COMUNICAZIONE, MORTE DELL'ARTE[1]
Contro la società dell'informazione, «Di tutte le mistificazioni della comunicazione, indubbiamente la più grande è stata quella di presentarsi sotto le insegne del progressismo democratico, mentre costituisce la configurazione compiuta dell'oscurantismo populistico». Di questa energia è vergato il biglietto da visita che abbiamo ritagliato dalle prime pagine del libro di Mario Perniola dal titolo inequivoco “Contro la comunicazione” (Edizioni Einaudi, pp. 114, euro 7,00). Cento pagine che consigliamo a tutti perché, come un giallo di Agatha Christie, scoprono il colpevole non di uno ma di molti "delitti". La comunicazione massmediatica, la cui influenza travalica i confini del mercato per estendersi alla cultura, alla politica e all'arte è nella realtà del contemporaneo globalizzato una novità non più recente. Lo è da un punto di vista storico generale perché data soltanto da alcuni decenni, e cioè dal periodo in cui la tecnologia ha reso possibile la selezione di strumenti capaci di imporre le loro ragioni apparentemente senza arroganza. Anzi, la comunicazione massmediatica attraverso la televisione e internet, nel suo saltare ogni intermediazione, rivolgendosi direttamente a un pubblico enorme, mima un'apparenza democratica che in realtà nasconde l'arroganza di un sistema in grado di disarticolare ogni differenza. Mario Perniola è professore di estetica all'Università di "Tor Vergata" di Roma e all'Università di Kioto e, come tale, ha ben presente le ricadute dell'attività del sistema della ipercomunicazione sulla sfera estetica. Non è un caso che così copiosamente gli strumenti stessi di essa (video, computer, sistema digitali) siano utilizzati per la produzione di merci che aspirano a guadagnarsi lo statuto di opere d'arte, generando elementi di confusione e di promiscuità. Non è un caso, ancora, che riemergano ad esempio ciclicamente movimenti di "ritorno alla pittura" (ci sono stati alla fine degli anni '70 con la Transavanguardia in Italia, coi Nuovi Selvaggi in Germania, ancora negli anni '80 perdurando fino ai giorni nostri) che stanno a testimoniare la reazione alla percezione di un rischio, mai corso prima, di un totale schiacciamento di una delle attività primordiali dell'uomo sotto il peso di un sistema che solo apparentemente non ha peso. Ma Perniola evidentemente non è preoccupato solo di questo. E' preoccupato anche e soprattutto degli effetti che l'ipercomunicazione produce sulla società da lui definita "cognitiva" e cioè su quella parte di opinione pubblica ancora in grado di elaborare un'attività cognitiva, di esprimere pensiero ed eventualmente pensiero critico. «La nostra società - dice Perniola - non sarebbe (…) affatto caratterizzata dal tramonto delle ideologie (…) ma semmai da una loro semplificazione e banalizzazione estrema che fa cadere l'aspetto concettuale a favore dell'emozionalità». Con queste parole l'autore riporta una tesi dell'economista francese Jean-Paul Fitoussi il quale asserisce la natura ideologica della nuova comunicazione, insieme all'assoluta impossibilità di verificarne la veridicità. «La comunicazione infatti - continua Perniola - aspira ad essere contemporaneamente una cosa, il suo contrario e tutto ciò che sta in mezzo tra i due opposti. E' quindi totalitaria in una misura molto maggiore del totalitarismo politico tradizionale, perché comprende anche e soprattutto l'antitotalitarismo. E' globale nel senso che include anche ciò che nega la globalità». Come si vede, si tratta di posizioni forti e duramente polemiche nei confronti di un sistema che per decine di anni ha dato l'impressione di svolgere una funzione positiva, di diffusione di una cultura popolare ridotta al minimo ma spalmata orizzontalmente sull'eterogenea popolazione dei consumatori di immagini e di notizie. Una funzione del genere, per lo meno in Italia, la televisione l'ha sicuramente svolta, contribuendo alla diffusione della lingua e ad una alfabetizzazione di base fino allora sconosciuta. Ma esaurita questa funzione iniziale, ha finito per rendersi esclusivamente veicolo di una specie di aerosol pseudoculturale dagli effetti clinicamente soporiferi e dalle conseguenze culturali e politiche difficilmente calcolabili. E' per questo che il libro di Perniola si intitola senza mezzi termini “Contro la comunicazione” perché è ora di svegliarsi da questo sonno. NOTE [1] Tratto da: Liberazione - 18 agosto 2004. |