IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

STEFANO LUCARELLI

Il debito pubblico italiano è arrivato a fine settembre a 1.409,997 miliardi di euro; il governatore della Banca d’Italia appare preoccupato; il ministro dell’economia minimizza secondo la migliore tradizione della sofistica; il presidente della Commissione europea polemizza con il modello di sviluppo americano (e con la sofistica) nel rispetto del Patto di stabilità. Il presidente della Commissione europea è anche il leader riconosciuto della sinistra che vorrebbe (e dovrebbe) proporre un insieme di misure di politica economica alternative tanto al modello americano, che non conosce stato sociale, quanto alla finanza creativa base della confusa politica economica del confuso governo italiano.

Il debito pubblico veglia minaccioso su qualsiasi alternativa, problema teorico mal indagato tramutato in spauracchio perpetuo, impedisce un uso keynesiano del deficit quale strumento attivo di gestione macroeconomica. Eppure la storia economica insegna che il debito pubblico non può essere cancellato o considerato come vincolo esterno semplicemente perché è prima di tutto l’attributo essenziale della sovranità di uno stato. Senza uno studio adeguato di questa categoria, ogni riformulazione di un programma keynesiano (non bastardo, né criminale) resta una chimera.

Un buon punto di partenza può trovarsi nella lettura di La crisi fiscale dello stato, un vecchio testo di un intelligente economista americano, non estraneo a Marx, James O’Connor che -mi pare- parla dell’oggi. Così nel 1979, Federico Caffè presenta l’edizione italiana:

La crisi fiscale dello stato è divenuta una specie di formula ad effetto che non riguarda esclusivamente gli specialisti di problemi fiscali, […] il messaggio che in modo diffuso viene associato a questa formula è quello di uno stato che, vittima di apprendisti stregoni che l’hanno indotto con leggerezza a percorrere la strada dell’espansione della spesa pubblica, si trova di fronte a una situazione di dissesto.” Ecco il parere sbagliato che è oggi senso comune “Non è del tutto inutile sottolineare che il vero processo di regressione culturale che è in corso con le quotidiane evocazioni del mercato […], è completamente estraneo alle conseguenze che l’autore ne trae. […] Il volume, che costituisce una penetrante analisi dello stato militare-assistenziale quale si è venuto affermando negli Usa, fornisce validi elementi di critica dal punto di vista convenzionale secondo il quale ‘il settore pubblico si svilupperebbe solo a spese del settore privato’. In realtà, ‘la crescita del settore statale è indispensabile all’espansione dell’industria privata’ […] ‘ l’espansione del settore monopolistico e quello del settore statale formano un processo unico’.” Questi sono gli Stati Uniti di ieri e di oggi. “Conseguentemente, ‘sebbene nelle economie capitalistiche il potere economico e il potere politico siano formalmente separati, esiste un’intricata rete di relazioni informali tra stato ed economia, tra funzionari governativi e uomini d’affari’. E infine la povertà e l’assistenza governativa rappresentano aspetti essenziali dello sviluppo capitalistico. Sono considerazioni tutte che […] dovrebbero contribuire a sprovincializzare il discorso sulle disfunzioni dell’assetto economico-sociale, allorché esso viene riferito al caso italiano. Troppo spesso, qualificando come assistenziale o parassitaria l’economia italiana […] finiamo per attribuire al caso Italia una singolarità che è, di fatto, inesistente; o che al massimo, è da intendersi come questione di grado e non di sostanza. […] Occorre riferirsi alla struttura stessa del capitalismo maturo, di cui l’espandersi dello stato assistenziale non costituisce una deformazione, ma un’immagine speculare. Ci sarà molto da guadagnare in chiarezza e progettualità se il meritorio lavoro di indagine delle possibili frodi sul piano delle erogazioni assistenziali non finisca per prevalere oltre il dovuto sul metodico impegno di ‘metter in discussione efficacemente l’egemonia ideologica e politica del capitale monopolistico.”

Resta da chiarire cosa sia oggi il capitale monopolistico, che cresce a scapito dell’accumulazione del capitale sociale, generando la crescita del debito pubblico accanto allo smantellamento dei diritti fondamentali. Un’indagine difficile che i movimenti hanno solo abbozzato perdendosi nei meandri del postfordismo, senza essersi confrontati né con l’economia politica né con la sua critica, lasciando via libera al (preoccupante) programma economico del centro-sinistra (ben descritto da Brancaccio sull’ultimo numero della Rivista del manifesto).