LA DESTRA ABOLISCE L’URBANISTICA. LA SINISTRA TACE[1] Vezio De Lucia Un disastro incombe sulle città e sul territorio italiani. Nel prossimo mese di febbraio, la Camera dei deputati potrebbe approvare la nuova legge urbanistica. Una proposta micidiale, che porta il nome di Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del Comune di Milano e ispiratore dell’urbanistica contrattata di rito ambrosiano. A Milano non valgono più le antiche regole. Non è il Piano Regolatore (PRG ndr) che comanda le scelte edilizie. È vero il contrario, sono i progetti, una volta approvati, a determinare il piano regolatore. Che diventa così una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni decise a scala edilizia. È la medesima impostazione della proposta di legge in discussione alla Camera. L’urbanistica non è più competenza esclusiva del potere pubblico, ma dipende dagli “atti negoziali” e dagli accordi fra i soggetti istituzionali e i soggetti interessati, che certamente non sono la pluralità dei cittadini ma solo i detentori della proprietà immobiliare. Un’altra novità riguarda il campo di applicazione dei piani regolatori che non coprono più l’intero territorio comunale, com’è sempre stato dal dopoguerra, ma spetta alle regioni di individuare gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione. C’è ancora di peggio, il disegno di legge Lupi ha snaturato la stessa disciplina urbanistica, scorporando da essa la tutela dei beni culturali e del paesaggio, che nella legislazione del nostro Paese erano state sempre organicamente intrecciate. Alcuni dei risultati più straordinari dell’urbanistica italiana non sarebbero più possibili se fosse approvata la legge in discussione. Mi limito a ricordare la destinazione pubblica dell’intero comprensorio (2.500 ettari) dell’Appia Antica, a Roma, deciso dal piano regolatore del 1965 proprio per tutelare l’enorme patrimonio d’arte e di storia formata dalla regina viarum e dai dintorni. Non sarebbe più possibile la formazione del gran parco delle mura a Ferrara, né la salvaguardia delle colline di Firenze, Bologna, Bergamo, Napoli, sfuggite agli energumeni del cemento armato. Un’altra funesta previsione della proposta riguarda la cancellazione dei cosiddetti standard urbanistici, che sono una sorta di diritto alla città, il riconoscimento a ogni cittadino italiano di disporre di una sufficiente quantità di spazio pubblico per servizi fondamentali: il verde, l’istruzione, i parcheggi, e altre attrezzature. Gli standard, frutto di vaste e prolungate rivendicazioni popolari, esistono dal 1968, e da allora hanno rappresentato un riferimento irrinunciabile per l’azione dei partiti, comitati, associazioni, movimenti che hanno preteso, e ottenuto, la realizzazione e la gestione di servizi essenziali. Con la legge Lupi non sarà più così, e in nome della flessibilità e della privatizzazione esulta la stampa confindustriale che scrive di un vero e proprio sblindamento, quello previsto dall’articolo 6, che è destinato a far saltare una delle norme che più hanno irrigidito l’urbanistica italiana degli ultimi venti anni: la disciplina degli standard urbanistici. L’opposizione tace. Anzi, ampi settori del centro-sinistra, quelli convinti che la modernità consista nell’asservimento dell’interesse pubblico all’interesse privato, collaborano al buon esito dell’iniziativa. La stampa non si occupa dell’argomento. Solo l’associazione “Italia nostra”, riunita a Roma in un convegno sul paesaggio, ha lanciato l’allarme e ha avviato una raccolta di firme sotto un appello all’opinione pubblica e ai partiti politici. Un appello preoccupato e severo: preoccupato per gli effetti del disegno di legge Lupi, severo nei confronti non solo di chi ha proposto ma anche di chi non l’ha contrastato. NOTE [1] Estratto da: “Liberazione” del 30 gennaio 2005. |