rendita il motore dell’economia nazionale. La questione della rendita è strettamente legata all’urbanistica. Negli anni Sessanta e Settanta, l’impegno della cultura di sinistra per la riforma urbanistica era tutt’uno con il più generale impegno per contrastare, contenere e ridurre i privilegi della rendita immobiliare e finanziaria. Il patto fra i produttori, l’alleanza fra salario e profitto contro la rendita, furono efficacissime parole d’ordine e direzioni di marcia che nessuno ricorda. Fra i pochi soggetti che hanno messo in evidenza il primato, nell’Italia di oggi, della rendita sul profitto e sul salario, e della speculazione sull’impresa e sul lavoro, mi limito a ricordare il sito Eddyburg (di cui raccomando la quotidiana frequentazione).

Accanto alla rovinosa politica urbanistica del centro destra, l’appello ricorda le norme devastanti della legge delega sull’ambiente, l’umiliazione di tanta parte della dirigenza pubblica a causa del ricorso brutale allo spoil sytem, il paesaggio agrario ferito a morte, il disordine urbano, la crisi dei trasporti: ragioni tutte che impongono di “rifare l’Italia”, chiedendo a Romano Prodi di impegnarsi in tal senso. Concludo, riprendendo le conclusioni di Vittorio Emiliani alla giornata di protesta dell’11 novembre. In materia di beni culturali, le tesi esposte da Prodi in vista delle primarie non bastano, e la latitanza (o peggio) del centro sinistra nella vicenda della legge Lupi è molto preoccupante. Ci vuol altro: si tratta davvero di rifare, di ricostruire l’Italia migliore, che è stata ferita, macchiata, manomessa e violentata. Nel corpo e nelle leggi. Un compito di per sé immane, da realizzare anzitutto nelle coscienze, sperando che troppe di esse non siano state contagiate e corrotte. Un compito al quale le forze della cultura debbono dedicarsi con forza, ben al di là dei tagli alla Finanziaria, incalzando la politica e i politici sul piano strutturale, reclamando con forza di concorrere a un progetto Italia, a una sorta di New Deal della cultura e dell’arte da porre alla base della ripresa del nostro Paese, bello e infelice.

NOTE


[1] Estratto da “Liberazione”del 19 novembre 2005.

[2] Appello a Romano Prodi: “una Italia da rifare”

Perchè negli impegni politici il territorio non sia Cenerentola

Per tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio, del patrimonio storico-artistico, perchè il nostro futuro non rimanga una cenerentola negli impegni politici. Vittorio Emiliani propone questo appello e invita docenti universitari, uomini di cultura, persone che possano orientare l’opinione pubblica a sottoscriverlo indirizzando le adesioni a Vittorio Emiliani. Si prega di indicare anche la qualifica e l'ente culturale presso cui opera.

Il nostro Paese ha bisogno di una terapia d’urto, ha detto Romano Prodi, di una rianimazione, di una vera e propria ricostruzione: morale, politica, legislativa, comportamentale. L’idea-cardine di “interesse generale” è stata, a nostro avviso, molto indebolita, in certi casi divelta, coi vari condoni, con normative che intaccano il patrimonio di tutti premiando furbi e criminali e punendo i cittadini onesti.

Nella tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio, del patrimonio storico-artistico del Bel Paese il centrodestra ha prodotto una rottura epocale rispetto ai criteri di fondo plurisecolari che salvaguardavano i beni pubblici, i beni di tutti, fruibili da tutti. Su di essi si sono basate le leggi dell’Italia moderna e, più vicino a noi, quelle sui piani paesistici, sui parchi, sulla difesa del suolo, sulle acque, eccetera. La vendita di pezzi del patrimonio culturale pubblico per fare cassa, lo stesso Codice Urbani pieno di buchi e di ambiguità, le norme devastanti previste dalla legge-delega ambientale confermano la ferita storica inferta, nelle idee e dei fatti, al Bel Paese, alla sua tradizione riformatrice. Ferita da sanare al più presto.

L’apparato di garanzie pubbliche va prontamente ricostituito, assieme alle Regioni, reso più incisivo e tempestivo, investendo su competenze e professionalità: i Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali sono allo sbando. Proprio nel momento in cui l’indotto dei musei, delle città d’arte, dei parchi rappresenta la sola nota positiva del nostro turismo in netta crisi. Un suicidio, quindi, anche economico.

L’interesse generale è stato sostituito da una somma di interessi individuali, clientelari, o corporativi, da una visione economicistica del patrimonio storico-artistico-ambientale altamente pericolosa. Si pretende infatti che i beni culturali e ambientali “fruttino” economicamente, mentre,secondo noi, va riaffermata l’idea-forza che la cultura e i suoi beni rappresentano un valore “in sé”, e non in quanto diano redditi. Altrimenti si dividono i beni culturali e ambientali fra quelli che possono fruttare profitti e quelli che non possono darne (le chiese di campagna o i borghi di montagna, la rete dei musei più periferici, i parchi più inaccessibili, e così via). Con un arretramento enorme rispetto a pochi anni or sono.

Il nuovo governo di centrosinistra dovrà pertanto riportare in onore grandi valori offuscati o addirittura abbattuti, rianimare una dirigenza umiliata da brutali spoil-system, ridare ai giovani la certezza piena che merito, competenza e professionalità saranno al centro, d’ora in avanti, di ogni nuova politica pubblica per l’arte, la musica, il teatro, il cinema, la televisione pubblica. Per la cultura.

Questa maggioranza di sgoverno ha fatto approvare un progetto di legge urbanistica, ora al Senato, fondato sull’abbandono di ogni pianificazione regionale e comunale nell’interesse generale sostituita da una urbanistica che tutto contratta coi poteri forti delle immobiliari. Viviamo un momento di grande regressione in cui sono esaltati i valori della rendita e della speculazione, fondiaria e finanziaria, mentre vengono depressi i valori del profitto d’impresa. La rendita è il motore di una economia non a caso del tutto immobile. Cammina solo la rovina dell’ambiente e del territorio.

Nel nostro Paese il patrimonio abitativo si è enormemente dilatato. La superficie agraria italiana è diminuita, nell’ultimo mezzo secolo, di centinaia e centinaia di migliaia di ettari subito spalmati di cemento e di asfalto. I terreni a coltura presso le città (spesso svuotate) sono oggi soprattutto aree in attesa di reddito edilizio. Ma ancora non spunta una vera, convinta strategia per il recupero e per il riuso di interi quartieri degradati, di stabili largamente vuoti e sfitti, adibiti ad usi speculativi. Si continua a costruire senza sosta e poi, però, non ci sono alloggi per giovani coppie, immigrati, vecchi e nuovi poveri. Del disordine urbano (“urban sprawl”) si discute animatamente in Gran Bretagna e negli Usa. In Francia ci si interroga sulla “fine dei paesaggi”. In Italia, no. Eppure, nel Bel Paese, non c’è più soluzione di continuità fra città e città. Mentre la nostra montagna è spesso un grande deserto sfasciato dalle frane.

Un compito immane, politico e culturale, ci sta davanti: sul piano ambientale, territoriale e paesaggistico e su quello, strettamente integrato, dei trasporti di persone e di merci (metropolitane, reti locali e nazionali, cabotaggio moderno). Su tutto ciò noi chiediamo a Romano Prodi di ascoltare questo appello, per “rifare l’Italia”, dicendo fin dalle primarie, parole nette, concrete, inequivocabili.

PRIME ADESIONI all'Appello

Oltre ai tre promotori (Vittorio Emiliani, Vezio De Lucia, Luigi Manconi), fra i trecento firmatari spiccano i nomi di:

Giulia Maria Crespi, Desideria Pasolini dall'Onda, Arturo Osio, Giuseppe Chiarante, soci fondatori, rispettivamente, del FAI, di Italia Nostra, del Wwf Italia e della "Bianchi Bandinelli". Poi alcuni ex ministri: Giovanna Melandri, Beni culturali, Paolo Baratta, Willer Bordon e Edo Ronchi, Ambiente. Fra gli storici dell'arte aderiscono il soprintendente del Polo Museale di Napoli, Nicola Spinosa, Marisa Dalai, Enrico Castelnuovo, Antonio Pinelli, Bruno Toscano, Cesare De Seta, Andrea Emiliani, Enzo Borsellino, Orietta Rossi Pinelli, Lida Branchesi, Donata Levi con l'intera redazione di "Patrimonio Sos", Leandro Ventura col sito "Venezia Cinquecento". Fra gli archeologi, la soprintendente di Ostia Antica, Anna Gallina Zevi, Adriano La Regina, Fausto Zevi, Paolo Matthiae, Licia Vlad Borrelli, Mario Torelli, Irene Berlingò dell'Assotecnici, Anna Paola Briganti, Carlo Pavolini, ecc. Storici come Chiara Frugoni, Nicola Tranfaglia, Mario Sanfilippo, Paolo Sorcinelli, D.W. Ellwood, Piero Bevilacqua, Paolo Pezzino. Gli urbanisti, Pier Luigi Cervellati, Paolo Berdini, Italo Insolera, Edoardo Salzano, Bernardo Rossi Doria, Elena Camerlingo, Filippo Ciccone, Maria Cristina Gibelli, Enzo Scandurra, Lodovico Meneghetti, Sergio Brenna, ecc. I segretari nazionali dei sindacati dei Beni Culturali Gianfranco Cerasoli, Uil, Libero Rossi, Cgil, e Claudio Calcara, Cisl, con tutti i dirigenti centrali e provinciali. La soprintendente archivista Lucia Salvatori Principe. I geografi Francesco Pardi e Paola Bonora. Gli scrittori Vincenzo Consolo, Carla Ravaioli, Corrado Stajano, Manlio Brigaglia, gli autori televisivi Paola Pascolini e Andrea Purgatori, musicisti e musicologi come Roman Vlad, Agostino Ziino e la presidente della Società Italiana di Musicologia, Bianca Maria Antolini. Gaia Pallottino e Achille Cutrera, studiosi dell'ambiente. Il segretario di "Polis" Luigi Scano e dell'Associazione per l'Economia della Cultura, Giovanni Emiliani. Il dirigente editoriale Gianandrea Piccioli. L'esperto d'arte Milton Gendel. L'attore e scrittore Giuseppe Cederna. Il pro-Rettore dell'Ateneo di Pisa, Lucia Tomasi Tangiorgi. Studiosi dei "media" come Enrico Menduni e Franco Monteleone. Lucia Zannino a nome dell'Associazione Istituti Culturali Italiani. I dirigenti e funzionari ministeriali Francesco Scoppola, Anna Maria Mandillo, Ferruccio Ferruzzi, Paola Elisabetta Simeoni, ecc. I presidenti di Italia Nostra, Maria Antonelli (Roma) e Leandro Janni (Sicilia). I giornalisti Silvia Dell'Orso, Felice Froio, Maria Serena Palieri, Fabio Isman, Fernando Ferrigno, Giulio Castelli, Arturo Guastella, ecc. Pier Silverio Pozzi e l'intero staff del Festival Internazionale di Sant'Arcangelo. Clelia Arduini segretaria Archeoclub Italia. L'economista Michele Trimarchi e gli operatori dell'ECCOM. I docenti universitari Giorgio Baiardi Cerboni, Guido Melis, Massimo Montella, Maurizia Migliorini, Liliana Barroero, Valeria Camporesi, Maria Grazia Messina, Renato Bordoli, Augusto Gentili, Claudia Terribile, Francesca Pitocco, Remo Cacitti, e molti altri.