LEZIONE INDIMENTICABILE[1]

Stefano Lucarelli

Non mi pare che regni oggi sul Continente una vera epidemia di scioperi e una richiesta generale di aumento di salario. Fare gli scioperi è difficile; ancora più difficile è fare in modo che non risulti inutile farli: al momento opportuno qualche cittadino di indubitabile onestà tornerebbe a fare considerazioni difficile da confutare, «se una zuppiera contiene una determinata quantità di minestra, che deve essere mangiata da un determinato numero di persone, un aumento della grandezza dei cucchiai non porterebbe a un aumento della quantità della minestra». E quando la minestra inizia a scarseggiare l'onesto cittadino sosterrà che un aumento salariale potrebbe solo generare una spirale inflazionistica, poiché «i prezzi delle merci vengono determinati o regolati dai salari». Un cittadino di un'altra fazione, e di una diversa onestà, potrebbe arrabbiarsi: «Che cosa intendiamo dire quando affermiamo che i prezzi delle merci sono determinati dai salari? Poiché i salari non sono che un termine per designare il prezzo del lavoro, poiché prezzo è valore di scambio espresso in denaro, la cosa si riduce a dire che `il valore del lavoro è la misura generale del valore'». La verità è che «la resistenza periodica opposta dagli operai contro la diminuzione dei salari e gli sforzi che essi fanno di tempo in tempo per avere degli aumenti di salario sono inseparabili dal sistema del salario e dettati dal fatto stesso che il lavoro è parificato alle merci, e un rialzo generale dei salari provocherebbe una caduta del saggio generale del profitto».

Il cittadino furente potrebbe incantare la folla, inducendo in essa il disprezzo nei confronti dell'onesto cittadino, con parole che rappresentano la summa theorica del ragionamento di uno scienziato sociale: «Il massimo del profitto è dunque limitato solamente dal minimo fisico dei salari e dal massimo fisico della giornata di lavoro. Chiaro che fra questi due limiti del saggio massimo del profitto è possibile una serie immensa di variazioni. La determinazione del suo livello reale viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l'operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto».

Qui si tratta di incitazione alla lotta di classe bella e buona, tuttavia il nostro caro arringatore ci riserva ancora dei consigli: non bisogna «lasciarsi assorbire esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato» occorre invece «comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società».

Sono abbastanza convinto che questi insegnamenti fuori moda siano ancora utili e che possano essere sostenuti senza portare alla lotta armata: 1) un aumento generale del livello dei salari provoca una caduta generale del saggio generale del profitto, ma non toccherebbe, in linea di massima, i prezzi delle merci. 2) La tendenza generale della produzione capitalistica non è di elevare il salario normale medio, ma di ridurlo. 3) Le organizzazioni dei lavoratori dovrebbero servirsi della loro forza organizzata come una leva per la liberazione definitiva da questo lavoro salariato. Credo anche valgano specialmente per la worker class statunitense e cinese. Salari, prezzi, profitto, discorso pronunciato da Karl Marx nel 1865, non ha mai avuto molto successo negli Stati Uniti, come in Cina, per motivi storicamente molto diversi, ma per strategie politiche compatibili: sostenere il proprio saggio di profitto a scapito dei salari di tutti gli altri.

NOTE


[1] Estratto da: “il manifesto” del 17 giugno 2005 – Rubrica: “Nel nome di Caffè”.