CINA, LA CITTÀ ASSEDIA LE CAMPAGNE[1]

Agitazioni sociali sempre più frequenti e intense. Lo dicono le cronache di rivolte contadine contro la confisca delle terre, lo confermano le statistiche sull'ineguaglianza in aumento anche nelle città

Angela Pascucci

Un occhio alle cronache e statistiche ufficiali alla mano, la Cina è scossa con crescente intensità da sommovimenti sociali i più diversi. Proteste, rivolte, resistenze violente, tumulti che nascono all'improvviso, persino da incidenti stradali. Gli ultimi dati in proposito del Ministero della pubblica sicurezza risalgono al 2003, ma bastano e avanzano per dare un'idea: in quell'anno 58mila proteste di vario genere hanno coinvolto tre milioni di persone. Dieci anni prima, nel 1993, ne erano state registrate 8.700. Un decennio di progressione sistematica, al passo del 17% di crescita annua, ben più gagliarda del Pil. Il mese di giugno ha fornito esempi incandescenti, con aspetti talvolta inediti. Come a Shengyou, provincia dell'Hebei, 220 chilometri a sud ovest di Pechino, teatro di una resistenza contadina alla costruzione di una centrale elettrica. Un progetto deciso dall'alto, foriero di perdita di terra in cambio di magri risarcimenti, e di espulsione. Una lotta iniziata con l'occupazione dei terreni nel 2003 e stroncata l'11 giugno dall'intervento di una squadraccia ingaggiata dagli interessati allo sviluppo del progetto, autorità locali comprese. Non era ancora l'alba quando in 300 sono calati sul villaggio armati di fucili da caccia, aste armate di lame taglienti, mazze di ferro. Un corpo a corpo brutale nel quale sei contadini e uno degli assalitori hanno perso la vita. Per la prima volta, una telecamera ha ripreso gli scontri, consegnando alla storia tre minuti di battaglia violentissima che, almeno finora, ha lasciato la terra nelle mani dei contadini.

Il fronte delle campagne oggi ribolle e sembra cominciare a difendersi in modo più organizzato. Nel primo week end di luglio, a Sanshangang nel Guangdong, ricca provincia meridionale prospiciente Hong Kong, migliaia di contadini hanno inscenato proteste contro la confisca di 670 ettari di terra, sfociate in scontri duri con la polizia quando i leader della protesta sono stati arrestati. Scontento e ribellione sono d'altra parte gli effetti, probabilmente non desiderati e di sicuro non previsti a tale ampiezza, della nuova fase di riforma agraria in corso. Una «razionalizzazione» dei contratti di proprietà e uso che ha dato origine a un'alleanza tra autorità locali e speculatori immobiliari alle spalle dei contadini. Un fenomeno che la rivista economico-finanziaria cinese Caijing ha paragonato al movimento delle «recinzioni» del XVIII secolo in Inghilterra.

Affermare che i contadini cinesi sentono la terra mancargli sotto i piedi non è dunque una metafora. La grande migrazione verso le città, che ha consentito alla Cina di diventare la più grande fabbrica del mondo con un esercito di braccia di riserva pressoché infinito, è in atto dall'inizio delle riforme denghiste, ma solo adesso arriva a maturazione l'impatto profondo del sommovimento epocale prodotto da milioni di mingong («lavoratori contadini»). Lungi dall'essere assediate dalle campagne, le città le hanno divorate in un processo di urbanizzazione fra i più imponenti della storia (leggere scheda). Un movimento abnorme, parte integrante di un modello di sviluppo e modernizzazione che ha scelto il territorio urbano come terreno di elezione per una espansione rapida.

Così che, se le campagne bollono, nelle città l'aria sembra essersi fatta così incandescente che anche minuscole scintille talvolta appiccano incendi. L'ultimo di cui si sia avuta notizia è divampato nel pomeriggio di domenica 26 giugno a Chizou, nell'Anhui, in seguito a un banale incidente stradale. La disputa tra un ragazzo colpito di striscio da una Toyota e gli occupanti della vettura ha innescato una rissa sfociata in una rivolta di oltre diecimila persone che hanno assediato la stazione di polizia chiedendo che gli venissero consegnati i responsabili dell'incidente. Nel giro di poche ore la folla ha dato alle fiamme alcune vetture e saccheggiato un supermercato. Poi, è stata tagliata la corrente al commissariato. Solo dopo nove ore la polizia è riuscita ad avere ragione della rivolta.

Una Cina sull'orlo di una crisi di nervi? Forse non ancora, ma in preda a forti tensioni certamente sì. D'altra parte che la Cina sia lacerata da ineguaglianze sempre più forti è preoccupazione crescente della sua stessa leadership. In un editoriale del 21 giugno scorso. lo stesso Quotidiano del popolo ha «suonato l'allarme» davanti all'avanzata di questo esercito di cittadini di serie B che «potrebbe mettere in pericolo la stabilità sociale e la pubblica sicurezza». Anziani senza famiglia, disoccupati, migranti sono i «paria» dello sviluppo in corso. Il gap urbano in crescita si somma così a quello città-campagna (vedi scheda), altra faccia di una stessa medaglia, dimostrazione che l'acqua in salita dei redditi crescenti non solleva più tutte le barche, e molte anzi le travolge.

Per i contadini cinesi, un risveglio brutale dal sogno del grande arricchimento che amplifica la rabbia e li spinge a resistere in forme sempre più ampie ma anche sofisticate che mescolano barricate di bambù, Sms e Internet, in un coordinamento che supera le mura del villaggio e espande informazione all'esterno in modi difficilmente controllabili e finora impensabili. Di certo oggi, prima ancora di leggere le statistiche, i contadini apprendono da chi li ha preceduti che il pane della città è assai salato, condito com'è da un disprezzo oltraggioso e da una segregazione sociale che nega anche il diritto alla salute e all'istruzione.

E tuttavia, la rabbia non prende di mira le autorità centrali, preferendo appuntarsi contro i corrotti cacicchi locali. La fede nella petizione a Pechino persiste. La Corte suprema del popolo nel 2004 ha ricevuto, tra petizioni e visite, 147.665 segnalazioni. La quasi totalità delle quali è stata rispedita a quelle stesse autorità locali causa delle lagnanze. A Zhongnanhai possono dunque stare ancora tranquilli. Lo ha rilevato anche lo studioso Murray Scot Tanner, della Rand Corporation, nella sua audizione davanti all'Us-China Economic and Security Review Commission del Congresso Usa, tenuta il 14 aprile scorso, che esaminava la questione «crescenti turbolenze sociali in Cina» dal punto di vista della «sopravvivenza del Pc cinese». Che con tutta evidenza Washington osserva con grande attenzione.

schede

La Grande Mutazione

Nel 2003 il Ministero Nel 2003 il Ministero della Terra e delle Risorse ha registrato 168mila casi di confische illegali di terra, che lo scorso anno si sarebbero ridotte a 80mila. Di fatto, secondo l'Ufficio centrale di statistica cinese, tra il 1996 e il 2003 il paese ca cinese, tra il 1996 e il 2003 il paese ha perso 6,7 milioni di ettari di terra arabile. Un trend in accelerazione libera, se è vero che, nel solo 2003, ne sono stati «riconvertiti» oltre 2,5 milioni. Il «Libro verde dell'economia rurale di Cina» calcolava nel 2004 che per ogni mu (circa 0,07 ettari) che viene trasferito a usi non agricoli, da 1 a 1,5 contadini perdono la propria terra.

Oggi in Cina il 40% della popolazione vive nelle città e i centri urbani con oltre un milione di abitanti sono 166. La popolazione cittadina cresce del 2,5% ogni anno (contro lo 0,8% in India) e il governo prevede che tra il 2004 e il 2020 altri 300 milioni di persone, volenti o nolenti, lasceranno le campagne per tentare la fortuna nelle città.

Il Grande Gap

Secondo un rapporto diffuso nel giugno scorso dall'Ufficio nazionale di statistica cinese, durante i primi tre mesi del 2005 nelle aree urbane la fascia di reddito più alta ha guadagnato 11,8 volte di più della fascia più bassa. Nel 1996 e nel 2000 le cifre erano rispettivamente 4,16 e 5,7. Altre statistiche, diffuse sempre a giugno dal Ministero del lavoro e della sicurezza sociale hanno confermato il trend verso una frattura sociale che diventa abisso, rivelando che, sempre nelle città, il 10% più ricco possiede il 45% della ricchezza, contro l'1,4% del 10% più povero. Intanto il divario fra redditi urbani e agricoli è passato da 1,8 a metà degli anni `80 a 3,1 nel 2003 (ma c'è chi parla anche di una rapporto 5 a 1) e oggi un reddito medio agricolo si attesta intorno ai 317 dollari. Tra il 2000 e il 2002 i redditi sono diminuiti, in termini assoluti, nel 42% delle famiglie contadine. Nel luglio del 2004 un rapporto governativo segnalava che nel corso dell'anno precedente 800mila agricoltori avevano varcato la soglia di povertà (75 dollari l'anno). Primo incremento della povertà assoluta nelle campagne dall'inizio delle riforme nel 1978.

(Dati riportati da George J. Gilboy e Eric Eginbotham nell'articolo «The Latin Americanization of China?», Current History, settembre 2004).

NOTE


[1] Estratto da: “il manifesto” del 17 luglio 2005.