LA DESTRA STATALISTA CHE CI FA LE SCARPE[1]

LUIGI CAVALLARO

Il richiamo di Giorgio Lunghini al «keynesismo fascista» di Alberto De’ Stefani (il manifesto, 7 marzo 2003) rappresenta il miglior commento possibile alla preoccupata «lettera dall’Europa» firmata da Giuliano Amato sul Sole-24Ore di domenica 2 marzo. Il motivo è semplice. A un Amato che ci esorta a stare attenti, perché c’è in Europa una forte lobby che ci vuol fare «tornare indietro», che non ama le privatizzazioni, la concorrenza, il mercato, insomma tutto ciò per cui «noi liberali di sinistra» ci siamo battuti negli anni scorsi, e che, forte del consenso di quanti hanno perso il lavoro a causa delle privatizzazioni e non l’hanno più trovato, mira a salvaguardare uno spazio al ruolo pubblico nell’economia e perfino a consentire «aiuti di Stato» alle imprese in difficoltà, Lunghini - via De’ Stefani - semplicemente ribatte che il problema di «un potenziale di lavoro cronicamente disoccupato o sotto-occupato soprattutto per mancanza di pianificazione produttiva» è - oggi come negli anni Trenta - un problema reale, che nessuna cieca fiducia nel laissez-faire può risolvere. Si potrebbe dire, anzi, che è proprio questa fiducia ad aver reso così forte la lobby «statalista». Se i «liberali di sinistra» come Amato, quando erano al governo in mezza Europa, non avessero fatto le privatizzazioni, tagliato il welfare e ridistribuito reddito dai più poveri ai più ricchi, creando così le premesse perché la contrazione del ciclo economico internazionale si abbattesse su un’Europa già stagnante per conto suo, essa probabilmente non avrebbe raggiunto la forza di cui adesso dispone e che - sempre secondo Amato - la induce a spingere affinché l’eresia «statalista» sia inserita nella futura Costituzione europea (magari accanto al riferimento a Dio: del resto, non ci aveva detto Hegel che lo Stato è l’incedere di Dio nel mondo?). Così, però, non è stato e adesso è inutile rammaricarsi: non bisogna certo essere fini economisti per sapere che, quando l’economia ristagna e compaiono addirittura segnali deflazionistici (come ha messo in luce Galapagos il 26 febbraio scorso), solo lo Stato può calzare quelle scarpe che i privati rifiutano di mettere. Ne verrebbe, piuttosto, la necessità di provvedere ad un aggiornamento degli strumenti di State planning che sia coerente con la conseguita dimensione europea. E qui si coglie a piene mani il dejà vu: mentre larga parte della sinistra si balocca, pronosticando le magnifiche sorti e progressive dei «distretti industriali» o, a seconda delle sensibilità, invocando un’impresa di «liberi produttori indipendenti», ci sta pensando la destra (s’intende, a suo modo: quando il Colbert che tanto piace a Tremonti chiese al mercante Legendre «Que faut-il faire pour vous aider?», la risposta di Legendre fu «Nous laissez faire»). Vuoi vedere che dobbiamo sperare nella path dependence?

NOTE


[1] Estratto da “il manifesto” del 9 marzo 2003.